Bloccare la guerra dai nostri territori è possibile – prima parte
Nel pomeriggio di sabato 5 luglio, a partire dalle 15, il collettivo Stop Riarmo
ha organizzato un pomeriggio di eventi presso il parco del Valentino.
L’evento principale è il convegno “Bloccare la guerra dai nostri territori è
possibile”, cominciato alle ore 16. Come indicato nell’intervento introduttivo
l’obiettivo del convegno è un’analisi del clima bellico in cui ci troviamo a
vivere con un particolare sguardo su Torino che in questo panorama ha un ruolo
fondamentale: da una parte abbiamo le aziende belliche come Leonardo, Collins e
Thales che stanno aumentando il proprio fatturato e dall’altra parte abbiamo
attori fondamentali come il Politecnico di Torino ed Intesa San Paolo che si
legano sempre di più alla filiera bellica attraverso investimenti e
collaborazioni contribuendo alla riconversione di Torino da città
dell’Automotive a città dell’Aerospace.
La guerra è sempre più vicina, lo si nota nei tagli alla ricerca universitaria
ed alla sanità pubblica, nella militarizzazione dei territori e delle scuole,
nella riconversione delle aziende che è sempre di più asservita alle logiche
della guerra.
Il convegno è organizzato in due panel: il primo consente una panoramica della
situazione attuale e delle tendenze. Il secondo è dedicato alle testimonianze di
attività dal basso e sarà oggetto di un altro articolo.
Nel suo intervento, Michele Lancione, professore del Politecnico di Torino,
suggerisce di guardare alle università israeliane e statunitensi per avere
un’idea delle conseguenze e dei pericoli della collaborazione tra le università
ed il complesso militare industriale; l’università perde in questi casi la
fondamentale funzione di luogo del dibattito pubblico diventando un tutt’uno con
il complesso militare industriale.
Ad esempio, nessuna università israeliana ha preso una posizione pubblica sul
genocidio a Gaza ed esistono liste di prescrizione ovvero elenchi di accademici
che non possono essere invitati a tenere lezioni; anche le università
statunitensi hanno, di recente, incontrato problemi a prendere posizione su
questi temi.
Le università italiane non sono ancora a questo stadio di compromissione con
l’industria militare, ma è abbastanza chiaro che è in atto un processo in questa
direzione come si può vedere nel caso del Politecnico di Torino.
La causa principale dell’avvicinamento dell’industria militare all’università è
la carenza dei fondi per la ricerca che spinge gli atenei a cercare fondi presso
altri enti con grosse disponibilità finanziarie: fondazioni bancarie, industrie
estrattive e, appunto, industria militare.
Nello specifico, più l’industria militare entra nelle università più cambia
l’assetto di quest’ultime e si cancella il pensiero critico; considerando dei
casi specifici, FRONTEX non ha bisogno di collaborare con il Politecnico di
Torino per ottenere le mappe di cui ha bisogno, ma gli è utile per questioni di
immagine che quelle mappe escano con il logo del Politecnico di Torino.
Il Politecnico di Torino cerca validazione collaborando con Leonardo S.p.A
perché, nel suo progettare e costruire sistemi d’arma, rappresenta la punta
tecnologica più avanzata; Leonardo S.p.A cerca la collaborazione del Politenico
per fare washing culturale (tecno washing).
Questo “abbraccio mortale” è inaccettabile perché l’università ha una valenza
sociale, deve mantenere ed alimentare il pensiero critico, la possibilità di
mettere in discussione quello che gli enti finanziatori fanno in giro per il
mondo.
Il tutto si inserisce in una crisi profonda di identità della nostra università:
in una recente intervista a Repubblica, Il Rettore ha dichiarato che il
Politecnico di Torino è pronto per ricevere i fondi di RearmEU. Questa
dichiarazione è una novità assoluta: benché il Politecnico abbia sempre ricevuto
finanziamenti dall’industria militare, mai questi finanziamenti sono stati
dichiarati in maniera così esplicita.
Ci sono poi le recenti modifiche al regolamento per l’etica e l’integrità della
ricerca del Politecnico in cui al dettato costituzionale del ripudio della
guerra è stata aggiunta un’eccezione riguardante la ricerca relativa alla difesa
della patria, aprendo enormi possibilità a qualsiasi ricerca militare.
Gianni Alioti dell’osservatorio Weapon Watch, analizza la questione dal punto di
vista della logistica relativa alla movimentazione dei sistemi d’arma e dei
sistemi che ne consentono il funzionamento.
Gran parte delle armi utilizzate nei vari conflitti attivi viaggiano via mare e
vengono caricate e scaricate anche nei porti italiani; in quest’ultimo caso
spesso non si rispetta la legislazione italiana in merito. Gli scioperi indetti
dai lavoratori portuali per impedire di processare i carichi militari
rappresentano un tentativo della base sociale di far rispettare la legge dal
momento che gli organismi preposti a questo compito (Questura, forze
dell’ordine, guarda costiera, finanza) più che far rispettare la legge 185/90 si
preoccupano che le merci vengano processate.
Weapon Watch nasce per dare supporto alla lotta dei portuali, che necessita di
organizzazione e di informazioni per essere efficace, perché dal basso si può
controllare la logistica della guerra mettendo sabbia negli ingranaggi di
un’organizzazione complessa.
Susanna di ReCommon concentra il suo intervento sull’aspetto finanziario
dell’industria militare, in particolare sul ruolo di Intesa San Paolo che ha a
Torino la sua sede principale.
Intesa San Paolo è la più grande banca italiana, la più grande banca europea per
capitalizzazione e tra le prime cinquanta banche mondiali; si tratta di una
banca molto coinvolta con il finanziamento dell’industria militare, grande
finanziatrice di Leonardo, ed il suo coinvolgimento con il settore è aumentato
del 52% nel 2022 subito dopo l’inizio della guerra in Ucraina.
Dalla Relazione Annuale del Senato sulle operazioni svolte per il controllo
delle importazioni ed esportazione d’armi risulta che nel 2024 Intesa San Paolo
ha gestito transazioni per 1,6 Miliardi di euro (dei 12 Miliardi in totale) con
un impegno che si è mantenuto ai livelli degli anni precedenti.
Per quanto riguarda il finanziamento ai settori militari ed aerospaziali nel
periodo 2016-2024, l’esposizione finanziaria di Intesa san Paolo è stata di
quasi 2,5 miliardi di dollari.
L’anello finanziario è fondamentale per l’industria bellica ed il mantenimento
dei conflitti, tanto da essere citato nell’ultima relazione di Francesca
Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti
umani nei territori palestinesi occupati; malgrado i regolamenti etici molte
istituzioni finanziarie (banche, fondi di investimento, fondi pensione ecc.)
stanno finanziando l’industria bellica, quando non direttamente gli stati
coinvolti in guerre.
Terry Silvestrini è intervenuta a nome dell’Osservatorio contro la
militarizzazione delle scuole e delle università.
La guerra ha bisogno del consenso della popolazione e del suo ingaggio, ha
bisogno della propaganda, che è già guerra; da qui l’interesse degli ambienti
militari verso la scuola.
I ministeri della Difesa e dell’Istruzione e del Merito hanno in atto diversi
protocolli di collaborazione, innanzitutto per facilitare il reclutamento,
inserendosi nei percorsi di orientamento al lavoro degli ultimi anni della
scuola superiore.
In questi percorsi di orientamento la carriera militare vien presentata come una
scelta “smart” in grado di consentire la piena realizzazione delle proprie
aspirazioni e soprattutto in grado di garantire un lavoro.
L’Osservatorio lavora proprio nell’ottica di evidenziare e decostruire questa
narrazione, per una scuola che educhi alla pace ed alla convivenza e non
contribuisca a normalizzare il clima di guerra.
Eleonora Artesio del Comitato per il Diritto alla Tutela della Salute e alle
Cure sposta al punto di vista sul Servizio Sanitario Nazionale[1], uno dei
servizi colpiti dall’aumento delle risorse militari al 5% del PIL.
Il SSN italiano è concepito come uno dei più moderni e completi a livello
mondiale, non a caso è nato su spinta di un grande movimento popolare. Questa
modernità è espressa dalla sua forma universale: è un diritto della persona, non
del cittadino o del contribuente.
La narrazione dominante racconta che non possiamo permetterci un sistema
sanitario di queto tipo, ma la realtà è la progressiva riduzione delle risorse
previste in termini di percentuali del PIL che lo sta distruggendo alla radice.
La difesa del SSN diventa quindi un’altra battaglia culturale e sociale
fondamentale anche per scegliere come usare le risorse e bloccare il riarmo.
[1] Si parla di Servizio Sanitario Nazionale usando il termine usato nella legge
833/78 che lo istituì perché il servizio è prioritario sul sistema che lo deve
garantire
Giorgio Mancuso