Una marcia produce onde che vanno lontano> Come avrei potuto diffondere la notizia che la pace è in pericolo, come avrei
> potuto destare la consapevolezza della gente più реriferica, se non ricorrendo
> all’aiuto di altri e impostando una manifestazione elementare come è una
> marcia?
>
> Sapevo bene che gli aiutanti e i partecipanti non sarebbero stati in gran
> parte persuasi di idee nonviolente; lo sapevo benissimo ma si presentava
> l’occasione di mostrare che la nonviolenza è attiva e in avanti, è critica dei
> mali esistenti, tende a suscitare larghe solidarietà e decise
> noncollaborazioni, è chiara e razionale nel disegnare le linee di ciò che si
> deve fare nell’attuale difficile momento.
(Aldo Capitini, In cammino per la pace, Einaudi, 1962)
Il 24 settembre del 1961 si svolgeva in Italia, per volere di Aldo Capitini, il
primo esperimento di “tecnica nonviolenta collettiva”, la Marcia della pace per
la fratellanza tra i popoli da Perugia ad Assisi, di cui il filosofo perugino
racconterà l’anno dopo nel volume In cammino per la pace.
Era una marcia alla quale Capitini pensava e lavorava da anni, che passò alla
fase organizzativa nella drammatica estate del 1961, mentre a Berlino veniva
tirato su il muro tra la parte Est ed Ovest della città, con una nuova crisi dei
rapporti tra Nato e Patto di Varsavia.
Capitini comprese che, di fronte al pericolo incombente di una guerra nucleare
tra i blocchi contrapposti, era necessaria anche in Italia un’azione diretta e
spiazzante dal basso che avesse quattro caratteristiche: che l’iniziativa
partisse da un nucleo indipendente e pacifista integrale; che destasse la
consapevolezza della pace in pericolo nelle persone più periferiche; che fosse
l’occasione per lanciare il “metodo nonviolento”; che richiamasse Francesco, il
santo italiano della nonviolenza.
La Marcia, concepita come mobilitazione popolare, ebbe molta più partecipazione
di quella che gli organizzatori si aspettavano, sia di popolo che di
intellettuali e artisti, da Italo Calvino a Norberto Bobbio, da Renato Guttuso a
Fausto Amodei (che ci ha lasciati nei giorni scorsi e che con la chitarra
improvvisò la ballata censuratissima “E se la patria chiama”).
A termine di essa, dalla Rocca di Assisi, Capitini lesse la Mozione del popolo
della pace, testimoniando così l’ingresso sulla scena politica italiana di un
soggetto culturalmente autonomo, svincolato dalle logiche di appartenenza
partitica, capace di portare nel discorso pubblico le istanze del disarmo e
della nonviolenza, parlando con voce propria.
La Mozione del popolo della pace affermava cinque principi e, per ciascuno di
essi, le rispettive declinazioni pratiche. Rileggiamone una sintesi, perché
parlano anche a noi, popolo della pace ancora in cammino in questi giorni
oscuri.
> Primo: nell’idea di fratellanza dei popoli si riassumono i problemi urgenti di
> questo tempo: il superamento dell’imperialismo, del razzismo, del
> colonialismo, dello sfruttamento (…). Secondo: per preparare la pace durante
> la pace è necessario diffondere nell’educazione e nei rapporti con tutti a
> tutti i livelli, una capacità di dialogo, una sincera apertura alla
> coesistenza ed alla pacifica competizione di ideologie e di vari sistemi
> politici e sociali, nel comune sviluppo civile (…). Terzo: la pace è troppo
> importante perché possa essere lasciata nelle mani dei soli governanti; è
> perciò urgente che in ogni nazione tutto il popolo abbia il modo di
> continuamente e liberamente informarsi, e sia convocato frequentemente ad
> esprimere il proprio parere. Quarto: nel pericolo che la pace sia spezzata da
> una guerra immane, è urgente l’unione di tutti coloro che nel mondo sono
> disposti a resistere alla guerra. Quinto: l’umanità è giunta al punto che è in
> grado di apprezzare altamente un tipo di educazione aperta, rinnovatrice delle
> strutture legate a privilegi e pregiudizi, una educazione eroicamente
> nonviolenta.
Cinque principi, densi di conseguenze operative, nei quali si esprime un’altra
idea di civiltà – tanto nei fini quanto nei mezzi per raggiungerla – fondata
sulla strenua resistenza alla guerra attraverso la nonviolenza, per gettarla una
volta per sempre nei ferrivecchi della storia e costruirne le alternative civili
per risolvere le controversie internazionali e convivere nelle differenze.
Capitini non realizzò una seconda edizione di quell’esperimento di lotta
nonviolenta dal basso. Toccò al Movimento Nonviolento – fondato nel 1962, da
Capitini e alcuni altri amici, come esito della Marcia per dare al “popolo della
pace” uno strumento di organizzazione autonoma dai partiti – proporne una
seconda edizione molti anni dopo: nel 1978, per il decennale della morte del
fondatore.
E fu Pietro Pinna, il primo obiettore di coscienza “politico” dell’Italia
repubblicana, erede di Aldo Capitini nella guida del Movimento Nonviolento, a
prenderne in mano il testimone, proponendone altre due edizioni come strumento
di azione, a disposizione del più ampio movimento per la pace, con precisi
obiettivi politici: nel 1981 contro l’installazione dei missili nucleari, nel
1985 per il blocco delle spese militari.
Successivamente la Marcia Perugia-Assisi è stata presa in mano dagli Enti locali
umbri e dal Comitato promotore, oggi diventato Fondazione Perugi-Assisi per la
Cultura della Pace, che l’ha resa periodica, convocandola ogni due anni, salvo
edizioni straordinarie.
La Marcia – che come scriveva Capitini “non è fine a se stessa, ma produce onde
che vanno lontano” – nel tempo è diventata un appuntamento rituale del popolo
della pace, da cui trarre linfa ed ispirazione, sulle orme di Aldo Capitini e di
quei primi marciatori, per portare nella propria quotidianità la forza della
nonviolenza. Secondo le indicazioni che ne ha dato anche Pietro Pinna:
> Nonviolenza significa disarmo unilaterale, rifiuto assoluto, cioè immediato e
> integrale, di qualsiasi apparato militare, di qualsiasi guerra, fatta da
> chiunque, contro chiunque, per qualsiasi ragione. E quindi, come pratica
> immediata possibilità per ognuno: obiezione di coscienza al servizio militare,
> alle spese militari, alla produzione bellica…
Oggi, di fronte al genocidio in Palestina, all’infinita inutile strage in
Ucraina, alle decine di conflitti armati della “terza guerra mondiale a pezzi”,
al riarmo, alla militarizzazione della scuola, dell’economia e della società
italiane, marciare un giorno all’anno non è sufficiente: il cammino sulle strade
della nonviolenza si deve svolgere ogni giorno, ovunque, tenacemente e
continuativamente, fino al completo disarmo, militare e culturale.
Pasquale Pugliese
[Articolo pubblicato su Mosaico di pace: Da Capitini a noi]
Per un’introduzione al pensiero di Capitini, vedi Pasquale Pugliese,
Introduzione alla filosofia della nonviolenza di Aldo Capitini, GoWare, 2018
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