Suicidio assistito, Martina Oppelli è morta in Svizzera
Martina Oppelli, 50enne triestina, affetta da sclerosi multipla da oltre 20
anni, è morta la mattina del 31 luglio in Svizzera, dove ha avuto accesso al
suicidio medicalmente assistito. È stata accompagnata da Claudio Stellari e
Matteo D’Angelo, iscritti a Soccorso Civile, l’associazione che fornisce
assistenza alle persone che hanno deciso di porre fine alle proprie sofferenze
all’estero, e di cui è rappresentante legale Marco Cappato. Insieme a loro,
hanno fornito aiuto logistico ed economico altre 31 persone, i cui nomi saranno
resi pubblici.
Lo scorso 4 giugno, Oppelli aveva ricevuto il terzo diniego da parte della
azienda sanitaria ASUGI in merito alla verifica delle condizioni per accedere al
suicidio medicalmente assistito: secondo l’azienda sanitaria non era sottoposta
ad alcun trattamento di sostegno vitale, nonostante la completa dipendenza
dall’assistenza continuativa dei caregivers e da presidi medici (farmaci,
catetere e macchina della tosse).
Per questo motivo lo scorso 19 giugno – assistita dal team legale coordinato da
Filomena Gallo, avvocata e Segretaria nazionale dell’Associazione Luca Coscioni
– Oppelli ha presentato un’opposizione al diniego, accompagnata da una diffida e
messa in mora nei confronti dell’azienda sanitaria. A seguito della diffida, è
stata avviata una nuova procedura di valutazione da parte della commissione
medica, ma Martina Oppelli ha deciso di andare in Svizzera per accedere
all’aiuto alla morte volontaria perché era impossibile per lei attendere altro
tempo per una risposta: le sofferenze non erano in alcun modo tollerabili.
Queste le parole di Martina Oppelli affidate all’Associazione Luca Coscioni in
un video registrato in Svizzera.
Gentili parlamentari e concittadini tutti, non so se vi ricordate di me, sono
Martina Oppelli. Più di un anno fa feci un appello a tutti voi affinché venisse
promulgata e approvata una legge, una legge sensata che regoli il fine vita, che
porti a un fine vita dignitoso tutte le persone, malate, anziane, ma non
importa, prima o poi tutti noi dobbiamo misurarci con la fine della nostra vita
terrena. Sì, questo appello è finito nel vuoto.
Io all’epoca, ormai due anni fa, mi appellai alla sentenza Cappato per poter
accedere al cosiddetto suicidio assistito presso l’azienda sanitaria della mia
Regione. Per ben tre volte mi è stato negato, benché io ne avessi il diritto, ma
chissà, forse non abbastanza, forse non lo so perché, io non ho tempo per
aspettare un quarto diniego, ma anche se fosse un assenso io ero allo stremo
delle mie forze. Sono in Svizzera, sì, forse una fuga direte voi, no, no, no, è
un ultimo viaggio.
Ho pensato che forse avrei dato meno fastidio, meno problemi, fuggendo
all’estero, com’è la cosiddetta fuga di cervelli all’estero, ma non importa,
sono qui e voglio restare qui e morire dignitosamente qui in Svizzera. Ma
perché, perché dobbiamo andare all’estero, perché dobbiamo pagare, anche
affrontare dei viaggi assurdi? Io ho fatto un viaggio lunghissimo, dopo che non
uscivo da casa da più di un mese e non lasciavo la mia città da oltre undici
anni, è stato veramente uno sforzo titanico, ma l’ho fatto per avere una fine
dignitosa alla mia sofferenza, per piacere. Io non voglio che questo iter si
ripeta per altre persone, non potete rimandarci sempre a settembre, ogni anno a
settembre, perché ci sono urgenze più grandi.
Sappiate che sono pienamente consapevole che esistono tragedie enormi, genocidi,
terremoti, alluvioni e che magari la misera vita di una singola persona e la sua
sofferenza appaiono troppo piccole in confronto a una guerra, ma il macrocosmo è
fatto da infiniti microcosmi, già, e ogni microcosmo ha un proprio dolore e ogni
dolore è assoluto nel momento in cui viene vissuto e va rispettato. Quindi, per
piacere, ascoltate anche noi, non accomunate immagini di guerre, battaglie,
terremoti anche alla mia immagine o all’immagine di altri malati, come se fossi
quasi offensivo, sì, è offensivo pensare di sperare, di porre fine alle proprie
sofferenze, quando altre persone fanno di tutto per vivere. Anche noi abbiamo
fatto di tutto per vivere, credetemi.
Io sono 30 anni che mi arrampico sugli specchi pur di conservare questo sorriso
che si sta lentamente spegnendo, rispettate ognuno di noi. Simone Weil, grande
filosofa francese, scriveva “ognuno ha il proprio olocausto privato.” Così, il
fine vita tocca a tutti prima o poi, può accadere a 120 anni, può accadere a 50,
può accadere prima, ogni scelta va rispettata.
Fate una legge che abbia un senso, una legge che tenga conto di ogni dolore
possibile, che ci siano dei limiti, certo, delle verifiche, ma non potete fare
attendere due, tre anni prima di prendere una decisione. In questi ultimi due
anni il mio corpo si è disgregato, io non ho più forza, ma non ho più forza
nemmeno di respirare delle volte, perfino i comandi vocali non mi capiscono più.
Ecco, io ho anche il catetere vescicale, ho un tubo di scappamento come una
macchina al quale non sarei mai voluta arrivare, perché io non sono una
macchina, sono un essere umano, io non funziono, io vivo e voglio vivere
dignitosamente fino alla fine, o desideravo. Adesso desidero morire
dignitosamente, per piacere.
Fate una legge sensata, cercate di mettervi nei panni di chiunque, di chiunque.
Non esiste nessuna guerra utile in questo mondo, ogni battaglia è inutile,
mettiamo da parte le diatribe politiche, perché non esiste destra o sinistra o
centro, siamo tutti esseri umani, tutti, per piacere, per piacere, legiferate,
ma legiferate con buon senso. Scusate il disturbo, me ne vado in silenzio, io
miro all’oblio, non cercavo la fama, forse cercavo solo di evitare la fame in
questi anni, lavorando onestamente, pagando le tasse onestamente, pagando anche
i contributi di chi mi assisteva giorno e notte in questo paese onestamente.
Perché sono dovuta venire qui all’estero? Perché non ce la facevo più ad
aspettare, non ce la facevo più. Per piacere fate una legge che abbia un senso e
che non discrimini nessuna situazione plausibile. Scusate il disturbo.
Martina Oppelli, prima di andare in Svizzera, ha depositato, tramite la sua
procuratrice speciale Filomena Gallo, avvocata e Segretaria nazionale
dell’Associazione Luca Coscioni, una denuncia-querela nei confronti di ASUGI,
l’azienda sanitaria locale triestina che per tre volte le ha negato l’accesso al
“suicidio medicalmente assistito”.
Lo ha annunciato questa mattina durante una conferenza stampa a Trieste Marco
Cappato, Tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni e rappresentante legale di
Soccorso Civile, l’associazione che organizza le azioni di disobbedienza civile
per l’aiuto alla morte volontaria.
Oppelli ha contestato due reati principali all’azienda sanitaria: rifiuto di
atti d’ufficio e tortura.
In primo luogo ha accusato l’ASUGI e i medici della commissione di aver
rifiutato di svolgere atti dovuti per legge. L’azienda sanitaria le aveva, in
passato, negato la rivalutazione delle sue condizioni di salute, sostenendo che
un nuovo esame sarebbe stato un costo inutile per la pubblica amministrazione.
Martina Oppelli aveva dovuto presentare un ricorso d’urgenza nel 2024 presso il
tribunale di Trieste che aveva ordinato all’azienda sanitaria nuove verifiche.
Inoltre, non le è stato riconosciuto, per oltre due anni, il requisito della
“dipendenza da trattamento di sostegno vitale” (uno dei quattro requisiti
previsti dalla sentenza 242/2019 della Corte costituzionale “Cappato-Antoniani”
per poter accedere legalmente in Italia al suicidio assistito), nonostante
dipendesse totalmente non solo dai suoi caregiver per sopravvivere ma anche
dalla macchina della tosse e nelle ultime settimane dal catetere vescicale,
disapplicando in tal modo il giudicato costituzionale.
Secondo Oppelli, inoltre, l’azienda sanitaria non solo le ha negato un diritto,
ma l’ha fatta soffrire inutilmente, causandole danni fisici e psicologici che,
per legge, si configurano come una vera e propria forma di tortura. Così ha
denunciato di essere stata vittima di un trattamento inumano e degradante da
parte delle istituzioni che hanno ignorato le sue sofferenze, constringendola a
vivere per anni in una condizione di dolore estremo, aggravata dal rifiuto
reiterato e immotivato dell’ASUGI di riconoscerle l’accesso legale alla morte
assistita.
Redazione Friuli Venezia Giulia