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Mo’ pure il Belgio è “filo-russo”
Il Belgio ha semplicemente fatto l’impensabile: ha detto la verità e per averla detta l’hanno accusato di far parte di un intrigo geopolitico. L’UE sta orchestrando il più grande furto di ricchezza sovrana sancito dallo Stato nella storia moderna, un’incursione diretta alle riserve della Banca Centrale Russa con tanto di […] L'articolo Mo’ pure il Belgio è “filo-russo” su Contropiano.
Il pasticciaccio brutto dei fondi russi che Bruxelles vorrebbe sequestrare
Anche la Banca Centrale Europea (Bce) ha respinto la richiesta della Commissione europea di fare da garante per il maxi-prestito da 140 miliardi di euro destinato all’Ucraina ma utilizzando i fondi russi sequestrati in Europa. La Bce ha spiegato che il piano violerebbe il divieto di “finanziamento monetario” previsto dai […] L'articolo Il pasticciaccio brutto dei fondi russi che Bruxelles vorrebbe sequestrare su Contropiano.
Armi chimiche, segreti militari e degrado ambientale: la lunga storia del centro NBC di Civitavecchia
Nato per mettere in sicurezza le armi chimiche del Novecento, il Centro Tecnico Logistico Interforze NBC oggi è al centro di un’inchiesta per disastro ambientale. Documenti parlamentari, relazioni ufficiali e testimonianze raccontano una storia di silenzi, proroghe e allarmi rimasti inascoltati. Il laboratorio segreto d’Italia Il Centro Tecnico Logistico Interforze NBC di Civitavecchia nasce dalla fusione di due enti preesistenti nel comprensorio militare di Santa Lucia: il Centro Tecnico Militare Chimico Fisico e Biologico, dedicato alla sperimentazione nel settore NBC (nucleare, biologico e chimico), e lo Stabilimento Militare Materiali per la Difesa NBC, responsabile di sviluppo, produzione e collaudo di materiali per la difesa. Per anni, questa struttura ha rappresentato l’eccellenza della ricerca militare italiana nel campo della protezione da agenti tossici. Oggi, però, torna sotto i riflettori per ragioni ben diverse: il deterioramento dei contenitori di stoccaggio e i rischi ambientali legati alla presenza di migliaia di ordigni chimici risalenti alle guerre mondiali. L’eredità delle guerre Nel silenzio di decenni, a Santa Lucia sono state raccolte e messe in sicurezza migliaia di munizioni chimiche provenienti da tutta Italia: residuati della Prima e della Seconda Guerra Mondiale caricati con iprite, arsenico, fosgene e adamsite. Materiali estremamente tossici ma non più utilizzabili, da custodire fino alla distruzione definitiva prevista dagli accordi internazionali della Convenzione sulle armi chimiche. Il Centro divenne così l’unico impianto nazionale autorizzato al recupero e alla distruzione delle armi chimiche, assumendo nel tempo un ruolo cruciale, ma l’accumulo di materiali, la complessità tecnica e la lentezza delle procedure hanno trasformato un deposito temporaneo in una struttura sovraccarica e fragile. Dal deposito protetto al sequestro giudiziario Nel 2025, il centro è tornato al centro delle cronache. Indagini giornalistiche e inchieste della magistratura hanno rivelato criticità strutturali gravi: tonnellate di rifiuti militari ad alto rischio conservati in monoliti di cemento deteriorati, con ferri d’armatura esposti e infiltrazioni. La Procura di Civitavecchia, guidata da Alberto Liguori, ha disposto il sequestro dell’area ipotizzando i reati di disastro ambientale colposo e omessa bonifica. L’accusa: i sistemi di contenimento non sarebbero più sicuri e le acque meteoriche potrebbero trascinare sostanze tossiche nel terreno. Venti alti ufficiali dell’esercito sono finiti sotto indagine per omessa vigilanza. Le autorità locali, dal Comune di Civitavecchia all’Osservatorio Ambientale, hanno chiesto chiarezza. Le analisi di Acea sull’acqua potabile non rilevano contaminazioni, ma gli esperti invocano monitoraggi costanti e un piano di messa in sicurezza di lungo periodo. Un allarme già scritto nei documenti ufficiali Molto prima del sequestro, la Relazione annuale 2018 del Senato della Repubblica sull’attuazione della Convenzione per la proibizione delle armi chimiche descriveva Santa Lucia come “l’unico impianto nazionale abilitato al recupero, immagazzinaggio e distruzione delle armi chimiche”. A fine 2017, il centro custodiva 13.600 ordigni chimici prodotti prima del 1946, classificati come Old Chemical Weapons. Quelle armi, secondo gli impegni internazionali, avrebbero dovuto essere distrutte entro il 2012. L’OPAC, l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, aveva concesso una proroga, chiedendo all’Italia di completare l’operazione “il prima possibile”. Il Senato segnalava anche la necessità di un “adeguamento urgente degli impianti”, un intervento mai realizzato. Letto oggi, quel monito assume il valore di una profezia. Ogni anno, l’Italia invia all’OPAC una dichiarazione volontaria sulla situazione del sito: un segno di trasparenza, ma anche la conferma che Santa Lucia resta un luogo sotto osservazione internazionale. La risoluzione Artini e le proteste del territorio Già nel 2016, la Risoluzione Artini denunciava le condizioni precarie dei monoliti di cemento e il malcontento della popolazione. Il Ministero della Difesa aveva avviato uno studio con la società Dynasafe per introdurre un nuovo impianto basato su ossidazione termica, ma il progetto suscitò forti opposizioni. I cittadini temevano che il nuovo impianto potesse funzionare come un inceneritore. Le associazioni — tra cui ISDE, i medici per l’ambiente — chiesero la sospensione del piano e l’avvio di una bonifica dell’area, partendo dalla rimozione dei monoliti. Il 9 giugno 2016 il Sottosegretario alla Difesa Gioacchino Alfano, durante un incontro ufficiale si impegnò a valutare soluzioni alternative e garantire maggiore trasparenza. La risoluzione chiedeva inoltre che Santa Lucia fosse riconosciuta come sito di interesse nazionale, con interventi di bonifica, monitoraggio e informazione pubblica costante. Un impianto ad alto rischio controllato Nel Piano di Emergenza Comunale di Civitavecchia del 15 gennaio 2024, il deposito militare di Santa Lucia è classificato come impianto a rischio di incidente rilevante. Il documento descrive un sito blindato, sorvegliato 24 ore su 24, dotato di sistemi antincendio automatici e monitoraggio continuo, progettato per evitare qualsiasi fuga di sostanze tossiche. Nonostante le misure di sicurezza, il rischio resta alto: la normativa europea lo definisce “antropico-tecnologico”, cioè derivante da attività umane. Il Piano individua Santa Lucia come uno dei nodi più sensibili del territorio, richiedendo aggiornamento costante dei protocolli di prevenzione. Il piano di rilancio: SMD 29/2023 L’8 maggio 2024, in Commissione Difesa, il deputato Anastasio Carrà (Lega) ha illustrato il programma SMD 29/2023, destinato alla distruzione delle Old Chemical Weapons. Il piano prevede l’acquisto di un impianto Dynasafe SDC-1200, tecnologia capace di decomporre ordigni chimici a temperature tra i 400 e i 550 gradi, con sistemi di trattamento dei gas per evitare dispersioni. Finanziato con 29 milioni di euro del Ministero della Difesa, il progetto include cinque anni di assistenza tecnica e formazione del personale. L’obiettivo è riportare il Centro alla piena operatività entro quattro anni e completare la distruzione delle armi chimiche ancora presenti in Italia. La voce dei militari Anche il Sindacato Unitario Militari (S.U.M.) ha espresso profonda preoccupazione per le condizioni ambientali del sito. Secondo le segnalazioni ricevute, i monoliti — nati per isolare le sostanze tossiche — risulterebbero oggi fortemente deteriorati. Il S.U.M. ha chiesto interventi immediati all’Ufficio per il Coordinamento dei Servizi di Vigilanza d’Area e ha sollecitato al Ministero della Difesa a individuare soluzioni alternative di stoccaggio, tutelando il personale e le loro famiglie. “Chiediamo che le risultanze dei controlli vengano comunicate al S.U.M. — si legge nella nota — per garantire la massima trasparenza e la tutela dei diritti collettivi”. Una verità ancora sospesa L’inchiesta giudiziaria è solo all’inizio, ma la sua lentezza preoccupa. Conoscendo i tempi della giustizia e la natura militare dell’impianto, il rischio è che la vicenda si trascini per anni, senza arrivare a una verità né a una bonifica. È uno scenario già visto in altre storie italiane, come ricordato nel documentario Terra a Perdere di Chiara Pracchi, dove procedimenti complessi finiscono per dissolversi nel tempo. Serve un intervento deciso del governo, non per interferire con la magistratura, ma per risolvere le criticità strutturali e accelerare le operazioni di messa in sicurezza. Solo così si potrà impedire che un centro nato per proteggere il Paese diventi l’ennesimo simbolo di emergenza ambientale irrisolta. Fonti: https://www.fivedabliu.it/wp-content/uploads/2025/11/Dossier-Senato-n.-6_336222.pdf https://parlamento17.openpolis.it/atto/documento/id/317702? https://civitavecchia-api.municipiumapp.it/s3/2166/allegati/allegati/pec-cvt-ii-parte_compressed.pdf https://documenti.camera.it/leg19/resoconti/commissioni/bollettini/pdf/2024/05/08/leg.19.bol0303.data20240508.com04.pdf? https://www.sindacatounicodeimilitari.it/s-u-m-preoccupazione-per-la-situazione-ambientale-del-comprensorio-di-santa-lucia-a-civitavecchia-sede-del-centro-tecnico-logistico-interforze-nbc/ https://www.fivedabliu.it/2021/11/10/processo-per-i-veleni-del-poligono-di-quirra-tutti-assolti/     Fivedabliu
Il sionismo è un furto
A disincentivare ulteriormente la collaborazione israeliana nel processo di creazione di uno Stato palestinese indipendente (secondo gli accordi di Oslo II del 1995, NdR) è il vantaggio economico costituito dall’ingente ammontare degli aiuti internazionali destinati all’Autorità nazionale palestinese. Gli aiuti, infatti, permettono che i costi dell’occupazione vengano interamente coperti dalla […] L'articolo Il sionismo è un furto su Contropiano.
Assalto alla Freedom Flottilla: chi sono gli incursori israeliani
La notte di sabato 26 luglio, in acque internazionali e a meno di 40 miglia nautiche dalla Striscia di Gaza, ad assaltare l’imbarcazione Handala e sequestrare i 21 attivisti internazionali della Freedom Flotilla sono stati gli incursori di “Shayetet 13” (13^ Flottiglia), il corpo d’élite della Marina militare israeliana impiegato […] L'articolo Assalto alla Freedom Flottilla: chi sono gli incursori israeliani su Contropiano.
L’ESERCITO ISRAELIANO ASSALTA HANDALA IN ACQUE INTERNAZIONALI: EQUIPAGGIO RAPITO, NAVE SEQUESTRATA. ATTIVISTE E ATTIVISTI IN SCIOPERO DELLA FAME
Poco prima della mezzanotte (orario palestinese) di sabato 26 luglio 2025, l’Idf ha assaltato la nave Handala di Freedom Flotilla Coalition. I militari israeliani hanno sequestrato l’imbarcazione e rapito i membri dell’equipaggio, che nel frattempo sono entrati in sciopero della fame “contro l’assedio israeliano alla Striscia di Gaza”. Tra gli attivisti e le attiviste rapiti illegalmente da Israele in acque internazionali ci sono anche due cittadini italiani: Antonio Mazzeo e Antonio La Piccirella. Al momento dell’arrembaggio militare israeliano, la Handala si trovava a sole 40 miglia nautiche dalla costa di Gaza. L’8 giugno scorso, la nave Madleen di Freedom Flotilla era stata assaltata dall’Idf a oltre 100 miglia nautiche dalle coste palestinesi. Questa volta, l’imbarcazione diretta verso la Striscia con il suo carico di aiuti umanitari per la popolazione civile è stata sorvolata a lungo da droni militari israeliani; poi, è stata circondata da imbarcazioni della marina israeliana che prima l’hanno dirottata verso le coste egiziane e, infine, l’hanno abbordata con i mezzi dai quali i soldati di Tel Aviv sono saliti a bordo. I militari israeliani hanno interrotto le comunicazioni della Handala con il resto del mondo. Un video delle telecamere di bordo, che diffondevano in diretta quanto avveniva sull’imbarcazione, mostra un soldato mentre la distrugge. Com’era accaduto nel caso della Madleen poco più di un mese prima, anche l’equipaggio della nave Handala è stato sequestrato, preso in ostaggio dalle autorità israeliane. Stessa sorte per quanto riguarda la barca. Attiviste e attivisti, che prima di essere intercettati avevano diffuso dei video messaggi personali, sono entrati in sciopero della fame per richiamare ancora una volta l’attenzione non su se stessi, ma sul genocidio in corso a Gaza, sui crimini di guerra, sulla fame indotta e imposta, sull’assedio con blocco degli aiuti umanitari, sulla condizione disumana cui Israele costringe due milioni di persone nella Striscia nella totale impunità. L’obiettivo della missione della Handala era quello di raggiungere Gaza, rompere l’assedio israeliano e portare aiuti umanitari alla popolazione palestinese. L’aggiornamento sulle frequenze di Radio Onda d’Urto con Simone Zambrin, di Freedom Flotilla Italia. Ascolta o scarica.
Rapimento Moro, le sentenze giudiziarie al vaglio della storia /2
Nel maggio ’87, la Corte di Assise di Roma, nel cd. processo Metropoli, stabilì che Lanfranco Pace e Franco Piperno erano estranei a tutti i reati connessi alla vicenda Moro.   Al termine del processo Moro ter di primo grado, nell’ottobre ’88, i giudici romani assolsero Rita Algranati, Marcello Capuano, […] L'articolo Rapimento Moro, le sentenze giudiziarie al vaglio della storia /2 su Contropiano.