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Il cibo come strumento di soprusi e di morte in Palestina
Dallo zaatar vietato ai datteri espropriati: come il colonialismo di insediamento ha colpito l’agricoltura e la cultura gastronomica palestinese. “Perché hai questo sacchetto? Perché se un giorno non potrò comprarmi da mangiare a Londra, avrò il mio cibo: zaatar. E gli ho chiesto: Do you know zaatar? ”. Si sono allontanati e mi hanno lasciato da sola nel mio silenzio e nelle mie perplessità: come hanno occupato il nostro paese per trent’anni e non sanno distinguere il timo macinato (lo zaatar) dalla polvere da sparo? O hanno paura dello zaatar perché fa bene alla memoria e vuole eliminarla totalmente?” ( Viaggio dopo viaggio , Salman Natur). Il cibo è il nostro carburante, ci diciamo spesso. Però, forse, non è una cosa di cui ci occupiamo abbastanza: magari prestiamo più attenzione alla benzina che mettiamo nell’auto. Nelle nostre concitate vite trangugiamo pasti di fretta, troppo spesso e senza riflettere su ciò che abbiamo nel piatto. Eppure produzione e consumo di cibo sono le funzioni principali che gli esseri umani svolgono sulla terra per la propria sopravvivenza. Danno forma alle nostre città, visto che le stesse sono nate, quasi ovunque nel mondo, intorno ai mercati; creare le reti e le connessioni, poiché il trasporto delle risorse alimentari disegna e trasforma le vie di comunicazione; determinano anche conflitti, sin dai tempi dell’antichità. Oggi in Palestina, in quello che ormai è definito, anche in sede giuridica, come genocidio (il 16 settembre 2025 una commissione d’inchiesta internazionale indipendente delle Nazioni Unite, dopo una lunga indagine, lo afferma come tale in quanto sono stati commessi quattro dei cinque atti che, secondo il diritto internazionale, identificano questo tipo di crimine contro l’umanità), il cibo ha assunto un ruolo terribile: è stato usato per affamare la gente della Striscia di Gaza, per costringerla a evacuare e, purtroppo, per ucciderla in massa, come intento di pulizia etnica. In pratica, come ha più volte ricordato Rula Jebreal, il cibo è diventato un’arma di guerra. La connessione tra l’occupazione della Palestina e il cibo è, però, molto più profonda e antica: già dalla fase iniziale del colonialismo di insediamento, tutto è ruotato intorno alla terra e ai suoi frutti. Una bellissima, quanto tragica, ricostruzione degli avvenimenti la si può trovare nel famoso testo di Ilan Pappe Dieci miti su Israele , pubblicato nel 2022 e tradotto in Italia da Edizioni Tamu, in cui l’autore, attraversando le varie fasi del progetto sionista a partire dalle prime colonie del diciannovesimo secolo fino a oggi, ci rende noto come tutto sia nato ben oltre un secolo fa. D’altra parte, come potrebbe non essere così, se la questione nodale del progetto colonialista israeliano riguarda l’appropriazione di terra? Non tutte le colonizzazioni hanno avuto questo obiettivo: ad esempio, gli stati europei che si sono macchiati di crimini efferati nella cosiddetta tratta atlantica attingevano all’Africa per il commercio degli schiavi da usare come manodopera nelle piantagioni americane e, infatti, per questo motivo, nel 1680 fu istituita la Royal African Company , promuovendo l’arrivo massiccio di schiavi nelle colonie inglesi. Nel colonialismo di insediamento israeliano, invece, la terra è al centro dell’interesse: in quell’area geografica e in nessun’altra si sarebbe mai potuto riprodurre allo stesso modo. Infatti, come noto, il progetto sionista, traendo origine da un’interpretazione, a detta di molti, tra cui Moni Ovadia, assolutamente restrittiva del libro del Levitico , fa coincidere il diritto all’acquisizione della terra promessa con la creazione dello stato-nazione israeliana. Le conseguenze del progetto di insediamento sono state, quindi, da subito di grande impatto, in senso negativo, per l’agricoltura palestinese, ma anche per la cultura culinaria plurimillenaria della Palestina. Il sionismo si è occupato con una certa dedizione della persecuzione delle sue radici culturali. Parliamo del famoso zaatar, considerato un simbolo nazionale palestinese che lega le persone alla propria terra e cultura. Si tratta di una miscela di erbe e spezie composta tradizionalmente da timo, sesamo e sommacco e usata come merenda energetica dagli studenti, dai lavoratori, dai bambini, per lo più nella fase che precede il pranzo, a metà mattinata. Lo zaatar, usato su pane, verdure, carne, pesce e persino nelle insalate, viene consumato da secoli sia in Palestina che in tutto il Medio Oriente, elemento di resistenza culturale, un modo per mantenere viva la connessione con la terra di origine, specialmente per la diaspora palestinese. Nel 1977, con una legge, lo stato di Israele ne ha vietato la raccolta, applicando sanzioni penali ai palestinesi, ma non agli israeliani. Questa politica è vista come un tentativo di tagliare il legame dei palestinesi con la loro terra e la loro cultura. I dati sugli arresti confermano questa supposizione: tra il 2004 e il 2016, tutti i 61 imputati accusati per la raccolta di questa pianta erano palestinesi, secondo un articolo di NenaNews: “Solo un anno dopo la Giornata della terra Israele emanò una legge che vietava la raccolta dello zaatar perché ‘pianta protetta’. Facendo così però, osserva il giornalista Hammud, Tel Aviv non solo ha giustificato il suo furto delle terre dei palestinesi, ma si è anche appropriata dei loro elementi culturali”. akkoub Una sorte analoga è toccata all’akkoub, “una pianta selvatica difficile da raccogliere a causa della sua posizione montanara e delle foglie spinose. Ha un sapore simile al carciofo. Nella cultura araba e palestinese in particolare, viene utilizzata per la preparazione di cibi e per scopi curativi, e queste culture rispettano e si identificano con questa pianta” (dal sito della Fondazione Slow Food per la biodiversità che lo ha inserito nelle piante da preservare). Sempre sullo stesso tema, va citato il bellissimo docufilm Foragers , girato sulle alture del Golan, in Galilea ea Gerusalemme, che, attraverso l’utilizzo della finzione, del documentario e di filmati d’archivio, mostra scene di inseguimenti tra i raccoglitori e le pattuglie israeliane, momenti di difesa nelle aule del tribunale e momenti in cucina. Un caso a parte e molto controverso è rappresentato dai datteri, quelli che noi mangiamo a Natale: accade che i datteri coltivati dai contadini di Jenin, di antica produzione autoctona, a causa della sottrazione delle terre, rischiando di sparire dal patrimonio della biodiversità del pianeta, tant’è che è nata un’impresa sociale, Al Reef, che dal 1993 supporta i piccoli produttori della Cisgiordania costretti ad affrontare le limitazioni delle autorità israeliane e le violenze dei coloni. In Italia, sulle nostre tavole, essi vengono sostituiti dai più famosi datteri della Valle del Giordano; quest’ultima è una varietà introdotta successivamente nel deserto del Negev e nei kibbutz israeliani, cooperative agricole sostenute dal governo israeliano e operanti prevalentemente in territori occupati, cioè aree dove il colonialismo di insediamento israeliano e il controllo militare causano l’espropriazione di terra palestinese, la demolizione delle case e, sempre più spesso, uccisioni indiscriminate. I datteri israeliani sono venduti in Italia attraverso la rete Naturasì che, proprio a causa di critiche provenienti da alcuni consumatori che chiedevano di boicottare tali produzioni, ha ritenuto doveroso pubblicare un chiarimento che riportiamo in calce. Infine, va fatto un breve accenno alla notizia che sta girando molto sul web circa l’intreccio esistente tra il nostro pomodoro “pachino” e l’agroindustria israeliana: tale ortaggio, che la stragrande maggioranza delle persone pensa sia un prodotto tipico di Pachino, Portopalo di Capo Passero, Noto e Ispica, in provincia di Siracusa, viene invece prodotto grazie a semi di proprietà della multinazionale Hazera Genetics, che ha sede centrale nei Paesi Bassi e in Israele, con filiali in 11 paesi, oltre a una rete di distribuzione che serve oltre 130 mercati. Tutto è iniziato nel 1989, quando l’azienda sementiera ha selezionato questa varietà e ha iniziato a fare affari con i contadini siciliani e il consorzio IGP. Sì, si tratta proprio di affari, poiché i frutti ottenuti non sono in grado di riprodurre il seme che, quindi, deve essere sempre riacquistato. Non possiamo affermare, in questo caso, che vi sia un diretto coinvolgimento della multinazionale nelle azioni criminali agite dal governo israeliano. Certo è che il rischio che vi siano complicità in atto andrebbe considerato e verificato per tutte le aziende che hanno sede o investimenti in Israele. In definitiva, se siamo ciò che mangiamo, l’attenzione al cibo deve essere centrale nella lotta alle violazioni documentate che il popolo palestinese subisce costantemente dalla fine dell’Ottocento. La vera origine del pachino – L’Indipendente NenaNews alreeffairtrade.ps RaiNews YouTube Fondazione Slow Food NaturaSì Hazera Genetics Nives Monda
Netanyahu ordina all’esercito israeliano di conquistare tutta Gaza
di Qassam Muaddi   Mondoweiss, 4 Agosto 2025    I media israeliani riportano che Benjamin Netanyahu ha ordinato all’esercito di espandere la sua offensiva a Gaza e di rioccupare l’intera Striscia Esercito israeliano di stanza al confine di Gaza, 10 marzo 2024. (Foto: © Abir Sultan/EFE via ZUMA Press/APA Images) Il gabinetto di guerra israeliano si è riunito lunedì per decidere la prossima fase della guerra di Israele contro Gaza. Secondo quanto riferito, l’incontro doveva scegliere tra la fine della guerra a favore dei colloqui per il cessate il fuoco o l’espansione per rioccupare l’intera Striscia. Secondo le prime notizie non confermate, il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha informato “giornalisti amici” di aver ordinato all’esercito israeliano di “conquistare Gaza” di fronte all’opposizione del capo di stato maggiore dell’esercito, Eyal Zamir. Secondo quanto riferito, l’ufficio di Netanyahu ha detto a N12: “La decisione è stata presa: Israele conquisterà la Striscia di Gaza”. Il cessate il fuoco è stato sostenuto da ufficiali dell’esercito israeliano, mentre la decisione di rioccupare Gaza è favorita dai ministri della linea dura come il Ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir e il Ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, che sono alleati chiave nella coalizione di estrema destra del primo ministro Netanyahu, e sono accreditati di aver svolto un ruolo influente nel sostenere l’assalto israeliano in corso. Secondo la radio dell’esercito israeliano lunedì, Zamir aveva chiesto “chiarezza” al governo israeliano riguardo al futuro dello sforzo bellico, secondo quanto riferito, scoraggiando la rioccupazione di Gaza, credendo che avrebbe “prosciugato” l’esercito israeliano. Mentre l’operazione “Carri di Gedeone” si conclude, i negoziati per il cessate il fuoco sono incentrati sulla carestia Il messaggio di Zamir al gabinetto è arrivato nel bel mezzo dell’annuncio di Israele, la scorsa settimana, della fine della sua ultima offensiva militare a Gaza, soprannominata Operazione “Carri di Gedeone”, mentre uno dei membri del gabinetto israeliano, Zeev Elkin, ha minacciato di “annettere parti di Gaza” come “strumento di pressione” contro Hamas nei negoziati per il cessate il fuoco. Il messaggio è stato emesso anche in seguito alla visita dell’inviato degli Stati Uniti per il Medio Oriente Steve Witkoff in Israele e Gaza la scorsa settimana. Venerdì, Witkoff ha incontrato le famiglie dei prigionieri israeliani a Tel Aviv, dove ha riaffermato gli sforzi degli Stati Uniti per raggiungere un accordo di cessate il fuoco, senza fornire alcun dettaglio sul progresso dei colloqui. Witkoff ha detto che Hamas stava considerando di rinunciare alle sue armi, mentre il gruppo di resistenza ha risposto in una dichiarazione dicendo che avrebbe deposto le armi solo dopo la creazione di uno Stato Palestinese indipendente. Prima di andare a Tel Aviv, Witkoff ha trascorso cinque ore in uno dei centri della controversa Gaza Humanitarian Foundation (GHF), sostenuta dagli Stati Uniti e da Israele. Dopo la sua visita a uno dei siti del GHF, ha detto che ci sono difficoltà e penuria, ma “nessuna fame” a Gaza. Lunedì, un gruppo di 17 organizzazioni internazionali per i diritti umani ha risposto alle affermazioni di Witkoff in una dichiarazione congiunta, affermando che l’inviato degli Stati Uniti aveva “totalmente ignorato i fatti sul terreno”, che “le prove non possono essere cancellate con delle semplici dichiarazioni” e che “la fame a Gaza è reale e ha già causato la morte di 159 persone, tra cui 90 bambini, che è un numero documentato che riflette la dimensione di un crimine ingiustificabile e innegabile”. La scorsa settimana, Israele ha presentato le sue obiezioni alla risposta di Hamas all’ultima proposta di cessate il fuoco di Witkoff. Le obiezioni di Israele includevano gli emendamenti di Hamas alle mappe del ritiro militare israeliano, in particolare insistendo sul mantenimento della presenza militare israeliana nel Corridoio Philadelphi – l’area militarizzata a cavallo del confine israelo-palestinese – e sul principio dello scambio dei corpi dei prigionieri israeliani uccisi con prigionieri palestinesi vivi. Tuttavia, gli Stati Uniti non hanno presentato una nuova versione della proposta di cessate il fuoco. Durante la visita di Witkoff, l’ala armata di Hamas ha diffuso il video di un prigioniero israeliano emaciato che soffre di fame e grave malnutrizione, che ha detto nel video di non aver mangiato per diversi giorni. Il video ha scatenato le proteste delle famiglie dei prigionieri israeliani e ha spinto Netanyahu a commentare il video in una dichiarazione televisiva, dicendo che Hamas stava “cercando di spezzarci”. Domenica, il gabinetto di Netanyahu ha dichiarato di aver chiesto al Comitato Internazionale della Croce Rossa di garantire l’ingresso di cibo ai prigionieri israeliani. Hamas ha risposto dicendo che avrebbe “cooperato positivamente” con la Croce Rossa a condizione che fosse istituito un corridoio umanitario permanente per Gaza e che gli aerei militari israeliani cessassero di sorvolare la Striscia durante l’ingresso degli aiuti. Lo stesso giorno, Hamas ha dichiarato che sarebbe stata “pronta a impegnarsi di nuovo nei colloqui quando la fame finirà”, sottintendendo che la fine della fame è la nuova condizione del movimento di resistenza per il ritorno ai colloqui. https://mondoweiss.net/2025/08/israeli-army-issues-ultimatum-to-netanyahu-to-decide-between-occupying-gaza-and-reaching-a-ceasefire-deal/?ml_recipient=161902723211462421&ml_link=161902698140009907&utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_term=2025-08-05&utm_campaign=Catch-up Traduzione a cura di AssoPacePalestina Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.
Francesca Albanese: “le aziende traggono grandi profitti dall’occupazione di Israele dei territori palestinesi”
Francesca Albanese,  relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati illustrerà nel corso di una conferenza stampa a Ginevra domani giovedì un nuovo rapporto, reso pubblico il 15 giugno,  che mappa le aziende che aiutano Israele nello sfollamento dei palestinesi e nella sua guerra genocida contro Gaza, in violazione del diritto internazionale. Il rapporto nomina 48 attori aziendali, tra cui i giganti della tecnologia statunitense Microsoft, Alphabet Inc.  e Amazon. Nell’ambito dell’indagine è stato anche creato un database di oltre 1000 realtà aziendali. “L’occupazione permanente è diventata il banco di prova ideale per i produttori di armi e le grandi aziende tecnologiche, con un’offerta e una domanda significative, poca supervisione e nessuna responsabilità, mentre investitori e istituzioni pubbliche e private ne traggono grandi profitti”, si legge nel rapporto. “Le aziende non sono più semplicemente implicate nell’occupazione: potrebbero essere coinvolte in un’economia di genocidio”, ha affermato in una recente intervista a Al Jazeera, riferendosi al continuo attacco israeliano alla Striscia di Gaza. Pressenza IPA