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I solidi rapporti economici tra imprenditori marchigiani e Israele
Le relazioni sul ‘filo dell’economia del genocidio’ delle aziende regionali con Israele. Dall’entrata in vigore del cessate il fuoco a Gaza, dall’11 ottobre al 2 novembre, 238 palestinesi sono stati uccisi e 600 feriti, mentre 510 corpi sono stati recuperati da sotto le macerie. Israele continua i suoi attacchi deliberati avanzando ragioni di sicurezza e di anti-terrorismo. Il prossimo 28 novembre, giorno dello sciopero generale proclamato da USB “Contro la Finanziaria di Guerra”, il coordinamento “Marche per la Palestina” chiama i marchigiani a manifestare dalle 5.30 del mattino davanti ai cancelli della Civitanavi Systems di Porto S. Elpidio. Questo invito al presidio prima dell’alba ci riporta al rapporto tra questa regione di poco meno di un milione e mezzo di abitanti, definita a livello elettorale l’Ohio d’Italia, e quella che Francesca Albanese, nel suo report, ha definito come “economia del genocidio”. Su Pressenza nel maggio scorso, Stefano Bertoldi, con uno scoop nazionale, ha raccontato la notizia dei militari israeliani dell’Idf in vacanza nelle Marche, scortati dalla Digos e sotto copertura. Un fatto non sporadico, ma ricorrente nel tempo, che avviene grazie anche a rapporti con l’economia locale (le strutture ricettive e le agenzie di viaggio locali che organizzano e accolgono questi ospiti ‘speciali’). Più in generale, comunque, i rapporti economici dell’imprenditoria delle Marche con Israele sono radicati e consolidati da anni. La regione Marche ha esportato nel 2024 beni per un valore di € 14,1 miliardi di euro. Prendendo in esame i dati fornitici dalla Camera di Commercio delle Marche, il fatturato delle imprese regionali relativo all’export in Israele è stato di 64.994.701 milioni nel 2023 (Ancona la provincia con il dato più elevato) e di 51.594.731 milioni nel 2024 (prima la provincia di Macerata); il dato 2025 relativo al solo primo semestre è di 31,34 milioni. Le attività imprenditoriali, scorrendo i codici Ateco, spaziano su tutti i settori: agroalimentare, manifatturiero tradizionale, abbigliamento, metallurgia, fino all’elettronica di precisione e al sanitario. Sono diverse le grandi aziende marchigiane che hanno relazioni industriali in Israele. Vediamo solo le più importanti. Il gruppo Cucine Lube, a Treia, nel maceratese, già nel settembre 2011 ha inaugurato quattro nuovi monomarca LUBE in Israele: a Karmiel, a Ashdod, a Eilat e Nazareth, per arrivare ad avere nel 2013 quindici negozi dislocati nelle maggiori città. Scavolini, “la cucina più amata dagli italiani”, gruppo pesarese, è presente con un negozio ufficiale, lo “Scavolini Store Saknin”, a circa un’ora da Haifa. Corposo è il rapporto della Ariston Group di Fabriano: dopo l’acquisizione nel 2017 dell’israeliana Atmor, specializzata nella produzione di scaldaacqua elettrici istantanei, a fine 2021 la storica impresa della Famiglia Merloni ha acquisito il 100% delle azioni dell’israeliana Chromagen, possedute dal Kibbutz Shaar Haamakim nel nord del Paese; un’azienda che produce e commercializza soluzioni rinnovabili per il riscaldamento dell’acqua, con un’esperienza distintiva nella tecnologia solare termica. Nella regione del più noto distretto calzaturiero d’Italia, è la Loriblu di Porto S. Elpidio, marchio di lusso, a esportare in Israele, ma anche la mitica Poltrona Frau di Tolentino ha uno store nell’area metropolitana di Tel Aviv, il Tollman’Israel Ldt. Nella farmaceutica troviamo la multinazionale Angelini Industries, fondata ad Ancona nel 1919, presente tutt’oggi nel capoluogo dorico, che tramite la divisione Angelini Ventures dal 2022 investe anche in Israele con particolare attenzione alla salute del cervello e a segmenti di mercato rivolti a donne, bambini e terza età. Particolarissimo è il caso della Tecnografting di Osimo, che dal 2000 opera nel settore vivaistico (produce clip monouso in termoplastica e silicone medicale per l’innesto di piante): nel 2022 è stata acquisita dall’israeliana Paskal Group, leader mondiale nel settore dell’orticoltura protetta, con sede nel territorio di Haifa. Se le inquadrassimo alla stregua di un’azienda, e per dimensione di fatturato lo sono, allora relazioni con Israele le hanno anche le università marchigiane. Quella di Macerata, che a settembre 2025, nonostante l’occupazione studentesca in primavera, manteneva ancora rapporti con università israeliane; quella di Ancona, la Politecnica delle Marche, che a seguito delle proteste studentesche, dal 1 luglio scorso con voto del Senato Accademico ha sospeso gli accordi quadro con le istituzioni israeliane. In controtendenza le Università di Urbino e Camerino, in cui i vertici accademici si sono schierati apertamente contro il genocidio. Poi ci sono le aziende marchigiane che a tutti gli effetti sono riconducibili per le loro produzioni all’”economia del genocidio”, oggetto di denunce e manifestazioni degli attivisti di Marche per la Palestina e della Rete dei Centri Sociali. Civitanavy Systems, sulla costa fermana di Porto S. Elpidio, dal 2024 è stata acquisita dal gruppo Honeywell, multinazionale statunitense, che ha forti legami industriali con Israele e grandi clienti nel settore aerospaziale e militare. Componenti Honeywell sono stati trovati in armamenti impiegati nei bombardamenti su Gaza. Civitanavy Sistem è specializzata nella progettazione e produzione di sistemi di navigazione inerziale, geo-riferimento e stabilizzazione, basati su tecnologie proprietarie FOG (Fiber Optic Gyroscope) e MEMS, adatte a settori aerospaziale, difesa e industriale. I suoi prodotti, in particolare gli IMU (Inertial Measurement Unit), sono definiti “dual-use”, perché utilizzabili sia per applicazioni civili che militari. Poi, nel sud della regione, nel Piceno, a San Benedetto del Tronto e Centobuchi, con due stabilimenti, dal 1977 c’è la Gem Elettronica, che produce apparati radar e sistemi integrati di bordo, nonché sensori inerziali, girobussole a fibra ottica e software dedicati alla navigazione, al controllo costiero, portuale e aeroportuale oltre ad essere attiva anche nel settore della difesa. Dal 2023, il 65% dell’azienda marchigiana è stato acquisita dalla Leonardo s.p.a. Anche se non ci sono informazioni pubbliche di rapporti diretti con Israele, sappiamo benissimo qual è il coinvolgimento della Leonardo s.p.a. nel genocidio, come ha documentato proprio Gianni Alioti su Pressenza. Le aziende marchigiane, così come quelle italiane, a due anni dall’inizio del genocidio non hanno mai smesso di fare affari in Israele. Perché, va ricordato, che a differenza dall’invasione russa dell’Ucraina, né l’UE, né il governo Meloni hanno imposto sanzioni per bloccare l’export nazionale verso Israele.   Leonardo Animali
Il report di Francesca Albanese e le alleanze scientifico-accademiche complici del genocidio a Gaza
La lista di connessioni illustrata nel report, “Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio” da Francesca Albanese, relatrice speciale ONU per i diritti umani nei territori occupati da Israele, pubblicato con questo titolo per PaperFIRST-Fatto Quotidiano, è a dir poco sconcertante. C’è un legame strettissimo tra mondo imprenditoriale “occidentale” e dunque anche italiano, mondo accademico e centri di ricerca o agenzie europee, come APRE che gestisce, con sede in Italia, il programma europeo Horizon cui dal 2021 aderisce anche Israele e le analoghe istituzioni ed enti israeliani: questo si trascina fin dal ’48, nonostante le proteste crescenti a partire già dalle prime intifade e prosegue tuttora nonostante un genocidio trasmesso in mondovisione. Solo un anno prima della tragedia si svolgeva in Italia l'”Israel and Italy Cooperation in Horizon Framework Programme”, promosso dall’Ambasciata d’Israele in Italia, l’Ambasciata d’Italia in Israele, l’Agenzia per la promozione della Ricerca Europea, appunto l’APRE e l’Israel-Europe R&I Directorate (ISERD).Tra gli ambiti che balzano agli occhi nell’ambito di questo accordo scientifico-accademico uno è quello dell’agrifood, uno di quelli sui cui si è basato il colonialismo di insediamento, con furti di terra e bestiame e soprattutto con una gestione dissennata e padronale di un bene essenziale come l’acqua. Anche il termine stesso “genocidio”, sul quale la senatrice Segre ha di fatto riaffermato recentemente una sorta di “copyright” della comunità ebraica internazionale, è stato evitato da buona parte del Parlamento italiano, anche tra le forze di opposizione, a cominciare da un’esperta della materia come Laura Boldrini, il cui cambiamento a 180 gradi, in termini lessicali, è avvenuto solo dopo quasi due anni dal 7 ottobre, in un’intervista incalzante durante la quale il termine veniva tirato in ballo ma condizionato ad una futuribile decisione terminologica giurisprudenziale della Corte di giustizia internazionale (https://www.radiondadurto.org/2025/05/13/palestina-solidarieta-senza-frontiere-delegazione-italiana-in-partenza-per-il-valico-di-rafah-e-la-striscia-di-gaza/). Francesca Albanese, che invece non ha mai avuto dubbi sul termine genocidio sul piano giuridico, ci racconta di una forma di dominio da parte di imprese private, appoggiate dai rispettivi governi pubblici che in passato, in altre situazioni geopolitiche fu definita come “capitalismo razziale coloniale” ma che oggi ben si ritaglia anche al regime sionista. Nel caso di Israele, l’autrice usa un termine ampio per indicare le imprese coinvolte in queste connivenze complici del genocidio in corso: viene adottata la definizione di “entità aziendali” ricomprendendo in esso “imprese commerciali multinazionali, entità a scopo di lucro e senza scopo di lucro sia private che pubbliche o di proprietà dello Stato, in cui la responsabilità aziendale si applica indipendentemente dalle dimensioni, dal settore dal contesto operativo dalla proprietà e dalla struttura dell’entità”. Dato per assodato che tutta la parte iniziale del rapporto può essere sintetizzato da un’affermazione che non dovrebbe lasciarci dormire la notte, in quanto complici indiretti – ovverosia che grazie a queste complicità “tutti ci guadagnano” – è però altrettanto cruciale analizzare il settore universitario della ricerca e accademico. In questo ambito, le nostre “entità aziendali” sono chiamate in causa pesantemente per le sue strette connessioni con quello israeliano, il quale, in modo ancora più stretto di quello nostro, è scandalosamente legato da sempre all’apparato bellico-industriale. Un Paese impostosi per quasi 80 anni con la violenza e con un sistema di apartheid che si è perfezionato lungo una storia costellata di deportazioni di massa, repressione, incarcerazioni e detenzioni amministrative di migliaia di palestinesi, non poteva non avere un apparato educativo, accademico e scientifico assoldato da quello bellico. Quest’ultimo, forte di una propaganda che parte dai libri di scuola, basata sulla narrazione di una democrazia assediata fin dal suo nascere da dittature sanguinarie arabe e la disumanizzazione della popolazione araba, ha trasformato la società in una caserma fatta di riservisti e reclute impegnate per tre anni nel servizio di leva obbligatorio e “refresh” annuali (vd. La Palestina nei testi scolastici di Israele – Ideologia e propaganda nell’istruzione di Nurit Peled-Elhanan). Nella 59a sessione del Consiglio per i diritti umani dell’ONU – tenutasi tra il 16 giugno e l’11 luglio 2025 – Francesca Albanese inserisce l’ambito accademico, “facilitatore” del genocidio, accanto al sistema finanziario, dove non sfuggono nemmeno alcuni enti caritatevoli di ispirazione cristiana come i Christian Friends of israeli-communities o i Dutch Christians for Israel, impegnati a sostenere progetti per le colonie illegali, alcuni dei quali di addestramento di coloni estremisti. In cima alla lista figurano le scuole di legge israeliane e dipartimenti di archeologia e di studi mediorientali. Il loro lavoro in molti casi è finalizzato a costruire l’impalcatura ideologica giustificatoria del colonialismo di insediamento, che a sua volta può appoggiare le proprie fondamenta su una presunta pre-esistenza millenaria delle popolazioni di religione ebraica in quei territori, minimizzando quella araba. Ma la collaborazione in campo archeologico, in questo caso tra università italiane e israeliane, spazia anche sul fronte delle radici cristiane (vd. Archeologi a Gerusalemme: uno scavo di pace in tempo di guerra https://www.iodonna.it/attualita/costume-e-societa/2025/04/12/uno-scavo-di-pace-in-tempo-di-guerra/) presenti in Palestina, che proseguono senza soluzione di continuità addirittura anche dopo il 7 ottobre. Ciò conferma sul piano ideologico quell’alleanza costruita nel corso dell’ultimo secolo, sulla base di indubbie radici comuni giudaico-cristiane a tutto svantaggio, appunto, di un’altrettanto millenaria presenza araba, portata avanti congiuntamente fin dalla metà dell’ 800. Come da anni tenta di spiegare, sotto il fuoco incrociato dell’accademia israeliana e del movimento sionista internazionale, lo storico ebreo israeliano Ilan Pappé, che individua storicamente tale alleanza proprio nel comune interesse sionista e protestante-anglicano all’emigrazione ebrea di varie nazionalità verso la terra di Palestina: il motto giustificatorio era appunto “un popolo senza terra per una terra senza popolo”.     Stefano Bertoldi
La coda del serpente. Giornalisti e attivisti italiani sotto tiro dei sionisti
Alcuni giorni fa, sui canali sionisti social, Telegram e Facebook, “Free4Future” e “Israele Senza Filtri”, è apparsa una invettiva violenta, falsa e diffamatoria che mette nel bersaglio con nome e cognome e foto, 2 giornalisti, 2 attivisti e il presidente della Regione Emilia-Romagna. Il post dal titolo “Intifada contro la […] L'articolo La coda del serpente. Giornalisti e attivisti italiani sotto tiro dei sionisti su Contropiano.
Francesca Albanese: “le aziende traggono grandi profitti dall’occupazione di Israele dei territori palestinesi”
Francesca Albanese,  relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati illustrerà nel corso di una conferenza stampa a Ginevra domani giovedì un nuovo rapporto, reso pubblico il 15 giugno,  che mappa le aziende che aiutano Israele nello sfollamento dei palestinesi e nella sua guerra genocida contro Gaza, in violazione del diritto internazionale. Il rapporto nomina 48 attori aziendali, tra cui i giganti della tecnologia statunitense Microsoft, Alphabet Inc.  e Amazon. Nell’ambito dell’indagine è stato anche creato un database di oltre 1000 realtà aziendali. “L’occupazione permanente è diventata il banco di prova ideale per i produttori di armi e le grandi aziende tecnologiche, con un’offerta e una domanda significative, poca supervisione e nessuna responsabilità, mentre investitori e istituzioni pubbliche e private ne traggono grandi profitti”, si legge nel rapporto. “Le aziende non sono più semplicemente implicate nell’occupazione: potrebbero essere coinvolte in un’economia di genocidio”, ha affermato in una recente intervista a Al Jazeera, riferendosi al continuo attacco israeliano alla Striscia di Gaza. Pressenza IPA