Controllo e censura nelle scuole italiane: segnali evidenti di fascismo eterno
I segnali, abbastanza diffusi e premonitori, erano evidenti già prima, così come
i segnali di un fascismo latente erano già manifesti prima nel 1922 nel
suprematismo bianco, nel colonialismo muscolare, nel meccanismo repressivo delle
opposizioni, nel razzismo biologico. Tuttavia, quei segnali divennero con il
passare del tempo sempre più chiari e inconfutabili, ma anche condivisi dalla
popolazione intera, intortata ad arte dall’apparato informativo di sistema e da
quello scolastico, che lasciavano sempre meno spazio al pensiero critico e
divergente.
Analogamente, al giorno d’oggi diventa palese e incontrovertibile il diffuso
processo di controllo dell’operato e dell’universo simbolico che si costruisce
nelle scuole pubbliche, nonostante questo sia stato messo opportunamente al
riparo dalla nostra Costituzione mediante il principio ella libertà educativa e
del pluralismo culturale, che non richiedono di prestare giuramenti nei
confronti di una qualche ideologia totalitaria, tirannica e antidemocratica.
Questa premessa potrebbe essere anche sufficiente per trasmettere, da docenti ed
educatori, la nostra preoccupazione relativamente al clima che da qualche tempo
si vive nelle scuole, un clima che provammo a documentare in uno dei momenti più
cupi della nostra storia, cioè durante le prove tecniche di regime, ma allora
c’era la pandemia e l’emergenza sanitaria imponeva di mettere davanti a tutto,
anche davanti alla libertà soggettiva di trattamento sanitario, l’interesse
collettivo e così con lo slogan di “sorvegliare e pulire” obbedimmo, ci
vaccinammo e tornammo a scuola come soldatini, “armati” di disinfettanti, a
sanzionare comportamenti che violassero la regola del distanziamento sociale,
umano e fisico.
Ma la nostra preoccupazione si è acuita qualche tempo fa, quando un editore poco
coraggioso, il bolognese Zanichelli, non ha avuto nulla da eccepire davanti alle
intimidazioni del Governo, che ha segnalato l’anomalia in un suo manuale e lui
prontamente è ricorso alla sostituzione, al macero, alla rimozione della pagina
incriminata. Noi lo abbiamo segnalato su ROARS e poche altre testate hanno avuto
l’avventatezza di rilanciare la denuncia.
E, tuttavia, questa pratica di intervenire negli affari della scuola mediante
circolari commemorative su ricorrenze imbarazzanti, come quelle sulla
celebrazione del 4 novembre, con correzioni revisionistiche, come quelle sulle
Foibe, intimidazioni diffuse e sanzioni ad personam, come nel caso di Christian
Raimo, sta diventando una pratica abituale. E, allora, come dice Luciano
Canfora, in questi casi «è legittimo allarmarsi quando si osservano repliche di
quei comportamenti: intimidire l’opposizione con accuse inverosimili, intimidire
singoli oppositori con raffiche di querele, metter sotto accusa o delegittimare
gli organi di controllo, demonizzare i governi precedenti ventilando
“commissioni d’inchiesta” a getto continuo, monopolizzare l’informazione
(pronta, per parte sua, all’autocensura), progettare di stravolgere
l’ordinamento costituzionale. È un sistema di controllo che potrebbe definirsi
“reazionarismo capillare di massa”, facente perno su ceti medi impoveriti,
antipolitici e vagamente xenofobi».
Certo, ciò che intendiamo segnalare è che questa volta, a differenza del
bolognese Zanichelli, il barese Alessandro Laterza, erede di una storica
tradizione antifascista che risale nientedimeno che alla collaborazione con
Benedetto Croce, non si è lasciato intimidire e ha sostenuto il lavoro dei suoi
autori e delle sue autrici Caterina Ciccopiedi, Valentina Colombi, Carlo Greppi
e Marco Meotto, storiche di professione, ricercatrici e docenti, dichiarando
«Senza ricamarci troppo: siamo nell’anticamera della censura e della violazione
di non so quanti articoli della Costituzione».
Ora, se nel caso del manuale di Zanichelli ad essere contestato dal Governo era
un passaggio in cui l’ONG Human Rights Watch riferiva di una maggiore
disposizione all’accoglienza nell’impianto legislativo del Governo Conte
rispetto a quello precedente sotto il dicastero di Matteo Salvini, in
quest’ultimo caso è abbastanza curioso il motivo del contendere con intento
intimidatorio. Ciò che si contesta, infatti, da parte della deputata di Fratelli
d’Italia Augusta Montaruli nel volume di storia per il V anno dei Licei, Trame
del tempo, è l’attribuzione di una sorta di continuità tra il fascismo e il
partito al governo, la cui direzione è affidata a Giorgia Meloni, cioè lo stesso
partito al quale la deputata Montaruli, che chiede ispezioni e accertamenti
presso l’Associazione Italiana Editori, appartiene.
Insomma, ha davvero del ridicolo questa evidenza autoaccusatoria, se non fosse
tragica dal momento che il soggetto dal quale promana è chiaramente incapace di
comprendere l’autogol commesso. Basterebbe pensarci un attimo per mettere a nudo
il cortocircuito logico e politico in cui si è cacciata l’onorevole. Se,
infatti, l’arguta parlamentare si fosse limitata a denunciare l’estraneità del
partito guidato da Giorgia Meloni da retaggi fascisti, circostanza ovviamente
improbabile giacché viene sbandierata dalla stessa Presidente del Consiglio dei
ministri, avrebbe semplicemente smentito gli autori e si sarebbe automaticamente
collocata lungo una linea difensiva autoassolutoria conforme allo scopo della
denuncia a mezzo stampa. E, invece, al contrario, cosa fa l’onorevole Montaruli?
Si spertica nell’intimidire in maniera fascistoide degli storici, i quali hanno
avuto l’ardire di rilevare il retaggio fascista di soggetti politici che, del
resto, rimangono incapaci di dichiararsi antifascisti. Insomma, se intimidisci
degli storici per ciò che scrivono; se richiedi che il loro lavoro venga
ispezionato, non si sa a quale titolo, dall’Associazione Nazionale Editori; se
chiedi che venga svolta una interrogazione parlamentare sul loro operato, è
chiaro che si tratta di un atteggiamento fascistoide, rispondente ad alcune di
quelle caratteristiche di cui ci parlava Umberto Eco, nel suo Il fascismo
eterno, in particolare quando il semiologo tra i punti fondamentali
dell’Ur-fascismo citava l’avversione nei confronti di qualsiasi critica e la
paura della differenza.
Ecco, tutti questi segnali andrebbero pur sempre collocati, non dimentichiamolo,
all’interno del quadro tracciato dalle nuove Indicazioni Nazionali per il
curricolo della Scuola dell’infanzia e Scuole del Primo ciclo di istruzione,
proprio quelle in cui la storia subiva un forte arretramento interpretativo di
marca chiaramente colonialistica, circostanza, del resto, ampiamente criticata
dagli storici e, in particolare, dalla Società Italiana di Didattica della
Storia. Non a caso, proprio su questo tema, in un Convegno CESP a Palermo dal
titolo Edward W. Said, la cultura dell’anti-colonialismo e la sua presenza nella
scuola italiana avevamo provato ad indagare tra la manualistica in dotazione
nelle scuole superiori quale fosse quella più incline ad un approccio inclusivo
e meno occidentalista e il risultato era assolutamente favorevole a Caterina
Ciccopiedi, Valentina Colombi, Carlo Greppi, Marco Meotto, Trame del tempo,
Laterza, Roma-Bari, seguito da Andrea Giardina, Giovanni Sabbatucci, Vittorio
Vidotto, I mondi della storia, Laterza, Roma-Bari e da pochi altri.
Che i tempi siano quantomeno tenebrosi è, dunque, piuttosto chiaro. Se poi a
tutto ciò ci aggiungiamo il culto della morte e l’ideologia della guerra, che
comporta la lotta contro il pacifismo, giacché «Il pacifismo è allora collusione
con il nemico, il pacifismo è cattivo perché la vita è una guerra permanente»
con conseguente militarizzazione delle scuole, allora non si capisce davvero di
cosa debba dolersene l’onorevole Montaruli per questa conclamata continuità
storica e politica del Governo Meloni, il più a destra della storia italiana
repubblicana, con l’Ur-fascismo.
Eppure, proprio dalla storia passata noi docenti ed educatori qualcosa l’abbiamo
imparata, cioè abbiamo compreso il ruolo determinante dei professionisti della
formazione nel costruire coscienze critiche non solo mediante discorsi e
argomentazioni, ma anche attraverso azioni concrete, come il boicottaggio, ad
esempio, vale a dire la scelta consapevole di un manuale più indipendente
piuttosto che un altro più disposto ad obbedire e prono a sostituire, a
censurare, a cassare dietro indicazione del Ministero. Insomma, a fronte di
storici, storiche ed editori coraggiosi occorrerebbe altrettanto coraggio da
parte della classe docente, per non rischiare di finire come le rane bollite.
Michele Lucivero