Honduras: testa a testa tra i candidati dell’oligarchia
Dopo una giornata trascorsa in modo del tutto pacifico, i primi risultati
diffusi dall’organo elettorale (Cne) attraverso il sistema di trasmissione di
risultati preliminari (Trep) hanno completamente stravolto il panorama, con un
impatto devastante sulle aspettative di chi puntava sulla continuità del
progetto di “rifondazione” del Paese, promosso dal partito Libertà e
Rifondazione (Libre) e dalla sua candidata Rixi Moncada.
Sebbene Libre abbia da tempo annunciato che avrebbe riconosciuto solamente il
risultato dello scrutinio finale della totalità dei verbali elettorali – cosa
riaffermata nella nottata di ieri dalla stessa Moncada – la distanza di oltre 20
punti dai due candidati del bipartitismo affossa qualsiasi speranza.
La diffidenza verso il conteggio preliminare deriva da una serie di audio in cui
membri del Partito Nazionale, tra cui una consigliera del Cne, discutevano su un
piano per hackerare la trasmissione stessa dei dati, creando una narrativa per
proiettare uno dei candidati della destra come sicuro vincitore. La manovra
sarebbe servita a destabilizzare l’intero processo elettorale e obbligare a
indire nuove elezioni.
L’appuntamento elettorale in Honduras si risolve quindi con un testa a testa tra
i candidati della destra tradizionale Nasry Asfura e Salvador Nasralla, che
incarnano il progetto neoliberista estrattivista e che rappresentano gli
interessi dell’oligarchia nazionale, del capitale multinazionali e, ovviamente,
degli Stati Uniti.
Anche a livello di Parlamento, le proiezioni danno un emiciclo a netto
appannaggio del bipartitismo, con Libre che si dovrebbe accontentare di una
trentina di deputati su un totale di 128.
Il margine risicato con una differenza inaspettata a favore di Asfura di soli
500 voti, l’enorme divario tra la candidata di Libre e i suoi avversari e la
caduta del sistema di conteggio per quasi una giornata, gettano ulteriori ombre
sull’intero processo.
Mentre Asfura e Nasralla si scambiano reciproche accuse e garantiscono, in base
alle copie dei verbali in possesso dei loro partiti, di essere i vincitori, la
candidata di Libre mostra pubblicamente il conteggio di un paio di migliaia di
seggi in cui non si sarebbero usate le misure di sicurezza biometriche.
“Nella maggior parte di questi seggi vincono i due partiti d’opposizione, i
risultati sono gonfiati ed appaiono nel conteggio del Trep. Faremo ricorso nelle
apposite sedi. Come avevano detto stanno cercando di ingannarci, ma la nostra
lotta non è finita e io non mi arrendo”, ha detto Moncada.
Si prospetta un lungo ed estenuante tira e molla per decretare il vincitore di
queste elezioni. Il Cne ha tempo fino al 30 dicembre per farlo.
Uno dei simboli del disincanto di una popolazione che solo quattro anni fa aveva
portato in trionfo Xiomara Castro, castigando il partito dell’ex presidente e
reo per crimini legati al narcotraffico, Juan Orlando Hernández, è la bassa
affluenza alle urne che sarebbe intorno al 50 per cento. Molto lontana da quel
69 per cento del 2021.
Difficile azzardare un’analisi a caldo di una situazione in continua evoluzione.
Proviamo comunque a introdurre una serie di elementi, tanto esogeni come
endogeni.
“Governo e partito sono stati assediati fin dall’inizio da una campagna
mediatica massiccia e distruttiva, che ha inciso pesantemente sull’immaginario
collettivo di una popolazione che voleva liberarsi da una narcodittatura e che
aveva aspettative molto alte, ma anche su una nuova generazione di votanti che
non ha o non vuole avere memoria storica”, spiega l’analista politica Reina
Rivera.
Un altro elemento è costituito dal sostegno sfacciatamente interventista del
presidente Donald Trump ad Asfura, che ha avuto un forte impatto soprattutto
sugli honduregni che vivono negli Stati Uniti, sulle famiglie che sopravvivono
con i trasferimenti in dollari (remesas) o su chi crede innocentemente agli
aiuti economici all’Honduras in caso di vittoria del candidato nazionalista.
“È pericoloso che con un semplice messaggio sui social si possa stravolgere
l’esito di un’elezione. Siamo di fronte a un riposizionamento strategico e
militare degli Stati Uniti nella regione, una nuova avanzata globale, non solo
contro il Venezuela, Colombia o Cuba, ma contro tutti quei governi che non
seguono pedissequamente le direttive di Washington”, aggiunge l’avvocata e
attivista dei diritti umani.
Rivera analizza anche fenomeni interni a Libre e al governo che hanno
contribuito all’esito negativo di queste elezioni.
“Libre ha fatto molto in termini di politica sociale, ma ha sbagliato nella
costruzione di una narrativa che non ha saputo includere anche quei settori
popolari interessati a costruire criticamente insieme.
Si è allontanato da un movimento sociale e popolare che ha contribuito alla sua
nascita come soggetto politico, inglobando nel progetto governativo molte delle
sue figure di maggior spicco e indebolendo così il tessuto sociale di sostegno”,
spiega.
L’analista politica sottolinea anche le difficoltà nel fare conoscere ciò che
con successo si stava facendo, contrastando così la campagna mediatica
denigratoria e di occultamento dei processi di trasformazione in atto.
“Sono state fatte molte cose che hanno anche portato a una significativa
riduzione della povertà, ma non si è quasi mai riusciti a rompere il muro di
silenzio e il boicottaggio mediatico.
Inoltre – continua – ci si è molto concentrati sull’area rurale, dove però
l’investimento in politiche sociali non si trasforma automaticamente in voti,
bensì si scontra con tradizioni politiche familiari e il controllo “caudillesco”
del sindaco di turno. Rompere queste dinamiche non è facile”.
Per Rivera, lo scenario dei prossimi anni si annuncia estremamente complicato.
“Torna l’estrema destra e lo farà senza fare sconti a nessuno e con un forte
sentimento di rivalsa. La svendita della sovranità, la distruzione dei
territori, il saccheggio dei beni comuni, lo Stato di nuovo in balia delle
banche e le forze repressive contro chi difende la terra.
Faranno di tutto – continua – per affossare ciò che di buono è stato fatto in
materia di giustizia sociale. Verranno tempi duri per i diritti delle donne,
della comunità LGBTIQ, per le popolazioni indigene e nere, per le comunità
contadine e la difesa della sovranità alimentare”.
Di fronte a questo scenario, conclude Rivera, non è però il momento di abbassare
le braccia, né di chinare la testa.
“È il momento di tornare alle radici della resistenza, di pensare e sviluppare
un progetto politico-sociale che torni ad unire la politica con la lotta
sociale, con la dignità e il popolo. Nella sconfitta, per favore, non rinunciamo
alla speranza e nemmeno alla memoria”.
Fonte: Pagine Esteri
Giorgio Trucchi