Tag - valutazione di impatto ambientale

Ambiente, salute, sicurezza della popolazione in cambio di bombe e profitti? No grazie
La guerra, con le sue pretese oscene, bussa anche alla porta degli uffici regionali responsabili della protezione del territorio, dell’ambiente, della salute e della sicurezza della popolazione di una Sardegna sempre più coinvolta nel conflitto in corso. L’isola è diventata l’epicentro nel Mediterraneo della preparazione alla guerra degli eserciti NATO, con una crescita impressionante di uomini, mezzi, e ordigni impiegati e delle distruzioni provocate dalle esercitazioni. Anche la RWM, società controllata da Rheinmetall, multinazionale con sede in Germania leader nella produzione di armamenti, bussa agli uffici per la Salvaguardia Ambientale della Regione. Da più di tre anni chiede con insistenza una Valutazione di Impatto Ambientale a cose fatte (una VIA ex-post) per gli impianti che ha realizzato abusivamente a Domusnovas-Iglesias, in aree tutelate e a forte rischio idrogeologico… Tornare allo stato precedente agli abusi è impossibile, eppure l’azienda insiste per avere una Valutazione di Impatto Ambientale positiva, benché postuma, per poter aprire i reparti abusivi e produrre ordigni. È un assurdo giuridico, ma RWM non è nuova a questi atteggiamenti arroganti. Per i dirigenti RWM gli abusi, i falsi, i gravi danni all’ambiente e al territorio, la mancanza di sicurezza dello stabilimento, sono semplici problemi burocratici, da superare al più presto. Sino al 2019 gli ordigni RWM finivano in Arabia Saudita e negli Emirati Arabi, per alimentare l’infame guerra in Yemen (poi il governo Conte ha bloccato i contratti, blocco, revocato a maggio 2023 dal governo Meloni). Oggi l’azienda ritiene di essere più presentabile, infatti produce i micidiali droni killer della serie “Hero”, in accordo con l’azienda israeliana Uvision, oltre che decine di migliaia, di colpi di artiglieria, pagati a peso d’oro dall’UE e destinati ad alimentare i campi di battaglia dell’Ukraina, per “difendere la democrazia”, nel conflitto che oppone il governo di Kiev alla federazione Russa. Bombe RWM – Foto Facebook In realtà sono le esigenze e la logica stessa della guerra che consumano e a corrompono tutto: vite, risorse, ambiente, territorio, salute e sicurezza delle popolazioni, anche di quelle apparentemente lontane dal conflitto, con buona pace della “democrazia”, che si dice di voler difendere. Formalmente non siamo in guerra, non siamo ancora sottoposti alla legge marziale o a legislazioni “speciali”, vale ancora il diritto ordinario, comprese le norme che tutelano il territorio, l’ambiente, la salute e la sicurezza della popolazione, alle quali non intendiamo rinunciare. NON PIEGHIAMOCI ALLE ESIGENZE DELLA GUERRA E DEL PROFITTO DI CHI FABBRICA ARMI NESSUNA AUTORIZZAZIONE A CHI LUCRA SULLA GUERRA E LA PREPARA, DEVASTANDO L’AMBIENTE PRESIDIO DI PROTESTA Venerdì 14 Luglio 2025 ore 10:00 fronte all’Assessorato all’Ambiente – Regione Sardegna, in via Roma 80 – Cagliari Cagliari, 10 luglio 2025 Cagliari Social Forum e Stop RWM Redazione Sardigna
Una colata di cemento su Catania (e dintorni): un milione di metri cubi saranno riversati in mare
«Non si possono creare nuovi posti di aggregazione aperti e belli senza usare il cemento». Sono le parole con cui il presidente dell’Autorità di Sistema Portuale della Sicilia orientale, intervistato da un quotidiano locale, difende le sue scelte dalle critiche che da ogni parte arrivano alla sua proposta di Piano Regolatore Portuale (PRP) di Catania. In effetti, il nuovo PRP che è in attesa dei pareri di legge è un’ode al cemento. Cemento sia a mare che a terra. Più di un milione di metri cubi di cemento e pietrisco di cava saranno riversati in mare per realizzare due nuove darsene: una turistica a nord-est e una commerciale a sud, entrambe producendo gravi danni ambientali. La nuova darsena turistica provocherebbe la cementificazione di un tratto di scogliera lavica datata a 5.400 anni fa con alcune grotte semisommerse, pressoché incontaminata, e la desertificazione di un tratto di mare in cui è stata rilevata la presenza di un habitat a coralligeno in buono stato di salute protetto dalle normative europee. Ma il boccone è appetitoso e i pretendenti sono due: anche una società privata tenta, dal 2003, di ottenere in concessione la stessa parte di demanio per un porto turistico con annesso albergo da 170 camere. Per la stessa darsena turistica l’Autorità portuale prevede un costo di 230 mln € per ospitare 12 mega-yacht, oltre a un albergo. Sembra che questa espansione sia l’unica previsione del PRP che suscita interesse, sia nel pubblico che nel privato. Nella successione per fasi temporali indicata dal PRP la nuova darsena turistica è da realizzare nella prima fase. Insomma, subito. Ma c’è qualcosa che non quadra. La stessa Autorità di sistema portuale che propone il PRP ha da poco affidato in concessione per 25 anni un tratto di banchine portuali di 35.000 metri quadri, che nel PRP è previsto debba essere destinato al diporto nautico, a una società che gestisce un traffico commerciale. Per i prossimi 25 anni la ripartizione delle funzioni portuali prevista dal PRP non è realizzabile. L’Autorità di sistema portuale è la prima a non credere nella sua pianificazione che, evidentemente, serve solo a pianificare ampliamenti e cementificazioni. Ma non c’è solo cemento a mare. Anche il cemento a terra è previsto in quantità da capogiro. Nell’ambito portuale il PRP prevede la possibilità di realizzare nuovi edifici per complessivi 3.700.000 metri cubi con destinazioni varie, fra cui anche gli alberghi. Una quantità di edifici che, se tradotta in termini di volumetrie residenziali, equivale a una cittadina di 37.000 abitanti. Naturalmente, per giustificare le espansioni sconsiderate occorrono consistenti previsioni di crescita dei traffici portuali, sia passeggeri che commerciali. Ma quelle si costruiscono facilmente. Ecco che importanti società di consulenza approntano studi specialistici secondo cui si prevede per l’anno 2040 un traffico passeggeri di quasi tre volte il traffico attuale, e un traffico merci di più del doppio rispetto a quello registrato nel 2023. Mentre invece negli ultimi anni, dal 2017 al 2024, il traffico merci del porto di Catania è diminuito del 15%, rendendo decisamente improbabili le vertiginose previsioni di crescita ipotizzate. Insomma, sembra proprio che prima vengano decise le opere da realizzare e dopo siano valutati i fabbisogni, facendo bene attenzione a gonfiarli nella misura necessaria per giustificare le nuove opere. Proviamo adesso ad allargare lo sguardo anche su altre importanti opere infrastrutturali già avviate o programmate a Catania, cercando di individuare le linee di tendenza più generali. Ferrovia Circumetnea (FCE), una ferrovia storica a binario unico che da fine Ottocento collega la città con tutti i centri abitati ai piedi dell’Etna circumnavigando il vulcano, ha realizzato una metropolitana urbana partendo dall’interramento di una parte del suo percorso di superficie dentro la città. Recentemente ha avviato il prolungamento della linea metropolitana cittadina da Misterbianco, comune limitrofo facente parte della conurbazione catanese, fino a Paternò, con un tracciato di 12 Km di lunghezza che si svolge in buona parte in aperta campagna. Questo tracciato sostituirà, interrandola e raddoppiando il binario, la preesistente linea a binario unico interamente in superficie, già dismessa per poter avviare i lavori, che era percorsa da treni con automotrici diesel capaci di soddisfare la modesta domanda di trasporto tra Paternò e il comune capoluogo (circa 5.000 passeggeri al giorno). Questa tratta di metropolitana avrà un costo di 730 milioni di euro, una capacità di trasporto potenzialmente altissima (circa 200.000 passeggeri al giorno) e una utilità pressoché nulla perché non è prevedibile, da quella direzione, un incremento di domanda tale da giustificare l’investimento. In effetti la stessa FCE programma, su questa tratta, un servizio ferroviario extraurbano a frequenza ridotta con forte sottoutilizzazione delle potenzialità del sistema. Useremo un cannone per sparare a una mosca. Con una spesa di gran lunga inferiore si potrebbe fornire un servizio altamente efficiente ammodernando il tracciato ed eliminando i passaggi a livello. Quindi l’obiettivo dell’operazione non è fornire un servizio di trasporto efficiente: la spesa pubblica è essa stessa l’unico obiettivo che giustifica l’opera. Ancora. Ferrovie dello Stato ha in programma l’interramento della linea ferroviaria nel tratto urbano, compresa la stazione centrale, da piazza Europa alla stazione Bicocca, per una lunghezza di circa 10 Km e un costo preventivato, ma non ancora finanziato, di circa un miliardo di euro, senza neanche prevedere un collegamento diretto e dedicato con l’aerostazione distante solo 700 metri dalla linea ferroviaria. L’interramento della linea comporterà la liberazione di ampie aree in superficie in ambito urbano, di cui si dovrà individuare l’uso più opportuno. Si tratta di aree di grande pregio, situate lungo la costa lavica in pieno centro cittadino. A questo proposito è già stato siglato un accordo tra Comune e Ferrovie dello Stato per collaborare nella individuazione degli usi possibili e delle procedure necessarie. Al protocollo partecipa anche FSSU (Ferrovie dello Stato Sistemi Urbani), una società del gruppo FF.SS. che si occupa della valorizzazione immobiliare delle aree ferroviarie che si liberano in ambito urbano. È facile immaginare gli intenti speculativi che si nascondono dietro la “valorizzazione”. Questa volta l’utilità dell’opera è un corollario di importanza trascurabile a fronte dell’imperativo della valorizzazione. L’ultima parte, verso sud, dell’interramento della linea ferroviaria serve a eliminare un ostacolo (la linea ferroviaria di superficie) che in quel tratto confina con l’area dell’aeroporto e impedisce la realizzazione di una nuova pista aeroportuale più lunga dell’attuale. L’appalto è stato già assegnato per un importo di 370 milioni. L’esigenza che giustifica questa parte di interramento, con la relativa spesa, è soltanto quella della realizzazione di una nuova pista aeroportuale, affiancata a quella esistente, con una lunghezza di 3100 metri (700 metri più lunga di quella attualmente in esercizio) che si ritiene necessaria per poter gestire il traffico aereo di lungo raggio, cioè i voli intercontinentali. Il costo preventivato per la nuova pista è di circa 300 milioni. Quindi la realizzazione della nuova pista, assieme alle opere necessarie sulla linea ferroviaria, avrà un costo di circa 670 milioni. Tutto questo «per potere raggiungere mete come New York», si legge nel master plan 2030 dell’aeroporto, recentemente approvato. Ma nei giorni scorsi la compagnia aerea statunitense Delta Air Lines ha inaugurato un volo diretto Catania-New York, senza scalo, con cadenza giornaliera, che utilizza aeromobili con 211 posti. Evidentemente basta usare aerei di media capacità per gestire voli intercontinentali con la pista attuale. Quindi stiamo programmando spese che si potrebbero evitare? Tutto questo avviene, senza eccezioni, nella totale assenza di una regìa istituzionale: Comune, Città Metropolitana e Regione si guardano bene dall’ipotizzare la pur minima forma di programmazione coordinata in cui un’integrazione ragionata fra i diversi sistemi di trasporto consenta di massimizzare i benefìci ottenuti e minimizzare i costi. Le istituzioni locali si limitano a prendere atto dei programmi, spesso esagerati, delle singole aziende di trasporto fornendo la necessaria copertura amministrativa con l’approvazione di progetti e varianti urbanistiche. Le società che gestiscono sistemi di trasporto diventano così quasi istituzioni autonome, autonomi centri di spesa e quindi di potere, che non hanno elettori a cui rendere conto del loro operato. L’utilità delle opere da realizzare si perde di vista rimanendo uno sfondo sfumato ed evanescente su cui si fa risaltare, in primo piano, la facile propaganda della “crescita” e dello “sviluppo”. Gli slogan propagandistici della “città grande e moderna”, che negli anni del boom edilizio servivano a giustificare speculazioni fondiarie e consumo di suolo in grandi quantità, in un ciclo del cemento che il mercato dell’edilizia ha ormai dichiarato concluso, oggi si applicano con la stessa facilità e ipocrisia alle grandi opere infrastrutturali. I grossi appalti pubblici esauriscono quasi sempre la loro finalità nel favorire la circolazione di denaro, a cui solitamente si accompagnano consenso politico, clientelismo, consolidamento di centri di potere, mazzette, rafforzamento di poteri occulti. Il ciclo del cemento può continuare a prosperare sotto altre forme producendo ancora consumo di suolo e degrado del territorio, utilizzando denaro pubblico senza dover fare i conti con le esigenze del mercato e con i reali fabbisogni della collettività. Le istituzioni fanno a gara con i privati nell’incessante consumo della risorsa più facilmente disponibile: il territorio. Non si può fare a meno di accennare alla “madre” di tutte le speculazioni: il ponte sullo stretto di Messina. Qui la vicenda diventa surreale. Si spende denaro pubblico per un’opera che tutti sanno non potersi realizzare per mancanza di certezze sulla reale fattibilità tecnica. La Valutazione di Impatto Ambientale ha elencato 64 prescrizioni, molte delle quali concretamente impossibili da ottemperare. Insigni studiosi e illustri progettisti di ponti hanno chiarito che avviare la realizzazione del ponte sarebbe un azzardo privo degli approfondimenti tecnico-scientifici necessari per dare certezza della fattibilità. Ma governo e società Stretto di Messina, general contractor dell’opera, procedono senza incertezze. Per aggirare le normative ambientali nazionali e comunitarie che impedirebbero la realizzazione si arriva a dichiarare l’opera “strategica per la difesa europea e della Nato, fondamentale in caso di scenari di guerra”. Ma l’obiettivo non è certamente realizzare il ponte. Ci si “accontenterà” di realizzare le opere preparatorie sui due versanti di Sicilia e Calabria assicurando la possibilità di spendere ingenti quantità di denaro pubblico utili solo per chi realizza l’opera. Con i soliti “effetti collaterali”: prosecuzione del ciclo del cemento, consumo di suolo, distruzione di valori ambientali. Tutto questo mentre restano trascurate le importanti esigenze di riorganizzazione del territorio nell’interesse generale della popolazione: completamento di reti infrastrutturali, protezione dal rischio idrogeologico, minimizzazione del danno provocato dalle alluvioni, interventi di prevenzione antisismica, energie rinnovabili, infrastrutturazione “verde” delle città, edilizia sociale ecc. Purtroppo si tratta spesso di programmazioni i cui risultati si possono apprezzare soltanto in tempi lunghi, non compatibili con le esigenze della propaganda elettorale. La gestione delle emergenze viene solitamente ritenuta preferibile in quanto facilita i commissariamenti per velocizzare la spesa pubblica (“spendere presto e molto!”) e fornisce munizioni alla facile propaganda politica. Ecco che il cerchio si chiude. Redazione Sicilia
Marghera, Progetto inceneritore di ENI Rewind è stato bocciato. Vittoria del Coordinamento No Inceneritori
Eni Rewind nel pomeriggio del 25 giugno ha commentato con una breve nota il parere negativo del comitato tecnico regionale del Veneto per la Valutazione di Impatto Ambientale, che di fatto affossa il progetto del termovalorizzatore, che già aveva avuto un parere negativo dall’Istituto Superiore di Sanità, oltre alla graduale opposizione di diversi comuni e comunità del territorio. «Eni Rewind prende atto della decisione in merito alla bocciatura del progetto per la realizzazione di un impianto per il trattamento dei fanghi di depurazione civile a porto Marghera» scrive all’inizio della nota. Proprio sul fronte del lavoro interviene la Cgil, ricordando che «quello dell’inceneritore a Fusina è sempre stato un progetto irrealizzabile, privo di basi industriali solide e totalmente inadeguato. Eni – dichiarano Daniele Giordano (Cgil Venezia) e Michele Pettenó (Filctem) – ha preso in giro l’intero territorio, presentando una proposta che non aveva alcuna reale prospettiva di rilancio industriale. Questo impianto è servito solo a distogliere l’attenzione dai veri nodi irrisolti, a partire dalla mancanza totale di investimenti e dalla chiusura silenziosa della chimica a Porto Marghera». L’inceneritore per fanghi di ENI Rewind è stato bocciato e i comitati parlano di una vittoria e di una giornata storica. Il Coordinamento No Inceneritori ha emesso un comunicato stampa il 25 giugno in cui scrive: “Avevamo promesso a ENI che di qui non sarebbero passati, e non sono passati! E’ una vittoria importantissima e di portata storica per un territorio che ha pagato un prezzo altissimo, in termini di vite umane perse e di degrado ambientale, a causa di decenni di industrializzazione dissennata, che ha privilegiato il profitto sopra tutto e sopra tutti, creando la diffusa opinione che la popolazione non ha mai voce in capitolo su questioni così importanti. Qualcuno pensava di poter continuare a sacrificare questo territorio, ma le tante mobilitazioni popolari messe in campo, non ultima la grande manifestazione dell’1 giugno con 5000 persone in piazza un anno fa, il blocco del distributore a Marghera e dell’ENI Store, il grande lavoro di inchiesta , di approfondimento scientifico, di sensibilizzazione svolto in questi anni dai comitati ha sbarrato la strada addirittura a ENI, una delle multinazionali del fossile più potenti al mondo, la stessa che fa accordi con il governo criminale di Israele e con Paesi come la Libia responsabili di torture e di gravi violazioni dei diritti umani . E’ importante che le argomentazioni del Comitato Tecnico per la valutazione ambientale abbiano riconosciuto l’importanza del principio di precauzione e abbiano accolto i nostri rilievi sulla pericolosità degli inceneritori, impianti insalubri di prima classe, in particolare per quanto riguarda gli impatti ambientali e sanitari derivati dalla inefficace combustione dei PFAS, e per il fatto che questo territorio è già pesantemente inquinato con conseguenze sanitarie intollerabili. Le istituzioni hanno dovuto piegarsi di fronte alla nostra mobilitazione e.ai pareri determinanti dell’Istituto Superiore di Sanità, che hanno di fatto confermato tutte le osservazioni che già avevamo posto. Questa sentenza non vale solo per ENI, perché ora il problema della salute, dei PFAS e dell’inquinamento ambientale non potrà più essere ignorato né per l’inceneritore di Veritas, né per quelli di Padova, di Schio, di Verona e di Loreo. Il problema della gestione dei rifiuti, dei fanghi e dei PFAS sono un dato di fatto, ma la soluzione non sta nel creare un problema ancora più grave. E’ necessario aprire al confronto con i comitati, con le associazioni ambientaliste, con le popolazioni, investire in ricerca, e soprattutto assumere come paradigma che la tutela della salute e dell’ambiente vengano prima dei profitti e di ogni altra cosa”. Il Coordinamento No Inceneritori, forte di questa vittoria ora rilancia: “E’ necessario bloccare immediatamente la seconda linea di Veritas; chiediamo alla Regione e a ARPAV di avviare studi approfonditi intorno agli inceneritori, con il supporto di CNR e ISPRA, per verificare il livello di contaminazione da PFAS nei suoli, nelle acque, e negli alimenti. Noi non ci fermiamo, Veritas è avvisata. Il nostro territorio non è in vendita, non brucerete il nostro futuro”. Nonostante ciò però, Eni sembra ancora essere pronta all’attacco e, proprio nella nota, prosegue: «Tali impianti sono infatti previsti nella piano rifiuti della Regione Veneto, ed Eni Rewind ritiene di aver presentato tutta la documentazione tecnica relativa a eventuali impatti sull’ambiente, la sicurezza e la salute. Eni avvierà le opportune riflessioni in merito al rilancio dell’area industriale di Porto Marghera di cui questo impianto era parte rilevante».  https://www.veneziatoday.it/attualita/eni-reazione-bocciatura-inceneritore.html Lorenzo Poli