L’innocenza dei dinosauri
Per avvicinarsi in maniera adeguata al libro di Giovanna Ferrara L’innocenza dei
dinosauri (Fuorilinea, 2024) bisogna affrontarlo. Memoriale, romanzo realista
autobiografico, doloroso diario, questo libro bellissimo apre ferite profonde
grazie a una scrittura capace di evocare gli spettri tragici del nostro tempo,
le sue contraddizioni sanguinanti. Il suo dramma di civiltà terminale.
Usiamo il verbo “affrontare” perché le pagine che Giovanna ci ha lasciato, prima
di andarsene via troppo presto, sono materiale da battaglia. Un’opera che tiene
insieme la bellezza formale e una naturale propensione a intervenire nel
presente come strumento di analisi e possibile trasformazione. Questa idea di un
testo letterario come arma, quindi, in grado di aggredire la cultura e
l’ideologia della società alla quale parla è probabilmente il modo più adeguato
di leggere un volume dai molteplici significati, tra cui sicuramente quello di
testamento politico di un’intellettuale militante. Non un semplice diario
interiore ma un elemento di lotta politica.
> Costruito tra i tempi rarefatti della crisi pandemica e quelli della sua
> malattia, L’innocenza dei dinosauri viaggia dentro la crisi di civiltà che
> viviamo con la forza di una densa e dolorosa poesia, danzando con le sue
> parole tra l’allucinazione collettiva e il dramma personale.
In questo senso si può essere feriti leggendo il libro da pazienti ma se chi
legge è un medico le sue pagine risultano ancora più dolorose. Il teatro dentro
cui si muove il racconto, infatti, è fatto di corridoi che sono «un perfetto
chiaroscuro. Una sorta di transavanguardia caravaggesca. Pennellate di uomini
che, a seconda del loro stato vitale, vivevano nel nero senza speranza o avevano
in dono una luce che li avvolgeva nel possibile». Queste figure tragiche
attraversano una crisi che non è un momento contingente ma un disastro
pianificato e organizzato da chi, come la Bce attraverso lo sguardo vitreo di
Christine Lagarde, ci tiene a ribadire che niente, nemmeno il disastro della
pandemia, quei morti e quella sofferenza collettiva avrebbero intaccato i sacri
vincoli dei patti di stabilità. Moriremo con i bilanci a posto. Boris Johnson lo
aveva detto chiaramente, preparatevi a dire addio ai vostri cari, non possiamo
farci niente. Il declino del servizio sanitario pubblico italiano e di quelli
europei, quindi, non è dovuto a una ineluttabile “insostenibilità” ma è un pezzo
della ristrutturazione continentale del welfare, in una Unione europea che si
fonda sul bilancio, strumento di salvaguardia di profitti per alcuni e
sofferenze per altre e altri. La salute pubblica, in questo sistema economico e
politico, non è prioritaria.
Dentro questo incubo si consuma quello personale di migliaia di vite, come
quella di Giovanna, affetta da fibrosi polmonare idiopatica, una malattia
cronica di cui poco si conosce e per la quale non esiste cura. Dal giorno della
diagnosi comincia un pellegrinaggio attraverso i disastri di una sanità
agonizzante, le sue incongruenze, i ritardi, la desolazione dei pasti
ospedalieri.
«Ormai di me ho la percezione di pezzi assemblati. Ognuno di quei pezzi ha uno
specialista. Il corpo, quella serie di rimandi che sperimentiamo continuamente,
è un’entità fantastica. Lo vedo intero solo nello specchio. Lo sento intero
quando faccio l’amore, quando faccio yoga iyengar con Mattia e Vera […]».
Bisogna sempre tenere presente che queste sono prima di ogni cosa le parole di
una paziente, oltre che di un’abile scrittrice. Qualche volta è capitato di
scherzare amaramente su questo termine che richiama alla resistenza alle lunghe
attese in Pronto Soccorso, dal medico di famiglia, in un ambulatorio, al
telefono in attesa di una prenotazione per una Tac. Durante la lettura, invece,
viene restituita alla parola il senso reale di “sofferente”, la sua paura ma
anche la sua rabbia di resistente. Più di ogni saggio, sono le parole della
paziente Ferrara a descrivere la nudità del corpo paziente che da “soggetto”
umano diviene “oggetto” di studio clinico. Un passaggio che solo il potere del
dialogo, la comprensione della sofferenza, il recupero dell’umanità della
relazione può salvare compiendo il salto dalla freddezza della medicina alla
meraviglia della cura. Possiamo pensare di ricostruire un servizio sanitario
solo a partire da questo elemento, che non ha nulla di tecnico ed è alla base di
un’idea di società che produca salute e gioia piuttosto che orrende malattie.
Tutto questo avviene soltanto se dentro il processo di costruzione di un sistema
organizzato trovi adeguato spazio il protagonismo sociale senza il quale il Ssn
è quello che abbiamo di fronte, dis-organizzato da tecnocrati al servizio della
politica a sua volta agli ordini di banche e finanzieri. Dentro questo sistema
decrepito la paziente Giovanna attraversa padiglioni di dolore e abbandono,
incontrando un campionario umano perduto tra paura, apatia, astio, incuria. Viva
nonostante tutto, il suo sguardo riesce a trasformare il dolore in poesia perché
l’esperienza personale diventi un qualcosa di collettivo, capace di raccogliere
le esperienze di ciascuno e renderle universali. Ecco perché si tratta di un
grande libro.
«Ho pianto spesso di rabbia nelle attese all’ospedale San Giovanni di Roma, al
suo Pronto Soccorso. – scrive Giovanna – Ho pianto per me e per tutti noi che
aspettavamo sulle barelle un destino imprecisato. Attese di nove ore. Dieci ore.
Undici ore. Perdere coscienza di dove sono le tue scarpe. […] Cosa può un malato
che è in Pronto Soccorso contro questo? Cosa può dire per dichiarare di esistere
mentre il dolore lo offusca, l’angoscia si diffonde come un gas che gonfia un
senso di impotenza incontrovertibile?».
Probabilmente il Pronto Soccorso è lo scenario più indicato per provare a
riavvolgere la storia del Servizio sanitario nazionale e del suo declino che va
innanzi tutto collocato da un punto di vista storico. Il lavoro in carenza di
organico, i turni stressanti che assottigliano la capacità di relazione umana
nel fronteggiare un esercito di sofferenti, la loro tosse, le febbri, le flebo,
il dolore che non passa e rende cattivi. Una terra desolata dove risuonano le
grida, dentro androni stipati di barelle fra sangue, merda, aghi. I deliri di
chi ha smarrito la ragione come Orlando dopo aver perso Angelica.
> Da queste isole di sconforto arrivano grazie a Giovanna anche interrogativi
> profondi. Cosa ci è accaduto? Perché siamo a questo punto? Se si pensa di
> poter eludere queste domande, meglio lasciare questo volume sugli scaffali di
> una libreria, perché se un libro non ti attraversa e ti trasforma, leggerlo è
> soltanto tempo perso.
Il Servizio sanitario nazionale era nato, nel 1978, con l’obiettivo di superare
il vecchio modello delle Mutue, fondato su un’idea di salute come diritto
fondamentale e universale dell’individuo e della società. Un obiettivo
prioritario, quindi, era quello di assicurare l’uniformità delle condizioni di
salute sul territorio che non era stata garantita dal precedente sistema
mutualistico, in paradossale disaccordo con quanto dichiarato dalla
Costituzione. Una svolta epocale, nata al termine di un “decennio lungo” di
lotte sociali che dalle fabbriche si erano estese alle città come luoghi di
produzione e di malattia. La spinta di quelle lotte fu determinante, non a caso
il declino di quelle idee e dei contenuti di quella riforma comincia
all’indomani della sconfitta operaia di Mirafiori che apre la strada a una lunga
controrivoluzione, figlia non del caso ma di processi storici e scelte politiche
orientate dall’egemonia del pensiero liberale che rompe gli argini a sinistra,
imponendo l’idea che un servizio sanitario pubblico gratuito ed universale sia
«insostenibile». Su questo terreno culturale germinano le riforme degli anni
’90, ideate e portate avanti dal centrosinistra «liberal», ansioso di scrollarsi
di dosso la polvere del vecchio socialismo per essere accettato al tavolo della
borghesia europea.
È semplice, avendo sotto gli occhi la situazione attuale, comprendere quanto sia
stata drammatica quella stagione di “controriforme” dentro cui matura la
frammentazione del sistema sanitario seguita alle Riforme 502 del 1992, 517 del
1993 e al decreto Bindi del 1999, centrate sui principi dell’aziendalizzazione,
una “controrivoluzione” cresciuta sulla mancata attuazione della 833, la cui
gestione «sembrò la rivoluzione francese gestita dai restauratori» – per dirla
con la relazione parlamentare di A. Seppilli del 7 dicembre 1988. Quel passaggio
dalle Unità sanitarie localia (Usl) alle Aziende sanitarie locali (Asl) non fu
un semplice mutamento burocratico ma un più sostanziale e tragico «passaggio da
una politica come servizio a un servizio senza politica, quindi a tecnica di
servizio» (I.Cavicchi, Il pensiero debole della politica, Dedalo. Bari 2008),
cui giunse come degna conclusione l’«inganno federalista» della riforma del
Titolo V della Costituzione (cfr. A. Iannello, L’inganno federalista. Vivarium,
Napoli 1998).
Tutto questo accadeva impunemente sotto i nostri occhi e questo prezioso volume
ci “richiama all’ordine”, imponendo la necessità di affrontare un tema che
riguarda la vita di ciascuno, il proprio corpo ma anche l’intera natura che
abitiamo. La forza poetica di queste pagine impone la necessità di affrontare
temi sui quali troppo spesso si è state e stati assenti, opponendo alla
pianificazione dei banchieri idee troppo vaghe, enunciati privi di incisività.
Un pensiero fragile figlio della una frammentazione di classe che proprio il
tema della salute potrebbe, invece, ricomporre.
È un libro duro e implacabile, L’innocenza dei dinosauri, nel prendere a
schiaffi sicuramente il copro medico – «i loro silenzi, le loro reticenze, le
mezze parole, rispondere a monosillabi, andarsene di fretta: non li perdonerò
mai» – e la classe politica ma soprattutto chiunque dica di credere in un futuro
di giustizia e di gioia, oltre questo orribile presente. Dove eravamo quando
accadeva tutto questo? Cosa facevamo mentre i grandi gruppi privati con
l’appoggio della politica si mangiavano la sanità? Perché non siamo state e
stati in grado di opporci? Troppo facile prendersela con la classe politica che
fa quello che i suoi committenti gli chiedono. Le domande di Giovanna sono
dirette soprattutto a noi, a chi trova insopportabile far languire i propri
diritti in tristi ambulatori dove attendere per ore la propria sorte fra il
linoleum screpolato e la freddezza dei neon. Non è più possibile eludere queste
domande e opporre a questa deriva lamentazioni o soluzioni generiche. Bisogna
agitarsi, studiare, riprendere in mano il difficile compito della lotta
politica, partendo da principi semplici come distinguere il superfluo dal
necessario. Cominciando dal fatto che sicuramente non serve, in questo pantano,
“difendere” quello che abbiamo, il Servizio sanitario nazionale non va
salvaguardato, bisogna avere il coraggio di reinventarlo.
Immagine di copertina da Bulletin de la Société géologique de Normandie (1908)
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