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Vi racconto come i pfas ci uccidono lentamente
Class actions dopo il fallimento dei processi penali. Il documentario How to poison a planet di McGowan svela la catastrofe ambientale e sanitaria generata dalla 3M. E’ stato presentato in Italia con una iniziativa che si è svolta al Senato, presso la Sala dell’Istituto di Santa Maria in Aquiro a Roma, all’interno di un dibattito dedicato al tema dell’inquinamento e della contaminazione da Pfas, curato e moderato dalla giornalista Serena Trivellone. Tra gli ospiti, la regista Katrina McGowan, gli avvocati Robert Bilott e Gary Douglas, e l’attore e attivista Mark Ruffalo, tra i protagonisti del documentario. L’attore è anche regista e interprete del bellissimo Dark water, in cui interpreta proprio Robert Bilott, che fu il primo a portare alla luce la tossicità dei pfas e i sistematici insabbiamenti di prove da parte dell’azienda che li inventò dal nulla negli anni Settanta, la 3M. How to poison a planet, prodotto da iKandy Films e Stan Originals, segue la più grande causa legale, class action, sulla contaminazione dell’acqua potabile mai avviata negli Stati Uniti, rivelando attraverso documenti e testimonianze inedite come l’azienda 3M fosse a conoscenza, già dagli anni Settanta, della tossicità dei propri composti chimici. Katrina McGowan segue una pista di approfondimento che arriva a svelare “uno dei più grandi disastri ambientali della storia umana”, mostrando il prezzo umano pagato da intere comunità colpite in America, Australia e nel resto del mondo. Cioè in Italia, dove a Spinetta Marengo fin dagli anni novanta erano a conoscenza dei danni dei Pfas. Class actions dopo il fallimento dei processi penali. Se qualcuno, in buona fede: intendo (non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire), avesse ancora qualche dubbio sulla necessità non più rinviabile di avviare in sede civile una class action inibitoria contro Solvay per bloccare d’urgenza le produzioni di Spinetta Marengo che causano il disastro sanitario e ambientale di Alessandria, quel qualcuno dovrebbe interrogarsi sui Fatti. Uno dei fatti, il principale, è che i processi in sede penale, almeno per quando riguarda Alessandria (ma anche in generale: vedi le 518 pagine, non aggiornate, del nostro “Ambiente Delitto Perfetto” volume 1° prefazione del grande Giorgio Nebbia) sono un fallimento per la tutela della Salute e delle Vittime. Lo ripeto giusto da dieci anni, da quando il processo contro Solvay si concluse senza vere condanne, senza risarcimenti per le Vittime, dunque senza nessuno seguito di bonifiche del territorio. Ad analogo fallimento è destinato il nuovo processo Solvay, già moribondo al concepimento: con capi di imputazione dei PM irrilevanti (di colpa anziché di dolo) e scaricati su due piccoli capri espiatori nullatenenti (piuttosto che sulle spalle dei  miliardari padroni dell’azienda), eppoi proseguito anzi neppure proseguito ma arenato dal GUP almeno fino  al 2026 per consentire quell’opaco Patteggiamento della Solvay con le Parti civili che porrà la pietra tombale anche su questo processo: senza condanne, senza risarcimenti per le Vittime, senza seguito di bonifiche del territorio. Gli avvocati penalisti di parte civile, quelli onesti e ottimisti, sperano che questo inevitabile nuovo fallimento sarà ribaltato da un colpo di scena: da una sopraggiunta sostituzione dei giudici del tribunale di Alessandria. Purtroppo hanno torto: è una velleità, i buoi sono già scappati, è troppo tardi -con tutto il rispetto per i nuovi giudici- per ristrutturare di sana pianta (dolosa) l’impalcatura (colposa) del processo, per ricominciare da punto e a capo il processo, un lavoro che durerebbe anni, mentre nel frattempo per altri anni e anni migliaia di persone sarebbero condannate a malattie e morti. Esistono vie alternative alle fallimentari sedi penali, che -per dovere morale e civile- vanno tentate. Lo ripeto da dieci anni. Class actions in sede giudiziaria civile: 1) con azione risarcitoria collettiva, patrimoniale e non, per le Vittime fisiche (cittadini e lavoratori) del disastro sanitario, e 2) con azione inibitoria collettiva in materia ambientale per bloccarlo il disastro ecosanitario della Solvay, per fermarle le produzioni inquinanti. Per queste azioni, realizzate con successo nel mondo, ma finora mai tentate contro il colosso Solvay in Italia, per la loro riuscita è necessaria la garanzia che siano affidate -come stiamo facendo per l’azione inibitoria- ad uno Studio Legale con un pedigree di radicalità e onestà invalicabile sia sotto il profilo umano/lotta ecologista che sotto quello strettamente professionale. Ad un gruppo di professionisti, cioè, con un passato di lotta ambientalista e che investono decine di migliaia di euro su un valido staff di tecnici ed esperti assortiti per le varie esigenze scientifiche necessarie in tribunale. Senza alcun rischio per i beneficiari. Per l’opzione class actions, chi risponde alla propria coscienza, cioè in scienza e buona fede (non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire), aggiorna sempre più gli altri Fatti: una mole di documentazione di indagini ambientali ed epidemiologiche. Ad esempio, di recente, i DATI EPIDEMIOLOGICI SULLA CONTAMINAZIONE DI SPINETTA MARENGO. Documentazione scientifica a supporto dell’appello dei medici. I dati riportati provengono da studi epidemiologici ufficiali condotti da: Servizio di Epidemiologia, ASL TO3 Piemonte, ARPA Piemonte, ASL Alessandria. Gli studi sono stati richiesti dalla Procura della Repubblica di Alessandria nell’ambito dell’inchiesta per inquinamento ambientale. I dati epidemiologici sulla contaminazione Solvay. Tra chi li ignora e chi fa finta. Per l’opzione class action in sede civile, alternativa al fallimento della sede penale, chi risponde alla propria coscienza, cioè in scienza e buona fede (non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire) aggiorna sempre più i Fatti: la mole di documentazione di indagini ambientali ed epidemiologiche. Ad esempio, di recente, i DATI EPIDEMIOLOGICI SULLA CONTAMINAZIONE DI SPINETTA MARENGO. Documentazione scientifica a supporto dell’appello dei medici. I dati riportati provengono da studi epidemiologici ufficiali condotti da: Servizio di Epidemiologia, ASL TO3 Piemonte, ARPA Piemonte, ASL Alessandria. Gli studi sono stati richiesti dalla Procura della Repubblica di Alessandria nell’ambito dell’inchiesta per inquinamento ambientale. Tramite le analisi in 10 capitoli (STUDIO SULLA MORTALITÀ DEI LAVORATORI DEL POLO CHIMICO, STUDIO SULLA MORBOSITÀ DEI LAVORATORI, DATI POPOLAZIONE RESIDENTE A SPINETTA MARENGO, PATOLOGIE NON TUMORALI – POPOLAZIONE RESIDENTE, MORTALITÀ GENERALE, CORRELAZIONE CON L’ESPOSIZIONE AMBIENTALE CONTAMINAZIONE DOCUMENTATA, CONFRONTO CON ALTRE AREE CONTAMINATE, CONSIDERAZIONI SCIENTIFICHE SIGNIFICATIVITÀ STATISTICA, IMPLICAZIONI PER LA SALUTE PUBBLICA POPOLAZIONE A RISCHIO, RACCOMANDAZIONI SCIENTIFICHE NECESSITÀ IMMEDIATE, PREVENZIONE PRIMARIA) le CONCLUSIONI non lasciano scampo ad equivoci di sorta: “I dati epidemiologici disponibili dimostrano in modo inequivocabile l’esistenza di: ? Eccessi significativi di mortalità e morbosità nella popolazione esposta ? Pattern di malattie coerente con l’esposizione a inquinanti chimici ? Correlazione dose-risposta tra esposizione e effetti sanitari ? Gravità particolare per alcune patologie (mesotelioma, SLA, tumori renali e vescicali) ? Persistenza temporale del fenomeno (oltre 20 anni)   Questi dati costituiscono una solida base scientifica per richiedere: Interventi immediati di bonifica Programmi di sorveglianza sanitaria Tutela della salute dei lavoratori e dei residenti Applicazione del principio di precauzione Riconoscimento del danno sanitario”.   Eppure, di fronte a questi inequivocabili FATTI, ignorati da comune provincia sindaco regione governo magistratura, c’è perfino chi tituba sulle class action. Non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire. Chi, ad avvalorare la necessità delle class actions, non si accontenta degli Studi Epidemiologici: farebbe bene a relazionarsi anche sui risultati prodotti da Arpa relativi alla campagna di monitoraggio condotta presso lo stabilimento Solvay Syensqo di Spinetta Marengo, che fornisce aggiornamenti sia sulle concentrazioni rinvenute per i tensioattivi perfluoroalchilici sia sui cosiddetti “inquinanti storici”. Se già nel 2024 la campagna aveva rilevato la presenza di concentrazioni “anomale” di composti clorofluorurati nelle acque sotterranee, cioè anche dei pfas C6O4, nel 2025, per inquadrare idrogeologicamente il periodo, il livello piezometrico della falda nei mesi è tornato ad aumentare, alzandosi di quasi un metro rispetto ad inizio anno. L’area di cattura della barriera idraulica continua ad essere arretrata verso lo stabilimento. “Molti piezometri risultano con una concentrazione in crescita come il PzIN63 e il PzIN74, afferenti all’area Algofrene e alle zone limitrofe, che presentano concentrazioni molto elevate (fino a 38500 µg/l in PzIN63) estendendosi fino ai pozzi barriera e alle aree limitrofe. Si osservano anche aumenti di concentrazione in pozzi esterni all’azienda come P5AMAG e pozzi profondi sia interni che esterni all’azienda come per PP14bis che PP29bis. Nei piezometri profondi del livello B sono stati riscontrati anche gli altri CFC ricercati (Clorodifluorometano, Diclorodifluoro-meatno, Triclorofluorometano).” Va evidenziato che per gli altri due PFAS in analisi (ADVN2 e PFOA) si osserva un aumento di concentrazioni rispetto alla campagna precedente, soprattutto nel caso del PFOA. A valle del sito nella falda superficiale si è notato un incremento di concentrazione di PFOA. Il piezometro esterno con la concentrazione maggiore di cC6O4 è risultato essere PzES4 ubicato sul confine N-NW dello stabilimento, con una concentrazione pari a 0,81 µg/l. Tra i piezometri esterni del Livello A PzES6 ha registrato la concentrazione maggiore di cC6O4 pari a 2,6 µg/l e di ADVN2 pari a 7,4 µg/l. Va da sé che l’acqua che Solvay preleva dalle falde per il raffreddamento degli impianti, superiore all’intero consumo dell’intera provincia, viene poi sparata dai camini in atmosfera e ricade sul territorio in respirazione  suolo e acqua. Pubblicato il Gli omissis di Solvay per nascondere l’inquinamento. Nel procedimento in corso presso la Provincia di Alessandria per il rinnovo dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) per i propri impianti di Spinetta Marengo, Solvay-Syensqo aveva ottenuto che fossero pubblicati i progetti eliminando tutte le parti che l’azienda riteneva riservate per ragioni di segreto industriale, anche se contenevano informazioni sulle emissioni di inquinanti nell’ambiente. Legambiente aveva presentato ricorso al TAR Piemonte. La sentenza del TAR, nonostante l’opposizione presentata sia da Solvay-Syensqo, sia dalla Provincia di Alessandria che aveva sostanzialmente avallato la secretazione pretesa dall’Azienda, è stata sollecita e chiara: la Provincia “dovrà, pertanto, esibire e rilasciare in copia i documenti richiesti nel termine di giorni 20 (venti) dalla comunicazione della presente pronuncia, rimuovendo gli oscuramenti e gli omissis che ostino alla lettura delle informazioni relative alle emissioni dell’impianto industriale nell’ambiente”. Vedremo se e come i sodali Solvay e Provincia renderanno pubblici gli ostinati omissis. Vedremo se ci sarà chi tituba di fronte alle class actions (ma, si sa, non c’è peggior sordo di chi fa finta di non sentire). L’intero servizio è a cura di Lino Balza Movimento di lotta per la salute Maccacaro e può essere liberamente pubblicato. Pubblicato il 17 Novembre 2025 Messaggio di pace e salute a 42.102 destinatari da Lino Balza Movimento di lotta per la salute Maccacaro tramite RETE AMBIENTALISTA – Movimenti di Lotta per la Salute, l’Ambiente, la Pace e la Nonviolenza Nel rispetto del Regolamento (UE) 2016 / 679 del 27.04.2016 e della normativa di legge. Eventualmente rispondi: cancellami. Sito: www.rete-ambientalista.it movimentodilottaperlasalute@reteambientalista.it movimentolotta.maccacaro@gmail.com – lino.balza@pecgiornalisti.it Gruppo Facebook: https://www.facebook.com/groups/299522750179490/?fref=ts Pagina Facebook: https://www.facebook.com/reteambientalista/?fref=ts Youtube: https://www.youtube.com/channel/UCnZUw47SmylGsO-ufEi5KVg Twitter: @paceambiente Via Mario Preve 19/7 – 16136 Genova  cell.3470182679 lino.balza.2019@gmail.com  – lino.balza@pec.it Sottoscrizioni a favore della Ricerca Cura Mesotelioma: IBAN IT68 T030 6910 4001 0000 0076 215 Redazione Italia
Pfas, ovunque e per sempre?
Un nuovo veleno silenzioso e ancora in parte sconosciuto è diffuso ormai anche dove non ce lo aspetteremmo. Il suo nome è Pfas, sostanze per- e polifluoroalchiliche, e il plurale è d’obbligo visto che non si tratta di un’unica molecola ma una vastissima famiglia, dell’ordine delle migliaia, create in un laboratorio degli Stati Uniti negli anni ’40 del secolo scorso. E di Pfas si è parlato durante l’incontro di venerdì sera presso il centro Volere la Luna di via Trivero a Torino, Pfas nell’acqua. Un problema globale e locale organizzato da ISDE – Associazione Medici per l’Ambiente Torino, dal Comitato Acqua Pubblica Torino, dal Comitato Acqua SiCura e con il patrocinio dell’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Torino. L’evento è stato aperto da Giuseppe Ungherese, autore di “PFAS. Gli inquinanti eterni e invisibili nell’acqua” da anni impegnato a diffondere conoscenza di questi inquinanti, promuovendo con Greenpeace monitoraggi e studi per conoscere la diffusione dei Pfas in Italia. Impossibile non menzionare il caso tristemente famoso della Mitemi, l’azienda chimica di Trissino, in provincia di Vicenza che con le sue lavorazioni ha avvelenato buona parte delle risorse idriche della zona. La pericolosità dei Pfas era già nota in particolare negli Stati Uniti, ma la Miteni rese tangibile che ciò che accadeva oltreoceano purtroppo era avvenuto anche da noi. Il caso Miteni ha sollevato il coperchio e ha fatto da apripista anche in positivo grazie alla sentenza del 26 giugno 2024 che ha condannato 11 ex dirigenti con l’accusa di disastro ambientale. Un riconoscimento per le tante persone che per anni hanno dato voce allo smarrimento di un intero territorio a partire dal comitato delle Mamme NoPfas. I Pfas dello stabilimento chimico hanno inquinato l’acqua e il cibo è un veicolo purtroppo efficiente e veloce di diffusione e non potrebbe essere altrimenti, noi esseri viventi tutti siamo acqua. Se il Veneto ha avuto la Miteni, in Piemonte troviamo la Solvay di Spinetta Marengo in provincia di Alessandria. In queste zone la presenza di Pfas è maggiore tanto che alcune zone intorno allo stabilimento di Spinetta Marengo sono state denominate zone rosse – si può forse dimenticare l’Acna di Cengio? – ma Ungherese ha evidenziato che la diffusione dei Pfas è maggiore nelle aree più industrializzate del paese, quindi in ordine crescente dal sud al nord del paese e questo potrebbe sembrare ovvio. Meno ovvio è che Pfas sono stati ritrovati anche a monte degli stabilimenti produttivi interessati. In altri termini a Torino, ma anche in Val di Susa sono stati effettuati campionamenti che hanno riportato un valore positivo ai Pfas che non possono esserci arrivati per l’acqua dei fiumi. I dati che confermano la presenza di Pfas a Torino li ha commentati Silvio Tonda del Comitato Acqua SiCura riportando i dati dei campionamenti effettuati da Smat a Torino nel 2023 e nel 2024. Anche se non tutti i punti di campionamento risultati positivi nel sono stati controllati nel 2024. Una stranezza questa destinata al momento a rimanere tale. Cosa permette ai Pfas di diffondersi anche in aree meno industrializzate? Cosa ha reso questi composti così diffusi? La loro invenzione fu casuale: cercando di produrre refrigeranti un chimico della DuPont sbagliò processo. Il composto non raffreddava nulla, in compenso si rivelò essere resistente ad agenti chimici, fisici e termici. E se durante la guerra vennero utilizzati anche per la bomba atomica, finito il periodo bellico i Pfas finirono in pentole e padelle grazie al teflon entrando nelle case di milioni di persone. Non solo, vennero utilizzati anche per l’impermeabilizzazione delle calzature. Ma la lista di prodotti che utilizza i Pfas è veramente lunga. Sempre Tonda ha spiegato che il Pfba, un altro dei composti della famiglia, viene utilizzato per accelerare il processo di asciugatura del cemento così come il Pfoa, riconosciuto cancerogeno e messo quindi al bando, ha ottenuto una deroga e potrà essere utilizzato nelle schiume antincendio fino a fine 2025. E ancora, i Pfas vengono usati anche per i diserbanti, già pericolosi loro stessi, per aumentarne l’efficacia. Insomma, ecco perché i Pfas, massicciamente utilizzati negli ultimi 50 anni e più sono ovunque. Proprio le caratteristiche che li hanno resi “utili” sono ciò che adesso li rende problematici. Ma il problema dei Pfas non è legato solo all’estrema diffusione: nel loro utilizzo non si degradano, non spariscono, non vanno via, tanto da meritarsi l’appellativo d’inquinanti eterni. Nemmeno il corpo umano riesce a smaltirli: si depositano nel sangue e lì rimangono. Marco Calgaro, medico dell’Isde e relatore all’incontro, ha parlato di un periodo di permanenza nel corpo dai 3 ai 5 anni. Nell’ambiente non si degradano da soli, è necessario l’intervento umano per portarli a temperature altissime, almeno pari a 1000 gradi, cosa che sembra avvenire in qualche inceneritore industriale di ultima generazione, non certo ovunque. Anzi, finendo in un inceneritore normale non si decompongono, non si degradano, ma si diffondono nell’aria. Il problema Pfas non genera però un’emergenza acuta, ma cronica. Diventano pericolosi per accumulo, negli anni e nel nostro organismo diventano interferenti endocrini andando a colpire il sistema che regola la produzione ormonale dalla funzione riproduttiva alla regolazione del sistema immunitario, arrivando a provocando anche danni epigenetici, perché gli effetti dell’esposizione ai Pfas vengono conservati a livello molecolare sia in diversi tessuti che in diverse specie, sia negli esseri umani che in altre specie animali. Cosa possiamo fare per difenderci? Facendo pesare il nostro ruolo di consumatori, facendo scelte oculate nel momento degli acquisti in modo da pesare più su soluzioni utili: tornare al vetro abbandonando la plastica, non usare pellicola e carta forno sostituendole con pellicola in polietilene e pergamena da forno. Ancora, si al biologico specialmente per bambini e giovani, i diserbanti non solo fanno male in sé ma, come già detto, possono contenere Pfas usato per renderli maggiormente efficaci. Anche la tecnologia ci viene incontro: l’app Yuka, permetterà di compiere acquisti in maniera più consapevole sia di alimenti che di cosmetici inquadrando il QR Code del prodotto. Se si vive in un’area particolarmente a rischio può essere utile installare filtri Doulton nel qual caso rimane il problema dello smaltimento dei filtri che attualmente è meglio non smaltire per evitarne l’incenerimento. Altro problema legato ai filtri: i filtri a carbone non sono efficaci per alcune molecole di nuova generazione, il Tfa l’acido trifluoroacetico a catena ultra corta. In questo caso servino filtri a osmosi inversa. In Italia le analisi per verificare la presenza degli inquinanti eterni nel nostro sangue sono possibili solo a pagamento. Volendo verificare la propria situazione Calgaro suggerisce di richiedere al medico il controllo della quantità di fluoro nel sangue, elemento con cui in genere non veniamo in contatto se non con piccole quantità come quelle presenti nei dentifrici o in alcuni farmaci. Con un esito inferiore ai 20 nanogrammi possiamo stare tranquilli, tra i 20 e i 100 nanogrammi si rimane nella norma ma se il valore risultasse superiore ai 100 Calgaro suggerisce di rivolgersi al proprio medico che potrà suggerire l’utilizzo di alcuni farmaci in grado di aiutare il fegato ad espellerli, la silimarina ad esempio. Ma è solo il legislatore che potrà porre fine alla loro diffusione vietandone l’utilizzo. Al momento si discute a livello europeo di una messa al bando di queste sostanze, ma il percorso è accidentato visti i poteri forti che si muovono contro. Entrambi i medici dell’Isde Marco Calgaro e Marco Tomalino invitano a seguire il principio di precauzione in questa situazione incerta e ancora portatrice di pericoli. È necessario richiedere la messa al bando dei Pfas, compiendo scelte commerciali ponderate sapendo però che purtroppo di molti composti ancora si sa poco o nulla. Sara Panarella Redazione Torino
Belém, COP30 e Vertice dei Popoli: le donne in prima fila
Sono qui ormai da una decina di giorni trascorsi velocissimi, fitti di incontri, di emozioni, di scambi che continueranno a germinare per i giorni e (chissà anni) a venire: esperienza indimenticabile. Era il 7 novembre quando come delegata di un bel po’ di realtà italiane in movimento (Rete delle Mamme da Nord a Sud, Movimento Zero Pfas Italia, Movimento per il clima fuori dal fossile, Forum dell’acqua italiano) ho aperto il quarto incontro internazionale dei danneggiati dalle dighe e dalla crisi climatica qui a Belem, dove si sono uniti i popoli di tutto il mondo. Nei giorni successivi abbiamo continuato a lavorare divisi per gruppi tematici, noi ‘mamme’ nel Gruppo Salute e Infanzia. Solo due giorni dopo ecco cosa postavo sulla mia chat/contatti: 11 novembre 2025, Belém du Pará del Brasile: dichiariamo il quadro della costruzione di un movimento internazionale dei danneggiati dalle dighe e i cambiamenti climatici. Giornate importantissime, faticose e impegnative, piene di emozioni, tutte e tutti uniti per costruire un movimento internazionale dei popoli danneggiati. America, Africa, Europa, Asia, Oceania. Pace, fratellanza, amore, pazienza, perseveranza, diritti, democrazia, volontà, azione, speranza: queste le parole che oggi mi hanno dato tanta felicità. Acqua per la vita, non per la morte! Ai nostri figli lasceremo il nostro esempio, che toccherà poi a loro lasciare ai loro figli. L’indifferenza non è una cosa che le madri possano accettare. Ci unisce l’amore per la Vita!” E eccoci a ieri, 14 novembre. Mentre in tutte le città italiane si snodavano i cortei più o meno partecipati in difesa dell’ambiente, io ero alla Copola Dos Povos (Vertice dei Popoli) che si sta svolgendo qui a Belem in concomitanza della COP30. È un evento parallelo e indipendente che ha l’obbiettivo di dare voce alle comunità locali, ai popoli indigeni e ai popoli di tutto il mondo, ovunque accomunati dallo stesso assedio alla vita. Come italiani siamo stati invitati dal MAB, acronimo che sta per “Movimento dei colpiti dalle dighe e dai cambiamenti climatici”. L’obbiettivo e di consegnare ai governi un documento che porti le istanze delle popolazioni che sono maggiormente colpite da questo cosiddetto sviluppo, che in realtà è solo devastazione. In primis la questione dell’acqua, che viene mercificata con la costruzione di dighe e progetti ‘idrogeno-elettrici’, quando non viene proprio depredata, per essere destinata all’estrazione dei minerali. Privazione dell’acqua nel primo caso e restituzione di acqua inquinata da piombo e mercurio nel secondo. Sono sotto accusa anche le coltivazioni intensive che prosciugano i fiumi, l’uso dei pesticidi mediante aerei e droni, che compromettono la vita delle persone. E come sempre i bambini sono le prime vittime. Le multinazionali promettono lavoro e chissà quale “vita migliore”, mentre le popolazioni locali vengono sfrattate con la forza in zone dove l’acqua non esiste più. E non si sa neppure a quanto ammonti questo sfollamento a livello sia globale che  locale, perché spesso coloro che vengono colpiti non vengono censiti, e di conseguenza NON ESISTONO. Dare un volto, parlare con loro, fare amicizia e condividere è un esperienza che ti graffia dentro al cuore. A volte “vedere” non è sentire… Per la prima volta abbiamo parlato anche di Pfas, e soprattutto abbiamo avuto occasione di parlarne con alcuni giornalisti e ambientalisti indiani, per avvisarli della pericolosità degli impianti della Miteni che hanno chiuso (come è noto) in Italia, nel vicentino, ma sono già operativi in India, a poche decine di km da Mumbai, nello Stato del Maharashtra. E così dopo aver già avvelenato il sangue di tanti nostri figli, hanno già cominciato a colpire anche lì e a quanto pare l’opinione pubblica indiana è totalmente all’oscuro della pericolosità di questa situazione. Siamo davvero in tanti e tante. Tante madri, tante donne che in primis pagano le conseguenze maggiori di questo cambiamento climatico e dei danni causati dalla privazione dell’acqua o dalla contaminazione. Tante madri che in primis si sentono responsabili della crescita, della qualità della vita, del quotidiano dei propri figli. Avrei tanto da raccontare, ma non c’è tempo per scrivere, a malapena riesco ad annotare i nomi di chi incontro, con qualche appunto: Paula del Perù, Erica Mendez dal Mozambico, Damaris del Brasile, Giulieta della Repubblica Dominicana, Vilma del Guatemala … ciascuna di loro è un fiume di testimonianze di persone che lottano per la vita dei loro figli e del diritto all’acqua, mentre i governi sono consenzienti e fanno addirittura uccidere chi si oppone. Come sempre le donne sono in prima fila. Come sempre sono quelle che dimostrano più forza e coraggio nell’opposizione a questo capitalismo distruttivo e omicida. Prima o poi anche i responsabili di questo veleno moriranno, con o senza soldi, ma con la coscienza più nera del petrolio. Redazione Italia
I PFAS sono anche nell’acqua in bottiglia: Greenpeace li ha trovati in 6 marche su 8
Una nuova indagine di Greenpeace ha rivelato la presenza di PFAS nell’acqua in bottiglia di 6 marche su 8, tra le più diffuse nel nostro Paese. Nello specifico la sostanza rilevata nelle bottiglie analizzate è il TFA, l’acido trifluoroacetico, ovvero il PFAS più diffuso sul pianeta. Negli scorsi mesi Greenpeace ha acquistato presso un supermercato di Roma sedici bottiglie appartenenti agli otto marchi più diffusi nel nostro Paese: Ferrarelle, Levissima, Panna, Rocchetta, San Benedetto, San Pellegrino, Sant’Anna e Uliveto. Sono state inviate a due diversi laboratori – otto bottiglie in Germania e altrettante in Italia – per testare l’eventuale presenza di PFAS, i cosiddetti “inquinanti eterni”: si tratta di sostanze poli- e per-fluoroalchiliche usate in prodotti di largo consumo per le loro proprietà idro e oleorepellenti. Comode, sì, ma estremamente pericolose: non solo si accumulano nell’ambiente senza degradarsi, ma ormai da tempo sono associate a gravi rischi per la salute (danni al fegato, problemi al sistema endocrino e alla tiroide, alterazioni del sistema immunitario, tumori ai reni e ai testicoli, infertilità e diabete). Cosa è emerso dalle analisi? Luce verde per Ferrarelle e San Benedetto Naturale: nei campioni analizzati non è stata rilevata alcuna presenza di PFAS. Vuol dire che le concentrazioni in questi campioni sono risultate inferiori al limite di rilevabilità di 50 ng/L. Quanto alle altre marche, nei campioni di Levissima, Panna, Rocchetta, San Pellegrino, Sant’Anna e Uliveto è stato rilevato il TFA, l’acido trifluoroacetico, una sostanza con un triste primato: è il PFAS più diffuso al mondo. Il campione che ha fatto registrare il valore più elevato di TFA è dell’acqua Panna, (700ng/l), seguito dal campione del marchio Levissima (570 ng/l) e dal campione di acqua Sant’Anna (440 ng/l). Dopo la scoperta, Greenpeace ha contattato i brand per chiedere chiarimenti: tuttavia, nessuna delle realtà contattate ha voluto commentare. Come i PFAS più noti anche il TFA persiste nell’ambiente e non è biodegradabile. È una sostanza nota da tempo: risulta il PFAS più diffuso al mondo, tanto che ormai la sua presenza è stata rilevata persino nel sangue umano. Non sorprende, quindi, che abbia fatto capolino anche nell’acqua in bottiglia. E i rischi per la salute? Le Autorità tedesche di recente lo hanno classificato come “tossico per la riproduzione” e “molto mobile e persistente”. Nella primavera del 2024 la Germania ha presentato all’ECHA (Agenzia europea per le sostanze chimiche) una richiesta di classificazione del TFA come sostanza tossica per la riproduzione. Se l’ECHA approverà la richiesta, il TFA potrebbe essere classificato come “metabolita rilevante” delle sostanze attive nei prodotti fitosanitari. “Dopo la nostra spedizione “Acque senza veleni”, che ha rilevato la contaminazione da PFAS nelle acque potabili italiane, sottolinea Greenpeace, il governo italiano ha iniziato a muovere i primi passi verso la regolamentazione di queste sostanze pericolose. A marzo 2025, il Consiglio dei Ministri ha approvato un Decreto Legge urgente per abbassare i limiti dei PFAS nelle acque potabili e introdurre restrizioni per il TFA (acido trifluoroacetico). Tuttavia il provvedimento deve ancora essere ancora approvato dal Parlamento. Abbassare i limiti dei PFAS nell’acqua potabile è un passo avanti, ma non è risolutivo perché non elimina i PFAS dalle nostre vite e soprattutto non scongiura il rischio che queste sostanze finiscano nell’acqua in bottiglia: occorre una legge zero-PFAS che ne vieti del tutto la produzione e l’uso. Solo così possiamo sperare di tutelare la nostra salute: non c’è altro tempo da perdere”. Senza voler creare allarmismi, la presenza così diffusa di una sostanza di cui sappiamo poco (e quel poco che sappiamo tende a preoccupare sempre di più) impone una prudenza che avremmo dovuto usare anche con gli altri PFAS. E, soprattutto, dobbiamo smetterla di contaminare le nostre acque potabili, e le nostre vite, con queste sostanze pericolose o potenzialmente tali.  Qui le Analisi sulle acque minerali italiane di Greenpeace: https://www.greenpeace.org/static/planet4-italy-stateless/2025/10/c854c148-pfas-in-bottiglia.pdf.  Giovanni Caprio
Processo Miteni concluso: lettera aperta agli studenti
Pubblichiamo volentieri la lettera che la Prof. Albiero ci ha inviato sulla positiva conclusione del Processo Miteni di cui Pressenza ha più volte parlato.   SENTENZA STORICA  “Care ragazze e cari ragazzi, vi scrivo questa lettera tramite i vostri professori “Zero Pfas”.  Il 26 giugno 2025, come sicuramente sapete, il processo Miteni si è concluso. Lo avevamo seguito insieme fin dal 2021 ricordate?  Una sentenza storica, la vittoria dei cittadini contro le multinazionali. La condanna di undici ex manager dell’azienda per l’inquinamento da PFAS può essere vista come una vittoria di Davide contro Golia. Un importante risultato per la comunità e le vittime dell’inquinamento, dopo anni di lotta e denuncia. La sentenza, non solo, riconosce le responsabilità penali, ma apre anche la strada a futuri risarcimenti per i danni ambientali e sanitari causati.  Dietro questa sentenza c’è un messaggio forte: quando i cittadini si uniscono, anche le multinazionali possono essere chiamate a rispondere delle loro responsabilità. È stato un lungo percorso, fatto di indagini, mobilitazioni, testimonianze, che ci insegna almeno quattro cose: La partecipazione conta. Chi si informa, si attiva, protesta, può davvero influenzare le scelte politiche e giudiziarie. La giustizia è un diritto di tutti. Non è solo un fatto legale: è uno strumento per difendere la dignità, la salute e l’ambiente. L’ambiente è un bene comune. E difenderlo è un atto di cittadinanza, non un’opzione. La memoria è importante. Senza chi ha denunciato e raccontato, oggi non ci sarebbe stata alcuna sentenza.  A voi dico: informatevi, partecipate, pretendete trasparenza e rispetto. La cittadinanza non si esprime solo col voto, ma anche con l’azione, con l’ascolto, con la responsabilità quotidiana. Il caso Miteni dimostra che non siamo impotenti. Possiamo cambiare il corso delle cose. E, come cittadini, questo è il nostro compito.  A noi e a voi, cari ragazzi, spetta ancor più il ruolo, ora, a processo concluso, di cittadini attivi, il continuare cioè a premere sugli Enti pubblici preposti e sulla Politica per misure decisive relative al bando dei pfas e di quelle sostanze chimiche dannose per la vita e per l’Ambiente, alla bonifica dei territori per gli inquinatori, al monitoraggio alimenti, alla vera prevenzione nei confronti della popolazione. La mobilitazione deve continuare … Perché il futuro non si subisce: si costruisce.  Insieme, il prossimo anno, nell’ itinerario educativo: ‘ONE HEALTH. Quando la chimica è contro la vita. Cittadinanza attiva per bandire Pfas e Microplastiche’  A presto, spero.  Intanto buone vacanze!”  Vi allego le vostre pratiche di cittadinanza attiva a s 2024 2025  https://donataalbiero.blogspot.com/2025/06/pfas-studenti-pratiche-di-cittadinanza.html   Donata dr. Albiero (coordinatrice dell’itinerario educativo)    Redazione Italia
PFAS tossici in Toscana la Rete e le Associazioni si attivano e fanno le analisi – dati che destano preoccupazione
Un consistente gruppo di Associazioni e Comitati, coordinati dalla “Rete Zero PFAS Toscana”, in considerazione del fatto che la politica nazionale e le istituzioni regionali sembrano indugiare sull’effettiva presenza di PFAS nelle nostre acque e nei nostri cibi, hanno deciso di far eseguire una serie di analisi, a proprie spese, da un laboratorio accreditato utilizzato anche da Greenpeace nelle sue ultime analisi condotte in Toscana. I PFAS sono inquinanti eterni, si muovono velocemente nelle acque e finiscono nella catena alimentare, hanno gravi effetti sulla salute, agiscono sul sistema immunitario, aumentano il rischio di alcuni tipi di cancro, alterazioni endocrine, problemi riproduttivi e disturbi dello sviluppo. «Vogliamo ricordare – dichiarano i portavoce delle associazioni e dei comitati firmatari – che abbiamo scritto ai sindaci e inviato una proposta di mozione a tutti i consigli comunali della Toscana per chiedere studi e azioni concrete su questi inquinanti. Siamo consapevoli che il nostro non è un campione significativo a livello statistico e formale, ma tuttavia rappresenta una fotografia, seppur limitata geograficamente, della situazione attuale, allo scopo principale di sollecitare le istituzioni e gli enti di controllo deputati a prendere le misure opportune. Le analisi saranno messe a disposizione della Rete Zero PFAS Italia, insieme ai test analoghi effettuati dal Veneto e da altre regioni. Le politiche “green” vantate dalla nostra Regione, anche rispetto ai PFAS, mostrano tutti i loro limiti in particolare se confrontate con quelle di altre realtà. Le Regioni Veneto e Piemonte, per quanto di loro competenza, grazie alle forti pressioni della cittadinanza, hanno approvato misure più restrittive riguardo ai PFAS; anche Utilitalia, la federazione che riunisce le aziende dei servizi pubblici, si sta muovendo con proposte concrete (vedi allegato). Mettiamo a disposizione di tutti la mappa con i dati delle nostre analisi al seguente link: https://www.google.com/maps/d/edit?mid=1AJaQ-5IOiM_3EddbLMFRct913bEncjI&usp=sharing. I punti di prelievo nella regione sono 47, e le molecole di PFAS analizzate sono ben 58. La maggior delle analisi attiene solo ai PFAS, in altre sono aggiunti anche 23 metalli pesanti e alcune sono limitate a questi ultimi. Volendone dare una sommaria interpretazione, emerge con nostra preoccupazione, che queste sostanze sono presenti nella quasi totalità dei campioni. Tuttavia le acque potabili prelevate a fontanelli o in civili abitazioni hanno avuto andamenti diversificati: in alcuni casi sono risultate ottime (Arezzo e Monsummano Terme PFAS 0), in altri casi abbiamo trovato presenza di PFAS non certo trascurabile (Prato e Carrara), anche se nei limiti di legge che entreranno in vigore nel 2026. Pure in una bottiglia di acqua minerale di pregio della nostra regione sono presenti queste sostanze perfluoroalchiliche, come nei pozzi privati. Per le acque superficiali sono stati analizzati due campioni delle acque del Tevere, uno in Arno e altri due in corsi superficiali minori: a sorpresa i valori più elevati sono stati trovati nel Tevere a Sansepolcro, a ridosso del confine con l’Umbria. Inoltre due analisi sono state fatte alle acque superficiali vicino ad aree minerarie (nel Grossetano) dove non risulta significativa la presenza di PFAS, ma in uno dei due prelievi emerge allarmante la presenza di metalli pesanti. Abbiamo prelevato anche acque superficiali vicino ai depuratori e a qualche area industriale importante e, pure in questo caso i PFAS sono presenti dappertutto seppur non in quantità considerevoli, fatta eccezione del Fosso Tommarello nella zona di ENI a Calenzano dove la somma si PFAS ammonta a ng/l 2775,8 e a ng/l 612,5 in un altro e ci si chiede se l’enormità di questi dati possano essere dovuti alle schiume per spegnere il recente incendio dell’impianto o all’attività stessa di ENI, oppure ad altre cause a noi sconosciute. Destano anche timori sia i valori trovati a Livorno allo scolmatore zona Stagno, dove la somma PFAS è di ng/l 794 con tipologie di PFAS che fanno parte del gruppo di cui la Comunità Europea dal 2026 ne vieterà l’uso su molti prodotti; sia la presenza nel torrente Nievole di PFOA, il cui utilizzo nei processi industriali è ormai vietato, dal By pass del depuratore e non possiamo che porci la domanda da dove possa arrivare. È motivo di preoccupazione il fatto che a Prato e a Carrara è stata trovata una quantità di PFAS maggiore o simile sia nelle acque potabili che nelle acque superficiali, vicino agli scarichi dei depuratori: la domanda che ci poniamo è da dove, in questi due comuni, vengono prelevate le acque per la potabilizzazione. Alcune analisi sono state fatte anche in acque superficiali vicino a discariche e stoccaggio di rifiuti ed è proprio in alcune di queste acque che abbiamo trovato i dati più preoccupanti: sia in quelle alla discarica del Cassero (nel Pistoiese) oltre 2100 ng/l di PFAS e a Podere Rota nel comune di Terranova Bracciolini (AR), riscontrati addirittura oltre 7.300 ng/l. Chiediamo alla Regione – proseguono i promotori dell’iniziativa – se vi sia una reale intenzione di monitorare la situazione toscana in relazione a questi inquinanti eterni e se sia già stato avviato uno studio specifico sui cicli produttivi, per i quali riteniamo essenziale analizzare sia gli scarichi industriali che quelli dei depuratori, con particolare attenzione agli impianti che trattano reflui industriali. Riteniamo imprescindibile, anche alla luce dei risultati delle nostre analisi, effettuare il monitoraggio del percolato delle discariche riservando particolare attenzione alla destinazione del percolato contenente elevate concentrazioni di questi inquinanti. Chiediamo inoltre che le ASL si attivino per incrementare i controlli sulle acque potabili e che venga intensificato il monitoraggio degli alimenti nei quali si possono verificare fenomeni di accumulo di PFAS. Qualora emergesse una situazione preoccupante è necessario che la politica abbia il coraggio dimostrato dalla regione Veneto e dalla regione Piemonte di porvi dei limiti, per quanto di competenza, e di informare la cittadinanza, per non continuare ad aggravare una situazione che purtroppo appare già compromessa». ADiC Toscana APS-Associazione per i Diritti dei Cittadini Forum Toscano Movimenti per l’Acqua Forum Ambientalista Toscano Associazione Livorno Porto Pulito APS Apuane Libere ODV Trasparenza per Empoli Comitato Vittime Podere Rota Movimento Municipalista Arezzo Fondazione Progetto Valtiberina Atto Primo Salute Ambiente Cultura ODV Orti Collettivi Calenzano Comitato Acqua Pubblica Arezzo Comitato Acqua Bene Comune Valdarno Associazione Alleanza Beni Comuni Associazione I’Bercio Comitato per la chiusura di ex Cava Fornace Montignoso (MS) Comitato Apuano Salute e Ambiente della Provincia di Massa Carrara Cittadini di Monsummano della Rete ero Pfas Toscana Comitato via Cantarelle Pieve a Nievole Redazione Toscana
Chi distrugge l’ambiente coi PFAS deve risponderne
Vicenza, 26 giugno 2025 “In attesa di avere maggiori informazioni relativamente all’entità delle condanne e alla completezza o meno nelle imputazioni su cui il processo si è sviluppato, appare comunque evidente che, anche se in primo grado, sono state riconosciute responsabilità per la contaminazione ambientale e per la gestione scorretta degli impianti da parte delle imprese che si sono succedute nella proprietà del sito”, è quanto ha dichiarato Marco Caldiroli, presidente di Medicina Democratica, parte civile nel processo Miteni, sulla sentenza emessa questo pomeriggio in Corte d’Assise a Vicenza. Il processo iniziato nel 2021 è andato avanti per 4 anni con ben 133 udienze. 11 i condannati sui 15 imputati, per complessivi 141 anni di carcere, con pene che vanno da 2 anni e 8 mesi a un massimo di 17 anni e mezzo: si tratta degli ex vertici delle società che negli anni si sono succedute nella proprietà dello stabilimento di Trissino, ritenuti responsabili di una grave forma di inquinamento da Pfas, le cui conseguenze gravissime sono ben note alle popolazioni di questi territori. ” È un messaggio almeno parzialmente positivo – ha sottolineato Marco Caldiroli – che riconosce la fondatezza delle lotte contro l’inquinamento, le battaglie fatte dai comitati locali e dalle associazioni nazionali che sono parte civile nel processo, tra cui Medicina Democratica, che ha presentato anche relazioni tecniche a supporto dell’attività del Pubblico Ministero, cui va il nostro ringraziamento per aver affrontato un procedimento così complesso e con responsabilità non sempre facili da individuare, tenendo conto della sottovalutazione del problema dell’inquinamento dalla filiera del fluoro ed in particolare delle sostanze fluoro alchiliche. Parliamo di contaminanti globali, praticamente l’amianto del XXI secolo, che troviamo ogni volta che apriamo un rubinetto di casa o siamo direttamente in contatto con molti prodotti, dall’abbigliamento all’elettronica. Una sentenza che rafforza tutte quelle realtà come Medicina Democratica, che richiedono da tempo il divieto della produzione e dell’uso di questo ampio gruppo di sostanze: non vi sono altre alternative per ridurre l’esposizione ambientale dell’uomo della donna e soprattutto dai bambini.” “Uno dei piú complessi processi della storia dopo 133 udienze in Corte d’Assise si conclude con una semplice verità: chi avvelena e distrugge l’ambiente deve rispondere di fronte alla giustizia e deve pagare i danni causati“, ha aggiunto Edoardo Bortolotto, avvocato di parte civile di Medicina Democratica di altre associazioni e cittadini.   Medicina Democratica