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Giustizia per Mario Paciolla! Evento a Napoli
Martedì 15 luglio 2025 alle 18 Piazza Municipio, Napoli Martedì 15 luglio 2025, a cinque anni dalla morte di #MarioPaciolla, cooperante ONU trovato senza vita in Colombia nel 2020, Napoli scende di nuovo in piazza per chiedere verità e giustizia. Il corteo partirà alle ore 18.30 da Piazza Municipio per concludersi alle 19.30 in Piazza Dante. Seguirà alle 20.00 un evento pubblico al Parco Ventaglieri, con la proiezione dell’inchiesta giornalistica firmata da Antonio Musella per Fanpage, interventi istituzionali, testimonianze e contributi musicali. A moderare la serata sarà il giornalista Massimo Romano. La manifestazione avviene a seguito dell’archiviazione del caso da parte del Tribunale di Roma, che ha recentemente ritenuto la morte un suicidio. Una decisione che la famiglia, il Collettivo Giustizia per Mario Paciolla e numerose realtà sociali considerano inaccettabile, alla luce delle gravi contraddizioni mai chiarite. Interverranno tra gli altri Laura Lieto, vicesindaca del Comune di Napoli; Don Luigi Ciotti, presidente di Libera e Gruppo Abele; Vittorio Di Trapani, presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana; Beppe Giulietti, portavoce di Articolo 21; Marco Sarracino, deputato del Partito Democratico; Dario Carotenuto, deputato del Movimento 5 Stelle; Luigi de Magistris, portavoce di Unione Popolare; i docenti Chiara Ghidini e Diego Lazzarich dell’Università L’Orientale; Lia Cacciottoli e Mario Leombruno in rappresentanza del Direttivo del Festival del Cinema dei Diritti Umani; Don Tonino Palmese, presidente della Fondazione Polis; Don Tonio Dell’Olio, referente della Pro Civitate Christiana; Don Paolo Iannaccone del centro Ernesto Balducci di Udine. La serata sarà arricchita dalla partecipazione di importanti artisti della scena musicale napoletana, tra cui PeppOh, Giuseppe Di Taranto, Dario Sansone, Maldestro e la Banda Basaglia, che attraverso la musica contribuiranno a tenere viva la memoria e il messaggio di Mario. Durante l’iniziativa sarà anche presentato e sottoscritto da tutte le realtà presenti un Manifesto collettivo, che verrà consegnato come atto formale e pubblico della mobilitazione in corso. Il Collettivo invita cittadine e cittadini, istituzioni, università, movimenti e organizzazioni a partecipare numerosi: la memoria di Mario non può essere archiviata e la verità non può essere ignorata. Per informazioni e adesioni: giustiziapermariopaciolla@gmail.com       Redazione Napoli
La Procura di Roma decide l’archiviazione del caso Mario Paciolla. Il comunicato della famiglia
Prendiamo atto con dolore e amarezza della decisione del tribunale di Roma di archiviare l’omicidio di nostro figlio Mario. Noi sappiamo non solo con le certezze del nostro cuore, ma con le evidenze della ragione frutto di anni di investigazioni e perizie, che Mario non si è tolto la vita, ma è stato ucciso perché aveva fatto troppo bene il suo lavoro umanitario in un contesto difficilissimo e pericoloso in cui evidentemente non bisognava fidarsi di nessuno. Sappiamo che questa è solo una tappa, per quanto ardua e oltraggiosa, del nostro percorso di verità e giustizia. Continueremo a lottare finché non otterremo una verità processuale e non sarà restituita dignità a nostro figlio. Utilizziamo con rammarico e sofferenza il verbo “lottare”: mai avremmo pensato di dover portare avanti una battaglia per avere una giustizia che dovrebbe spettarci di diritto. Sappiamo però che non siamo e non resteremo mai soli. Grazie a tutte le persone che staranno al nostro fianco fino a quando la battaglia non sarà vinta. Anna e Giuseppe Paciolla con le figlie Raffaella e Paola e con le avvocate Emanuela Motta e Alessandra Ballerini. Redazione Italia
Migranti invisibili in fabbrica
C’è stato un giorno, a marzo del 2019, in cui un lavoratore straniero ha perso la vita all’interno di un’industria del Nord Italia. Non era un tecnico specializzato, né un dirigente. Era un operaio della carne. Non aveva un nome che i giornali abbiano mai riportato. Aveva però una madre, una figlia appena adolescente, una compagna — madre di quella bambina — e sei fratelli che lo amavano. Il suo lavoro era faticoso, ripetitivo, pericoloso, ma nessuno gli aveva mai consegnato un manuale. Nessuno lo aveva formato davvero. Gli dicevano solo di “fare in fretta”, di “fare come fanno tutti”, di “non creare problemi”. L’ingranaggio doveva girare. Sempre. E quando l’ingranaggio si è inceppato — con lui dentro — il sistema ha reagito come sa fare: ha negato. Ha detto che non era responsabilità sua. Che “forse è stato lui”, che “non doveva essere lì”. E ha continuato a produrre. Non era nemmeno un dipendente diretto. Lavorava per una cooperativa, in appalto. Un nome diverso, una scatola in più. La fabbrica vera, quella che dava ordini, firmava solo contratti con terzi. Impartiva direttive, ma non si assumeva colpe. Sei anni dopo, giustizia non è ancora arrivata. Il procedimento penale è stato archiviato dalla Procura di Milano, non perché qualcuno sia stato assolto, ma perché non si è riusciti nemmeno a individuare chi abbia azionato la macchina che ha causato la morte. L’ultima beffa: una morte senza colpevole. Una vita cancellata senza nessuno da ritenere responsabile. Nessuno ha mai detto: “Abbiamo sbagliato”. Si è preferito dire: “È stata una sua imprudenza”. Per lavarsi la coscienza, per tornare ai numeri del fatturato. Viviamo in un tempo che divora umanità. In cui la vita di un lavoratore — soprattutto se migrante, invisibile, precario — vale meno di un fermo macchina. In cui una figlia cresce senza un padre, mentre le aziende continuano indisturbate a produrre, a nascondersi dietro contratti, sigle, sigilli. Ma chi ha visto quel corpo spezzato, chi ha ascoltato il dolore di una madre, chi ha guardato negli occhi quella compagna che non ha potuto nemmeno dire addio, sa che non è stato un incidente. È stato il frutto di un sistema disumano e disumanizzante. Perché quando la vita di un uomo viene trattata come un fastidio, una variabile sacrificabile sull’altare dell’efficienza, non è solo lui a morire. È l’idea stessa di giustizia che viene sepolta sotto i macchinari. Patrizia Carteri