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Gaza, MSF: “Lanci di aiuti inutili e dannosi: governo italiano non cada nell’errore”
Sull’ipotesi che il governo italiano organizzi lanci aerei di aiuti umanitari su Gaza, annunciata ieri dal Ministro degli Esteri, Medici Senza Frontiere (MSF) avverte che questi lanci sono inefficaci e pericolosi e costringono le persone a rischiare la propria vita per cercare cibo. La soluzione più efficace, dignitosa e su ampia scala è aprire i varchi di terra dove tutto è già pronto per entrare, ed è l’unica strada da percorrere. “L’utilizzo dei lanci aerei per la consegna di aiuti umanitari è un’operazione cinica e inutile; il governo italiano non deve cadere in questo errore. Le strade ci sono, i camion ci sono, il cibo e i medicinali ci sono: tutto è pronto per l’ingresso degli aiuti a Gaza, che si trovano a pochi chilometri di distanza dal confine. Quel che serve è che le autorità israeliane decidano di facilitarne l’ingresso nella Striscia ed è su questo che il governo deve fare pressione: accelerare le procedure di autorizzazione, permettere l’ingresso di beni su larga scala e coordinarsi per consentire una raccolta e distribuzione degli aiuti sicura. Solo così potremo iniziare a risolvere il problema della devastante carestia a cui stiamo assistendo” dichiara la dott.ssa Monica Minardi, presidente di MSF.  Gli aiuti aerei riescono a trasportare molto meno delle 20 tonnellate di aiuti che può contenere un camion. Attualmente 2 milioni di persone sono intrappolate in un piccolo lembo di terra che rappresenta il 12% dell’intera Striscia. Se qualcosa atterra in quest’area ristretta, ci saranno inevitabilmente dei feriti. Se invece gli aiuti atterrano in zone che Israele ha messo sotto ordine di evacuazione, le persone saranno costrette a entrare in aree militarizzate, mettendo ancora una volta a rischio la propria vita pur di ottenere del cibo.       Medecins sans Frontieres
Palestina: malnutrizione acuta a livelli record in due centri sanitari di MSF a Gaza
LA MALNUTRIZIONE A GAZA È IL RISULTATO DI DECISIONI DELIBERATE E CALCOLATE DELLE AUTORITÀ ISRAELIANE. Le équipe di Medici Senza Frontiere (MSF) riscontrano un aumento considerevole e senza precedenti della malnutrizione acuta a Gaza. Nella clinica di Al-Mawasi, nel sud di Gaza, e nella clinica di MSF nella città di Gaza, a nord, osserviamo il maggior numero di casi di malnutrizione mai registrato dalle nostre équipe nella Striscia di Gaza. Più di 700 donne incinte e in fase di allattamento e quasi 500 bambini affetti da malnutrizione grave o moderata sono attualmente in cura nei centri di nutrizione terapeutica ambulatoriale di queste due cliniche. Nella clinica della città di Gaza, il numero di persone malnutrite è quasi quadruplicato in meno di due mesi. Il numero di casi è passato dai 293 di maggio ai 983 dei primi di luglio; 326 di questi sono bambini di età compresa tra sei e ventitré mesi. > « Questa è la prima volta che assistiamo a un tale numero di casi di > malnutrizione a Gaza », ha dichiarato Mohammed Abu Mughaisib, vice > coordinatore medico di MSF a Gaza. « La carestia qui è intenzionale e potrebbe > finire domani se le autorità israeliane permettessero l’ingresso di cibo in > quantità adeguata. » LA MALNUTRIZIONE SI INSERISCE IN UN CONTESTO DI COLLASSO GENERALE. La malnutrizione a Gaza è il risultato di decisioni deliberate e calcolate delle autorità israeliane. Queste limitano l’ingresso di cibo al minimo indispensabile, controllano e militarizzano le modalità di distribuzione e hanno distrutto la maggior parte della produzione alimentare locale. In un contesto di collasso generale, le persone rischiano la vita per ottenere appena il necessario per sopravvivere. Le quantità di cibo distribuite nei siti della fondazione umanitaria di Gaza, gestita da Israele e Stati Uniti, sono insufficienti. Le infrastrutture per il trattamento dell’acqua sono distrutte e le restrizioni sui carburanti limitano la produzione di acqua potabile. Il sistema sanitario è stato devastato e le condizioni di vita nei campi sovraffollati sono disastrose. Una madre palestinese riceve medicinali nella farmacia della clinica di MSF nella città di Gaza. Palestina, 2025. © Nour Alsaqqa/MSF  > « A causa della diffusa malnutrizione tra le donne incinte e delle pessime > condizioni della depurazione e del trattamento dell’acqua, molti bambini > nascono prematuramente », spiega Joanne Perry, medico di MSF. « La nostra > unità di terapia intensiva neonatale è estremamente sovraccarica. Ci sono da > quattro a cinque bambini per ogni incubatrice. » > > « Questa è la terza volta che vengo a Gaza, e non ho mai visto nulla di > simile. Le madri mi chiedono cibo per i propri figli e le donne incinte di sei > mesi spesso non pesano più di 40 chili. La situazione è più che critica. > » dice Joanne Perry. Prima di ottobre 2023, Gaza dipendeva già fortemente dagli approvvigionamenti esterni, con una media di 500 camion al giorno nella striscia di Gaza. Dal 2 marzo, ne sono entrati appena quel numero in totale. I valichi di frontiera destinati al passaggio degli aiuti umanitari sono spesso chiusi o soggetti a forti restrizioni. La produzione alimentare locale è quasi impossibile a causa degli scontri e della distruzione diffusa. I mercati sono vuoti o inaccessibili per la maggior parte delle persone. Di conseguenza, i prezzi dei prodotti alimentari sono saliti alle stelle in tutta la Striscia di Gaza. La maggior parte dei beni di prima necessità viene venduta a prezzi esorbitanti. Secondo il World Food Programme, un chilo di zucchero costa in media $100, mentre un chilo di patate o di farina costa circa $40. Molte famiglie sopravvivono quindi con un solo pasto al giorno, spesso composto solo da riso, lenticchie o pasta. Non hanno né pane né verdure fresche e non assumono proteine in quantità sufficiente. Un bambino palestinese malnutrito viene visitato nella clinica di MSF nella città di Gaza. Palestina, 2025. © Nour Alsaqqa/MSF  LA MALNUTRIZIONE OSTACOLA LA GUARIGIONE I genitori saltano deliberatamente i pasti per dar da mangiare ai figli. Anche le donne malnutrite, che ricevono alimenti terapeutici, finiscono per darli ai propri figli. « Sono madre anch’io e non posso biasimarle, perché farei lo stesso », spiega Nour Nijim, responsabile dell’équipe infermieristico di MSF. « Tuttavia, mi sento impotente come professionista della salute. Le persone hanno fame e ci chiedono alimenti terapeutici, ma non ne abbiamo abbastanza e possiamo prescriverli solo a persone che hanno ricevuto una diagnosi di malnutrizione. »» Le persone malnutrite sono solo la parte visibile di una crisi ben più ampia. Nelle cliniche di MSF, le persone ferite chiedono cibo più che cure mediche. A causa di una carenza di proteine, le loro ferite non guariscono. I nostri medici riscontrano nelle persone in convalescenza una rapida perdita di peso, infezioni persistenti e affaticamento visibile. MSF lancia un appello urgente per ottenere un accesso degli aiuti umanitari senza restrizioni, l’approvvigionamento di cibo e assistenza medica a Gaza e la tutela dei civili. -------------------------------------------------------------------------------- Traduzione dal francese di Simona Trapani. Revisione di Thomas Schmid. Medecins sans Frontieres
Quattro voci a proposito del Mar Mediterraneo
Giovedì 17 luglio presso gli spazi del Kontiki (Via Cigliano 7) di Torino ha avuto luogo la presentazione di due libri: “Sospesa: Una vita nella trappola dell’Europa” (add editore, 2025) di Mariangela Paone, giornalista di El País, e “Mare Aperto – Storia umana del Mediterraneo centrale” (Einaudi, 2025) di Luca Misculin, giornalista de Il Post. L’evento, organizzato in collaborazione con Medici Senza Frontiere e Mediterranea, ha visto anche gli interventi di Riccardo Gatti e Celeste Mosca, rispettivi collaboratori delle ONG coinvolte. Quattro voci impegnate nel raccontare alcuni dei volti del Mar Mediterraneo; luogo di migrazione, pirati, tragedie umane, commercio e storicamente al centro di un infinito dibattito politico. Nonostante la “piccola” dimensione del Mar Mediterraneo, racconta Luca Misculin, questa distesa d’acqua è lo sfondo di continui ed importanti eventi: la guerra russo-ucraina (il Mar Nero è la propaggine orientale del Mediterraneo), il conflitto tra Israele e Striscia di Gaza o il capovolgimento di Bashar al-Assad in Siria sono tutti esempi utili per osservare la centralità geografica, sociale e culturale del Mediterraneo. Misculin si tuffa in una parentesi storica. Intorno alla fine del ‘400, momento nel quale vengono scoperte le Americhe e di conseguenza si espande l’esplorazione dell’Oceano Atlantico, il Mediterraneo sembra perdere il proprio status di centro del mondo. Gli uomini del tempo, come avviene dopo ogni grande scoperta, sono convinti che il futuro mercantile (ma anche politico) si sposterà velocemente in quella zona che separa l’estremo Ovest europeo dall’Est americano, ma la realtà odierna del Mediterraneo si dimostra essere un capo d’abbigliamento intramontabile, un pino verde anche nel più gelido degli inverni. Continuando a nuotare nella Storia, Misculin abbraccia un racconto difficile da districare dall’afflato leggendario: l’autore, particolarmente concentrato nello studio del Canale di Sicilia, cita Lampedusa ed il suo antico e profondo legame con i pirati sviluppato tra i tre e i quattrocento anni fa. L’isola siciliana, parte dell’arcipelago delle Isole Pelagie, è il nodo centrale di un ipotetico Triangolo delle Bermude mediterraneo composto insieme all’Isola di Pantelleria e Malta; grazie alla sua pozione geografica propizia e all’assenza di abitanti, i pirati la trasformano presto in un’importante zona di attracco. I nuovi occupanti si rendono conto essere presente sull’Isola un santuario-grotta, eretto probabilmente al tempo dell’invasione musulmana della Sicilia, e lo trasformano in un luogo di culto tanto per i pirati cristiani, quanto per i musulmani. Lampedusa si trasforma in zona franca, di rifornimento e di conseguenza in un luogo in cui vige tra pirati la regola di non combattersi all’interno del territorio: tale legge di non belligeranza si estende velocemente anche a tutti quegli schiavi che, in un modo o in un altro (ad esempio, grazie ai naufragi delle imbarcazioni schiaviste su cui navigano), riescono a raggiungerne la riva; giunto sull’Isola, ogni uomo può considerarsi libero. Misculin, a questo punto, lascia spazio al presente storico: ancora oggi Lampedusa rappresenta per molte persone l’opportunità per una vita migliore e libera da povertà, guerre, fame o dittature. Il Mar Mediterraneo è un luogo profondamente eterogeneo in cui sono avvenute e avvengono le più disparate attività: dal commercio legale, al contrabbando; da eventi criminali, ad attraversate all’insegna di una vita migliore; da conflitti armati, alla pirateria. È in virtù di questa eterogeneità e vitalità che si dovrebbe prestare sempre attenzione al Mar Mediterraneo curandolo, con spirito di collaborazione nazionale ed internazionale, evitando di girargli le spalle e fingendo sia un problema di qualcun altro. Mariangela Paone raccoglie il microfono e racconta la storia di Rezwana Sekandari. Rezwana parte da Kabul (Afghanistan) insieme ai genitori (Naseer e Fatima), due sorelle (Negin e Mehrumah) ed un fratello (Hadith). Ma questo non è un viaggio di piacere come tanti. Naseer è un giornalista di un’emittente televisiva privata afghana e Rezwana fin da piccola ha la possibilità, grazie ai contatti del padre, di doppiare personaggi delle serie tv americane all’interno della medesima emittente. Tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015 Naseer decide di fuggire da Kabul a causa delle minacce ricevute in risposta alle inchieste svolte sulle autorità locali. Inizialmente la famiglia cerca un modo per viaggiare in modo sicuro chiedendo all’ambasciata statunitense dei visti per tutti, ma l’organo USA dà la possibilità solo alla madre ed ai figli di lasciare il Paese. Fatima, dunque, rifiuta perché non se la sente di intraprendere da sola un viaggio con quattro bambini. A questo punto la famiglia imbocca l’itinerario alternativo: volano a Teheran (Iran), si spostano dalla capitale a Tabriz (Iran) per poi prendere un autobus diretto verso il confine turco; qui, a bordo di un’automobile, vengono condotti su un furgone che, dopo svariati tentativi, riesce a portarli in territorio turco e poi ad Istanbul (Turchia); la successiva fermata è una spiaggia di Smirne (Turchia) in cui si imbarcano su un’affollata nave di profughi (sono 300 le persone a bordo) in rotta per l’Isola di Lesbo (Grecia). Il 28 ottobre 2015, momento nel quale Rezwana ha 13 anni, la nave di legno su cui la famiglia viaggia affonda a tre chilometri dalla costa; Naseer, Fatima, Negin, Mehrumah e Hadith muoiono annegati. Rezwana viene invece tratta in salvo da un peschereccio turco. La bambina riceve asilo in Grecia e poi riesce a raggiungere la Svezia (il Paese che Naseer sognava di raggiungere fin dal principio) grazie ad una prozia che vi abita. Purtroppo però la storia non è ancora conclusa: al compimento dei 18 anni, Rezwana è costretta a tornare in Grecia a causa del Regolamento di Dublino; viene deportata ad Atene nel febbraio 2020 (luogo in cui tutt’ora abita). È qui che Mariangela Paone (già a conoscenza fin dal 2015 del caso di Rezwana) interviene decidendo di scrivere un libro impegnato nel raccontare la storia della giovane donna. La giornalista riferisce di averla incontrata la prima volta nel 2021 nella capitale greca, occasione in cui immediatamente Rezwana chiede se sia possibile rintracciare i corpi della sua famiglia. Grazie agli sforzi di quella che Paone chiama la “rete dei fili invisibili” (persone che tengono a galla persone nonostante le falle del sistema di accoglienza), vengono ritrovati nel cimitero di Kato Tritos le tombe della madre (Fatima) e di una delle sorelle (Negin). Paone passa il microfono a Riccardo Gatti, SAR team leader, SAR advisor e Skipper attualmente legato a Medici Senza Frontiere. L’attivista denuncia la scelleratezza e la violenza strutturale del sistema di accoglienza, in particolare concentrandosi sul recente Decreto Piantedosi in materia di immigrazione. Quest’ultimo, infatti, mette mano sui metodi di assegnazione dei porti sicuri che comportano la selezione di attracchi lontani dai luoghi di salvataggio (in altre parole, lontani della Sicilia). La conseguenza di tale provvedimento è un drastico aumento dei costi di gestione per le navi ONG (ad esempio, se si salvano dei naufraghi a Sud della Sicilia è spaventosamente più costoso farli sbarcare a Genova che non sull’Isola stessa) e dei tempi di navigazione (ciò che prima si faceva in tre giorni di viaggio, ora ne richiede fino a dieci). Il Decreto Piantedosi è uno strumento di dissuasione che sembra aver funzionato (almeno in parte e momentaneamente): la Geo Barents, nave di Medici Senza Frontiere che ha salvato oltre 16mila persone in mare, ha interrotto nel 2024 le sue attività di salvataggio anche a causa degli eccessivi costi di navigazione per raggiungere i porti sicuri. Gatti cede la parola a Celeste Mosca, attivista e Rhib driver di Mediterranea. Mosca racconta l’intricata vicenda in cui Mediterranea è coinvolta, un’indagine operata dal GUP del Tribunale di Ragusa. Per ulteriori informazioni in merito, ne ho scritto in precedenza in questo articolo: Il mare affondato: Mediterranea Saving Humans tra CPR, indagini e rifugi. L’incontro si conclude con una preoccupazione. Misculin e Paone hanno timore dello stigma che vive chiunque si occupi di immigrazione: dai giornalisti, ai divulgatori; dai pochi politici interessati alla protezione dei migranti, agli attivisti; dai volontari, alle associazioni. I due giornalisti guardano con apprensione alla crescita dello stigma perché tale reprobazione può portare le persone a smettere di occuparsi di migrazione e, di conseguenza, alla fuoriuscita del tema migratorio dall’agenda comunicativa. È necessario ricordarlo: nonostante si parli di migranti in termini numerici, ognuno di loro è un figlio di qualcuno, una persona che ha sogni, progetti, aspirazioni e desideri; come tale va rispettata ed aiutata. È facile far ricadere le responsabilità sugli altri, ma se si vuole indicare la via della democrazia, è necessario sobbarcarsi l’onere di essere un esempio virtuoso. Michael Giargia
Gaza, MSF: “Ennesimo fallimento dell’UE per fermare il genocidio in corso”
MSF chiede agli Stati membri azioni concrete per fermare l’assedio di Israele. I ministri degli affari esteri dell’Unione Europea (UE) hanno mostrato per l’ennesima volta di non voler esercitare alcuna pressione su Israele per porre fine alla distruzione deliberata e sistematica delle vite dei palestinesi a Gaza, rendendosi così complici del genocidio perpetrato dalle autorità israeliane. Le conclusioni del Consiglio Affari Esteri che si è tenuto il 15 luglio confermano l’ipocrisia degli Stati membri e il loro persistente doppio standard nel proteggere i civili e nel garantire il rispetto del diritto internazionale umanitario. Medici Senza Frontiere (MSF) ribadisce il suo appello all’UE affinché agisca concretamente. Ogni Stato ha la responsabilità morale e giuridica di riconoscere e fermare le atrocità in corso a Gaza. A seguito del Consiglio Affari Esteri i leader dell’UE hanno rilasciato dichiarazioni fuorvianti su Gaza, e l’Alto rappresentante dell’UE Kaja Kallas ha affermato che ci sono ‘segnali positivi’ che gli aiuti saranno consegnati, mentre Israele continua a bombardare i bambini in fila per prendere acqua, spara sulle persone che cercano il cibo e continua a mantenere  sotto assedio un’intera popolazione, usandola come strumento di punizione collettiva. Se lo volesse, Israele potrebbe garantire cibo, acqua e medicine a sufficienza a uomini, donne e bambini palestinesi, ma invece continua a mantenere la sua morsa sulla Striscia. Nel frattempo, i leader dell’UE non solo non affrontano la questione dell’assedio imposto da Israele, ma mancano anche del coraggio e dell’umanità necessari per esercitare pressioni sulle autorità israeliane affinché queste pongano fine all’uccisione quotidiana di innocenti. Il 16 giugno, MSF ha inviato una lettera aperta con un messaggio molto chiaro ai leader dell’UE: l’UE ha i mezzi politici, economici e diplomatici per esercitare una reale pressione su Israele affinché ponga fine alle atrocità di massa e apra immediatamente i valichi di frontiera di Gaza per consentire l’ingresso degli aiuti. La popolazione di Gaza non può più aspettare; gli Stati membri dell’UE devono agire con urgenza per fermare la deliberata distruzione della popolazione palestinese a Gaza. Gli operatori di MSF a Gaza lavorano instancabilmente e in condizioni critiche da quasi 2 anni e 12 di loro sono stati uccisi dalle forze israeliane. I team di MSF ricevono regolarmente pazienti con ferite da arma da fuoco, molti dei quali sono stati attaccati nei centri di distribuzione di cibo gestiti dalla Gaza Humanitarian Foundation. Quasi 800 persone sono state uccise mentre cercavano di procurarsi del cibo per sopravvivere nei centri di distribuzione. Quante altre vite dovranno essere perse prima che l’UE intervenga? Quali ulteriori violazioni del diritto internazionale umanitario devono verificarsi prima che le atrocità commesse da Israele contro la popolazione di Gaza abbiano fine?     Medecins sans Frontieres
Afghanistan, MSF: “Cresce il numero dei pazienti pediatrici negli ospedali”
In Afghanistan cresce sempre di più la pressione sui reparti pediatrici supportati da Medici Senza Frontiere (MSF) in diversi ospedali nelle province di Helmand, Balkh ed Herat. Il numero di bambini che necessitano di cure d’emergenza nelle unità di terapia intensiva pediatrica e neonatale è in crescita, e spesso 2 o anche 3 bambini devono condividere lo stesso letto. Da inizio anno fino al 10 giugno scorso, a causa dei tagli dei finanziamenti statunitensi, circa 422 strutture sanitarie in Afghanistan hanno sospeso le loro attività o hanno chiuso, pregiudicando l’accesso all’assistenza sanitaria per oltre 3 milioni di persone, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Inoltre, la situazione nel paese era già grave prima dell’interruzione degli aiuti statunitensi e del taglio di oltre 1 miliardo di dollari di finanziamenti per i progetti USAID in Afghanistan stimato dell’Ispettorato generale per la ricostruzione dell’Afghanistan (Sigar). “Le famiglie hanno difficoltà ad ottenere l’assistenza sanitaria di cui hanno bisogno. Molte strutture sanitarie, a tutti i livelli, non hanno personale sufficiente né farmaci di base e attrezzature diagnostiche. La chiusura di molte strutture sanitarie o la riduzione delle loro attività avrà un impatto molto pesante sulla disponibilità dei servizi sanitari di base in particolare per donne e bambini, che dovranno aspettare più a lungo o fare viaggi più lunghi solo per ricevere le cure” afferma Julie Paquereau, coordinatrice medica di MSF in Afghanistan. “Questo spingerà più neonati e bambini in pericolo di vita verso ospedali provinciali e regionali già sovraccarichi, compresi quelli supportati da MSF. E alcuni potrebbero non accedere mai alle cure, per l’impossibilità di raggiungere una struttura sanitaria”. Trovare lo spazio, il tempo e le risorse necessarie per curare il crescente numero di pazienti pediatrici è una sfida, perché decine di bambini e neonati che arrivano nei reparti pediatrici richiedono cure mediche immediate per problemi come insufficienza respiratoria, sepsi e grave malnutrizione. “È appena iniziato il turno di notte e tutti i letti del reparto pediatrico sono pieni, spesso sono condivisi da 2 pazienti. Ho 17 pazienti in attesa di essere ricoverati, ma non c’è posto dove metterli” afferma il dottor Ahmed*, medico del pronto soccorso di MSF nel reparto pediatrico del Boost Hospital nella provincia di Helmand. In questo ospedale il numero dei bambini sotto i 5 anni nel pronto soccorso è più che raddoppiato dal 2020 al 2024, passando da 53.923 a 122.335 pazienti. Solo ad aprile di quest’anno sono stati visitati 13.738 bambini, il numero più alto di visite mensili dal 2020. Nell’ospedale regionale di Herat, supportato da MSF, il numero di famiglie che affluiscono al triage pediatrico è in crescita da anni. Solo nel 2025 in una giornata media, gli infermieri del triage visitano 1.300 pazienti e alcuni giorni arrivano più di 2.000 neonati e bambini, in attesa di essere visitati. Nei primi 5 mesi del 2025, ogni giorno in media sono stati visitati al pronto soccorso 354 bambini con un aumento del 27% rispetto allo stesso periodo del 2024. “Molte famiglie ci dicono che non hanno soldi per il trasporto in ospedale, aspettano di vedere se il loro bambino guarisce o se riescono a trovare i soldi. Il risultato è un ritardo nelle cure e un peggioramento delle condizioni” afferma Jameela*, infermiera di MSF che lavora nel triage pediatrico dell’ospedale di Herat. Dall’altra parte del paese, nel reparto pediatrico dell’ospedale regionale di Mazar-i-Sharif, nella provincia settentrionale afghana di Balkh, solo a maggio ogni giorno sono arrivati in media 51 pazienti in condizioni molto critiche, che necessitavano di cure immediate. Le previsioni purtroppo non sono positive visto che il numero di bambini in condizioni critiche è destinato ad aumentare nelle prossime settimane, poiché i casi di malnutrizione inizieranno a raggiungere il picco stagionale a luglio.   Cure pediatriche di MSF in Afghanistan Dal 2009, MSF collabora con il Ministero della salute per supportare il Boost Hospital di Helmand, principale centro di riferimento per le strutture sanitarie della provincia e dei distretti limitrofi. Nel 2024, le équipe mediche di MSF e del Ministero della salute hanno ricevuto 273.976 pazienti al pronto soccorso. Presso l’ospedale regionale di Herat, MSF gestisce i servizi di assistenza pediatrica, tra cui il pronto soccorso, l’unità di terapia intensiva, il reparto di isolamento del morbillo e il trattamento della malnutrizione. Nel 2024, le équipe di MSF hanno effettuato 101.455 visite di pronto soccorso pediatrico. Dall’agosto 2023, MSF supporta il dipartimento pediatrico dell’ospedale regionale di Mazar-i-Sharif nella provincia di Balkh e solo nel 2024 ha fornito 52.408 visite al pronto soccorso per pazienti pediatrici e neonatali.   *Nomi cambiati per proteggere l’identità.   Medecins sans Frontieres
Gaza, MSF: “La distribuzione della GHF è un massacro mascherato da aiuto umanitario”
Il sistema di distribuzione alimentare promosso da Israele e Stati Uniti a Gaza, avviato un mese fa, umilia intenzionalmente i palestinesi, costringendoli a scegliere tra fame e rischio di morte per ottenere scorte minime di cibo. Più di 500 persone sono state uccise nei punti di distribuzione e quasi 4.000 sono state ferite mentre cercavano di procurarsi del cibo. Questo sistema di distribuzione è un massacro mascherato da aiuto umanitario e deve essere fermato immediatamente.  Medici Senza Frontiere (MSF) chiede alle autorità israeliane e ai loro alleati di revocare l’assedio e consentire l’ingresso di cibo, carburante, forniture mediche e umanitarie, ristabilendo un sistema di aiuti fondato sui veri principi umanitari, come quello precedentemente coordinato dalle Nazioni Unite. Questa catastrofe è stata orchestrata da un’organizzazione creata per conto di Israele e Stati Uniti che opera sotto il nome di Gaza Humanitarian Foundation (GHF). Il metodo di distribuzione usato costringe migliaia di palestinesi — affamati da oltre 100 giorni di assedio — a percorrere lunghe distanze a piedi per raggiungere i 4 siti di distribuzione, dove le persone lottano per contendersi pochi avanzi di cibo. Questi punti distribuzione sono di difficile accesso per categorie più vulnerabili, come donne, bambini, anziani e persone con disabilità, e nel caos che si crea, le persone vengono uccise e ferite ogni giorno. Eppure, ogni nuova atrocità sembra non suscitare più reazioni né condanne da parte della comunità internazionale che appare quasi rassegnata nel suo ruolo davanti a uno scenario ormai riconducibile a un genocidio. La situazione è insostenibile. “I 4 siti di distribuzione si trovano in aree sotto il totale controllo delle forze israeliane, da cui la popolazione era stata precedentemente sfollata con la forza. Sono aree grandi come campi da calcio, circondate da postazioni di sorveglianza, cumuli di terra e filo spinato. C’è un solo varco d’accesso, tutto recintato” afferma Aitor Zabalgogeazkoa, coordinatore dell’emergenza di MSF a Gaza. “Gli addetti della GHF scaricano pallet e scatole di viveri, poi aprono le recinzioni, facendo entrare migliaia di persone contemporaneamente, che si ritrovano a lottare per contendersi anche un singolo chicco di riso”. “Chi arriva prima e si avvicina ai posti di blocco, viene colpito. Chi arriva in orario ma scavalca i cumuli di terra e filo per via del sovraffollamento di persone, viene colpito. Chi arriva in ritardo, non dovrebbe essere lì perché si trova in una zona sottoposta a evacuazione e quindi viene colpito” aggiunge Zabalgogeazkoa di MSF. Ogni giorno, le équipe di MSF vedono pazienti uccisi o feriti mentre cercavano di procurarsi cibo in uno di questi siti. “Molte persone vengono colpite direttamente. Questo non è un aiuto, è una trappola mortale” afferma Hani Abu Soud, un membro della comunità del centro per cure primarie di Al-Mawasi. “Ci stavano per uccidere uno per uno. Avevamo fame, cercavamo solo di dare da mangiare ai nostri figli. Che altro posso fare? Un sacchetto di lenticchie costa circa 30-40 shekel (6–10 euro). Non abbiamo quella somma di denaro. La morte è diventata più economica della sopravvivenza”. Da quando le distribuzioni sono in corso, le équipe mediche hanno notato un netto aumento del numero di pazienti con ferite da arma da fuoco. Nell’ospedale da campo di MSF a Deir Al-Balah il numero di pazienti con ferite da arma da fuoco è aumentato del 190% nella settimana dell’8 giugno rispetto alla settimana precedente. Gli ospedali di Gaza, ancora a malapena funzionanti, sono devastati e vanno avanti solo con scorte minime di analgesici, anestetici e sangue. Ospedali pienamente funzionanti farebbero fatica a far fronte a un numero così elevato di pazienti traumatizzati che inondano ogni giorno i pronto soccorso. I pazienti feriti cercano aiuto nelle cliniche di base o negli ospedali da campo, dal momento che gli ospedali più grandi e meglio attrezzati per fornire cure per traumi violenti sono stati danneggiati dagli attacchi israeliani alle strutture sanitarie, e molti non sono più funzionanti. La clinica di MSF ad Al Mawasi, che solitamente non è attrezzata per curare pazienti con traumi, dal 7 giugno ha ricevuto 423 feriti provenienti dai siti di distribuzione, dai quali ogni giorno arrivano 10 o più pazienti con lesioni violente. Queste lesioni richiedono cure salvavita immediate, come trasfusioni di sangue o interventi chirurgici, che le équipe mediche di MSF non possono fornire in una clinica sanitaria di base. I pazienti vengono trasferiti nei pochi ospedali rimasti ancora funzionanti come l’ospedale Nasser, ma con l’assistenza sanitaria così scarsa, MSF ha ricevuto segnalazioni di persone ferite nei siti di distribuzione degli aiuti che muoiono a causa delle ferite prima ancora di poter ricevere cure. Il 23 giugno Ashraf, un ragazzo di 17 anni che vive in una tenda con la sua famiglia ormai priva di cibo, si è recato in un sito di distribuzione. “Gli ho detto che era troppo pericoloso, ma lui ha risposto che voleva prendere qualcosa per sua sorella” racconta sua madre Hanan che era in cura presso la clinica sanitaria di base di Al Mawasi. “Trenta minuti dopo mi ha chiamato, chiedendo aiuto. Gli avevano sparato. Questo aiuto è intriso di sangue“. Gli aiuti non devono essere controllati da una parte in guerra per perseguire i propri obiettivi militari. Le autorità israeliane hanno utilizzato una tattica deliberata di privazione del cibo contro i palestinesi di Gaza. Hanno utilizzato la fornitura di cibo come arma di guerra, negandolo alle persone e poi limitandolo a un rivolo, in completa violazione del diritto umanitario internazionale. I principi umanitari esistono per consentire l’arrivo degli aiuti a coloro che ne hanno più bisogno con dignità. Gli aiuti devono essere erogati su larga scala, in linea con questi principi. La popolazione di Gaza ha un bisogno vitale e immediato del ripristino di un vero sistema di aiuti e di un cessate il fuoco duraturo, per la sua stessa sopravvivenza.     Medecins sans Frontieres
26 giugno, Giornata mondiale in supporto delle persone sopravvissute a tortura. Rapporto MSF “Disumani”: tortura elemento strutturale della rotta migratoria del Mediterraneo
Sono soprattutto uomini, con un’età media di 25 anni. Poco più della metà delle torture documentate sono avvenute in Libia, mentre un terzo in 9 Paesi considerati sicuri dall’Italia. Quanto alle donne, l’80% delle pazienti ha subito uno o più episodi di violenza sessuale. Complessivamente, il 67% presenta sintomi da stress post-traumatico e soprattutto solo il 22% ha ottenuto lo status di rifugiato, nonostante le torture subite. Sono i dati dei pazienti sopravvissuti a tortura assistiti a Palermo dal team di Medici Senza Frontiere (MSF) in collaborazione con  l’l’Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico “Paolo Giaccone”, il Dipartimento PROMISE, la CLEDU (Clinica Legale per i Diritti Umani) e l’Università degli Studi di Palermo, pubblicati nel rapporto internazionale “Disumani” (PDF), in occasione della Giornata mondiale in supporto delle vittime di tortura. Il rapporto racconta le conseguenze devastanti di queste violenze sulla vita di migliaia di persone in mancanza di vie legali e sicure per la ricerca di protezione, che dimostrano la necessità di percorsi e servizi integrati di cura e impongono maggiore attenzione, responsabilità e risposte adeguate da parte dei Paesi di accoglienza, a partire dall’Italia. “Forme di violenza estrema, tra cui la tortura, sono un elemento strutturale e diffuso lungo la rotta migratoria mediterranea” afferma Elisa Galli, responsabile del progetto di MSF a Palermo. “Lasciano cicatrici profonde e durature che vanno trattate con un percorso di cure che permette la ricostruzione della propria identità e di ritrovare fiducia negli altri e speranza nel futuro. Un supporto specialistico adeguato è essenziale affinché la vita di queste persone possa ricominciare, a partire dalla loro salute”. Il rapporto viene presentato durante il convegno “Tortura: Universalmente vietata, universalmente praticata”  il 26 giugno presso l’Università di Palermo, dove esperti e rappresentanti delle istituzioni e di realtà territoriali analizzano il fenomeno della tortura sotto il profilo giuridico, medico, psicologico e sociale, confrontandosi su strategie e modelli di presa in carico di persone sopravvissute a violenza intenzionale e tortura (programma completo). Durante il convegno viene presentato il progetto multimediale della fotografa Valentina Tamborra “Restano i fiori – L’identità che sopravvive alla tortura” che comprende foto, video e testimonianze di alcuni pazienti del progetto di Palermo. Tra i pazienti MSF: 60% delle torture avvenute in Libia, in aumento gli episodi in Tunisia e Algeria, 1 caso su 3 avvenuto in 9 Paesi considerati sicuri dall’Italia Tra gennaio 2023 e febbraio 2025, 160 persone sono state prese in carico dal progetto di Palermo dedicato a sopravvissuti a tortura. Le persone assistite provengono da 20 diversi Paesi, tra cui la maggior parte da Bangladesh, Gambia e Costa d’Avorio. L’età media è di 25 anni e il 75% sono uomini. Il 60% degli episodi di torture e trattamenti degradanti riportati dai pazienti sono avvenuti in Libia – un dato che conferma quanto la violenza sia sistematica nel Paese – e il 36,5% degli episodi sono avvenuti in 9 Paesi inseriti nella lista di Paesi designati come sicuri dal Governo italiano e dalla Commissione Europea ai fini del rimpatrio: Algeria, Bangladesh, Costa d’Avorio, Egitto, Gambia, Ghana, Marocco, Tunisia e Senegal. Alcuni pazienti (2%) hanno riportato di aver subito torture anche nei Paesi di arrivo, tra cui l’Italia. Nel 60,3% dei casi riportati, i responsabili della tortura sono i trafficanti, e nel 29% dei casi sono ufficiali delle forze dell’ordine. Rispetto al 2023, nel 2024 si registra un aumento dei casi di tortura avvenuti in Tunisia e Algeria tra le persone assistite da MSF, con un aumento rispettivo dall’11% al 24% e dal 3% al 15%. Violenze sessuali e di genere sono comuni lungo il percorso migratorio, specialmente per le donne: l’80% delle pazienti riferisce di aver subito uno o più episodi di violenza sessuale e il 70% ha subito violenza di genere nel Paese di origine. Gli uomini non sono esclusi: alcuni pazienti hanno raccontato di aver subito torture che includevano violenza sessuale o di essere stati costretti ad assistere allo stupro della propria moglie o sorella. “Mia moglie ed io siamo dovuti scappare dal Camerun, suo padre l’ha violentata e perseguitata da quando era piccola. In Libia siamo stati rapiti e venduti ai trafficanti. Mi hanno costretto a lavorare per loro e quando ho provato a ribellarmi, a fuggire, mi hanno torturato: non mi davano da bere né da mangiare, mi hanno picchiato, frustato. Mi hanno costretto a prendere dei vetri rotti e a stringerli tra le mani” ha raccontato un paziente ai team di MSF. “Ma la cosa peggiore che hanno fatto è stata violentare mia moglie davanti a me, poi l’hanno costretta a prostituirsi. Mi hanno torturato ogni volta che ho provato a ribellarmi. Mi dicevano che l’avrebbero uccisa se non obbedivo”. Gli effetti della tortura: conseguenze fisiche e psicologiche. Stress post-traumatico nel 67% dei casi Torture e maltrattamenti – come percosse, frustate, bruciature, rimozione delle unghie, folgorazioni, soffocamento – possono avere effetti molteplici e profondi a livello fisico, psicologico, culturale e sociale. Il dolore cronico rappresenta una conseguenza comune tra le persone sopravvissute, considerando la brutalità fisica di molte pratiche di tortura che in alcuni casi vengono inflitte in modo ripetuto. Oltre alle conseguenze fisiche, che comprendono sintomi muscoloscheletrici (15%), all’apparato digerente (12%), neurologici (9%), oculistici (6%) e ginecologici (6%), la tortura lascia anche profonde cicatrici persistenti e debilitanti in termini di salute mentale, che tendono a influenzare tutti gli aspetti della vita della persona. Il 67% delle persone assistite presenta stress post-traumatico, con depressione e disturbi dell’ansia, il 3% dei pazienti ha manifestato pensieri suicidari. “Lavoriamo con i pazienti per fare in modo che i flashback e i pensieri intrusivi si trasformino in ricordi piuttosto che in esperienze ritraumatizzanti” dichiara Carmela Virga, psicologa di MSF a Palermo. “Il percorso terapeutico parte dalla creazione di una relazione di fiducia, uno spazio sicuro in cui il paziente possa sentirsi nuovamente un essere umano libero di scegliere e decidere per sé stesso, spezzando le dinamiche di potere esercitate dai responsabili delle torture”. Vulnerabilità giuridica delle persone sopravvissute a tortura: solo il 22% ha ottenuto status di rifugiato Nonostante le persone assistite dal progetto siano sopravvissute a torture e trattamenti inumani e degradanti, solo il 22% di coloro di cui è stato riportato lo status giuridico al momento dell’ammissione e della dimissione dal progetto è titolare dello status di rifugiato e il 5% di protezione sussidiaria. Il resto dei pazienti non solo deve affrontare le conseguenze fisiche e psicologiche della tortura, ma si ritrova anche in una condizione di vulnerabilità e precarietà dal punto di vista giuridico, che aggrava la loro condizione di incertezza e instabilità sociale ed economica. Un quadro estremamente preoccupante della gestione emergenziale e deumanizzante del sistema di accoglienza italiano, aggravato da normative sempre più restrittive e limitanti in materia di migrazione e riconoscimento della protezione internazionale. Le richieste di MSF: necessarie risposte istituzionali adeguate Alla luce delle evidenze emerse dal rapporto, che mostrano gli effetti debilitanti della tortura sull’individuo, MSF sollecita risposte istituzionali adeguate ai bisogni di cura e assistenza delle persone migranti sopravvissute a tortura, nel rispetto degli obblighi che l’Italia ha nei loro confronti. Pertanto, MSF chiede che: * L’Italia si conformi pienamente agli obblighi sanciti dalla Convenzione contro la tortura (1984), in particolare all’articolo 14, che riconosce alle vittime il diritto alla riabilitazione più completa possibile, assicurando un adeguamento efficace del sistema di accoglienza e dei servizi sociosanitari dedicati. * Le Linee guida per la programmazione degli interventi di assistenza e riabilitazione adottate dal Ministero della Salute nel 2017 vengano rigorosamente attuate su tutto il territorio nazionale, superando disomogeneità e carenze esistenti, per consentire  alle persone sopravvissute a tortura di accedere realmente a un supporto adeguato ai loro bisogni, in conformità con gli obblighi dell’Italia verso il diritto internazionale. * Vengano superate le barriere istituzionali e le politiche migratorie restrittive, ripristinando e potenziando un sistema di accoglienza e assistenza inclusivo e ben strutturato, capace di assicurare una tempestiva identificazione delle vulnerabilità, un’effettiva presa in carico e riabilitazione delle persone sopravvissute a tortura. * Siano sostenuti e garantiti percorsi di accesso sicuri, evitando che le persone siano costrette a transitare attraverso Paesi o territori in cui sono notoriamente esposte a pratiche di tortura e violenze. Il progetto di Palermo per persone migranti sopravvissute a violenza intenzionale e tortura A Palermo, Medici Senza Frontiere (MSF), l’Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico “Paolo Giaccone”, l’Università degli Studi di Palermo, il Dipartimento PROMISE e la Clinica Legale per i Diritti Umani (CLEDU) gestiscono un servizio specialistico per la presa in carico di persone migranti e rifugiate sopravvissute a violenza intenzionale e tortura. Un progetto nato alla fine del 2020 che propone un modello di cura basato su équipe interdisciplinari composte da medici, psicologi, operatori sociali, mediatori interculturali e altri specialisti per dare una risposta coordinata, integrata e personalizzata ai bisogni dei pazienti. Da gennaio 2021 ad oggi sono stati presi in carico circa 320 pazienti. ReSST, la Rete Italiana per il Supporto alle Persone Sopravvissute a Tortura  MSF, in collaborazione con Caritas, Ciac, Kasbah, Medici Contro la Tortura, MEDU, NAGA e SaMiFo ASLRoma 1, ha dato vita a dicembre 2024 alla Rete Italiana per il Supporto alle Persone Sopravvissute a Tortura (ReSST). Tra i suoi obiettivi, quelli di informare e sensibilizzare sulla tortura e le sue conseguenze, migliorare la disponibilità e la qualità dei servizi per la riabilitazione delle persone sopravvissute a tortura, promuovere attività di ricerca scientifica, formazione e aggiornamento professionale. La ReSSt ha presentato il 25 giugno il Primo Report annuale 2024. Per maggiori informazioni: https://controlatortura.it/       Medecins sans Frontieres