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Premi ai dirigenti dell’Azienda Sanitaria, una scelta che forse andrebbe rivista
L’assegnazione dei premi ai dirigenti dell’Azienda Sanitaria romagnola, in un momento in cui il sistema sanitario pubblico è sotto pressione, i servizi ai cittadini risultano carenti e il personale sanitario continua a lavorare in condizioni difficili e spesso senza adeguato riconoscimento economico è poco accettabile e slegato dalla realtà. La scelta di assegnare premi di risultato e incentivi economici a figure apicali, sebbene abbiano raggiunto gli obiettivi prefissati dall’azienda sanitaria locale, forse andrebbe rivista, o meglio, gli obiettivi dovrebbero avere il compito di spingere sempre di più il servizio sanitario pubblico a riconnettersi con le esigenze quotidiane dei cittadini/pazienti e di chi in ospedale lavora. In una fase in cui la sanità pubblica richiede investimenti, trasparenza e maggiore equità, scelte come questa rischiano di minare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni sanitarie e di aggravare la frattura tra vertici e base. Sinistra Italiana chiede alla Regione Emilia-Romagna e all’assessorato alla Sanità di rendere pubblici i criteri con cui sono stati assegnati i premi ai dirigenti; rivedere i meccanismi di valutazione, legandoli realmente alla qualità dei servizi e ai bisogni del territorio, ad un investimento sul personale sanitario di prima linea e sui servizi ai cittadini. Nell’intervenire su questo tema, non possiamo comunque astenerci dal rimarcare l’assoluta ipocrisia di una destra che localmente fa polemica su standard e bilanci della sanità, mentre a livello nazionale taglia, privatizza, e smantella il sistema nel suo complesso, senza parlare poi delle Regioni che loro governano, dove il servizio sanitario è sempre più nelle mani del privato. Il diritto alla salute è un bene comune non un profitto per pochi. È ora di smettere di trattarlo come un’azienda da premiare o punire secondo logiche manageriali, che non possono essere centrali quando parliamo di un servizio pubblico essenziale. Al centro deve rimanere il servizio e la sua capacità quantitativa e qualitativa. Sinistra Italiana Emilia-Romagna si adopererà sempre e solo per una sanità pubblica, giusta e davvero al servizio delle persone. Sinistra Italiana – Emilia-Romagna, 12/09/2025 Redazione Romagna
La Life Support salpa da Siracusa con la Global Sumud Flotilla
La Life Support, la nave di EMERGENCY, è in partenza dal porto di Siracusa insieme alla delegazione italiana della Global Sumud Flotilla. La nave di ricerca e soccorso dell’Ong fondata da Gino Strada sarà l’ultima a partire delle barche italiane dirette a Gaza, avrà il ruolo di nave osservatrice e offrirà supporto medico e logistico alle navi che dovessero averne necessità. EMERGENCY insieme alla flotta italiana si incontrerà poi con la delegazione internazionale, composta da tutte le barche partite dalla Spagna e dalla Tunisia e lungo la rotta anche con quelle partite dalla Grecia. La Life Support offrirà assistenza sanitaria ai partecipanti in caso di necessità, garantirà assistenza per riparare attrezzature tecniche danneggiate e contribuirà al rifornimento di acqua e viveri alle barche della flotta. “EMERGENCY ha deciso di aderire a questa iniziativa promossa dalla società civile perché ha visto direttamente le condizioni della popolazione nella Striscia – dichiara Anabel Montes Mier, capomissione della Life Support di EMERGENCY. Lo staff, che lavora nella Striscia in due centri sanitari nel governatorato di Khan Younis, riporta una situazione gravissima, mai vista prima. Di fronte al silenzio e all’inazione dei governi, l’ampia partecipazione dei cittadini alle manifestazioni a sostegno di questa cordata umanitaria è segno di una volontà di pace e giustizia che condividiamo e vogliamo sostenere.” La Life Support, nave di ricerca e soccorso di EMERGENCY, è operativa dal dicembre 2022 e da allora ad oggi ha soccorso un totale di 3.001 persone con 36 missioni nel Mediterraneo Centrale. Per la Flotilla partirà domani chiudendo la delegazione italiana con un equipaggio di 29 persone formato da medici, infermieri, logisti, mediatori culturali, soccorritori e marittimi. EMERGENCY è a Gaza da agosto 2024 e attualmente lavora nella sua clinica nella località di al-Qarara, nel governatorato di Khan Younis. Qui offre primo soccorso, assistenza medico-chirurgica di base per adulti e bambini, attività ambulatoriali di salute riproduttiva e follow up infermieristico post-operatorio, stabilizzazione di emergenze medico-chirurgiche e trasferimento presso strutture ospedaliere. Nella clinica dall’apertura, a gennaio 2025, a fine luglio ha visitato in media 241 persone al giorno con picchi anche di 400. Su un totale di oltre 23 mila visite effettuate nello stesso periodo, oltre la metà sono state su minori. Prosegue inoltre il lavoro dell’Ong per offrire assistenza sanitaria di base alla popolazione nella clinica di medicina di base allestita dall’associazione locale CFTA (Culture & Free Thought Association) ad al-Mawasi. Dall’inizio delle attività, a novembre 2024, a fine luglio, in questo presidio sanitario ha effettuato oltre 19 mila visite. Qui i pazienti possono ricevere cure di base, farmaci e le medicazioni necessarie in seguito a interventi chirurgici.       Emergency
Afghanistan: nuovo rapporto di Emergency
A due anni dalla pubblicazione del suo primo report sulle barriere di accesso alle cure in Afghanistan, EMERGENCY lancia il nuovo rapporto Accesso alle cure d’urgenza, critiche e chirurgiche in Afghanistan. Prospettive del popolo afgano e degli operatori sanitari di 11 province, dedicato al Paese in cui è presente dal 1999. La ricerca, costruita raccogliendo proprio le voci degli afgani, si concentra sull’accesso della popolazione ai servizi di emergenza, intensivi e chirurgici (Emergency, Critical and Operative – ECO) che includono anche la ginecologica e l’ostetricia. Il quadro che emerge dall’analisi condotta da EMERGENCY e CRIMEDIM (Centro Interdipartimentale di Ricerca e Formazione in Medicina dei Disastri, Assistenza Umanitaria e Salute Globale) è quello di un Afghanistan dove 22.9 milioni di persone, metà della popolazione[1], necessitano di aiuti umanitari e oltre 14 milioni di cure sanitarie. Dove la crisi economica e l’indebolimento del sistema sanitario dopo decenni di guerra hanno reso difficile l’accesso alle cure per la popolazione che affronta oggi nuovi bisogni sanitari tra i quali le malattie non trasmissibili[2], non adeguatamente affrontate. Nel report Accesso alle cure in Afghanistan: la voce degli afgani in 10 province pubblicato nel 2023 l’ong aveva sottolineato la difficoltà degli afgani ad accedere alle cure nel Paese rilevando numeri che mostravano chiaramente come barriere geografiche, economiche e sociali rendessero complicato il raggiungimento delle strutture soprattutto dalle aree più remote del Paese, l’acquisto di medicinali, lo svolgimento di esami diagnostici e il reperimento di personale formato adeguatamente. Il nuovo rapporto 2025 conferma le tendenze emerse precedentemente: se già l’accesso all’assistenza sanitaria di base è complicato, ancora di più lo è quello ai servizi ECO che richiedono infrastrutture ed equipaggiamenti dedicati e maggiore specializzazione e formazione per lo staff. Il campione di analisi ha compreso 11 strutture ospedaliere governative oltre ai centri di EMERGENCY nel Paese (i Centri chirurgici per vittime di guerra a Kabul e Lashkar-gah, il Centro chirurgico ad Anabah in Panshir, i centri pediatrico e di maternità ad Anabah, oltre 40 posti di primo soccorso e centri di sanità di base sparsi nel Paese). Sono state considerate le 11 province dove EMERGENCY lavora, che ospitano quasi 16 milioni di afgani (il 39% della popolazione totale). La metodologia di ricerca ha previsto la somministrazione di 1.551 questionari anonimi a pazienti e accompagnatori in 20 strutture di EMERGENCY, 32 questionari compilati da informatori qualificati tra il personale di EMERGENCY, la compilazione di uno strumento di valutazione approvato dall’OMS e 11 interviste semi-strutturate negli ospedali pubblici con i direttori degli ospedali provinciali, i primari di chirurgia e di ginecologia. Tra le necessità che emergono con più forza da parte degli intervistati: disporre di un maggior numero di strutture sanitarie e di migliore qualità[3]; diminuire il costo delle cure e dei mezzi di trasporto per ricevere l’assistenza necessaria; aumentare la presenza di personale femminile. Anche i fattori socioculturali, infatti, limitano l’accesso alle cure. Essere donna è un indicatore di maggiore vulnerabilità nell’accesso alle cure in Afghanistan, soprattutto per quanto riguarda la gravidanza e l’assistenza materna. “Tra le restrizioni principali, a donne e ragazze è stato impedito di frequentare scuole secondarie e università – racconta Keren Picucci, ginecologa del Cento di maternità di EMERGENCY ad Anabah –. Inoltre, per ragioni culturali e sociali, le donne spesso esitano a rivelare i propri problemi di salute fino a quando la situazione non diventa grave e la preferenza o l’obbligo di essere trattate da personale medico femminile riduce ulteriormente le opzioni disponibili.” La crisi economica protratta da anni aggrava ulteriormente la situazione: l’80% degli intervistati lamenta costi troppo elevati dei servizi e la conseguenza diretta è che un paziente su quattro è stato costretto a rimandare almeno una volta un intervento chirurgico, mentre uno su cinque ha mancato un appuntamento di controllo. Tre su cinque hanno chiesto denaro in prestito o venduto beni personali per permettersi il pagamento delle cure. Ciò porta spesso a peggioramenti della salute, spesso fatali: oltre il 33% degli intervistati ha riportato una disabilità o un decesso dovuti al mancato accesso alle cure. Le barriere fisiche, poi, si rivelano una delle più difficili da superare per i pazienti: poco più del 2% degli intervistati ha dichiarato di essere in grado di utilizzare un’ambulanza pubblica per accedere ai servizi sanitari, mentre quasi la metà – la maggioranza della popolazione vive in aree rurali e montuose – ha dovuto spostarsi a piedi. Il 79% degli intervistati ha dovuto viaggiare in un’altra città, provincia o persino un altro Paese per ricevere cure chirurgiche. Due terzi delle donne intervistate sono state costrette a spostarsi per accedere ai servizi di cui hanno bisogno. Quando le strutture vengono raggiunte, poi, spesso non dispongono del personale o delle attrezzature necessarie per fornire cure in sicurezza. Sulla base dei suggerimenti raccolti tra pazienti, familiari e operatori sanitari, il rapporto si conclude con 10 raccomandazioni chiave alla comunità internazionale e alle autorità afgane per migliorare il sistema sanitario del Paese. “A quattro anni dall’abbandono delle forze internazionali e l’instaurazione del nuovo governo il 15 agosto 2021 l’Afghanistan non è più una priorità della comunità internazionale [4] – sottolinea Dejan Panic, direttore programma EMERGENCY in Afghanistan –. EMERGENCY resta al fianco della popolazione afgana perché i bisogni di cure di base e specialistiche persistono e sono i pazienti e i colleghi a chiederlo ancora, 30 anni dopo l’inizio del suo impegno nel Paese. Ma è fondamentale per garantire un futuro alla popolazione che la comunità internazionale e il governo afgano facciano la propria parte, come sottolineato nelle raccomandazioni finali di questo report la cui voce è la voce degli afgani.”   Emergency