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(Abilitazione Scientifica) Nazionale senza filtro
Il Consiglio dei Ministri il 19 maggio 2025 ha approvato il disegno di legge dal titolo “Revisione delle modalità di accesso, valutazione e reclutamento del personale ricercatore e docente universitario”. Roars ha già dato conto del testo nonché della relazione illustrativa. È opportuno procedere a un primo esame della proposta, da cui emergono immediatamente numerose e gravi criticità, sia nell’impostazione politica che nella scrittura tecnica del provvedimento. Esso intende aggiornare dopo 15 anni la legge Gelmini e la novità principale riguarda la procedura dell’Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN), che costituiva uno dei punti qualificanti della riforma. Secondo la relazione illustrativa, l’ASN avrebbe smarrito “la sua natura iniziale, … quella di accertare il possesso di un livello minimo di qualificazione e produttività scientifica basato su standard condivisi a livello nazionale”. Inoltre, si era “radicata l’aspettativa che” l’ASN conferisse “una sorta di diritto acquisito alla chiamata in ruolo,” destinata invece inevitabilmente a deludere la maggior parte degli abilitati dato il loro altissimo numero. In poche parole: un fallimento ammesso dalle stesse forze di governo che avevano fortemente voluto la riforma. Il rimedio, però, appare peggiore del male. La proposta è infatti quella di abolire le commissioni di valutazione e di rendere l’ASN puramente quantitativa mediante un’autodichiarazione degli interessati su una piattaforma telematica messa a disposizione dal Ministero. Se per i settori bibliometrici sopravviverebbe ancora una qualche forma di sbarramento (nonostante il fatto che a livello internazionale sia ormai acclarato che l’affidarsi solamente o prevalentemente a questi indici per la valutazione dei singoli ricercatori sia inaccettabile), per quelli non bibliometrici si andrebbero a calcolare i titoli in maniera puramente quantitativa, incoraggiando senza più alcuna remora la produzione di articoli spazzatura, pur di raggiungere i requisiti prescritti. La suddivisione delle riviste in due fasce infatti non funziona ed è piena di difetti: chi scrive lo dice a ragion veduta avendo fatto parte di uno dei Gruppi di Lavoro che valutava le domande delle riviste. Secondo la relazione, per integrare le soglie dell’ASN si terrebbero presenti “l’organizzazione o la partecipazione come relatore a convegni scientifici, l’attribuzione di borse di ricerca o di incarichi di collaborazione all’attività di ricerca, la partecipazione a progetti di ricerca aggiudicati sulla base di bandi competitivi, il conseguimento di premi riconosciuti per l’attività scientifica, i risultati in sede di trasferimento tecnologico etc.)”, nonché finalmente “una misurazione della produzione scientifica, integrandola con analisi della sua continuità e distribuzione temporale”. Una valutazione così complessa sarebbe affidata ancora una volta all’autodichiarazione, ma chi ha esperienza di commissioni di concorso sa bene quanto spesso i curricula tendano a enfatizzare e gonfiare questi dati, che qui sarebbero totalmente privi di validazione e controllo. Sempre nella relazione, si afferma che si intende “introdurre un sistema premiale per le università che assumono i migliori, ossia coloro i quali nel periodo successivo all’assunzione dimostrano con i loro indicatori di produttività, con le loro pubblicazioni e con la loro attività complessiva, di aver contribuito al miglioramento della qualità delle attività dell’università che li ha reclutati”. A parte il fatto che questo elemento è già presente (indicatore R2 della Valutazione della Qualità della Ricerca – VQR), non è chiaro che cosa esattamente abbia in mente il legislatore. Più avanti viene specificato che “la valutazione dei vincitori di tutte le procedure di reclutamento” va svolta “dopo due anni dalla presa di servizio e con cadenza biennale per la durata del rapporto di lavoro”. La relazione però non va d’accordo con il disegno di legge (art. 2, c. 5.d), che invece prevede la “valutazione, dopo due anni dalla presa di servizio e con cadenza triennale per la durata del rapporto di lavoro”. A parte il dettaglio, tale valutazione dovrà incidere sul computo delle assegnazioni del Fondo per il Finanziamento Ordinario (FFO). I casi sono due: 1. la valutazione deve metter su un carrozzone simile alla VQR, con tutto lo sforzo, la spesa e la distrazione dai compiti principali che ciò comporta. L’ipotesi sembra difficilmente realizzabile perché, a differenza della VQR quinquennale, il triennio (o il biennio) dipende dalla presa di servizio del docente o del ricercatore e dunque ha date sempre sfalsate e dovrebbe avere cadenza annuale interessando ogni anno una parte diversa del corpo docente, rendendo oltretutto i risultati disomogenei e non comparabili. Oppure 2. la valutazione è demandata alle sedi locali (cosa assai più semplice), ma poiché – come si sa – non bisogna chiedere all’oste se il vino è buono, gli atenei avrebbero tutto l’interesse a supervalutare ciascuno i propri docenti e ricercatori, rendendo inaffidabile la procedura. Arriviamo quindi – sempre nella relazione – alla “mobilità orizzontale attraverso il ‘trasferimento’ delle facoltà assunzionali (e delle relative risorse finanziarie)” il che avrebbe il fine di rendere “più attrattivo e conveniente il sistema di mobilità tra Atenei”. Non si capisce esattamente per chi risulterebbe più attrattivo, o forse si capisce fin troppo bene, in quanto i ricercatori scapperebbero tutti negli atenei più ricchi del nord svuotando in breve quelli del centro-sud e condannandoli alla sparizione nel giro di pochi anni, accelerando un processo già da tempo avviato in maniera più strisciante attraverso il sistema delle premialità. Si dice inoltre pudicamente che “potranno essere previste apposite premialità in favore degli Atenei ‘cedenti’ facoltà assunzionali,” ma – a meno che non si prevedano premialità equivalenti o superiori alle risorse e alle capacità assunzionali perdute – nessun ateneo sarebbe così suicida da accettare un “trasferimento unidirezionale”. Anche in quest’ultimo ipotetico (e irrealistico) caso, tuttavia, si tratterebbe comunque di un finanziamento aggiuntivo gratuito alle università più ricche e del drenaggio delle menti migliori dalle sedi più svantaggiate. In sintesi, per quanto riguarda l’impostazione generale del disegno di legge, l’abolizione del filtro nazionale dell’ASN confinerebbe i concorsi ancor più di quanto avvenga oggi in bolle localistiche e autoreferenziali, frantumando ulteriormente il già compromesso quadro unitario del sistema universitario nazionale; incentiverebbe la produzione massiva di articoli di scarsa o nessuna qualità; drenerebbe le menti migliori a favore delle università ricche del nord svuotando quelle meno privilegiate del centro-sud. Non è certo aumentando dal 20% al 25% le risorse da destinare a concorsi esterni che si risolve il problema, tanto più che contemporaneamente viene abolito il 33% delle risorse per bandi di ricercatori riservato a chi ha tre anni di dottorato o assegno di ricerca in altro ateneo (l’art. 24 c. 1 bis della Gelmini). Questo 25% inoltre aumenterebbe il costo del reclutamento per gli atenei mentre contemporaneamente si taglia pesantemente il FFO e non si forniscono fondi aggiuntivi per gli scatti stipendiali, tanto che molti atenei hanno di fatto già bloccato o fortemente limitato il turnover. In sintesi, si tratta di un disegno potenzialmente letale per il sistema nel suo complesso. È opportuno però entrare nei dettagli della proposta per vedere anche le gravi contraddizioni, che mostrano come gli estensori abbiano scarsa cognizione di come funzioni l’università italiana. Partiamo dalla composizione delle commissioni di concorso: servirebbero cinque membri per i docenti (fino a oggi ne bastavano tre e cinque era solo un’opzione), tutti ordinari per i concorsi di prima fascia, almeno tre ordinari (e due associati) per quelli di seconda fascia. Verrebbero mantenuti invece i tre commissari per i ricercatori (di cui uno ordinario e gli altri associati). Questo significherebbe aumentare pesantemente il fabbisogno di docenti commissari, complicando e rallentando i concorsi. Evidentemente chi ha scritto la norma viene da settori molto popolosi (medici, ingegneri, giuristi) e non si rende conto che invece molti settori vantano numeri molto bassi di ordinari. E nonostante questo si prevede “un principio di limite alla partecipazione a commissioni giudicatrici in uno stesso periodo di tempo” e “una serie di requisiti qualitativi e di equilibrio di genere, nonché finalizzati alla rotazione tra i professori chiamati a farne parte”, principi inapplicabili ai SSD poco popolosi. Sembra che non sia più possibile utilizzare come membro designato un esterno in quanto l’art. 2 c. 3 del disegno di legge prevede la presenza di “almeno un componente interno all’università che ha indetto la procedura, afferente al settore scientifico-disciplinare (SSD) di cui al bando di concorso.” E se l’università non ha nessun ordinario del settore e nemmeno del gruppo scientifico disciplinare (GSD) come si fa? Poiché inoltre il comma prevede la presenza nella commissione di “almeno quattro componenti esterni” e di “almeno un componente interno” ci si chiede se i componenti della commissione possano essere anche più di cinque. Infine, se il sorteggio va fatto “tra i docenti disponibili a livello nazionale, afferenti al settore scientifico-disciplinare”, ciò significa che – a differenza di quanto avveniva fino ad oggi – non si possono includere colleghi stranieri. Si tratta di una svista o di un caso di “sovranismo accademico”? e come la mettiamo con il diritto comunitario? Senza parlare del fatto che ci si affida a un sorteggio per la designazione della commissione: un bel salto che sconfessa la retorica del merito finora imperante, che prevedeva soglie dei commissari ASN superiori a quelle degli ordinari, per affidarsi invece alla roulette. Il merito della dea bendata. Forse le due uniche note positive sono da un lato la previsione che il SSD sia vincolante per la scelta dei commissari, visto che sono stati numerosi i concorsi in cui alla commissione mancavano membri del SSD del bando, sostituiti da altri provenienti da SSD differenti dello stesso GSD. Dall’altro che la graduatoria stilata dalla commissione è vincolante, ossia non è più ammesso il malcostume di designare una rosa di candidati da cui il dipartimento sceglie a suo piacimento. Si parla anche di valutazione da parte della commissione delle modalità di svolgimento della didattica, senza però chiarire che cosa significhi esattamente (valutazione del curriculum o lezione dimostrativa?), nonché della possibilità per il dipartimento di invitare il vincitore di concorso a tenere una lezione o un seminario. Questo però avverrebbe dopo la conclusione dei lavori della commissione. Che cosa significa dunque? Che se la lezione non piace al dipartimento il vincitore non viene chiamato? Sarebbe una procedura davvero bizzarra. Come si vede anche da un punto di vista tecnico il disegno di legge presenta una serie di punti interrogativi e di contraddizioni patenti. Il giudizio sul disegno di legge, dunque, non può che essere negativo e l’auspicio è che venga riscritto su basi completamente differenti.