Giornata Mondiale del Rifugiato: a Trieste un sistema disfunzionale tra invisibilità, vulnerabilità e attese infinite
In occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato, diverse organizzazioni
attive sul territorio triestino – ICS, Diaconia Valdese, IRC, Linea d’Ombra e No
Name Kitchen – hanno condiviso dati e testimonianze allarmanti sullo stato
dell’accoglienza e della protezione dei richiedenti asilo nella città di
Trieste. Il quadro tracciato è quello di un sistema in profonda crisi, segnato
da gravi disfunzioni organizzative, da una preoccupante invisibilità delle
persone migranti e da attese inaccettabili per l’accesso alla procedura di
asilo.
Come ha sottolineato il presidente di ICS Gianfranco Schiavone, «il punto sulla
situazione è drammatico. Il rapporto dell’UNHCR “Global Trends”, appena
pubblicato, mostra un ulteriore aumento dei migranti forzati nel mondo, anche a
causa della crescita dei conflitti. Temiamo che la situazione possa riverberarsi
sul nostro territorio nel futuro prossimo».
Nonostante le narrazioni istituzionali che parlano di un calo drastico degli
arrivi lungo la rotta balcanica, le realtà sul campo raccontano una storia
diversa. Secondo i dati raccolti nel 2024 da Diaconia Valdese e IRC, il numero
di persone incontrate a Trieste è diminuito solo del 16,4% rispetto al 2023 – un
dato che, più che testimoniare una riduzione reale degli arrivi, evidenzia una
crescente invisibilità.
Come osserva infatti Marta Pacor, referente a Trieste per l’area servizi
inclusione di Diaconia Valdese, «le persone continuano a transitare, ma con
modalità sempre più rischiose e meno tracciabili, frutto dell’irrigidimento dei
controlli di frontiera e della militarizzazione della rotta balcanica».
Sher Khan Khocai ha presentato poi i dati a nome di IRC (si vedano le slide
allegate): dal primo gennaio al 31 maggio 2025 sono già quasi 3.000 le persone
incontrate sul territorio. Un terzo di queste rientra in categorie di
particolare vulnerabilità: minori stranieri non accompagnati, famiglie con
bambini e donne sole. Le principali nazionalità di provenienza in termini
assoluti sono Afghanistan, Bangladesh e Nepal.
Significativo il dato sui nuclei familiari: se nel 2024 solo il 4% esprimeva
l’intenzione di restare a Trieste, nel 2025 tale percentuale è salita al 20%.
«Crescono dunque i bisogni di accoglienza stabile, in particolare per famiglie,
donne e minori», sottolinea Pacor.
Nei dati raccolti da Diaconia Valdese e IRC non sono conteggiate le persone
incontrate durante l’attività di monitoraggio notturna, compiuta nei pressi
della stazione dalla ong No Name Kitchen. «Ci sono persone che arrivano di notte
e ripartono la mattina presto, e quindi non sono incluse nei numeri presentati»,
osserva la volontaria e attivista di NNK Anna Palchetti, che aggiunge: «diamo
quotidianamente supporto emotivo alle persone che incontriamo, le quali pagano
sulla loro pelle l’abbandono istituzionale».
Nonostante una maggiore continuità e regolarità nei trasferimenti prefettizi (da
gennaio ad aprile bisettimanali, a maggio settimanali), la situazione resta
infatti critica. «Il centro di prima accoglienza dell’ex Ostello Scout di Campo
Sacro resta sotto-utilizzato, a causa della mancanza di adeguamenti
infrastrutturali promessi da oltre un anno», denuncia l’operatrice legale di ICS
Maddalena Avon. Rispetto alle destinazioni dei trasferimenti c’è inoltre un
problema informativo: «le persone a volte vengono messe su un pullman senza che
venga detto loro dove verranno trasferite». Per quanto riguarda il luogo di
destinazione dei trasferimenti, per quasi il 70% dei casi si tratta di centri in
Sardegna: «spesso parliamo di strutture inadeguate, isolate e prive di servizi
basilari, con gravi rischi per le persone con fragilità psico-fisiche», osserva
Avon.
Uno dei dati più gravi resi noti nella conferenza stampa riguarda i tempi di
accesso alla procedura d’asilo. Nel solo mese di maggio 2025, la media di attesa
per manifestare la volontà di richiedere protezione internazionale ha superato i
20 giorni, con punte oltre i 30. Un periodo in cui le persone rimangono
completamente escluse da ogni servizio, costrette a vivere in strada. «Se non le
notiamo come in passato è perché le persone in attesa di formalizzare la propria
domanda di asilo sono distribuite in Porto Vecchio, e non più concentrate
nell’ex Silos – osserva Schiavone –, ma la situazione resta grave». La norma
prevede un massimo di 10 giorni in casi eccezionali; a Trieste, in assenza di
“arrivi consistenti”, i giorni dovrebbero essere 3, ma questi tempi sono
largamente disattesi.
Cambiano inoltre le modalità con cui le persone in movimento attraversano i
confini: «siamo al cospetto del così detto “Taxi game”», spiega la ricercatrice
per MigrEurope Arianna Locatelli. «Gran parte degli stati interni vengono
attraversati a bordo di autovetture private, mentre i confini sono varcati a
piedi – osserva Locatelli –. Le persone in movimento sono così maggiormente
esposte alle reti di quelli che vengono chiamati “trafficanti”, mentre le
persone lungo la rotta balcanica diventano ancor più invisibili». Si tratta di
una «naturale risposta alla militarizzazione dei confini europei e al processo
di esternalizzazione delle frontiere», conclude la ricercatrice.
«È intollerabile che una città come Trieste continui a voltarsi dall’altra
parte», ha dichiarato Lorena Fornasir di Linea d’Ombra. «Da gennaio a oggi
abbiamo dato assistenza ad almeno 2200 persone, di cui almeno 250 minori non
accompagnati. Ma dietro ai numeri ci sono persone, ferite, traumi, vite
abbandonate». La solidarietà collettiva nei confronti dell’associazione è
grande: «ogni mese spendiamo fino a 60mila euro per curare le persone e offrire
loro pasti e vestiti. Si tratta di cifre grandi che parlano di una comunità
solidale enorme, che proviene da tutta Italia». Il tutto per sopperire alle
mancanze delle istituzioni, che fanno finta di non vedere le persone abbandonate
(anche minorenni) in strada. «Il vero trauma – conclude Fornasir – ce lo
portiamo noi addosso, poiché non vogliamo vedere tutto questo».
Redazione Friuli Venezia Giulia