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L’appello di docenti, amministrativi e studentesse dell’UPO – Università del Piemonte Orientale
Siamo docenti, amministrativi e studentesse e studenti dell’Università del Piemonte Orientale convinte/i che la gravità di ciò che accade a Gaza e nella Palestina tutta non possa vedere la nostra comunità e la nostra istituzione silente. Per questo abbiamo preparato un appello con l’obiettivo di sollecitare una presa di posizione ferma e decisa del nostro Ateneo. L’Università del Piemonte Orientale, all’articolo 1, secondo comma, del suo Statuto, proclama che essa «è sede primaria di libera ricerca e di libera formazione ed è luogo di apprendimento ed elaborazione critica delle conoscenze; opera combinando in modo organico ricerca e didattica, nell’interesse della società e nel rispetto dei diritti inviolabili della persona». Tale missione fondamentale acquista un’urgenza inedita nel momento storico odierno. A ogni livello della vita associata, violenza e brutalità sembrano diventare gli strumenti più usati per la risoluzione delle controversie. Il mondo assiste, con senso di impotenza, al crescente proliferare di guerre che coinvolgono estesamente persone innocenti e popolazioni civili. Quando la vita umana è calpestata e vilipesa si realizza la negazione dei principi su cui si fondano le comunità universitarie. Alla fiducia nella ragione, nella scienza e nella cultura subentra una tenebra, che segna la dissoluzione di tutto quanto può definirsi umano. Mai come oggi, dunque, occorre riaffermare, in ogni sede possibile, che la pace non si costruisce attraverso la violenza. Nella Striscia di Gaza e nei Territori illegittimamente occupati il Governo israeliano sta continuando a violare sistematicamente le norme del diritto internazionale, ponendosi di fatto fuori dalla comunità internazionale. La reazione contro le brutali azioni terroristiche di Hamas del 7 ottobre 2023 (culminata nell’uccisione di 1200 civili e militari israeliani e nella detenzione di 250 ostaggi innocenti)si è trasformata in una guerra dimassacro, condotta senza alcun limite, coinvolgendo in modo indiscriminato la popolazione civile palestinese (il numero dei morti è incommensurabile, ma ad oggi sono circa 65.000, di cui 20.000 bambini). Nei lunghi mesi di guerra, il Governo israeliano, nel respingere i numerosi appelli per la fine delle operazioni militari e per la moderazione, ha mostrato alla comunità internazionale che il suo obiettivo ultimo è l’annessione della Striscia di Gaza e di parti sempre più ampie della Cisgiordania, e l’espulsione della popolazione residente, ridotta alla fame con il blocco degli aiuti umanitari. Data la drammaticità della situazione, Corti internazionali, due Commissioni indipendenti delle Nazioni Unite, la Relatrice Speciale per i Territori Palestinesi Occupati, Francesca Albanese, oltre che numerose ONG per i diritti umani, nonché diversi intellettuali israeliani tra cui Raz Segal, Amos Goldberg, Ilan Pappé e Omer Bartov, hanno apertamente usato il termine “genocidio”. Anche il Presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, ha affermato che «la situazione a Gaza diviene, di giorno in giorno, drammaticamente più grave e intollerabile», esprimendo «allarme per la semina di sofferenza e di rancore che si sta producendo, che, oltre ad essere iniqua, contrasta con ogni vera esigenza di sicurezza». Sebbene non si possa che accogliere favorevolmente la recente tregua, gli attuali negoziati sollevano numerosi dubbi in ordine alla necessità di assicurare giustizia per le vittime, anche attraverso la repressione di crimini internazionali, nonché piena realizzazione del principio di autodeterminazione dei popoli nel perseguimento di una pace duratura e giusta. Noi firmatarie e firmatari, membri della Comunità dell’Università del Piemonte Orientale, condanniamo – il massacro posto in essere dal Governo israeliano sulla popolazione civile palestinese inerme; – le gravissime e ripetute violazioni del diritto internazionale commesse dal Governo israeliano nella Striscia di Gaza e in parti sempre più ampie della Cisgiordania; – l’uccisione di civili e la detenzione di ostaggi innocenti da parte di Hamas e ogni altra azione violenta condotta da organizzazioni terroristiche palestinesi contro il popolo israeliano; sollecitiamo il governo italiano a riconoscere lo Stato Palestinese e ad assumere, anche a livello europeo e internazionale, ogni iniziativa necessaria e legittima per contrastare le azioni illecite commesse delle autorità israeliane nella striscia di Gaza e nei territori occupati di Cisgiordania, in nome della Costituzione Italiana che, all’articolo 11, «ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali»; chiediamo alle Istituzioni competenti, in conformità alle norme cogenti di diritto internazionale, l’adozione immediata di sanzioni adeguate verso lo Stato d’Israele e l’applicazione dell’obbligo giuridico di non cooperazione dello Stato italiano; esprimiamo solidarietà alle colleghe e ai colleghi e alle studentesse e agli studenti palestinesi coinvolti nella violenza perpetrata dalle forze armate dello Stato di Israele; pieno sostegno altresì alle colleghe e ai colleghi, alle studentesse e agli studenti e a tutte le cittadine e i cittadini israeliani che, con coraggio e determinazione, si sono opposti alla guerra e alle politiche dell’attuale Governo israeliano, auspicando che la loro voce possa smuovere la loro società e le loro istituzioni e possa contagiare altre piazze e altri popoli per la salvaguardia di una società aperta e libera; formuliamo l’impegno a contribuire con tutte le risorse scientifiche e culturali a disposizione di questo Ateneo a un dibattito pubblico onesto verso la realtà,scevro da parole d’odio, sorretto dal linguaggio della giustizia e della pace, generativo di una società di persone libere, egualmente degne, solidali nella comune appartenenza alla famiglia umana; e invitiamo il Consiglio di Amministrazione e il Senato Accademico a * sospendere ogni forma di collaborazione scientifica e didattica, nazionale e nell’ambito dell’Unione Europea, con gli atenei dello Stato di Israele che abbia anche in forma implicita un collegamento con attività belliche. Tale sospensione si configura quale gesto politico e strumento di pressione affinché lo Stato di Israele si adoperi per la duratura cessazione delle ostilità, nonché per il ripristino di un processo di pace giusto e sostenibile nella Striscia di Gaza e nei territori occupati di Cisgiordania e Gerusalemme Est; * adottare ogni misura necessaria, finanziaria, didattica e di ricerca, destinata all’apertura di corridoi umanitari per studiose e studiosi e studentesse e studenti palestinesi, affinché il più alto numero fra loro possa essere accolto presso il nostro Ateneo; tutto il corpo docente e amministrativo a dimettersi da organi di fondazioni, società, associazioni, comitati che abbiano direttamente o indirettamente rapporti con il Governo israeliano; il personale docente a dare lettura della presente mozione, ivi comprese le premesse che ne formano parte integrante, in occasione dell’avvio dei corsi.   Per il Dipartimento di Giurisprudenza, Scienze politiche, economiche e sociali (DIGSPES): Rocco Alessio Albanese, Elisabetta Grande, Stefano Saluzzo, Chiara Tripodina, Giorgio Barberis, Elena Allegri, Alba Angelucci, Pierfrancesco Arces, Giacomo Balduzzi, Fabio Berca, Margherita Benzi, Chiara Bertone, Marta Buffoni, Domenico Carbone, Francesca Chiarotto, Paolo Chirico, Flavia Coda Moscarola, Daniele Ferrari, Amal Khadir, Roberto Mazzola, Anna Menozzi, Massimiliano Piacenza, Andrea Pogliano, Marta Regalia, Silvana Robone, Daniele Scarscelli, Davide Servetti, Giuseppe Verrigno, Massimo Vogliotti, Francesca Zaltron e Roberto Zanola. Seguono (al 28/10/25) altre 281 firme. Redazione Piemonte Orientale
Alcune considerazioni sulla giustificazione delle guerre
Nel gennaio 1991 una coalizione di 34 stati capeggiati dagli Usa del presidente George Bush diede avvio alla cosiddetta “Prima guerra del Golfo”, denominata Operazione Desert Shield, sotto l’egida dell’ONU contro l’invasione da parte dell’Iraq di Saddam Hussein dello stato del Kuweit. A questa operazione partecipò attivamente anche l’Italia. La Prima guerra del Golfo Per l’occasione scrissi un testo dal titolo “Considerazioni sulla giustificazione della Guerra del Golfo”: «Ho letto in questi lunghi giorni nefasti tanti articoli di giornalisti, saggisti, politologi e politici – persone che si dicono colte e laiche, ma che dai loro scritti appaiono davvero poco sagge e troppo di parte. Spesso le loro argomentazioni sono state fondate su pregiudizi e, in gran parte, falsate da premesse da cui non si possono trarre logiche conclusioni. Mi riferisco, ovviamente, alla giustificazione della guerra per risolvere la crisi del Golfo: una guerra che ha causato enormi distruzioni di beni materiali – case, ospedali, scuole, acquedotti, strade, siti archeologici di straordinaria importanza […]. Tale giustificazione all’intervento militare è stata presentata come frutto razionale della civiltà occidentale – unica civiltà data nei confronti della barbarie -, mentre si stigmatizza come irrazionale e, quindi, come antioccidentale, frutto di mutevoli stati d’animo, di velleitarismo etico-religioso, di terzomondismo, la posizione di tutti coloro, credenti e non credenti, i quali si sono opposti alla grande mistificazione operata dagli apparati dello stato – di uno stato ormai altra cosa che istituzione a servizio della società e del bene comune, piuttosto asservito a interessi di parte. Eppure le argomentazioni dei così detti pacifisti (termine diventato quasi un insulto) sono basate non su istanze morali privatistiche, religiose e semplicemente utopistiche, ma sulla consapevolezza che la coscienza umana, dopo Auschwitz e Hiroshima, non potrà più accettare il flagello della guerra come soluzione dei conflitti tra i popoli»[1]. Le guerre dei Balcani Nel decennio 1991 – 2001 anche nel cuore dell’Europa, a seguito della dissoluzione della Repubblica Socialista di Jugoslavia, la guerra dei Balcani, giustificata con la dicitura orripilante di “guerra umanitaria”. Belgrado, capitale della Serbia fu bombardata. Le guerre preventive dopo l’11 settembre Dopo l’11 settembre 2001, in seguito al crollo delle Twin Towers all’interno del World Trade Center di New York, il presidente statunitense George W. Bush (junior) scatena la guerra preventiva contro l’Afghanistan, rea di ospitare Bin Laden capo di al-Qāʿida, l’ideatore dell’attentato. In seguito, nel 2003, con il pretesto (rivelatosi una colossale bugia) del possesso di armi di distruzione di massa e del presunto appoggio al terrorismo islamista, la guerra contro l’Iraq di Saddam Hussein, detta anche la “Seconda guerra del Golfo”. Milioni e milioni di persone in America e in Europa scendono in piazza per scongiurare la guerra, al grido “Non in mio nome”. Saddam Hussein viene deposto, processato e ucciso. Giustificata col pretesto di portare la democrazia, questa guerra costò centinaia di migliaia di vittime civili e destabilizzò il Medio oriente: guerra in Siria, nascita dell’Isis. Le guerre tra Israele e Hamas Dal 27 dicembre 2008 al 19 gennaio 2009 l’esercito israeliano porta a compimento la campagna militare “Piombo fuso” sulla Striscia di Gaza, che diventa una strage di civili, tra i quali molti bambini (1400 vittime palestinesi, 13 israeliane). Le operazioni militari si ripetono regolari nel tempo: “Pilastro di difesa” nel novembre 2012, “Linea di protezione” nel luglio 2014 (2251 vittime palestinesi, 74 israeliane, tra cui 68 soldati), Maggio 2021, la guerra di 11 giorni. Dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre in territorio israeliano, l’immane strage della popolazione palestinese nella Striscia di Gaza, un vero e proprio genocidio, con interi quartieri rasi al suolo, ospedali, scuole e moschee; ad oggi le vittime accertate sono oltre 60 mila. Le cancellerie europee e la stampa occidentale hanno giustificato il crimine del Governo Netanhiau come il diritto di Israele alla difesa. Dalle primavere arabe alla guerra civile in Libia All’indomani delle rivolte in alcuni paesi arabi (Egitto, Siria, Libia, Tunisia, Yemen, Algeria, Iraq, Bahrein, Giordania e Gibuti), conosciute come “primavere arabe”, tra il febbraio e l’ottobre 2011, la Prima guerra civile in Libia si conclude con l’uccisione di Gheddafi, leader della “Giamahiria”. Francia, Stati Uniti, Gran Bretagna e Danimarca, sotto l’egida dell’ONU, portano avanti le operazioni militari; l’Italia mette a disposizione degli alleati le basi di Sigonella e Gioia del Colle. Dall’11 settembre 2001, nonostante l’opposizione delle masse popolari in tutto il mondo, la guerra diventa nuovamente strumento per dirimere i conflitti. Un nuovo ordine mondiale in cui, non il diritto internazionale raggiunto dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale con la creazione dell’ONU, la proclamazione universale dei Diritti umani, ma la ragione del più forte militarmente s’impone. Le guerre del presente sparse per il mondo, la “Terza Guerra mondiale a pezzi” secondo l’espressione di Papa Francesco – dalle guerre nell’Africa sub-sahariana alla guerra russo-ucraina, dalla guerra genocidaria di Israele contro la popolazione palestinese della Striscia di Gaza e all’attacco criminale, in questi giorni, contro l’Iran condotto da Israele e dagli Stati Uniti col pretesto di neutralizzare il pericolo atomico, di fatto inesistente – vengono giustificate con gli stessi argomenti. Le ragioni delle persone pacifiche demonizzate, nonostante le grandi manifestazioni contro la guerra, contro il genocidio a Gaza, contro il riarmo e l’aumento delle spese militari in Italia e in Europa, a discapito delle spese sociali (istruzione e sanità, in particolare). Conclusione Concludo riportando la parte finale del mio testo del 1991: «Qualcuno ha scritto che il pacifismo è frutto della cultura occidentale – la sola che abbia creato società democratiche pacificate al loro interno -, ma un frutto marcio, irresponsabile. Forse si potrà anche affermare che le democrazie occidentali siano società in qualche modo pacificate; restano da spiegare, tuttavia, fenomeni come la mafia, la criminalità organizzata, la diffusione della droga, la miseria e la marginalità; ma non si potrà sostenere che siano altrettanto pacifiche visto che le loro economie si basano sulla produzione e sul commercio delle armi, e sullo sfruttamento delle risorse e dei beni che appartengono ai popoli, la maggior parte non occidentali. Questa guerra è stata voluta, preparata e vinta per motivi che niente hanno a che vedere con il diritto o la ragione. Proprio la ragione, la razionalità è stata la sua prima vittima. La stessa filosofia – un tempo amore per la sapienza e istanza critica della società – per bocca di alcuni dei maggiori filosofi viventi si è dichiarata impotente e ammutolita. La vittoria è arrisa alla forza, alla potenza della tecnica dispiegata a usi di morte e non a servizio della vita, alla potenza delle armi che ci ha condotto ancora oggi a contemplare questa verità: «Il sonno della ragione genera mostri»”[2]. Siamo sul baratro di una guerra nucleare e non possiamo tacere.     [1] Pierpaolo Loi, IL DIO IN CUI NON CREDO. Alla scuola di Oscar Arnulfo Romero martire per la giustizia la nonviolenza la pace, Multimage, Firenze 2025, pp.64-65. [2] Ivi, p. 65. Pierpaolo Loi