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Alex Langer, la nonviolenza come la più alta forma di forza
Il 2 ottobre 2025, in occasione della Giornata mondiale della nonviolenza, alcuni gruppi, associazioni e attivisti della pace, si sono ritrovati presso la passerella dell’Isolotto, intitolata ad Alex Langer, per riflettere sulla “nonviolenza come la più alta forma di forza” e celebrare la figura di Alexander Langer, pacifista ed ecologista, a 30 anni dalla sua scomparsa. Da lì il gruppo si è incamminato attraverso il quartiere dell’Isolotto che interpreta molto del pensiero e dei progetti di Alex Langer, per dirigersi fino al giardino della Biblioteca Canova per altre iniziative, a partire da “Essere Pace”, un momento di  raccoglimento e di letture guidate da Fabio Ramelli, Sanga Fiume di Pace, per poi terminare con l’incontro “L’eredità di Alex Langer” che si è tenuto dentro la biblioteca con la partecipazione della presidente della Commissione 7 del Comune di Firenze, Pari opportunità , pace, diritti umani, relazioni internazionali, immigrazione, Stefania Collesei, Mirko Dormentoni, Presidente del Consiglio di Quartiere 4,  Gianni Scotto, Professore Associato nel settore scientifico disciplinare di Sociologia dei processi culturali, Nicolò Corsi, Consigliere del Quartiere 4. Andres Lasso ha così ricordato la figura di Alex Langer. Ci troviamo oggi 2 ottobre, giornata mondiale della non-violenza, e abbiamo pensato di celebrarla ricordando Alexander Langer, in particolare, davanti alla passerella che recentemente è stata gli e stata dedicata. Oggi è anche il day after della Flotilla, dell’intercettazione delle barche e della cattura illegale di persone, alcune che conosciamo, come Saverio Tommasi. Chiaramente ci siamo anche chiesti se era giusto mantenere il programma come lo avevamo pensato e alla fine ci siamo detti che le cose sono collegate, perché la Flotillia è un’iniziativa non violenta per eccellenza, “disarmata e disarmante” e quindi trovarci qui parlando di Alex Langer e pensando alla flottiglia sono cose complementari. Molti di voi conoscono la figura di Alex, però è una figura sicuramente per molti da scoprire e da riscoprire. E’ stato tante cose ma direi principalmente un ecologista e un pacifista: queste due cose lo hanno caratterizzato e sono quelle che sono scritte sulla targa. Alex era anche una persona che ha sempre cercato di creare dei ponti ed è per questo che a un certo punto quando è stato deciso di dedicargli qualcosa si è pensato alla passerella e all’isolotto che simbolicamente unisce due aspetti che hanno caratterizzato la vita di Alex Langer: l’aspetto sociale e l’aspetto ambientale. Da una parte infatti abbiamo il principale polmone verde della città con i suoi 150 ettari, dall’altro abbiamo il “vecchio” Isolotto, pensato ai tempi di Fabiani e La Pira, che poi è stato dell’esperienza di Don Mazzi, di Don Gomiti, di tutta quell’esperienza che poi si è evoluta nel tempo prima in parrocchia, poi in piazza, poi adesso in via delle Mimose e di cui tanti qui potrebbero raccontare molto più di me Per chi quell’esperienza non la conosce, non ci possiamo dilungare ma consiglio un documentario che si trova su Youtube che si intitola “Le chiavi di una storia”, che ha vinto anche dei premi e che racconta un po’ questa storia di impegno e di lotta, di questo luogo che fa da ponte tra il parco delle Cascine e questa esperienza sociale importantissima per Firenze e non solo. Alex era tra l’altro una persona che sentiva molto il tema del conflitto israelo-palestinese, su cui ha anche scritto, lui che era figlio di un ebreo austriaco scappato ai tempi delle persecuzioni naziste e con la madre tirolese di Sterzing, in un momento storico in cui in Alto Adige c’erano dei conflitti grossi tra persone di lingua tedesca e persone di lingua italiana, conflitto che ha avuto una fase anche molto aggressiva, molto combattuta e lo ha portato sempre a cercare una convivenza, fin dai tempi delle scuole superiori a cercare di creare gruppi tra persone che stavano da una parte e dall’altra rispetto al conflitto.  In seguito, si è interessato molto al conflitto dell’ex Jugoslavia, a quel conflitto fratricida che l’ha dilaniata e che lo ha portato a viaggiare per quelle terre e non solo da una parte del conflitto ma da tutte le parti. E’ per questo che io credo che oggi lui sentirebbe particolarmente vicino la situazione attuale in Ucraina e il conflitto che già prima dell’ultima fase nel 2022 (dal 2014) si è creato nel Donbass dove la questione linguistica come nel suo Alto Adige ha avuto un peso enorme.  Noi oggi faremo una camminata verso la biblioteca facendo qualche altra sosta e  dare delle piccole pillole su Alex Langer stimolati anche da quello che vediamo intorno a noi, da quello che ci circonda, come la centrale idroelettrica, recentemente messa in funzione sulla Pescaia, la vecchia “bibliotechina”, il confine tra l’isolotto vecchio e le parti più nuove, pensando anche a quelli che sono gli insegnamenti di Alex Langer, soffermandoci sulle caratteristiche di uno sguardo ambientalista, di una vita che ha messo in discussione la società, il nostro modello di sviluppo nel suo complesso.  Sono note le sue parole e il suo pensiero che contrapponeva ai tre imperativi del motto olimpico, che premiano il più forte, il più veloce e il più alto. Lui vedeva in questo motto olimpico una rappresentazione della società in cui siamo immersi, che spinge sempre ad andare più veloce, ad andare più in alto e con più forza. E a questo ha contrapposto e immaginato una società, un tipo di sviluppo, un modello di vita che si basa sugli imperativi opposti, cioè il rallentare, andare più piano, più in profondità, più dolcemente. Tutto questo all’interno di questa visione ampia ha saputo declinarla anche su degli aspetti molto tecnici, dalla questione dell’energia, all’agricoltura a tutta una serie di questioni che già allora cominciavano a essere di notevole importanza.  Ecco, tra le virtù che Alex Langer elencava c’era quella del senso del limite e vedeva nell’ambientalismo la necessità di un approccio basato sull’autolimitazione, cosa che invece per la società dei consumi risulta quasi blasfemo. Tra le altre virtù ambientaliste elencava per esempio la capacità di anteporre al valore di scambio il valore d’uso delle cose, vedeva questa necessità di essere come degli obiettori di coscienza, non solo rispetto alla guerra, ma rispetto a tutti quei meccanismi dei quali ci sentiamo ingranaggio e su cui spesso abbiamo l’impressione di non poter tirarci fuori.  Durante il cammino incontreremo una bellissima sughera che delimita quello che era il primo nucleo dell’isolotto, appunto l’isolotto vecchio di Fabiani e La Pira per poi passare alle costruzioni più recenti. A quel punto noi vedremo anche il passaggio tra un quartiere pensato a misura di pedone e di bicicletta e un quartiere che è da lì in poi è già più “normale”, più a misura di automobile, in cui il pedone e la bicicletta sono un po’ in secondo piano rispetto alle macchine.  Ma questo quartiere pensato negli anni 50-60, quando non si parlava di isole di calore, non si parlava di servizi ecosistemici, non si parlava di tutte le cose di cui continuamente si parla oggi, ci fa vedere anche una visione, una visione in cui il verde pubblico e il verde privato dei piccoli giardinetti si interseca e crea un tutt’uno, in cui c’è un asse che poi continua col viale dei bambini, troviamo tre o quattro file di alberi di alto fusto e non troviamo macchine:  in nessun progetto recente troviamo qualcosa del genere che io sappia. Questo è qualcosa che, secondo me, è assolutamente in linea con la visione e il pensiero di Alex Langer. Una delle virtù verdi che Alex sottolineava era anche la dimensione comunitaria, perché il vecchio Isolotto ha una dimensione comunitaria non solo per le lotte che ha attraversato, ma anche per come è stato pensato fin dall’inizio, il ruolo che ha il verde in tutto questo.  Un’ultima questione che mi viene in mente rispetto alla sughera, quando Langer sottolineava tra le virtù e le qualità di un approccio verde, il privilegiare il valore d’uso rispetto al valore di scambio. Quando una cosa non può essere più comprata e venduta, che valore hanno ad esempio i nostri alberi? Privilegiare il valore d’uso è anche dare il valore alle cose a prescindere dalle dinamiche del mercato.  Visto la giornata, dato che abbiamo tutti nella mente quello che sta succedendo a Gaza, in Palestina in generale, perché anche in Cisgiordania stanno succedendo cose terribili, ma a Gaza la cosa è di magnitudine molto più grande e in questi tempi le cose si sono evolute notevolmente in peggio.  Alex Langer, vicino all’ideale dello Stato israeliano, essendo di padre ebreo, però riconosce che anche in quegli anni in cui sembrava la soluzione starsi coagulando, mette in guardia da facili ottimismi: “I leader palestinesi e la stessa sinistra radicale israeliana lamentano la scarsità dei risultati che sinora la vittoria laburista ha comportato. Nei quattro mesi di Rabin, laburista, sono state uccise più persone che negli ultimi quattro mesi di Shamir, il Presidente di destra. La quarta convenzione di Ginevra sui doveri di una potenza occupante non viene rispettata, i cambiamenti nella vita quotidiana sono minimi con i laburisti, le squadre speciali mascherate assassinano deliberatamente giovani palestinesi per demoralizzarci, insiste uno dei negoziatori palestinesi”.  Poi cita anche altri israeliani che dicono più o meno le stesse cose, anche in quegli anni, perché spesso si è fatto largo una storiografia che sembra dire tutto era risolto ai tempi di Oslo, che la leadership palestinese non è stata brava, non “ha perso occasione di perdere occasioni”: dietro questa cosa poi si nasconde il fatto che già allora c’erano centomila coloni che erano un problema e che dopo Oslo si è continuato a costruire colonie che ora sono diventate settecentomila e sono il principale ostacolo anche a quella formula ormai molto desueta dei due stati due popoli, perché due stati due popoli implicherebbe mandare via settecentomila persone spesso molto aggressive e armate.  Poi volevo dire una cosa anche sull’altro conflitto, quello ucraino su cui ovviamente Alex non ha detto niente, però Alex è stato molto impegnato sul conflitto in Jugoslavia e in cui tutto è iniziato. Comunque, un momento molto rilevante è stata la carovana della pace del ‘91 in cui in cui la carovana va a Lubiana, a Zagabria, a Sarajevo ma va anche a Belgrado e ascolta la società civile di tutti quei luoghi. Alex Langer si rende conto che in certe zone dell’ex Jugoslavia già allora c’è un sentimento post-jugoslavo, di chi pensa non si può più tornare come era prima, di chi pensa che le cose ormai si sono mosse in un altro modo e invece in altre zone della Jugoslavia c’è il senso che è troppo difficile tracciare dei confini interni, che solo la formula precedente può tenere tutto insieme. Chiaramente poi le cose sono andate come sono andate, Srebrenica è avvenuto proprio pochi giorni dopo la morte di Alex. Però io mi dico questo, se vogliamo andare sulle sue orme: mentre sulla Palestina abbiamo tutti più o meno le stesse idee, sulla questione ucraina ci dividiamo di più e io penso che se vogliamo seguire quelle orme di quel percorso lì, noi dobbiamo avere il coraggio come allora di andare da tutte le varie parti. Oggi vorrebbe dire oltre che a Kiev andare per esempio a Lugansk, a Donetsk, a Sebastopoli, anche a Mariupol stessa. E’ vero che bisogna chiedere permesso ai russi, ma all’epoca bisognava chiedere il permesso a Milosevic che non era certo meglio per andare a Belgrado.  Quindi in questo modo, ascoltando quello che ci dicono le varie società civili, il messaggio che ci arriva dal basso, possiamo anche capire meglio perché, se no rimaniamo in una situazione di difficoltà di comprensione. Foto Paolo Mazzinghi Paolo Mazzinghi
Disarma: “L’altro lato del mondo”
Che cosa bolle in pentola oltre i confini di questo stravagante teatro dell’assurdo che è diventato ultimamente l’Occidente, è stato il tema della sesta edizione del convegno “Il coraggio della pace” di Disarma, in scena dal 25 al 28 settembre a Sesto Fiorentino sotto il titolo “L’altro lato del mondo”. In questo quadro si è tenuta nel pomeriggio di sabato 27 settembre la sessione “Il tempo della Cina”, introdotta e conclusa da Pino Arlacchi, che è stata dedicata soprattutto ad un esame critico delle rappresentazioni negative di quel paese predominanti nei media mainstream occidentali, con la partecipazione di una serie di personaggi poco noti al grande pubblico, ma molto ben documentati sulla realtà attuale della Cina, quali Michele Geraci, Fabio Massimo Parenti, Sara Reginella, Clara Statello e Francesco Sylos Labini. Ne è emerso un quadro complessivo quanto mai interessante e inconsueto dei mutamenti economici, politici e culturali in corso nella Cina contemporanea, in cui l’eredità del confucianesimo e del marxismo si combinano nell’ispirare le scelte di una leadership i cui inconfutabili successi sono stati enumerati con cifre e dati per molti versi sorprendenti. Così per esempio il palermitano Michele Geraci, attualmente docente a Shanghai e già orchestratore degli accordi per la Belt and Road Initiative (la “Via della Seta”) da sottosegretario allo Sviluppo Economico del primo governo Conte, ha sfatato il mito dell’arretratezza cinese dettagliando l’evoluzione di una serie di indicatori, fra cui lo spettacolare aumento della remunerazione del lavoro è sintomo evidente di una evoluzione economica che sta portando con sé una profonda trasformazione nella qualità della vita di centinaia di milioni di persone. Illuminanti anche i fatti, i grafici e i dati presentati dal fisico Francesco Sylos Labini, che mostravano come la Cina sia avviata a superare gli Stati Uniti e l’Occidente intero anche sul piano degli investimenti in ricerca e sviluppo o della qualità delle pubblicazioni scientifiche. E tutto questo, stando al consenso dei vari relatori, nel quadro di un orientamento dei rapporti internazionale che privilegia decisamente la cooperazione sulla competizione, la pacificazione sul conflitto. Non meno interessanti alcune delle considerazioni sulla natura del sistema politico cinese e sulle ragioni di quello che ci appare come il suo “deficit democratico”. In presenza di così profonde diversità culturali, saggezza sconsiglia giudizi affrettati. Non meno sconsigliabili eventuali giudizi affrettati sui numerosi interventi della sessione serale, in cui, sotto il vivace titolo “Sbavagliamoci!” si sono susseguiti contributi di una serie di opinionisti e studiosi che hanno in comune il destino di essere stati esclusi dal gran circo dei media italiani, a causa delle loro posizioni non proprio ortodosse riguardo alla guerra d’Ucraina, ai Brics, a Israele a ad altri temi piuttosto scottanti per le orecchie di chi sta al potere. Alessandro Di Battista ha introdotto la serata con una prolusione senza peli sulla lingua, in cui ha puntato il dito soprattutto sulla manipolazione del mainstream nella rappresentazione delle vicende che negli ultimi anni ci hanno portato alla minacciosa situazione che vede oggi il mondo ad una passo dal conflitto mondiale. La pretesa americana di dominio sul mondo è stata messa apertamente sotto accusa. Significativa la rivelazione con cui Di Battista ha ricordato che, al tempo del suo mandato in parlamento, fu avvicinato da alcuni colleghi della destra che gli raccomandarono un viaggio negli Stati Uniti per “rassicurare” chi di dovere sull’“atlantismo” del suo partito. L’interpellato si rifiutò di rassicurare, ma ci pensò poi Luigi Di Maio. Gli intervenuti in questa sessione comprendevano Marc Innaro, esplulso dalla Rai per le sue corrispondenze dalla Russia, il muralista Jorit, censurato per il suo lavoro in quel paese, Clara Statello, censurata per il suo lavoro con l’emittente russa Sputnik, l’ex-ambasciatrice Elena Basile, fuoruscita dal servizio diplomatico per troppa indipendenza di giudizio, oltre a Vauro, Angelo D’Orsi, Angelo Bradanini, Francesca Fornario, Massimo Wertmüller e Moni Ovadia. Ciascuno di loro ha scelto una parola di quelle “indicibili”, su cui incardinare il proprio intervento. Fra queste, “putiniano”, “neutralità”, “silenzio”, “verità”. Alberto Cacopardo
Disarma: Francesca Albanese, il diritto militante.
Riportiamo le parole dell’intervento di Francesca Albanese il 25 settembre 2025 alla sessione serale di Disarma, il coraggio della pace a Sesto Fiorentino. Innanzitutto, lasciate che vi saluti e mi scusi per la mia presenza solo da remoto. Mi piacerebbe moltissimo essere con voi per questo convegno, è un incontro molto, molto importante e sono proprio onorata di essere qui con questi relatori. Mi fa anche piacere finalmente incontrare il Presidente Conte. Quello che ho sentito lo condivido, soprattutto la grandissima preoccupazione per lo strappo alla Costituzione. Guardate che un sistema che comincia a rilassarsi e a normalizzare l’illegalità e l’incostituzionalità, come purtroppo da troppo tempo succede nel nostro Paese, è una realtà già in pericolo, è una realtà che non protegge più i propri cittadini, figuriamoci gli altri. E quello che succede in Palestina ne è l’esempio. Io dico sempre “l’Italia ripudia la guerra”. I nostri padri costituenti non avrebbero potuto trovare un termine più forte, più aulico per esprimere lo sdegno che c’è nei confronti della guerra, non solo come strumento di risoluzione dei conflitti, ma anche come qualcosa che attacca i valori fondamentali dell’Italia. Quindi io veramente vi ringrazio perché bisogna ripartire dal basso. Per troppo tempo forse ci siamo assopiti, abbiamo pensato che si potesse fare la politica per delega, ma non è così. Della politica e della buona politica siamo tutti guardiani, ogni cittadino, ogni cittadina, ogni persona che risiede nel nostro paese, perché altrimenti le conseguenze le paghiamo tutti, in questo momento i palestinesi e anche a causa nostra. Sono veramente felicissima di essere con voi, ma soprattutto voglio dirlo adesso, sono molto felice di parlare alla comunità di Sesto Fiorentino, perché penso, l’ho detto tante volte in altri incontri pubblici, il sindaco del vostro Paese ha fatto delle cose rivoluzionarie rispetto ad altri paesi. A volte mi irrito quando ci sono queste parate di orgoglio nazionale, di conferimento della cittadinanza Francesca Albanese, vi ringrazio, io sono già cittadina italiana, la migliore cosa che potete fare per sostenere il mio mandato è quella di prendere delle misure concrete, come ha fatto il sindaco di Sesto Fiorentino, passando per esempio un’ordinanza che bandisce il made in Israel dal proprio territorio. Poi è chiaro, non è una cosa che si rimette comunque al buonsenso e all’etica di ogni cittadino, però quello che dico, se c’è una cosa che ci insegna oggi la Palestina è l’imperativo a tenere la schiena dritta e a fare le cose eticamente: appalti etici, consumi etici, acquisti etici e questo ci ridà anche un grandissimo potere come cittadini e cittadine. Per quanto riguarda la Flotillia, io mi sono espressa più volte in modo istituzionale e in concerto con altri relatori speciali delle Nazioni Unite, esprimendo pieno sostegno nei confronti della Flotillia, tanto dal punto di vista del principio quanto dal punto di vista della pratica. Perché li ho visti, se ricordate, quando è stata intercettata la Madleen, caso ha voluto, che io fossi al telefono col capitano della barca e per due ore sono stata con loro in collegamento assistendo alle procedure di risposta della Flotillia. Quelle sono situazioni di grande nervosismo, di grande tensione quando c’è l’intercettazione, il momento in cui la barca viene assalita, è presa d’assalto e passa sotto una situazione di arresto da parte delle autorità israeliane. Questo è successo e si sono tutti comportati con grandissimo autocontrollo e dignità. Quindi veramente ho una stima e un apprezzamento nei confronti dei membri della Flotillia che a questo punto va anche al di là, nel senso c’è stato proprio un incontro personale che mi ha fatto poi spendere molte energie a sostegno della Flotillia. Mi ha causato una tristezza enorme vedere la rappresentante dell’Italia ieri spendere del tempo sul podio delle Nazioni Unite denigrando la Flotillia: cioè, di tutte le cose che avrebbe potuto dire, ha scelto la peggiore, personalizzando un’opera umanitaria e peraltro tradendo il senso ultimo della grande tradizione diplomatica italiana, che è quella appunto del rispetto dei valori in un’area, che è quella del Mediterraneo. Non voglio neanche entrare nel merito di ciò che il primo ministro ha detto, ma è stato un concentrato di esternazioni inaccurate e inopportune. Alla luce di quello che è successo nelle ultime 24 ore a seguito dell’attacco, dell’attacco diretto della flottiglia che è stata colpita 11 volte e 14 volte tra Tunisi e Creta, quello che osservo è che c’è una pressione incredibile da parte di stati, soprattutto europei, sulla Flotillia, sui membri della Flotillia affinché lascino questa missione. Se questi stati avessero usato la metà della pressione che usano su questi individui, già in una situazione psicologicamente difficile, se avessero usato la metà di questa pressione nei confronti di Israele, probabilmente oggi non saremmo in questa situazione, perché i governi europei difendono lo Stato di Israele nel momento in cui commette crimini efferati, perché intanto la macchina trituracarne, che è diventata la presenza israeliana a Gaza, continua. Per quale motivo cercano di bloccare diffamando con insinuazioni obbrobriose la Flotillia e i suoi membri? Perché invece di ostacolare l’aiuto umanitario non impongono delle sanzioni e l’embargo di armi ad Israele? Qual è il motivo per cui questo Stato d’apartheid e genocida oggi tiene sotto scappo praticamente mezzo mondo e soprattutto le democrazie occidentali? Questo ci deve far riflettere: che oggi si fa pressione sulla flottiglia affinché desista, si mandano le navi a spese degli italiani, dei contribuenti, per bloccare l’aiuto mentre politicamente li si denigra? Mentre non si fa niente per fermare il genocidio? Comunque lo si voglia chiamare, i crimini di Israele, comunque li si vogliano definire, questa è la realtà. Di queste cose gli italiani si devono rendere conto e la Palestina deve diventare in Italia, così come sta accadendo in altri paesi, un motivo di cambio politico. Cioè, un motivo per cui alle urne questo governo dovrà rendere conto, se non prima, se non nelle aule giudiziarie, dovrà rendere conto di aver reso il popolo italiano partecipe di un genocidio, perché questo stiamo facendo, non è soltanto inattività del governo italiano. Lo Stato italiano partecipa al 30% dell’azienda militare che continua a fornire le armi ad Israele, peraltro anche in un momento in cui le armi sono state trasformate in modo non convenzionale e più deleterio. Quindi questa è la considerazione generale. Innanzitutto, voglio pregare gli italiani e le italiane di non avere il termometro emotivo sintonizzato su quanti cittadini italiani fanno parte della Flotillia. Il fatto che, non ho dati certi, ma mi sembra di capire dall’ultima corrispondenza che ho avuto con la Flotillia, che cinque persone hanno deciso, sotto pressione o per ragioni proprie, di lasciare la Flotillia, va benissimo, continueranno il lavoro, sono persone bravissime, impegnate, continueranno il lavoro da terra, non c’è problema, nessun giudizio, né da parte della Flotillia, né da parte di nessuno. Però è fondamentale che si capisca che i governi, quello che fa la Flotillia, lo devono difendere perché è un’opera lecita, che si basa sul diritto internazionale. Rompere l’assedio è un adempimento degli obblighi internazionali! Questi obblighi non dovrebbero ricadere su cittadini ordinari, ma sui governi: sono i governi che dovrebbero mandare una flotta, come ha fatto Sanchez e spero che quella imbarcazione si diriga verso Gaza, perché qualcuno deve avere il coraggio di sfidare lo strapotere israeliano. Israele non ha nessuna autorità sul territorio palestinese occupato, né sulla terra, né sullo spazio aereo, e tantomeno sulle acque. Quindi questa è la cosa fondamentale: si diceva “è come se la Flotillia avesse fatto saltare il tappo della solidarietà della gente”. Io credo che quello sia piuttosto la goccia che ha fatto traboccare il vaso, perché io personalmente ho visto un crescendo in Italia della partecipazione popolare, dello sdegno. Si è passati da una situazione di atterrimento in cui la gente si sentiva impotente, ad una presa di coscienza che invece ognuno di noi può cambiare le cose. E questo ha fatto la Flotillia. La Flotillia ha questo potere, non è l’aiuto, deve capirlo la prima ministra, non è che l’aiuto sì può essere simbolico, ma lo sfidare il Golia di questa situazione, come tanti piccoli David che non importa quanti mezzi hanno, hanno delle bagnarole, perché queste sono le barche che ha la Flotillia Per questo che ci mettono tanto tempo per arrivare, si rompono, hanno bisogno di riparazioni e tutto, sono imbarcazioni che pongono veramente un grandissimo sacrificio a chi viaggia a bordo delle stesse, ma non importa, lì c’è la nostra umanità e io credo che l’Italia si sia sentita interpellata per questo, perché anche quel gesto di grandissima umanità si è visto ricevere una grande sberla dal punto di vista materiale, politico, della comunicazione. Non solo non li aiutano, ma li denigrano pure, quindi io chiedo agli italiani: non fate come il governo italiano che dice noi ci occupiamo dei cittadini italiani, no, voi vi dovreste occupare di quel convoglio, perché è un convoglio umanitario e i convogli umanitari hanno diritto, soprattutto in questo momento, ad un passaggio sicuro. Li dovreste scortare voi fino alle acque di Gaza e poi ripeto, dovrebbero entrarci loro nelle acque di Gaza. Quindi massimo sostegno indipendentemente dalla nazionalità di quelli che vi sono a bordo. Il diritto Internazionale non è una bacchetta magica e, soprattutto, non funziona da solo, è uno strumento. Va applicato, come il diritto nazionale. Lo vedete, quando c’è un esecutivo che non rispetta il diritto è molto più grave di quando i cittadini non lo rispettano, perché manca la possibilità di rifarsi a quelli che sono i garanti in un paese democratico.  Le istituzioni pubbliche sono a garanzia dei cittadini, a garanzia dell’applicazione del rispetto del diritto, così è anche a livello internazionale. Quelli che devono applicare il diritto internazionale in Palestina hanno fatto sempre orecchie da mercante perché sono 56-57 anni che i palestinesi vivono sotto il giogo dell’occupazione militare, che ha operato come una dittatura militare: leggi scritte dai soldati, riviste in corti militari dai soldati. Tra gli arrestati c’è una media che è stata stimata negli ultimi 15-20 anni (ho scritto un rapporto sullo stato della privazione della libertà personale in Palestina due anni fa) e nelle carceri israeliane negli ultimi 20 anni ci sono finiti 700 bambini all’anno, 700 bambini! Nelle carceri israeliane si è morti per tortura durante questo periodo, sono stati torturati a morte tantissimi palestinesi. Adnan Al-Bursh, il più grande, medico ortopedico primario di un ospedale di Gaza, è stato stuprato a morte, perché non si parla di lui? Perché io lo capisco lo sdegno e la riprovazione nel vedere i corpi macilenti degli ostaggi, certo che lo capisco perché ho empatia ma non ho empatia selettiva e mi chiedo perché non ci sia lo stesso sdegno dinanzi, non solo ai bombardamenti che smembrano il corpo e l’anima, ma per gli atti proprio corpo a corpo, al cecchinaggio, al fatto che ci sono bambini piccolissimi che sono stati portati in ospedale con proiettili al torso e alla testa, che ci sono state persone sbranate dai cani, i cui video sono stati fatti girare su internet, detenuti che sono stati fatti stuprare dai cani. Questo oggi è l’esercito israeliano e c’è purtroppo una società che lo sostiene e io dico sono vittime pure loro perché quanto sono stati intossicati per diventare così? Perché c’è una perdita d’umanità pure in chi brutalizza l’altro. Però questa situazione la dobbiamo risolvere e non la risolviamo se non intervenendo politicamente, ma come? Non seguendo il proprio istinto e le proprie opinioni, senza una bussola, la bussola ce l’abbiamo, è il diritto internazionale e si sono pronunciati, più altri organismi di giustizia; c’è la corte di giustizia internazionale che ce l’ha detto chiaro e tondo: l’occupazione israeliana è illegale, ma non illegale perché viola i diritti dei detenuti, viola i diritti dei minori, viola i diritti dei disabili, no, non per quello. E’ illegale proprio ipso facto per la sua stessa esistenza e quindi va smantellata perché si è trasformata in un veicolo di annessione, quindi acquisizione illegale di terre a mezzo della forza, sfollamento forzato degli abitanti di quelle terre, del popolo indigeno che è palestinese e si è trasformato in un veicolo per regnare sui palestinesi attraverso forme di segregazione razziale e apartheid. Che cosa ci dice la corte di giustizia? Che Israele deve, in parole molto semplici, sloggiare dal territorio palestinese occupato e in parole un po’ più tecniche deve ritirare le truppe, smantellare le colonie, smettere di sfruttare le risorse naturali del territorio palestinese occupato e smettere di esercitare qualsiasi forma di autorità su quel territorio, sullo spazio aereo, sui confini, sui palestinesi, sulle banche dei palestinesi. Deve risarcire i palestinesi, ci dice la corte. Dinanzi a questo provvedimento giudiziale, a questa decisione della corte, perché poi tutti gli stati, incluso l’Italia, aspettano tutti che la corte si pronunci sul genocidio, ma una volta che si è pronunciato, che cosa farà? Che cosa farà l’Italia? Che cosa farà l’Unione Europea? Che cosa farà la comunità internazionale? Io ho il forte sospetto che farà quello che fa in questo momento dinanzi alla decisione della corte di porre fine all’occupazione israeliana. Il problema che c’è in Palestina e che diventa un problema nostro, non è un problema di fallacia, di difetto normativo, è un problema di mancanza di applicazione delle norme. E’ per questo che dico è politico e la politica la facciamo noi cittadini ed è per questo che ben vengano le proteste, ben vengano gli scioperi, ben vengano i blocchi, perché se non si ferma tutto in un genocidio, noi occidentali abbiamo l’opportunità per una volta, per una volta di essere veramente all’altezza dei principi che predichiamo. Questo non è il primo genocidio che succede sotto i nostri occhi, perché tanti genocidi li abbiamo commessi, sostenuti noi occidentali, i genocidi in America Latina a seguito del colonialismo, in Africa, sono cose storiche, ce lo siamo dimenticato perché è comodo, perché non ci interessa, perché non vogliamo pagarne il prezzo, ma la storia è lì e ci sta rincorrendo. Anche l’olocausto è successo sotto i nostri occhi, sotto il nostro naso. La prima prova di questo è che le leggi razziali, le leggi razziali erano leggi dello Stato, quello è stato il provvedimento che ha bandito gli ebrei dalla vita civile, la discriminazione, la disumanizzazione utilizzata nei confronti degli ebrei, nei confronti dei Tutsi del Rwanda, nei confronti dei bosniaci, dei musulmani di Bosnia è lo stesso morbo che oggi porta al genocidio dei palestinesi, è la disumanizzazione dell’altro, il gene costante del genocidio. Quindi dinanzi a questo bisogna veramente immaginare che cosa faremmo noi oggi, con la coscienza di oggi, se ritornassimo indietro di un secolo, non ci butteremmo col nostro corpo, non metteremmo in gioco la nostra carne, la nostra proprietà, tutto quello che abbiamo per impedire l’olocausto? Io penso di sì ed è lo stesso principio per cui tanti italiani e tante italiane oggi scendono in strada e fanno le cose che devono fare eticamente e il mio augurio per noi stessi e che siamo sempre di più. Penso che i veri guardiani del diritto internazionale oggi siamo noi, sono io, Mimmo, Roberta, siete tutti voi che mi state a sentire e che vi dovete chiedere io nel mio piccolo che cosa posso fare e nessun piccolo è piccolo in modo insignificante, se siete educatori, se siete cittadini e quindi dovete portare le vostre rimostranze alle autorità, i comuni si devono impegnare, le regioni si devono impegnare, il governo si deve impegnare. Vi segnalo la creazione di questo gruppo, GAP, Giuristi Avvocati per la Palestina, dove ci sono anche degli avvocati toscani, del foro di Pisa, del foro di Livorno, che stanno diffidando il governo dinanzi ad ogni mancanza, Mimmo Gallo è tra loro. Queste sono azioni fondamentali, diamo un senso all’avvocatura, diamo un senso al diritto che deve oggi essere militante: ce lo dice la nostra tradizione, da Gramsci a Pertini a Berlinguer dobbiamo riprenderci i nostri valori e praticarli ad ogni passo. Io vi ringrazio veramente, guardate questo è un momento estremamente rivelatore, lasciate che vi lasci con questa sensazione che ho, la Palestina col suo sacrificio ci sta mostrando il mondo in cui viviamo, non è un mondo in cui abbiamo libertà vera, è un po’ come The Truman Show, quindi prendiamo questo momento. Paolo Mazzinghi
Disarma, 25 Settembre 2025 Sesto Fiorentino. Il coraggio di unirci per la pace
Si è svolta presso la Casa del Popolo di Colonnata (sesto Fiorentino) la prima giornata di incontri della sesta edizione de “Il Coraggio della Pace” (25 – 28 settembre), quest’anno dedicata al tema “L’altro lato del mondo”. Quattro giornate di incontri, dibattiti e varie iniziative con la partecipazione di vari esponenti dell’attivismo pacifista, della politica, del mondo accademico e sindacale. Durante le 4 giornate si alterneranno fra gli altri come relatori, Francesca Albanese, Giuseppe Conte, Piergiorgio Odifreddi, Elena Basile, Alessandro Di Battista, Moni Ovadia, Vauro. La giornata di Giovedì 25 settembre ha visto la partecipazione di  Lorenzo Falchi (Sindaco di Sesto Fiorentino), Linda Santilli (Associazione Disarma), Angelica Gatti (Associazione Disarma), Raffaella Bolini (No Europe Rearm), Sandra Carpi Lapi (Coordinamento contro il Riarmo Firenze), Danilo della Valle (Parlamentare europeo), Claudio Giampaglia (Emergency), Giovanni Mininni (Segretario Generale FLAI CGIL), Roberto Musacchio (Transform Italia), Mons. Giovanni Ricchiuti (Pax Christi), Rossano Rossi (CGIL Toscana), Padre Alex Zanotelli (Padre Comboniano), Giuseppe Conte (Presidente M5S), Claudio Grassi (Associazione Disarma), Francesca Albanese (Relatrice ONU), Roberta De Monticelli (Filosofa), Domenico Gallo (magistrato) Riportiamo qui l’introduzione di Angelica Gatti di Disarma, che coglie il filo rosso degli interventi che si sono susseguiti. Il Movimento per la Pace può davvero riempire il vuoto che tutti noi sentiamo, la mancanza totale di un sogno, di una strategia per raggiungerlo e di una serie di progetti per attuare quel sogno. Questo è l’unico modo che abbiamo per spingere le persone ad agire, a ritrovare il senso del collettivo, il senso dell’umanità e del nostro stare insieme.  Ciò che noi vediamo in Palestina è il mutismo complice dei nostri governi al genocidio e all’apocalisse di questo popolo, è lo specchio che svela l’abominio del nostro sistema economico e culturale e tutti noi ne siamo parte.  Voglio partire dal rapporto di Francesca Albanese, che avremo stasera ospite, con grande onore la ospitiamo all’apertura dei nostri lavori, che davvero è una coraggiosa, coraggiosissima della pace, che deve sentire forte il nostro sostegno, perché oggi ciò che lei ha fatto, questo rapporto, ha davvero, più di tutti gli altri, stracciato un velo dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio: vi invito a leggerlo perché tra l’altro è documentato, è pragmatico, è reale, è una cosa veramente di azione ed è stato deflagrante. Abbiamo visto che cosa le è accaduto, perché non c’è più la possibilità di essere tiepidi, ignavi, di parlare solo di rapporti non direttamente legati alle politiche di genocidio di Israele: ogni rapporto con Israele oggi è un rapporto di genocidio e lei ce lo ha svelato e il nostro sistema accetta, ammette e permette che si compie il genocidio e che la guerra diventi il nostro orizzonte futuro. Francesca Albanese parla della politica di occupazione e della politica coloniale: io ritengo che in realtà questo davvero disveli il fatto che è la politica del sistema capitalistico occidentale alla sua massima potenza, è ciò che le nostre entità aziendali e i nostri governi hanno messo in atto nei decenni nei confronti del resto del mondo, ma l’hanno fatto anche nei confronti nostri, della loro popolazione interna, aumentando la disuguaglianza attraverso lo sfruttamento estremo del lavoro e l’impoverimento delle masse.  E noi siamo stati convinti e intrisi dell’ideologia del popolo eletto, come quella di Israele, l’ideologia dell’Occidente eletto, unico baluardo di civiltà e vi assicuro che l’ho sentito dire in classe a un docente pochi giorni fa e, quindi, l’idea che il resto del mondo sia barbaro ed arretrato. Il suprematismo bianco ed occidentale, perché dobbiamo chiamare le cose con il loro nome, così diffuso da essere diventato invisibile ai nostri occhi. Ricordiamo tutti le bombe usate per esportare la democrazia, ma io ho letto qualche mese fa Repubblica che titolava “le nostre armi salvano vite”! Ma come si fa a scrivere una cosa del genere riguardo alle armi in Ucraina: è una follia!  Ed ecco il secondo punto, la disumanizzazione dell’altro: ciò che Israele ha fatto in modo sistematico e portato avanti dai più alti livelli delle facoltà universitarie, fino alla privazione del diritto all’acqua nei confronti del popolo palestinese, è esattamente ciò che i nazisti hanno fatto nei confronti degli ebrei, cioè togliere l’umanità all’altro. E’ ciò che l’Occidente sta cercando di fare con il resto del mondo, perché questo significa essere contro il popolo russo, contro il popolo cinese e tacciare e censurare chiunque appartenga a quel mondo e questo noi lo facciamo contro tutti quelli che muoiono a migliaia nel nostro Mediterraneo, perché questo vuol dire girarsi dall’altra parte quando il Mediterraneo è un cimitero. Queste persone non hanno diritto alla vita. Noi abbiamo accolto in Europa 4,2 milioni di ucraini, abbiamo fatto bene ad accoglierli, ma nessuno ha gridato all’assalto, eppure le persone che muoiono ogni giorno nel Mediterraneo non meritano la stessa possibilità di vivere e di venire nel nostro Occidente, probabilmente gli ucraini stanno dalla parte dei buoni e poi sono bianchi, quindi è molto più semplice accoglierli.  Il passaggio che fa Albanese è un passaggio fondamentale, lei parla di un passaggio dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio e noi siamo dentro questa strettoia, noi siamo dentro questo passaggio. La crisi di questo sistema e i cambiamenti nella condizione del resto del mondo, il resto del mondo che si affaccia finalmente alla scena, hanno portato l’Occidente a una reazione sproporzionata, una reazione scomposta, violenta, brutale e in parte irrazionale, perché noi fatichiamo a trovare il senso in questa reazione. L’attacco alla Russia attraverso il conflitto in Ucraina, la scelta della soluzione finale per la Striscia di gaza da parte di Netanyahu, è l’economia che passa da capitalismo predatorio a capitalismo di guerra, da economia dell’occupazione, come dice Albanese, a economia del genocidio. Ma io vi invito a riflettere su questo, perché questo è la cosa che vi voglio dire, perché è un punto debole in realtà: io sono convinta che questa volontà di trascinarci in guerra e di instaurare un regime di guerra, che la volontà di perpetrare un genocidio, sia il frutto di un’estrema debolezza, sia davvero l’ultima spiaggia di un intero sistema e noi, il movimento della Pace, dobbiamo essere coloro che a questo sistema marcio, corrotto, violento e schifoso gli diamo una spallata. Io credo che noi dobbiamo avere questo obiettivo, noi dobbiamo rovesciare il sistema di guerra, noi dobbiamo essere una rivoluzione.  Ed è con questo spirito che dobbiamo rivolgerci al mondo intero, riportare all’azione chi non si sente rappresentato, chi non ci crede e chi si sente inerme. La Freedom Sumud Flotilla è un esempio di ciò che possiamo fare. Noi dobbiamo avere il coraggio di prendere sulle nostre spalle la responsabilità di rappresentare l’altra parte dell’Occidente, del nostro mondo, perché noi ci siamo, non è quella roba lì il nostro mondo, l’Occidente che resta umano e che forse finalmente lo diventa realmente, senza più finzioni. E le manifestazioni che ci sono state in questo giorno a sostegno della Flotilla, tutto il movimento che si è venuto a creare, non possiamo non mandare un pensiero, un abbraccio grandissimo ad Ali Rashid che avrebbe dovuto essere qui con noi oggi ed al quale noi dedichiamo questa bellissima iniziativa.   In questo processo il movimento per la pace è il vero protagonista, perché da questo dipende tutto il resto, è quello che diceva Lorenzo Falchi, perché senza la pace noi non possiamo affrontare la questione climatica, non solo per l’inquinamento della guerra, ma perché dobbiamo cambiare, dobbiamo ripensare il sistema di redistribuzione globale delle risorse e il sistema di produzione che non sia predatorio per affrontare il disastro ambientale, perché siamo in un mondo multipolare e gli Stati Uniti se ne devono fare una ragione di questo. Allora vanno affrontate le sfide di uno scenario globale e in questi quattro giorni io vi invito a rimanere perché avremo veramente tanti ospiti, tante relatrici e relatori che ci aiuteranno a capire che cos’è l’altra parte del mondo di cui noi sappiamo così poco e le discriminazioni tra i generi. Anche questo è il frutto del sistema patriarcale maschile della violenza e della brutalità e solo il sistema di guerra le governa e noi lo dobbiamo scardinare. E il Mediterraneo, fatemi fare ancora un passaggio su questo, non può essere un cimitero, perché le frontiere non possono essere passate solo dalle merci e dai capitali, mentre gli uomini, le donne e i bambini vengono respinti come pezzi di carne avariata.  Quindi il Movimento per la Pace, che per la sua stessa costituzione si proietta nel futuro e immagina e costruisce il futuro, può e deve mettere insieme le lotte. Io questo voglio chiedervi, di mettere insieme le lotte e dare finalmente uno sfogo al conflitto sociale che c’è, che è fortissimo, si sente proprio la rabbia nelle persone che stanno in piazza.  Il Movimento per la Pace è di per sé globale e collettivo e solo Dio sa quanto abbiamo bisogno di abbandonare le nostre solitudini per ritrovare un moto di collettività. Quindi ho fede, ho fede in tutti voi, ho fede nel Movimento per la Pace, nel sacrificio quotidiano che tutti noi facciamo per portare questo movimento in ogni angolo, davvero il più piccolo comune qui si mobilita e si muove, il più piccolo quartiere, perché non posso pensare che il nostro futuro nasca dal sangue delle donne e dei bambini palestinesi o delle guerre che ci sono nel mondo, non posso pensare a questo marchio di Caino sulle nostre terre o che le mie figlie crescano in un sistema di guerra e che questo sia normale. E vedrete che, se riusciremo ad esprimere in maniera compiuta ciò che ognuno di noi ha nel cuore, questa voglia di un altro mondo, le persone ci seguiranno, tanti e tante si aggiungeranno a noi e cammineranno al nostro fianco.  Domani avremo i lavoratori che si ribellano alla guerra, i docenti che boicottano e denunciano i militari a scuola, le organizzazioni NO NATO, la gente vuole un sogno per cui lottare e quale sogno è il migliore della pace? Io ho bisogno di credere, ho bisogno di agire perché ogni azione sia parte di un processo più grande, perché ogni fallimento di oggi sia un tassello del futuro che stiamo costruendo, perché fallisci, fallisci ancora ma fallisci meglio. Ma perché questo possa essere noi dobbiamo unirci, dobbiamo vivere insieme per un obiettivo più alto, essere una rivoluzione mondiale, la rivoluzione per la pace e quindi io vi invito a lottare tutti insieme. Claudio Grassi Ali Rushid Francesca Albanese Francesca Albanese Roberta De Monticelli Francesca Albanese Giuseppe Conte Francesca Albanese Pubblico Francesca Albanese Francesca Albanese e Giuseppe Conte Giuseppe Conte Giovanni Mininni Rossano Rossi Claudio Giampaglia Danilo Della Valle Roberto Musacchio Paolo Mazzinghi
Marco, il cammino e la Giornata della Pace
Oggi il gruppo “In Cammino per la Pace e il Disarmo” ha ripercorso il percorso da Montesole a Monte Salvaro, fino al luogo dove Marco  ci ha lasciato il 7 agosto, assieme a un grande lascito ed un grande messaggio di pace: è stata l’occasione per lasciare una targa in suo ricordo assieme alla bandiera della pace che lo accompagnava in tutte le sue iniziative. Il 21 settembre il mondo celebra la Giornata della Pace,  ma è difficile parlare di pace quando, nello stesso momento, il rumore che prevale è quello delle bombe, dei fucili, delle grida dei bambini e delle lacrime che scendono. È difficile parlare di pace quando i conflitti non vengono nemmeno più dichiarati, ma condotti silenziosamente con droni, embarghi, fame programmata. È difficile parlare di pace quando migliaia di bambini vengono uccisi come se fossero terroristi, nemici da abbattere, privati della vita, del gioco, della scuola, delle cure. È difficile parlare di pace quando le norme del diritto internazionale vengono calpestate e ridotte a carta straccia, quando chi si impegna a difendere la giustizia viene trattato come un avversario e spogliato delle stesse tutele fondamentali, come è avvenuto a Francesca Albanese. È come se si fosse perso il senso stesso di umanità: un’umanità sopraffatta dalla logica dell’odio e del profitto. Eppure, la pace non è solo la firma di un trattato o una tregua temporanea. La pace comincia da dentro di noi, da quella consapevolezza di ciò che siamo e di ciò che non siamo, da quello spazio interiore che troppo spesso lasciamo inaridire, convinti che conti più l’avere che l’essere. Comincia dalle nostre interazioni, interiori e con gli altri, da quel ‘cerchio sonoro’ che troppo spesso tace o sa solo urlare. Accumuliamo cose, potere, denaro, riconoscimenti, ma più che strumenti della nostra felicità, diventano essi stessi il fine.  Siamo formati alla competizione e ci lasciano stritolare dal suo ingranaggio, dall’illusione di “possedere” la vita degli altri e la nostra e così dimentichiamo la cosa più semplice: la felicità di un cammino fatto assieme, legata alla solidarietà, alla capacità di prendersi cura, al gusto di un abbraccio sincero, al silenzio della natura che ci ricorda chi siamo. La mancanza di pace riflette la mancanza di pace dentro ciascuno di noi. Finché non sapremo disarmare i nostri cuori dall’odio, dalla paura, dall’indifferenza, finché non sapremo “disubbidire” al sistema di profitto e sfruttamento, sarà come continuare a investire sulla guerra, in tutte le sue forme, anche quelle più quotidiane e invisibili. Oggi, in questa giornata, siamo chiamati non solo a denunciare la violenza, ma a scegliere di essere testimoni di un’altra possibilità: la possibilità di costruire comunità che non si fondano sulla logica del nemico, ma sulla fraternità, che non si alimentano della paura, ma della fiducia. Forse la pace è un traguardo lontano, forse è alla nostra portata, ma è un seme che possiamo e dobbiamo piantare già ora: nell’ascolto di chi soffre, nella cura per chi è fragile, nella gratitudine per un’emozione, nella capacità di stupirci per la bellezza di un sorriso, di una carezza o di un abbraccio. È lì che ricomincia l’umanità, è lì che possiamo ricominciare a sognare un mondo diverso. Questi crediamo siano i semi che Marco ci ha lasciato e che abbiamo già visto crescere attorno a lui: a noi il compito e l’impegno di prendercene cura. Foto di gruppo in cammino per la pace e il disarmo In cammino sul percorso per Monte Salvaro Targa con dedica a Marco e bandiera della pace Targa con dedica a Marco e bandiera della pace Targa con dedica a Marco e bandiera della pace Targa con dedica a Marco e bandiera della pace Foto di gruppo in cammino per la pace e il disarmo con striscione della pace Foto di gruppo in cammino per la pace e il disarmo con striscione della pace Tramonto Parco Montesole Statua parco Montesole In cammino sul percorso per Monte Salvaro In cammino sul percorso per Monte Salvaro Foto di gruppo in cammino per la pace e il disarmo Paolo Mazzinghi
La memoria di Sant’Anna ci chiede di costruire un mondo senza violenza
La memoria di Sant’Anna ci chiede di costruire un mondo senza violenza «Ottantun anni fa, a Sant’Anna di Stazzema, 560 vite innocenti – donne, bambini, anziani – furono spazzate via dalla furia nazifascista. Case bruciate, corpi massacrati, un intero paese cancellato. Ricordare non basta: quella memoria ci impone di proseguire, con determinazione, lungo il sentiero verso un mondo finalmente libero da ogni violenza e discriminazione. Un obiettivo ancora lontano, ma che dobbiamo rendere possibile, giorno dopo giorno, con le nostre scelte e le nostre azioni.» Lo afferma Eros Tetti, esponente di Alleanza Verdi Sinistra. «Sant’Anna ci ricorda che la pace non è mai un punto d’arrivo, ma un cammino che richiede impegno costante. Resistere oggi significa coltivare giustizia, uguaglianza, rispetto e solidarietà, fino a quando ogni forma di oppressione, razzismo, sessismo e guerra sarà debellata. Non possiamo fermarci finché la nonviolenza non sarà la regola e non l’eccezione.» Paolo Mazzinghi
Diffuso l’appello per la XXIV Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico. In dialogo per ritrovare l’umanità
Pubblichiamo il comunicato stampa diffuso dal Comitato promotore nazionale della Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico sull’appello XXIV Giornata: “In dialogo per ritrovare l’umanità”.  È stato pubblicato sul sito www.ildialogo.org l’appello della XXIV Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico del 27 ottobre 2025 dal titolo “In dialogo per ritrovare l’umanità”. La Giornata è stata ideata dopo l’11 settembre 2001 per contrastare il rischio di islamofobia sorto in seguito all’attentato alle Torri Gemelle. «Noi credenti nel Dio Clemente e Misericordioso (Corano, Sura Al-Fâtiha) e nel Dio Amore (1 Lettera di Giovanni 4,7) non possiamo arrenderci di fronte alla deriva attuale dell’umanità. Il mondo sta perdendo l’umanità; insieme vogliamo cercare di recuperarla», afferma il testo, che sottolinea non solo la necessità di cessare le guerre, ma anche il diritto universale ad avere «cibo a sufficienza, un lavoro, una casa. Non restando schiavi delle nuove tecnologie escludenti, ma consapevoli dei limiti e dei rischi». L’appello è rivolto non sono a coloro che si riconoscono in una fede confessionale ma «a tutte le persone di buona volontà che praticano la giustizia e l’amore» e richiama «alla sobrietà, alla condivisione, a un uso intelligente delle risorse, a vedere la persona nella sua totalità di corpo e spirito». Ribadendo l’esigenza di «ripudiare la guerra» e «liberare le nostre religioni, e tutte le culture autenticamente umane, dalla connivenza coi sistemi di dominio basati sulla forza delle armi», i promotori auspicano l’accoglienza e la valorizzazione di «semi di riconciliazione tra palestinesi e israeliani come l’esperienza di vita di Neve Shalom Wahat Al-Salam e l’impegno delle associazioni Parent Circle – Families Forum e Combatants for Peace». È possibile esprimere adesioni e comunicare l’organizzazione di eventi a: redazione@ildialogo.org       Redazione Italia