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L’architettura au-delà della costruzione, per una progettazione decreativa
Simone Weil nel saggio La prima radice (L’enracinement) considera il radicamento come un elemento fondamentale per l’individuo. Il radicamento è inteso secondo la filosofa, come legame profondo tra la cultura, la terra e la comunità. In questo senso, Weil può essere riletta come una pensatrice del paesaggio in potenza, o come una fonte etica e spirituale per chi oggi si interroghi su cosa significhi abitare un luogo senza dominarlo.  Weil intuisce infatti che la modernità e i processi di urbanizzazione e globalizzazione tendono a sradicare l’individuo dal proprio paesaggio originario. Questo sradicamento porta a una perdita di significato e di senso di appartenenza, con conseguenti effetti negativi sulla vita morale e sociale. Oggi che sappiamo che la sua intuizione era fondata, è fondamentale preservare e tutelare il legame con il paesaggio, come elemento di un valore d’uso comune essenziale per il benessere dell’individuo e della comunità. Il modus operandi e l’ideologia costruttiva modernista hanno infatti generato degli effetti negativi sulla città: hanno sradicato l’uomo dal paesaggio e dalla tradizionale sostenibilità delle città; hanno prodotto spazi alienanti e disumani (grandi complessi, zoning funzionalista, torri isolate, periferie);  hanno spezzato – infine – il legame tra architettura, comunità e memoria. Il pensiero di Simone Weil – in particolare il suo invito a “fare spazio”, il concetto di radicamento e la decreazione dell’ego – può essere sorprendentemente fecondo, se messo in dialogo con alcune riflessioni e su che cosa significhi oggi fare architettura, su come l’architettura possa diventare un atto spirituale, etico e poetico, piuttosto che puramente tecnico o produttivo. Il concetto di Fare Spazio di Simon Weil può essere inteso, dunque, in relazione all’architettura ed al paesaggio come: 1. lasciare spazio alla tradizione e alla comunità, senza l’arroganza dell’individuo moderno che si crede autosufficiente;  2. fare spazio al paesaggio, inteso non come risorsa da sfruttare, ma come luogo da abitare con umiltà; 3. fare spazio all’altro, in una società dove ciascuno è radicato non solo in sé ma nella reciprocità.  4. Fare spazio all’altro come atto di giustizia e progettazione partecipata: non si prende ma si accoglie; non si progetta sull’altro, ma si permette all’altro di essere e farne parte attiva. L’architettura diventa pratica etica più che espressione artistica. Rifiutare il costruire, in un’epoca di consumismo e speculazione edilizia, è un gesto di resistenza, una forma di responsabilità comune verso il paesaggio: la memoria dei luoghi, la dignità delle persone, etc. Il non costruire è un invito a non produrre nuove forme finché non si è compreso ciò che va conservato, restaurato, reinterpretato.  Un altro concetto chiave di Weil è l’attesa: la forma più pura dell’attenzione, la disponibilità a ricevere ciò che viene. Il mondo è già pieno di edifici inutili, abbandonati, distruttivi. Il settore delle costruzioni è uno dei più inquinanti al mondo. La cementificazione del suolo contribuisce alla crisi climatica, all’estinzione di biodiversità e al collasso degli ecosistemi urbani. Le città si espandono senza assorbire le funzioni vitali già disponibili. Costruire, oggi, è spesso un atto di spreco, non di necessità. L’architettura inoltre è stata spesso il linguaggio delle élite – monumentale, autoritaria, spettacolare – legata alla firma personale delle archistar, trasformata in oggetto iconico. L’architettura come mercificazione della forma: costruire è diventato un gesto egoico, non dialogico, non necessario.  In molte architetture contemporanee i materiali non parlano dei luoghi, le forme ignorano il clima, la cultura, la memoria, L’edificio cancella il paesaggio invece di dialogarvi. L’architettura del futuro potrebbe non essere un oggetto, ma un gesto: di ascolto, di cura, di attenzione, di decreazione.  L’architettura – fatta di relazioni, ricerca, dialogo con le comunità – è un esercizio dell’attendere, del non saturare, del rispettare il tempo dei luoghi. Essa è anche pratica contemplativa. A volte il vero atto creativo è non fare, ma fare spazio. Non intervenire, ma ascoltare. Non imporre, ma accogliere. L’architettura del futuro potrebbe non essere un oggetto, ma un gesto: di ascolto, di cura, di attenzione di decreazione. Redazione Italia