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Clima, Greenpeace Italia e Recommon: “Soddisfatti che Eni abbia cambiato idea, ora si entri subito nel merito della giusta causa”
“Siamo soddisfatti nel constatare che ENI, a seguito del recente pronunciamento delle Sezioni Unite della Cassazione in fatto di cause climatiche, abbia improvvisamente cambiato idea sulla Giusta Causa. Il ricorso in Cassazione, che fino a pochi giorni fa ENI bollava come ‘una scelta effettuata per perseguire una campagna di disinformazione’, ora viene accolto in maniera positiva dalla stessa azienda”. Così Greenpeace Italia e ReCommon commentano l’annuncio fatto da ENI di aver chiesto la riattivazione del giudizio nell’ambito del contenzioso climatico lanciato nei confronti dell’azienda dalle due organizzazioni e da 12 cittadine e cittadini nel maggio 2023. “Se l’azienda avesse voluto entrare davvero nel merito della causa fin da subito, avrebbe dovuto evitare di sollevare il ‘difetto assoluto di giurisdizione’, come invece ha fatto, costringendo Greenpeace Italia e ReCommon a chiedere un pronunciamento alla Corte suprema di Cassazione”, ricordano le due organizzazioni. A differenza di ENI, Greenpeace Italia e ReCommon auspicano da sempre e con convinzione che si apra un dibattito nel merito. Per le due organizzazioni la Giusta Causa è infatti un’occasione storica per portare alla luce le responsabilità del colosso italiano del gas e del petrolio nel riscaldamento del pianeta e ottenere finalmente giustizia climatica per tutte le persone.   Re: Common
Clima, le Sezioni Unite della Cassazione danno ragione a Greenpeace Italia, ReCommon e 12 cittadine e cittadini contro l’ENI
Con una fondamentale decisione pubblicata nel pomeriggio di ieri, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, riunitesi lo scorso 18 febbraio, hanno dato ragione a Greenpeace Italia, ReCommon e 12 cittadine e cittadini, che nei mesi scorsi avevano fatto ricorso alla Suprema Corte, chiedendo se in Italia fosse possibile o meno avere giustizia climatica. «Questa sentenza storica dice chiaramente che anche in Italia si può avere giustizia climatica», commentano Greenpeace Italia e ReCommon. «Nessuno, nemmeno un colosso come ENI, può più sottrarsi alle proprie responsabilità. I giudici potranno finalmente esaminare il merito della nostra causa: chi inquina e contribuisce alla crisi climatica deve rispondere delle proprie azioni». L’importantissimo verdetto avrà infatti impatto su tutte le cause climatiche in corso o future in Italia, rafforzando la protezione dei diritti umani legati alla crisi climatica, già riconosciuti dalla Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU). Non solo potrà essere decisa nel merito la causa contro ENI, Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. (CDP) e Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), avviata da Greenpeace Italia, ReCommon e 12 cittadine e cittadini davanti al Tribunale di Roma perché sia imposto alla società di rispettare l’Accordo di Parigi, ma la decisione indica la strada per tutte le future azioni giudiziarie nel nostro Paese. Questa pronuncia si inserisce nel quadro delle più importanti decisioni giudiziarie europee ed internazionali di climate change litigation. Nel maggio 2023, Greenpeace Italia, ReCommon e i 12 cittadine e cittadini italiani avevano presentato una causa civile nei confronti di ENI, di Cassa Depositi e Prestiti e del Ministero dell’Economia e delle Finanze – questi ultimi due enti in qualità di azionisti che esercitano un’influenza dominante su ENI – per i danni subiti e futuri, in sede patrimoniale e non, derivanti dai cambiamenti climatici a cui il colosso italiano del gas e del petrolio ha significativamente contribuito con la sua condotta negli ultimi decenni, pur essendone pienamente consapevole. ENI, CDP e MEF avevano eccepito “il difetto assoluto di giurisdizione del giudice ordinario adito”, ritenendo che nel nostro Paese una causa climatica non fosse procedibile. Greenpeace Italia, ReCommon e le cittadine e cittadini che hanno promosso la “Giusta Causa” hanno dunque fatto ricorso per regolamento di giurisdizione alla Suprema Corte, a cui hanno chiesto un pronunciamento in via definitiva. Il verdetto delle Sezioni Unite della Cassazione, pubblicato nel pomeriggio di ieri, ha infine dato ragione a cittadine, cittadini e organizzazioni. Il responso della Suprema Corte sancisce senza ombra di dubbio che i giudici italiani si possono pronunciare sui danni derivanti dal cambiamento climatico sulla scorta tanto della normativa nazionale, quanto delle normative sovranazionali e che, dunque, le cause climatiche nel nostro Paese sono lecite e ammissibili anche in termini di condanna delle aziende fossili a limitare i volumi delle emissioni climalteranti in atmosfera. La Cassazione ribadisce anche che un contenzioso climatico come quello intentato da Greenpeace Italia e ReCommon non è affatto un’invasione nelle competenze politiche del legislatore o delle aziende, quali Eni. La tutela dei diritti umani fondamentali di cittadine e cittadini minacciati dall’emergenza climatica è superiore a ogni altra prerogativa e da oggi sarà possibile avere giustizia climatica anche nei tribunali italiani. Inoltre le Sezioni Unite chiariscono che i giudici italiani sono competenti anche in relazione alle emissioni climalteranti emesse dalle società di ENI presenti in Stati esteri, sia perché i danni sono stati provocati in Italia, sia perché le decisioni strategiche sono state assunte dalla società capogruppo che ha sede in Italia. A questo punto il giudice a cui è stato assegnato il contenzioso climatico lanciato nel 2023 da Greenpeace Italia, ReCommon e 12 cittadine e cittadini italiani dovrà entrare nel merito dei danni che ENI ha contribuito ad arrecare agli attori ricorrenti, ma non c’è più alcun dubbio sul diritto ad agire per la tutela dei loro diritti di fronte a un giudice italiano quando gli effetti del cambiamento climatico si verifichino in Italia e quando le decisioni che hanno contribuito al cambiamento climatico siano state prese in Italia. Grazie alla presente azione e alla decisione della Suprema Corte a Sezioni Unite l’Italia si allinea agli altri Paesi più evoluti in cui il clima e i diritti umani trovano una tutela giurisdizionale. Greenpeace Italia e ReCommon attendono ora che il giudice ordinario a cui spetta tornare a decidere su “La Giusta Causa”  superi ogni altra eccezione preliminare ed entri finalmente nel merito, come già avvenuto nei tribunali dei più importanti Paesi europei. Le due organizzazioni e i 12 cittadine e cittadini chiedono che la giustizia faccia il suo corso, come già avviene nei più avanzati ordinamenti giuridici europei. Leggi la sentenza.   Re: Common
Stop Rearm Europe: Al via “Comuni per la Pace e contro il riarmo”
“Al via l’iniziativa ‘Comuni per la Pace e contro il riarmo”, la nuova fase della mobilitazione sui territori della campagna europea ‘Stop rearm europe’ volta ad attivare e coinvolgere, attraverso la presentazione di ordini del giorno e delibere d’iniziativa popolare, cittadini ed enti locali contro l’aumento delle spese militari previsto dal Piano di riarmo europeo e dalla decisione presa di in sede Nato di destinare il 5% del Pil degli Stati Ue alla Difesa e all’industria degli armamenti”. Lo annunciano i promotori italiani della Campagna europea “Stop Rearm Europe” (https://stoprearm.org/), Arci, Ferma il Riarmo (Sbilanciamoci, Rete Italiana Pace e Disarmo, Fondazione Perugia Assisi, Greenpeace Italia), Attac e Transform Italia, che lo scorso 21 giugno a Roma ha visto oltre 100mila persone in piazza con la manifestazione nazionale ‘No guerra, riarmo, genocidio, autoritarismo’. “L’attuazione del Piano di riarmo Ue e l’aumento al 5% del Pil per le spese militari indicato dalla Nato incideranno sulle risorse destinate ai Comuni con ulteriori tagli ai servizi pubblici e alla spesa sociale, fino a comprometterne la funzione pubblica e sociale. – spiegano – Proponiamo quindi che in ogni Comuna venga votata una delibera che schieri l’Ente Locale per la Pace e contro ogni politica di riarmo. Ogni investimento negli armamenti rende, in termini occupazionali, solo 3.000 posti per ogni miliardo, mentre, a parità di investimento, renderebbe 8.000 posti nel settore ambientale, 12.000 nel settore sanitario e 14.000 nel settore dell’istruzione. Ad oggi sono già 15 miliardi complessivi le risorse sottratte ai Comuni a causa del Patto di Stabilità, attraverso il blocco delle assunzioni di personale e l’azzeramento delle possibilità d’investimento, e la Legge di Bilancio 2025 ha già previsto un ulteriore taglio di complessivi 1,3 miliardi per il periodo 2025-2029. In vista della prossima legge di bilancio, l’autunno che verrà sarà il più ‘bollente’ degli ultimi decenni in termini di lotta e mobilitazione in Italia e in Europa”. https://stoprearmitalia.it/wp-content/uploads/2025/07/cs-Comuni-contro-riarmo.pdf   Roma, 10 luglio 2025   Leggi il testo dell’odg su https://stoprearmitalia.it/ https://stoprearmitalia.it/wp-content/uploads/2025/07/ODG_per_Consiglio_Comunale.pdf   Rete Italiana Pace e Disarmo
Mobilitazioni e manifestazioni internazionali per ribadire con forza “Stop Rearm Europe”
«In un mondo a pezzi, l’Europa reale dichiara di volersi preparare alla guerra e di voler preparare alla guerra la cittadinanza e le nuove generazioni. Nel frattempo l’Ue e il governo italiano continuano a partecipare e armare la guerra in Ucraina e sono complici di Israele, che si prepara all’invasione finale di Gaza e a portare a compimento il piano di eliminazione del popolo palestinese. Ma la maggioranza della popolazione italiana è contro la guerra, e ha diritto ad essere rappresentata». Recita così l’appello alla mobilitazione per la manifestazione nazionale contro la guerra, in programma a Roma il 21 giugno. Un appuntamento per dire no al riarmo, al genocidio e all’autoritarismo promosso da oltre 300 reti, organizzazioni sociali, sindacali e politiche che hanno sottoscritto l’appello della Campagna europea “Stop Rearm Europe”. Una campagna a cui hanno aderito circa mille sigle in 18 paesi diversi e che vede come promotori italiani Arci, Ferma il Riarmo (Sbilanciamoci, Rete Italiana Pace e Disarmo, Fondazione Perugia Assisi, Greenpeace Italia), Attac e Transform Italia. Controvertice NATO E finalmente il 21 giugno l’Europa pacifista scende in piazza per dire no al riarmo e alla complicità con Israele. Un’alternativa al riarmo, ai missili europei, al silenzio complice della NATO su Gaza. Il prossimo 21 giugno in tutta Europa migliaia di cittadine e cittadini europei scenderanno in piazza per un controvertice pacifista diffuso. Sarà la risposta nonviolenta e determinata al prossimo vertice NATO, che si terrà a L’Aia dal 24 al 26 giugno 2025, con al centro un’agenda sempre più incentrata sul rafforzamento bellico dell’Alleanza Atlantica che già ora dispone di un potenziale bellico enormemente superiore alla Russia dal punto di vista delle armi convenzionali. Nel cuore delle discussioni dei leader NATO ci saranno drammatici obiettivi * Il rilancio del programma di riarmo europeo (nonostante l’Europa abbia una superiorità militare sulla Russia pari a 3 volte). * L’approvazione dei piani per l’installazione di nuovi euromissili in Germania e altrove dal 2026. L’approvazione dei piani per l’installazione di nuovi euromissili in Germania e altrove dal 2026 Lo sviluppo del nuovo missile europeo ELSA (European Long-range Strike Asset), con una gittata tale da raggiungere profondamente il territorio russo. E, con un silenzio assordante, il prosieguo della collaborazione militare con Israele, nonostante le sempre più gravi denunce di crimini di guerra a Gaza. Contro tutto ciò, il movimento pacifista ha il compito di lanciare un messaggio chiaro e articolato. No al riarmo europeo. L’Europa ha bisogno di investimenti nella giustizia sociale, nella riconversione ecologica, nell’istruzione e nella salute, non in arsenali militari. Il cosiddetto “pilastro europeo della NATO” non può diventare la corsia preferenziale per le industrie belliche. No dunque ai nuovi euromissili Tornano gli spettri della Guerra Fredda. Le nuove testate tattiche statunitensi saranno ospitate in Germania e in altri Paesi europei dal 2026, rendendo il nostro continente il primo bersaglio in un eventuale conflitto nucleare. Rifiutiamo questa strategia suicida. No al missile ELSA. Un’arma capace di colpire Mosca in 8 minuti non può che innescare una corsa agli armamenti ancora più pericolosa. È un progetto destabilizzante, contrario a ogni logica di disarmo e sicurezza condivisa. Stop alla complicità con Israele. Le esercitazioni militari congiunte NATO-Israele sono uno scandalo. Chiediamo alla NATO una presa di posizione netta e pubblica contro i crimini di guerra commessi a Gaza, in linea con il diritto internazionale e con i rapporti ONU. Un autunno di mobilitazione: appuntamento ad ottobre contro l’esercitazione nucleare Steadfast Noon Durante l’autunno, il movimento pacifista non potrà ignorare la necessità di una nuova mobilitazione in vista di Steadfast Noon, l’annuale esercitazione nucleare della NATO che si svolgerà in ottobre. Data e luogo non sono per ora stati comunicati. In quella esercitazione che durerà più giorni, verranno simulate operazioni di attacco con ordigni nucleari. In quella esercitazione verranno verificate le procedure della guerra nucleare. Di come funzioni la guerra nucleare i parlamentari europei e nazionali non sanno praticamente nulla. Le procedure sono decise senza alcun coinvolgimento democratico dei Parlamenti e dei cittadini europei. Le procedure decisionali rimangono opache e centralizzate, lasciando ogni potere di scelta all’apparato militare statunitense. Il lancio delle armi nucleari non richiede il principio di unanimità su cui teoricamente si dovrebbe fondare la NATO. Resta poco chiaro se è come verrebbero consultati Mattarella e la Meloni in caso di uso delle bombe di Ghedi (per gli F35 di Amendola) e di Aviano (per gli F-16 USA). Ciò significa che anche Paesi non dotati di armi nucleari – ma membri della NATO – verrebbero trascinati in un conflitto nucleare globale, senza alcuna possibilità di dissentire, nel caso in cui il bottone venisse premuto. Un’Europa per la pace, non per la guerra Quello del 21 giugno non sarà solo un giorno di protesta: sarà un momento di proposta. Le reti pacifiste europee hanno il compito di lavorare a una piattaforma comune per costruire una sicurezza condivisa basata sulla negoziazione e non sul riarmo. Sarà importante dotare i movimenti pacifisti europei di strumenti comuni fra cui un calendario online per condividere le iniziative di mobilitazione. In un tempo segnato da nuove guerre e vecchie logiche di potenza, tocca ai movimenti civili indicare una via d’uscita. E lo stanno facendo nei diversi paesi. Voci di dissenso contro il riarmo europeo: un fronte eterogeneo La proposta di un significativo riarmo a livello europeo sta suscitando un acceso dibattito e un’ampia gamma di opposizioni. Tra le voci più autorevoli che si levano contro questa tendenza spicca la Santa Sede. Papa Francesco ha più volte espresso la sua preoccupazione per l’escalation della spesa militare, esortando a investire invece in iniziative di pace, sviluppo umano integrale e lotta alla povertà. La diplomazia vaticana tradizionalmente promuove il disarmo e la risoluzione pacifica dei conflitti, vedendo nel riarmo un pericoloso incentivo alla guerra e una sottrazione di risorse preziose per il benessere dell’umanità. Il giorno stesso della sua elezione e poi in almeno tre significativi interventi, il nuovo Pontefice, Leone XIV, ha fatto sue le parole del messaggio di Pasqua, vero testamento spirituale di Bergoglio, con la richiesta di un disarmo generalizzato. Questo stesso appello risuona ora in molte comunità cattoliche e tra leader religiosi di diverse fedi, che condividono una visione di pace e fratellanza universale. Oltre alle considerazioni etiche e spirituali, le opposizioni al riarmo europeo si fondano su diverse motivazioni. Movimenti pacifisti e antimilitaristi da tempo denunciano le spese militari come uno spreco di risorse che potrebbero essere destinate a sanità, istruzione, transizione ecologica e welfare. Essi sostengono che un aumento degli armamenti non garantisce maggiore sicurezza, ma anzi alimenta un clima di sospetto e tensione internazionale, incrementando il rischio di conflitti. Anche settori politici di sinistra e forze progressiste esprimono forti riserve. Essi criticano la priorità data alla difesa rispetto ad altre politiche sociali ed economiche, temendo che il riarmo possa portare a un’austerità ancora maggiore e a un depotenziamento dei servizi pubblici. Alcuni mettono in discussione l’efficacia di una corsa agli armamenti come risposta alle sfide geopolitiche attuali, privilegiando invece la via della diplomazia, della cooperazione internazionale e della risoluzione nonviolenta dei conflitti. Non mancano poi le voci più pragmatiche e legate a considerazioni economiche. Alcuni analisti sottolineano i costi proibitivi di un riarmo su vasta scala, mettendo in guardia sui potenziali impatti negativi sui bilanci nazionali e sulla stabilità economica dell’Unione Europea. Si evidenzia anche il rischio di una duplicazione degli sforzi e di una mancanza di coordinamento tra i diversi paesi membri, con conseguente inefficienza della spesa. Infine, una parte dell’opinione pubblica, pur riconoscendo la complessità dello scenario internazionale, manifesta scetticismo verso un aumento massiccio degli armamenti. Sondaggi recenti in diversi paesi europei mostrano una significativa percentuale di cittadini contrari a questa politica, preoccupati per le sue implicazioni sociali ed economiche. In conclusione, l’opposizione al riarmo europeo è un fenomeno molto ampio e radicato, destinato a rimanere vivo e acceso, influenzando le scelte politiche dei prossimi anni.   Laura Tussi