Afghanistan, il terremoto che colpisce due volte: macerie e diritti negati
Un boato nella notte. Le case di fango e pietra che tremano e si sbriciolano
come sabbia. Le famiglie che scavano a mani nude, tra il silenzio rotto solo dai
lamenti. È l’immagine che arriva dall’Afghanistan orientale, colpita il 31
agosto da un terremoto di magnitudo 6.0 che ha devastato la provincia di Kunar,
vicino al confine con il Pakistan. Secondo i dati ufficiali forniti dalle
autorità e confermati da fonti internazionali, il sisma ha provocato oltre 1.400
morti e circa 3.500 feriti. Migliaia di case sono crollate all’istante,
inghiottendo interi villaggi. Le frane hanno isolato strade e comunità già
fragili. In alcune aree, i corpi sono stati sepolti in fosse comuni
improvvisate: troppo alto il numero delle vittime, troppo scarse le risorse per
dare a ciascuno una sepoltura dignitosa.
Il disastro ha colpito un paese già in ginocchio. I finanziamenti
internazionali, in particolare quelli americani, sono stati ridotti dopo il
ritorno al potere dei talebani. Cliniche e ospedali hanno chiuso per mancanza di
fondi, elicotteri e mezzi di soccorso restano a terra, e la macchina dei
soccorsi, in una situazione simile, parte già mutilata. Il governo talebano ha
lanciato un appello per aiuti internazionali, e alcune agenzie hanno risposto,
ma la diffidenza resta alta: la comunità internazionale si interroga su come
portare soccorso senza legittimare un regime che nega i diritti fondamentali a
metà della sua popolazione.
Il terremoto ha mostrato con spietata chiarezza un altro volto della tragedia:
quello delle donne. Non solo colpite dai crolli come tutti, ma vittime due
volte, del sisma e delle leggi che le imprigionano. In Afghanistan oggi una
donna non può essere curata da un medico uomo senza la presenza di un
accompagnatore maschile. Nelle zone più remote non sempre un familiare è
disponibile, e la carenza di medici donna, conseguenza del divieto imposto alle
ragazze di studiare medicina, rende l’accesso alle cure quasi impossibile. Così
molte ferite sono rimaste a casa, curate alla meglio con rimedi locali, mentre
le ore scorrevano decisive. Una condizione che trasforma un evento naturale in
una catastrofe sociale, dove le discriminazioni pesano come macerie invisibili.
Questa tragedia non è solo afghana. È uno specchio crudele per il mondo intero:
mostra cosa significa affrontare una catastrofe senza diritti, senza libertà,
senza voce. Ricorda che in un contesto di oppressione, un terremoto non scuote
solo le case, ma le fondamenta stesse della dignità umana.
Secondo le Nazioni Unite, oltre 23 milioni di afghani, quasi la metà della
popolazione, vivono oggi in condizioni di grave insicurezza alimentare. Dopo il
sisma del 31 agosto, l’ONU e la Croce Rossa hanno denunciato la mancanza di
risorse adeguate per portare soccorso: molte cliniche sono state chiuse, i tagli
internazionali hanno bloccato le forniture mediche e intere comunità restano
isolate. In questo scenario disperato, ogni aiuto diventa questione di vita o di
morte.
Ma come inviare aiuti senza diventare complici? È la domanda che attraversa le
cancellerie ei movimenti civili di tutto il mondo. Perché se da un lato è
urgente garantire acqua, cura e ripari a chi ha perso tutto, dall’altro c’è il
rischio che gli aiuti diventino strumenti nelle mani di chi nega i diritti
fondamentali.
La risposta non può che passare dalla comunità internazionale, dalle Nazioni
Unite e dalle grandi organizzazioni umanitarie, che devono pretendere
trasparenza, accesso diretto e garanzie per le donne ei più vulnerabili. Ogni
pacco di viveri, ogni farmaco, ogni tenda consegnata agli sfollati sarà allora
non solo un gesto di solidarietà, ma anche un atto politico di resistenza alla
disumanizzazione.
In Afghanistan, il terremoto ha distrutto villaggi e vite, ma il sisma più
profondo resta quello dei diritti negati. Ecco perché la vera ricostruzione non
sarà solo fatta di mattoni: comincerà quando il mondo troverà il coraggio di
aiutare senza chiudere gli occhi, di tendere la mano senza rafforzare le catene.
Fonti
Washington Post, 2 settembre 2025 – I talebani chiedono aiuti internazionali
mentre il bilancio delle vittime del terremoto in Afghanistan supera le 1.400
WSJ, 31 agosto 2025 – L’Afghanistan è stato colpito da un mortale terremoto di
magnitudo 6.0
RFE/RL, 1 settembre 2025 – Le donne afghane subiscono le conseguenze del
terremoto a causa delle restrizioni imposte dai talebani
Lucia Montanaro