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Due diciottenni israeliani finiscono in prigione per il rifiuto di partecipare al genocidio a Gaza
Questa mattina, i diciottenni Ayana Gerstmann e Yuval Pelleg si sono rifiutati di arruolarsi nell’esercito israeliano. Gerstmann è stata condannata a 30 giorni di prigione militare, mentre Pelleg è stato condannato a 20 giorni. Prima di entrare nella base di arruolamento di Tel HaShomer, la Rete Mesarvot ha organizzato una manifestazione a sostegno dei due giovani obiettori di coscienza, con la partecipazione di decine di ex obiettori, di familiari e del deputato della Knesset Offer Cassif. Ayana Gerstmann – Dichiarazione di rifiuto Mi chiamo Ayana Gerstmann, ho 18 anni e la legge israeliana mi impone di arruolarmi. Ho deciso di rifiutare, poiché la mia morale mi obbliga a farlo e ho scelto di agire di conseguenza. Sono cresciuta in una famiglia che parlava spesso del fallimento morale del servizio militare. Eppure da ragazzina non capivo bene cosa fosse il fallimento morale del servizio militare di cui mia madre parlava spesso. Non avevo idea di cosa stesse accadendo intorno a me, quali fossero i territori e quali le occupazioni. Ricordo che anni fa ho partecipato alla cerimonia della Giornata di Gerusalemme della mia scuola – ho ballato, cantato e recitato testi nazionalistici senza nemmeno immaginare che ci fosse un problema con la celebrazione gioiosa di ciò che ci veniva mostrato come “l’unificazione di Gerusalemme – la capitale eterna”. Un anno dopo la mia ignoranza politica è andata in frantumi. Nei giorni precedenti la Giornata di Gerusalemme, ci venne assegnata una ricerca sui luoghi importanti di Gerusalemme. Oggi mi è chiaro che l’obiettivo era quello di rafforzare le mie tendenze nazionalistiche, ma il risultato è stato l’opposto. Ho letto di Gerusalemme Est e per la prima volta l’ho vista come era rappresentata nel sito web di B’Tselem. Improvvisamente ho aperto gli occhi su ciò che si nascondeva dietro le celebrazioni dell’orgoglio nazionale a cui avevo partecipato un anno prima: l’occupazione e l’oppressione. Improvvisamente, e in un colpo solo, mi sono trovata davanti la profonda sofferenza di milioni di persone, che prima non sapevo nemmeno esistessero, la cui libertà viene schiacciata giorno dopo giorno, ora dopo ora, dal regime di occupazione. Da quel momento, è cresciuta la consapevolezza che non posso assolutamente far parte del sistema militare che applica il regime di occupazione e che rende la vita dei palestinesi miserabile. Non farò parte di un sistema che espelle abitualmente comunità, uccide innocenti e permette ai coloni di appropriarsi delle loro terre. Dal 7 ottobre questa consapevolezza ha raggiunto il suo apice a causa delle azioni dell’esercito a Gaza. Dall’inizio della guerra, decine di migliaia di donne e bambini sono stati uccisi e centinaia di migliaia sono stati sfollati dalle loro case, costretti a vivere in campi profughi, privati della loro dignità e affamati. Questa catastrofe umanitaria è il risultato delle azioni dell’esercito, il risultato di una guerra che dura da quasi due anni e che ha perso i suoi obiettivi da tempo. Da due anni vedo lo spargimento di sangue come risultato di una guerra di vendetta senza speranza. Vedo decine di migliaia di bambini gazawi che nascono e crescono nella disperazione, nella morte e nella distruzione che formano un circolo infinito di odio, vendetta e omicidio. Vedo centinaia di giovani della mia età che vengono uccisi perché mandati dallo Stato a continuare in eterno questo circolo. Vedo una guerra che mette in pericolo la vita degli ostaggi. E non posso rimanere in silenzio di fronte a queste cose. Non posso tacere in una società in cui il silenzio ha preso il sopravvento. Non ho il privilegio di stare in silenzio, quando so che tutti intorno a me lo hanno fatto a lungo. La società israeliana ha visto l’occupazione per sei decenni e sta chiudendo gli occhi. La società israeliana vede i bambini gazawi uccisi nei bombardamenti e chiude gli occhi. La società israeliana vede l’esercito commettere le peggiori atrocità morali e decide di tacere. La società israeliana non è pronta a riconoscere le atrocità che il suo esercito sta commettendo contro gli innocenti, perché sa che una volta che lo farà, non sarà in grado di affrontare il senso di colpa. Invece di invocare la propria moralità e opporsi alle atrocità, la società israeliana mette a tacere ogni accenno alla propria immoralità, giustifica tutto ciò che non può essere messo a tacere ed etichetta come malvagia qualsiasi opposizione alla guerra, per paura di essere etichettata come tale, se oserà guardare la verità. Durante la guerra ho sentito innumerevoli volte l’affermazione ”Non ci sono innocenti a Gaza” – e sono inorridita. Vedo questa affermazione normalizzarsi sempre di più. Vedo persone davvero convinte che nemmeno il più piccolo bambino di Gaza sia innocente e che quindi non meriti alcuna pietà. E io rispondo: Un bambino è sempre innocente! Anch’io da bambina ero innocente, quando ho partecipato alle cerimonie della Giornata di Gerusalemme. Non potevo scegliere diversamente quando ho letto i testi nazionalisti che mi era stato detto di leggere, ignorando completamente le sofferenze palestinesi. Un bambino inconsapevole non può fare le sue scelte e quindi è innocente. Ma ora, essendo maturata, la mia innocenza non è incondizionata. Per questo so che se decidessi di rimanere in silenzio, ora che sono consapevole delle sofferenze inflitte a milioni di persone dall’esercito, sarei complice del crimine. Oggi so che non posso tacere di fronte alla sofferenza. Non posso tacere di fronte alle uccisioni e alla distruzione. E oggi so che arruolarsi nell’esercito è peggio del silenzio: è collaborare con un sistema che fa del male a milioni di persone. Per questo mi rifiuto, e lo faccio a gran voce. Non collaborerò e non farò parte del silenzio che permette di commettere le peggiori atrocità in mio nome. Come cittadina di questo Paese dico chiaramente: la distruzione di Gaza – non in mio nome! L’occupazione – non in mio nome! Mi rifiuto di rimanere in silenzio, nella speranza che la mia voce apra gli occhi di altri nella nostra società e risvegli la loro consapevolezza di ciò che viene fatto in loro nome – fino a quando neanche loro potranno più rimanere in silenzio”. Yuval Pelleg – Dichiarazione di rifiuto Mi chiamo Yuval Pelleg e oggi mi rifiuto di arruolarmi. Come tutti noi, ricordo bene le atrocità del 7 ottobre e l’inizio della guerra di distruzione. Ricordo anche le parole di Tal Mitnick, che poco tempo dopo si rifiutò di arruolarsi e disse che la guerra non avrebbe portato alcun progresso, ma solo morte e distruzione. Sono passati 22 mesi e le sue affermazioni si sono rivelate vere. Gli obiettivi ufficiali della guerra – smantellare il dominio di Hamas e restituire gli ostaggi – non sono stati raggiunti. Sotto le dichiarazioni di “porteremo la sicurezza” e di “vittoria totale”, tuttavia, si nasconde una sinistra verità: il vero obiettivo che sta guidando la guerra, quello che non si trova nelle note ufficiali, era e rimane la vendetta. Una vendetta che ha causato l’uccisione di molte decine di migliaia di gazawi, tra cui bambini che il 7 ottobre non erano nemmeno nati, la distruzione totale della Striscia di Gaza e la distruzione di ogni speranza. Mentre assisto ai crimini commessi dall’esercito israeliano contro il popolo palestinese a Gaza e in Cisgiordania, si rivela un fatto spiacevole riguardo all’arruolamento in un esercito che pretende di proteggermi in quanto ebreo: si tratta di un’azione incompatibile con i principi fondamentali della vita e dell’uguaglianza per tutti gli esseri umani, e dell’adesione a un sistema la cui essenza è l’oppressione, l’occupazione e la distruzione. Un tempo speravo di dare un contributo importante alla società attraverso il servizio militare. Ho studiato informatica e volevo entrare nell’intelligence, imparare nell’esercito e poi trovare un buon lavoro nell’alta tecnologia. Purtroppo, ogni linea rossa che avrei potuto immaginare (e molte altre che non mi sono mai passate per la testa) è stata oltrepassata. Non si possono scusare o giustificare i crimini che lo Stato di Israele ha commesso negli ultimi due anni, e in generale in tutta la sua storia. La conclusione è chiara: rifiutare di arruolarsi non è solo un diritto, ma un obbligo, e il primo passo per migliorare la vita di tutti quelli che vivono in questa terra. Dobbiamo capire che il genocidio di Gaza non sta avvenendo in modo casuale o per una scelta “sfortunata” nell’elezione dei leader. È il risultato di lunghi processi di fascistizzazione dell’area e una logica conclusione derivata dai principi fondamentali del sionismo. Lo Stato di Israele ha acquisito esperienza nei crimini e nel terrore fin dalle prime fasi della sua fondazione, e oggi la loro portata e la loro accettazione da parte della società sono più ampie che mai. Da un lato l’ignoranza della morale e del diritto internazionale è sempre stata familiare allo Stato, dall’altro siamo chiaramente nel mezzo di un declino – è lecito supporre che se Nathan Alterman scrivesse “Al Zot” (una poesia del 1948 che critica i crimini di guerra israeliani) oggi verrebbe considerato un traditore e gli direbbero: “Vai a Gaza”. Giustamente, l’IDF non è considerato a livello internazionale un esercito morale, e tantomeno “l’esercito più morale del mondo”. Le sue azioni e le sue aspirazioni – uccisioni di massa di bambini, fame indotta e persino piani per istituire un campo di concentramento – cioè un genocidio – ispirano odio e disgusto, e se mettiamo da parte il nazionalismo e il tribalismo è facile vedere che la rabbia, l’odio e l’opposizione non sono reazioni radicali e certamente non antisemite, ma piuttosto morali, minime e giustificate in risposta ai crimini di cui sopra. Nonostante tutti i suoi crimini, le nazioni del mondo continuano a rifornire la macchina di distruzione israeliana con armi e finanziamenti. Presto sarò imprigionato per il mio rifiuto di partecipare al massacro e mi appello a voi, popoli del mondo: intensificate la lotta! Unitevi a me e resistete alla distruzione e al genocidio con tutta la vostra forza. Infine, voglio ricordare che qui non si tratta di me. Si tratta della distruzione, delle persone uccise, del dialogo che è stato portato all’estinzione e della giustizia che è stata sepolta sotto le macerie di Gaza. Mi sforzo di prendere parte a una lotta per la vita, l’uguaglianza e la libertà. In questa lotta, una cosa è chiara: io e l’esercito siamo agli antipodi. Ecco perché mi rifiuto di arruolarmi. Mesarvot
Due diciottenni israeliani rifiutano di arruolarsi nell’esercito per protesta contro l’annientamento di Gaza
Giovedì 31 luglio 2025 alle ore 10:00, presso la base militare di Tel HaShomer, gli attivisti della rete Mesarvot terranno una manifestazione a sostegno di Ayana Gerstmann, diciottenne di Ramat-Gan, che si rifiuta di arruolarsi nell’esercito israeliano per protesta contro la guerra e il genocidio a Gaza, che ha già ucciso più di 60.000 palestinesi e distrutto intere città, e per opporsi all’occupazione in corso del popolo palestinese. Insieme a lei, anche Yuval Peleg, 18 anni, di Kfar Saba, si rifiuterà di arruolarsi domani mattina. Ayana Gerstmann: “Durante la guerra, ho sentito innumerevoli volte l’affermazione ”Non ci sono innocenti a Gaza” – e sono inorridita. Vedo questa affermazione normalizzarsi sempre di più. Vedo persone davvero convinte che nemmeno il più piccolo bambino di Gaza sia innocente e che quindi non meriti alcuna pietà. E io rispondo: Un bambino è sempre innocente! Come cittadina di questo Paese, dico con voce chiara: la distruzione di Gaza – non in mio nome! L’occupazione – non in mio nome! Mi rifiuto di rimanere in silenzio, nella speranza che la mia voce apra gli occhi di altri nella nostra società e risvegli la loro consapevolezza di ciò che viene fatto in loro nome – fino a quando anche loro non potranno più rimanere in silenzio”. Yuval Peleg: “Nonostante tutti i suoi crimini, le nazioni del mondo continuano a rifornire la macchina di distruzione israeliana con armi e finanziamenti. Presto sarò imprigionato per il mio rifiuto di partecipare al massacro e mi appello a voi, popoli del mondo: intensificate la lotta! Unitevi a me e resistete alla distruzione e al genocidio con tutta la vostra forza”. Foto di Soul Behar Tsalik, Mesarvot Mesarvot
Israele: giovani-refusenik-bruciano-gli-ordini-di-arruolamento
Riceviamo testo e video dalla associazione ‘Pungolo rosso’ https://pungolorosso.com/2025/07/20/tel-aviv-giovani-refusenik-bruciano-gli-ordini-di-arruolamento-nellesercito-del-genocidio-video/ “Pubblichiamo un breve video di una manifestazione di protesta promossa da Mesarvot (organizzazione israeliana a supporto degli obiettori di coscienza) che ha avuto luogo lo scorso martedì 15 luglio a Tel Aviv, al termine della quale alcuni giovani refusenik hanno bruciato i documenti di coscrizione nell’esercito israeliano. Questa iniziativa non ha certo coinvolto enormi masse (siamo nell’ordine di grandezza delle decine), ma ha comunque il suo valore perché è avvenuta in un periodo in cui nella società israeliana impazza un’isteria genocidaria nei confronti del popolo palestinese. Per quanto storicamente ci siano state periodiche ondate in cui il numero di aderenti a questa prospettiva è cresciuto (per lo più in coincidenza con i periodi di maggiore tensione del conflitto israelo-palestinese) salvo poi rifluire, la renitenza alla leva in Israele rimane ancora, purtroppo, un fenomeno marginale. [Tutt’altra cosa è l’esenzione di stato dalla leva per gli ultra-ortodossi.] Ciò che è di particolare rilievo in questa testimonianza filmata è la natura del rifiuto espresso dai manifestanti, consapevoli che davanti ad un genocidio il dovere di ciascun individuo dotato di coscienza umana è quello di resistere e opporsi materialmente come può. Una presa di posizione contro la guerra ai palestinesi, questa, ben lontana da quella delle folle che richiedono a gran voce una tregua che consenta la liberazione degli ostaggi-prigionieri tutt’ora nelle mani di Hamas, ma non per questo sono contrarie ai piani colonialisti di Israele in Palestina e, più in generale, nel Medio Oriente. La posizione di questi giovani dimostranti, in larga parte adolescenti, è netta: quello che l’esercito israeliano sta compiendo (del tutto in continuità con l’azione intrapresa sin dalla fondazione di Israele, ricordano giustamente) è un genocidio. E a perpetrarlo è ciascun soldato, a prescindere dal grado del suo inquadramento nelle fila dell’IDF. «Che sia al fronte o nelle retrovie, ogni soldato è complice dell’assassinio in corso», «chiunque indossi un’uniforme è complice dell’omicidio di massa»: questi alcuni degli slogan scanditi dai manifestanti in corteo, a cui si accompagna, in uno degli interventi di chiusura la perentoria definizione delle forze armate israeliane quali «il nemico a cui dobbiamo resistere». Molti di loro hanno già scontato periodi di carcerazione in quanto renitenti alla leva (tra quanti rilasciano una dichiarazione nel filmato è presente anche Itamar Greenberg, della cui diserzione abbiamo già parlato in un post dello scorso agosto), e ai restanti non sarà certo risparmiata questa esperienza. Il coraggio mostrato nell’affrontare la situazione sfavorevole e questa prospettiva li rende degni del nostro rispetto e della nostra ammirazione. Crescete e moltiplicatevi! “ Antonio Ghibellini
Yona Roseman, obiettrice di coscienza israeliana: «Non mi arruolo in un esercito che sta commettendo un genocidio»
In Israele la leva militare è obbligatoria. Yona Roseman ha 19 anni e ad agosto andrà in un carcere militare perché ha rifiutato di arruolarmi. Ha scelto di rendere pubblica la sua decisione ed è entrata a far parte delle rete di attivisti Mesarvot, un’associazione che offre supporto e sostegno legale ai giovani che scelgono di non combattere. «La mia famiglia non l’ha presa bene, alcuni amici di scuola hanno tagliato i ponti con me. Spero in uno Stato democratico in cui tutti abbiano uguali diritti e i rifugiati palestinesi possano tornare. Penso che prima o poi succederà» A Yona Roseman, 19 anni, è stato chiesto di indossare la mimetica, armarsi, e andare a combattere. L’arruolamento è previsto per agosto ma «io non combatterò», dice. E sa già che questo rifiuto le costerà il carcere militare. Non sa per quanto tempo dovrà restarci, ma per chi come lei si è rifiutata più di una volta la permanenza può variare dai 30 ai 200 giorni consecutivi. In Israele il servizio militare è obbligatorio sia per gli uomini che per le donne, al compimento dei 18 anni. L’obbligo di leva si estende anche ai cittadini israeliani che vivono all’estero e a quelli con doppio passaporto. Dopo l’inizio della guerra tra Israele e Hamas il governo israeliano ha approvato un’estensione della leva a 3 anni per uomini e donne per i prossimi 5 anni. Mentre il governo di Netanyahu continua a bombardare senza sosta la Striscia di Gaza e porta avanti l’occupazione illegale della Cisgiordania, cresce il numero di soldati che rifiutano di servire e aumentano i casi di suicidio tra i militari. Yona Roseman fa parte della rete Mesarvot, un gruppo di attivisti che rifiuta di prestare il servizio militare obbligatorio. Una realtà che offre agli adolescenti che devono arruolarsi aiuto per evitare che accada e supporto legale. Non esiste un dato preciso di obiettori nel Paese. Mesarvot entra principalmente in contatto con quelli che rendono pubblica la loro decisione. Dall’inizio della guerra ne hanno sostenuti già quindici. «Vengo dal Nord di Israele, ora vivo ad Haifa». Per presentarsi Roseman di se stessa dice: «Sono una giornalista e un’attivista contro il genocidio, l’apartheid e gli sfollamenti forzati. Quasi due anni fa ho maturato la scelta di rifiutarmi di combattere, mi ero resa conto di non poter servire in un esercito che sta sostenendo un regime illegale e antidemocratico a discapito di milioni di persone. Ma col passare del tempo la scelta di non combattere è diventata molto più semplice: non ci si arruola in un esercito che sta commettendo un genocidio». Per Yona rifiutarsi di combattere e basta non bastava: «Dopo aver già deciso di non arruolarmi, mi sono resa conto che avrei dovuto rendere pubblico quel rifiuto. La sensazione di potere che deriva dal rifiutare a gran voce quella che si presume essere la norma mi ha convinto che fosse la cosa giusta per me. La mia famiglia non l’ha presa bene, non ha appoggiato questa scelta, ma col tempo ha imparato a capirmi. Alcuni amici di scuola hanno tagliato i ponti con me per questa decisione, a parte questo non ha avuto grandi conseguenze finora. Ma il mese prossimo andrò in un carcere militare perché ho rifiutato il servizio». Roseman ha incontrato la rete Mesarvot nel 2023, durante una protesta contro l’occupazione israeliana. «Mi aiuta con il supporto legale e mediatico, nella relazione con i miei genitori e, soprattutto, mi fa sentire parte di una comunità che sostiene e celebra la mia decisione». Si può sostenere Mesarvot con delle donazioni, ma anche con atti simbolici come «inviare lettere a chi si è rifiutato di combattere e ora si trova in carcere». Yona ha una speranza chiara sul futuro: «Desidero uno Stato democratico in cui tutti abbiano uguali diritti e i rifugiati palestinesi possano tornare. Credo che prima o poi succederà. Spero di poter continuare a lottare per ciò che è giusto qui, non mi vedo vivere da nessun’altra parte».   Redazione Italia
Un appello a Russia e Ucraina per il rilascio dei prigionieri di coscienza
L’Ufficio Europeo per l’Obiezione di Coscienza (EBCO) ha pubblicato un rapporto annuale che chiede il rilascio di tutti i prigionieri di coscienza in Ucraina, compresi quelli detenuti nei territori occupati dalla Russia e coloro che hanno subito abusi a causa della pesante mobilitazione militare ai fini della guerra difensiva ucraina contro l’aggressione russa. Il rapporto elenca 15 nomi di obiettori di coscienza che devono essere immediatamente rilasciati dall’Ucraina, compresi quelli imprigionati dopo essere stati condannati e detenuti in custodia cautelare ai sensi degli articoli 336 (elusione della leva) e 402 (disobbedienza) del Codice penale ucraino, e quelli detenuti nelle unità militari; si sottolinea che il numero completo di obiettori detenuti sembra essere significativamente più alto e ammonta almeno a qualche centinaio. Il rapporto menziona anche che i Testimoni di Geova riferiscono di 7 prigionieri di coscienza detenuti dall’Ucraina e che tra i 183 Testimoni di Geova detenuti dalla Russia per le loro convinzioni, compresa l’obiezione di coscienza, 14 sono detenuti in Crimea. I difensori dei diritti umani chiedono anche di proteggere il diritto all’obiezione di coscienza al servizio militare in tempo di guerra e di permettere agli obiettori di servire la società in modo pacifico. L’obiezione di coscienza al servizio militare è un diritto umano fondamentale che deve essere protetto, ricorda l’EBCO. È inerente al diritto umano alla libertà di pensiero, coscienza e religione, sancito dall’articolo 18 del Patto Internazionale sui diritti civili e politici (ICCPR), dall’articolo 10 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e da altri trattati sui diritti umani. Il Rapporto annuale 2024 dell’EBCO sull’obiezione di coscienza al servizio militare in Europa viene pubblicato in un momento di crescente militarizzazione globale, si legge nel comunicato stampa. Dalla ripresa del servizio di leva in Europa agli impatti devastanti delle guerre in corso, la protezione e il sostegno agli obiettori di coscienza sono più urgenti che mai. Il rapporto di quest’anno documenta le persistenti violazioni dei diritti degli obiettori di coscienza – in particolare in Russia, Ucraina, Bielorussia, Turchia, Cipro e Grecia – e le minacce all’esercizio del diritto all’obiezione di coscienza nel quadro del Consiglio d’Europa. L’EBCO è solidale con tutti i prigionieri di coscienza e con chi si oppone in modo nonviolento alla guerra e alla militarizzazione in tutto il mondo, e rimane attivamente impegnato nella campagna internazionale #ObjectWarCampaign, a sostegno degli obiettori di coscienza russi, bielorussi e ucraini e a favore della loro protezione e del loro asilo nei Paesi dell’UE. L’EBCO chiede alla Federazione Russa di rispettare il diritto all’obiezione di coscienza, di porre fine alla coscrizione e alla propaganda militare, di smilitarizzare l’istruzione nei territori ucraini occupati e di perseguire la completa smilitarizzazione. L’EBCO esorta inoltre l’Ucraina a sostenere questo diritto in tempo di guerra e a cessare la persecuzione degli obiettori e dei loro sostenitori, tra cui il membro del Consiglio dell’EBCO Yurii Sheliazhenko. L’EBCO accoglie con favore la chiara dichiarazione della Commissione di Venezia nel suo parere amicus curiae, relativo al caso di Dmytro Zelinsky, secondo cui nessun obiettore può essere costretto a portare le armi. FREE CIVILIANS ha pubblicato il parere e i quaccheri lo hanno tradotto in ucraino per la Corte Costituzionale dell’Ucraina Obiettori repressi dalla Russia nei territori occupati dell’Ucraina Secondo il rapporto dell’EBCO, War Resisters’ International, in collaborazione con Connection e.V. e il Movimento Pacifista Ucraino ha informato le Nazioni Unite che, in violazione dell’articolo 51 della IV Convenzione di Ginevra, la Russia impone la schedatura e la coscrizione militare obbligatoria, l’indottrinamento militare dei bambini nelle scuole, la propaganda e la pressione ad arruolarsi nei territori occupati illegalmente dall’Ucraina, mediante detenzioni arbitrarie, torture ed esecuzioni. Il rapporto fornisce un link a un database di 875 Testimoni di Geova perseguitati dalla Russia per le loro convinzioni, compresa l’obiezione di coscienza. Secondo questo database, tra il numero totale dei 183 prigionieri di coscienza, 14 sono detenuti in Crimea, uno (Vitaliy Burik) agli arresti domiciliari e altri imprigionati: Aleksandr Dubovenko, Sergey Filatov, Yuriy Gerashchenko, Artem Gerasimov, Viktor Kudinov, Aleksandr Litvinyuk, Vladimir Maladyka, Sergey Parfenovich, Vladimir Sakada, Igor Shmidt, Viktor Stashevskiy, Sergey Zhigalov e Yevgeniy Zhukov. Violazioni sistematiche dei diritti umani in Ucraina Il rapporto dell’EBCO solleva diverse importanti preoccupazioni riguardanti l’Ucraina e fornisce raccomandazioni mirate sui problemi esistenti. Sottolinea che ci sono prigionieri di coscienza come Mykhailo Adamovych, Vladyslav Bezsonov, Taras Bratchenko, Tymur Chyzhov, Serhii Ivanushchenko, Andrii Khomenko, Andrii Kliuka, Vitalii Kryushenko, Serhii Nechayuk, Ihor Nosenko, Oleksandr Radashko, Serhy Semchuk, Andrii Skliar, Oleksandr Solonets, Vasyl Volosheniuk ed è urgente il loro immediato rilascio, così come il rilascio di tutti gli obiettori di coscienza imprigionati in istituti di pena o detenuti in strutture militari, condannati o detenuti in custodia cautelare; è inoltre preoccupante che alcuni obiettori di coscienza siano incriminati per vari reati, quando in realtà queste persecuzioni sono perpetrate unicamente a causa della loro religione o credo. Tra le principali preoccupazioni, l’imposizione alla società dell’ideologia che sia un dovere di tutti combattere una guerra difensiva nell’esercito o sostenere l’esercito, sopprimendo e non tollerando in tal modo il dissenso pacifista, che mina il pluralismo religioso, e convinzioni e il controllo democratico civile. L’EBCO raccomanda di prendere in seria considerazione le proposte degli obiettori di coscienza di contribuire, attraverso azioni nonviolente e un lavoro pacifico, alla resilienza della società civile democratica che soffre a causa degli attacchi dell’esercito russo. L’EBCO è preoccupato per la revoca, durante l’attuale stato bellico, di ogni riconoscimento, e per la precedente mancanza di pieno riconoscimento, del diritto all’obiezione di coscienza al servizio militare, prima, durante o dopo il servizio militare, indipendentemente dalle convinzioni su cui si basa l’obiezione, o dall’appartenenza a chiese o altre organizzazioni. Si suggerisce di intensificare gli sforzi per introdurre una legislazione sul servizio alternativo non militare in tempo di guerra nel Parlamento e nel gruppo di lavoro interdipartimentale incaricato di redigere gli emendamenti. Le esenzioni selettive dal servizio di leva introdotte di recente per alcuni membri del clero, nel tentativo di tranquillizzare le Chiese, non solo si basano sulla loro classificazione come “lavoratori essenziali” senza riconoscimento dell’obiezione di coscienza, ma mirano apparentemente a creare divisione tra le Chiese, per incentivare il clero ad astenersi dal sostenere la piena protezione del diritto dei fedeli regolari all’obiezione di coscienza. La punizione degli obiettori di coscienza continua attraverso la persecuzione, la discriminazione, la detenzione o addirittura la tortura e i trattamenti inumani, nonché le campagne mediatiche ostili, riferisce l’EBCO. Secondo un dictum della Corte Suprema, l’obiezione di coscienza è trattata come un’elusione della leva punibile per legge. Anche quando l’obiettore può essere considerato un lavoratore essenziale, come nel caso di Valentyn Adamchuk, un Pentecostale che lavora nella metropolitana di Kiev e ha partecipato al ripristino dei trasporti dopo gli attacchi dei droni e dei missili russi, i reclutatori dell’esercito, invece di appoggiare la richiesta di concessione di un periodo come riservista, hanno insistito per la sua mobilitazione, sapendo che è un obiettore di coscienza, e poi con palese mancanza di rispetto per i diritti umani hanno falsamente denunciato alla polizia “l’elusione della leva”, che ha portato a una rapida condanna a 3 anni di carcere. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ha documentato il reclutamento forzato di cinque obiettori di coscienza (nel rapporto, si vedano i paragrafi 90 e 91), tutti detenuti dai militari, minacciati con violenza e inviati in prima linea; tutti hanno riferito di aver subito maltrattamenti e torture, quattro di loro sono stati picchiati, soffocati e trascinati per terra. FREE CIVILIANS ha riferito in precedenza che i pacifisti ucraini avevano denunciato torture durante la mobilitazione, citando casi analizzati e pubblicati da Forum 18 e da altre fonti. Le pratiche di coscrizione forzata e di registrazione obbligatoria all’esercito (“busificazione”) continuano, portando a casi di percosse e decessi nei centri di reclutamento militare. A coloro che non hanno la matricola militare viene impedito l’accesso al lavoro, all’istruzione (istituti di istruzione superiore) e ai servizi pubblici (come i servizi consolari all’estero). Questo include anche accuse di negligenza nei confronti dei militari incaricati dei piani di reclutamento, che mettono sotto pressione i reclutatori e incentivano il ricorso a metodi aggressivi. Tra le indagini relative agli abusi terminate nel 2024 con l’incriminazione di alcuni reclutatori militari, vi sono stati pestaggi crudeli a Vinnytsia, detenzioni arbitrarie a Sambir (regione di Leopoli), torture a Ternopil ed estorsione di tangenti ai posti di blocco sotto la minaccia di detenzione arbitraria e mobilitazione nella regione di Odessa. Ulteriori indagini sono state avviate in seguito ad alcuni decessi avvenuti nei centri di reclutamento. I reclutatori dell’esercito continuano a impedire ai coscritti di richiedere assistenza legale e, secondo quanto riferito, esercitano pressioni sui membri dell’ordine degli avvocati in casi delicati. Nel settembre 2024, il Comitato delle Nazioni Unite sulle Sparizioni Forzate ha criticato la detenzione arbitraria da parte dell’Ucraina di militari di leva, compresi gli obiettori di coscienza, alcuni dei quali sono stati tenuti in isolamento, e ha sollecitato un’indagine completa su tutte le accuse, un’azione penale nei confronti dei responsabili e il risarcimento delle vittime. Le denunce di incostituzionalità della legislazione che consente di punire l’obiezione di coscienza, di discriminare gli obiettori e di negare il servizio alternativo in tempo di guerra, presentate dagli ex prigionieri di coscienza Dmytro Zelinsky (rilasciato nel maggio 2025) e Vitalii Alekseienko (rilasciato nel maggio 2023), sono in stallo presso la Corte Costituzionale dell’Ucraina, che attualmente non è in grado di decidere nel merito a causa dei ritardi nella nomina di nuovi giudici. FREE CIVILIANS ha pubblicato un articolo sul ricorso presentato da Alexeienko. I rifugiati ucraini in età di leva stanno oggetto di tentativi volti a costringerli a ritornare in Ucraina o a essere espulsi attraverso il diniego dei servizi consolari per la mancanza di una registrazione militare aggiornata, l’assenza dell’applicazione militare Reserve+ sui loro smartphone o la mancanza di un codice corretto al suo interno, nessuna eccezione per gli obiettori di coscienza. Molti di questi uomini vivono in Europa da decenni e hanno perso completamente i legami con l’Ucraina, compreso il fatto di non avere conti bancari in banche ucraine – eppure l’identificazione bancaria (BankID) è un elemento chiave per l’autorizzazione nell’applicazione Reserve+. Il rifiuto di rilasciare o rinnovare i passaporti internazionali ucraini, necessari per la proroga dei permessi di soggiorno, causa l’impossibilità di rinnovarli, la perdita dello status giuridico e il rischio di deportazione. Le restrizioni sui servizi consolari costituiscono una forma di coercizione, in quanto gli uomini sono costretti a tornare in Ucraina e ad affrontare il rischio di arruolamento forzato, oppure a rimanere all’estero senza documenti personali validi, il che limita fortemente la loro libertà di movimento, il diritto a una residenza e l’accesso alla protezione legale. Ciò potrebbe richiedere agli Stati europei di riconoscere come validi i passaporti ucraini scaduti, poiché, come sostenuto nella petizione degli ucraini al Parlamento Europeo n. 1453/2024, queste restrizioni sul rilascio dei passaporti sono una violazione dei diritti umani. Riferendo di circa 15 prigionieri di coscienza e di altri casi di violazione dei diritti umani ben documentati, la maggior parte dei quali già noti a livello internazionale, l’EBCO avverte che potrebbero essere molto più numerosi i casi di procedimenti giudiziari, detenzioni preliminari, condanne, imprigionamenti, detenzioni arbitrarie e trattamenti crudeli nei confronti degli obiettori di coscienza, come suggeriscono le statistiche dei procedimenti giudiziari e dei tribunali, nonché gli elenchi noti dei nomi di persone che pregano per centinaia di obiettori di coscienza perseguitati nelle chiese ucraine. Il rapporto sottolinea la resistenza popolare spontanea su larga scala alla leva militare in Ucraina, con oltre 6 milioni di uomini idonei che non si sono sottoposti alla registrazione obbligatoria ai fini dell’arruolamento, nonostante le minacce di severe punizioni. Purtroppo, questa riluttanza a combattere la guerra raramente coincide con la consapevolezza del diritto umano all’obiezione di coscienza e con la disponibilità all’azione nonviolenta necessaria per fermare l’aggressione russa e garantire la resistenza della popolazione civile e la democrazia in Ucraina, che potrebbe essere un modo legittimo di servire pacificamente il Paese invece di contribuire allo sforzo bellico. Nei casi riportati dall’EBCO, gli obiettori hanno dimostrato la loro sincerità chiedendo un servizio alternativo non militare e appartenendo a chiese i cui insegnamenti proibiscono l’uso delle armi; il numero di membri di tali chiese e organizzazioni religiose, secondo il gruppo di lavoro interdipartimentale incaricato di redigere la legge sul servizio alternativo in tempo di guerra, potrebbe ammontare a 500.000. Il rapporto dell’EBCO e le sue raccomandazioni generali Ogni anno, l’EBCO pubblica il Rapporto annuale sull’obiezione di coscienza al servizio militare in Europa, avvalendosi dei contributi di governi nazionali, istituzioni per i diritti umani, ONG e reti di solidarietà. Il rapporto viene presentato al Parlamento Europeo, all’Assemblea Parlamentare e al Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa e alle autorità statali competenti, ogni volta accompagnato da una serie di raccomandazioni mirate. Le sue raccomandazioni generali, applicabili a tutti gli Stati europei, sono indicate nel rapporto: 1. se già non è stato fatto, abolire il servizio militare obbligatorio e nel frattempo astenersi dal perseguire o perseguire in altro modo gli obiettori di coscienza, coloro che li sostengono o che sostengono l’obiezione di coscienza, senza che sia richiesta alcuna ulteriore azione da parte di tali persone; oppure -secondo – fornire un servizio alternativo non punitivo e non discriminatorio di natura puramente civile, che non deve essere asservito al sistema militare, ma progettato e gestito con la partecipazione degli obiettori di coscienza; 2. riconoscere per legge il diritto all’obiezione di coscienza al servizio militare, compreso il diritto all’obiezione di coscienza a tutte le forme di arruolamento, istruzione e addestramento obbligatori ai fini della coscrizione in tempo di pace e in tempo di guerra, e garantire che sia possibile per tutti gli obiettori di coscienza evitare l’arruolamento nelle forze armate e che tutti i membri in servizio delle forze armate o i riservisti possano ottenere il rilascio senza sanzioni nel caso in cui sviluppino obiezioni di coscienza, e che i diritti civili, economici e politici degli obiettori di coscienza siano pienamente tutelati; 3. riconoscere l’obiezione di coscienza come parte vitale del pluralismo e della libertà di religione e di credo nella società democratica, garantire la consapevolezza della legittimità dell’obiezione di coscienza tra i funzionari e nell’opinione pubblica, e garantire la non discriminazione degli obiettori di coscienza, che non dovrebbero essere sottoposti a campagne di incitamento all’odio ed essere considerati colpevoli del reato di elusione del servizio di leva, o di qualsiasi altro reato, e costretti a provare la loro innocenza; 4. cessare immediatamente qualsiasi reclutamento nelle forze armate di persone di età inferiore ai 18 anni e interrompere qualsiasi addestramento di tipo militare di tali persone; 5. accogliere le domande di asilo di tutte le persone che cercano di sottrarsi al servizio militare in qualsiasi Paese in cui non esistono disposizioni adeguate per gli obiettori di coscienza, e in particolare quando rischiano di essere costretti a partecipare a conflitti armati; 6. diminuire le spese militari e aumentare le spese a favore della società, e mettere a disposizione dei cittadini con obiezioni di coscienza strumenti per specificare che nessuna parte delle tasse das loro pagate è destinata alle spese militari; 7. introdurre l’educazione alla pace in tutti i settori del sistema educativo e impedire qualsiasi forma di militarizzazione dei programmi di studi; 8. adottare misure adeguate per gli obiettori di coscienza e impedire azioni violente nei loro preparativi istituzionali e legali per qualsiasi tipo di emergenza e risposta alle minacce percepite per la pace, ricordando che legittimi scrupoli di coscienza potrebbero impedire a un numero significativo di civili di sottomettersi al sistema militare, e che in nessun caso un obiettore di coscienza può essere obbligato a portare o usare armi, anche per la legittima difesa del Paese. Fonte: civilni.media Link all’articolo completo Redazione Italia