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Germania: “Obiettiamo perché la pace richiede coraggio”
Nella notte tra giovedì 4 e venerdì 5 dicembre gli attivisti della campagna Wir verweigern! (Obiettiamo!) hanno modificato alcuni manifesti dell’esercito tedesco per richiamare l’attenzione sul diritto all’obiezione di coscienza e contrastare la propaganda a favore della guerra e della violenza. “Per me, che sono giovane, è inquietante vedere ovunque questa pubblicità a favore della guerra, una guerra in cui lo Stato vuole mandarmi con il servizio militare obbligatorio. La mia vita non è una vostra risorsa!”, spiega uno degli attivisti. Wir verweigern! è una campagna di un gruppo giovanile che invita alla disobbedienza civile di massa e oppone resistenza al riarmo e al servizio militare obbligatorio. All’inizio di settembre gli attivisti hanno scritto con lo spray sulla parete esterna dell’asilo nido del Bundestag: «Obbligate anche i vostri figli a uccidere?». Scritte in bianco: Fai quello che conta davvero. 70 motivi per l’esercito tedesco. Perché non possiamo cedere ad altri la responsabilità. Trova i tuoi motivi. 70 anni dell’esercito tedesco. Scritta in rosso su “responsabilità”: uccidere. Scritte in bianco: Perché i diritti fondamentali non si difendono da soli. Trova i tuoi motivi. 70 anni dell’esercito tedesco. Scritta in rosso su “diritti fondamentali”: Capitalisti. La protesta contro il servizio militare obbligatorio sta crescendo. Organizzazioni giovanili e studentesche di tutta la Germania invitano oggi, venerdì, a uno sciopero nazionale contro la visita medica obbligatoria. Uno degli attivisti ha commentato: «Non vogliamo morire per uno Stato che non si prende cura di noi. Le nostre scuole e le nostre università stanno cadendo a pezzi, le nostre pensioni stanno svanendo e stiamo vivendo il pieno impatto della catastrofe climatica. Come se non bastasse, ora dovremmo anche uccidere ed essere uccisi in prima linea per gli interessi di potere di altri. Ma siamo chiari: rifiuteremo il servizio militare». Comunicato stampa widerstands-kollektiv.org del 5 dicembre 2025 Pressenza Berlin
Contro il ripristino del servizio militare anche in Italia. Campagna di Obiezione alla guerra
Ci avviciniamo alla fine dell’anno 2025, momento di consuntivo anche per la Campagna di Obiezione alla guerra, sia per quanto riguarda il “fronte italiano” con la raccolta e la consegna delle Dichiarazioni di obiezione di coscienza, sia per quanto riguarda i “fronti di guerra” con le relazioni con i nostri partner in Israele e Palestina (Mesarvot, New Profile, CPT-Palestine), in Ucraina (Movimento Pacifista Ucraino), in Bielorussia/Lituania (Our House), in Russia (Movimento degli Obiettori di Coscienza Russi) e con il lavoro di rete con la War Resisters’ International e l’Ufficio Europeo per l’Obiezione di Coscienza (Ebco-Beoc). Dichiarazioni di obiezione di coscienza Purtroppo soffia forte il vento di guerra. I governi europei vogliono che i popoli si preparino, reintroducendo il servizio militare obbligatorio per i giovani. L’ultima in ordine di tempo a ripristinare la leva è stata la Croazia, che segue la decisione già presa in Norvegia e Svezia. La Francia sta spingendo per allargare il reclutamento per il servizio militare volontario, come sta avvenendo anche nei Paesi Bassi. La Germania ha approvato una legge che facilita il reclutamento, per ora volontario, nelle file dell’esercito e la leva obbligatoria se non bastassero i volontari. E in Italia? Il dibattito è aperto e già si parla di attivare una forza di riserva, per arrivare a un modello autonomo di difesa militare europea che considera la possibilità generalizzata di un servizio militare per donne e uomini come obiettivo di adeguamento numerico delle forze armate. Questo prospettiva è gravissima. La nostra risposta è l’obiezione di coscienza. Il rifiuto, anche preventivo, di partecipare a qualsiasi forma di preparazione della guerra prossima ventura. Rifiuto del servizio militare, rifiuto della militarizzazione nell’informazione, nella cultura, nelle scuole e nelle università, rifiuto delle spese militari, rifiuto della generalizzata “chiamata alle armi”. Tutto questo lo possiamo fare a partire dalla firma della Dichiarazione di obiezione di coscienza. Dal 1° marzo 2022 al 15 dicembre 2023 abbiamo raccolto 2.165 dichiarazioni (947 in cartaceo, 1.218 tramite il modulo) che abbiamo consegnato alla Presidenza del Consiglio a Palazzo Chigi. Dal 1° gennaio 2024 al 18 maggio 2025 abbiamo raccolto altre 5.306 dichiarazioni (2.866 in cartaceo e 2.440 attraverso il modulo telematico) che il 20 maggio 2025 abbiamo inviato al Presidente della Repubblica chiedendo nel contempo un incontro per illustrare i contenuti costituzionali della nostra Campagna. Il 7 novembre dal Quirinale ci è stato comunicato che: -il Presidente è informato della nostra iniziativa; -gli uffici hanno preso atto di quanto da noi inviato; -le firme sono state ricevute e protocollate; ma l’incontro non viene concesso. Ne prendiamo atto, con dispiacere per un’occasione persa dalla massima istituzione della Repubblica. Fino ad oggi abbiamo inviato alle istituzioni un totale di 7.471 dichiarazioni. La raccolta prosegue e il nostro prossimo obiettivo è la consegna di nuove Dichiarazioni direttamente al Ministero della Difesa, sottolineando la richiesta di istituzione di un Albo dove siano elencati tutti gli uomini e tutte le donne che obiettano alla guerra e alla sua preparazione, che non potranno essere arruolati per servizi militari e armati. Dai fronti di guerra  Israele/Palestina La distruzione di Gaza ha determinato una crescita senza precedenti nel numero degli obiettori israeliani e un cambiamento radicale nella loro identità politica. Prima della guerra, gli obiettori alla leva costituivano un piccolo gruppo etichettato come “traditore” dall’opinione pubblica dominante. Oggi il rifiuto non è più un fenomeno marginale. Molti giovani si rivolgono alla rete Mesarvot, in cerca di aiuto per evitare una complicità in crimini di guerra, così come un numero crescente di soldati attivi, anche di reparti da combattimento, chiedono assistenza per rifiutare la destinazione a Gaza. La crisi è visibile anche all’interno dell’esercito con l’aumento di disertori, riservisti e nuovi obiettori haredi (ultra-ortodossi) che scelgono il carcere piuttosto che la partecipazione alle stragi. La rete Mesarvot sostiene sia gli obiettori totali (ne segue circa 200), sia gli obiettori selettivi, che si oppongono esclusivamente ai crimini di guerra o all’occupazione di Gaza, come coloro che hanno prestato servizio finora ma la cui coscienza impone un’immediata interruzione e anche gli ortodossi haredi, che ritengono religiosamente proibita la partecipazione alla guerra. Il sostegno legale, politico ed emotivo che Mesarvot fornisce è essenziale per la sopravvivenza del movimento per l’obiezione di coscienza in Israele, Cisgiordania e Gaza. Ucraina, Russia e Bielorussia In Ucraina aumenta il numero degli obiettori di coscienza perseguitati, specialmente tra i maschi arruolati con la forza. Caso esemplare quello dell’avventista del settimo giorno e obiettore di coscienza Andrii Skliar, che è stato sottoposto a tortura da parte dei reclutatori militari e arruolato con la forza nel novembre 2024. Gli hanno rotto il naso, torto il mignolo, lo hanno strangolato fino a fargli perdere conoscenza. Attualmente è ancora detenuto presso il centro di addestramento militare di Desna, nonostante le ripetute richieste di rilascio da parte della Conferenza di Kyiv della Chiesa Avventista. Andrii continua a rifiutare di portare armi, prestare giuramento militare, indossare l’uniforme, nonostante la pressione e le violenze continue. E come lui molti altri che il Movimento Pacifista Ucraino e in particolare il suo segretario Yurii Sheliazenko, anche lui sotto processo, continuano a difendere sia con dichiarazioni pubbliche sia sul piano legale. In Russia migliaia di ragazzi si rifiutano di prestare servizio e andare al fronte in Ucraina, affrontando persecuzioni, prigionia o esilio. Il Movimento degli Obiettori di Coscienza Russi (StopArmy) fornisce loro assistenza legale. Sostenere gli obiettori di coscienza in Russia significa sfidare il militarismo. Ci chiedono aiuto per continuare il lavoro in esilio e rafforzare la capacità di comunicazione e advocacy con le istituzioni nazionali ed europee. In Lituania il lavoro di Our House e di Olga Karach a favore degli obiettori bielorussi continua quotidianamente. Dopo la nostra missione estiva a Vilnius, stiamo supportando la diffusione delle storie e la difesa legale di alcuni casi critici, tra cui quello di Hleb Smirnou, obiettore di coscienza e programmatore. Dopo aver assistito e partecipato alle proteste e alla repressione del 2020 in Bielorussia, è fuggito in Lituania, che lo ha classificato come “minaccia alla sicurezza nazionale”. Per tre anni il sistema lo ha torturato: ha perso la Carta Blu e quindi il diritto di lavorare, è stato minacciato di espulsione in Bielorussia — cosa estremamente pericolosa per lui, avendo partecipato alle proteste — e ha trascorso questi anni senza documenti, senza casa, senza assistenza medica, cercando di sopravvivere con piccoli lavori illegali. Da una condizione professionale privilegiata è stato spinto ai margini estremi della società. È attesa molto presto una decisione sulla sua domanda di asilo. Temiamo che le possibilità di successo siano quasi zero. Abbiamo analizzato altri 101 casi simili e dobbiamo fare pressione sulla Lituania affinché conceda uno status legale, o almeno l’asilo, che permetta loro di vivere normalmente e poi trasferirsi in altri Paesi UE quando sarà possibile. Raccolta e utilizzo fondi in Italia Fino ad oggi la Campagna ha raccolto 106.562,73 € donati da singoli e gruppi, arrivati con donazioni volontarie tramite bonifici, oppure raccolti durante iniziative o ai tavoli per le raccolte firme. Una parte di questi fondi è stata così utilizzata: 5.023,00 € in Ucraina per sostegno alla difesa legale degli obiettori e per aiuti umanitari; 4.000,00 € a sostegno degli obiettori russi; 7.840,00 € a Our House, in Lituania, a sostegno delle spese legali degli obiettori bielorussi; 3.070,00 € sono stati destinati a Mesarvot e a CPT-Palestine; 5.000,00 € per le spese legali degli obiettori israeliani sono in corso di trasferimento; 25.213,25 € sono stati utilizzati per le due missioni di pace in Ucraina nel 2022 (Carovana di pace e missione legale dell’avvocato Canestrini), per i due tour in Italia realizzati nel 2023 (tre rappresentanti degli obiettori russi, ucraini, bielorussi) e 2024 (con 4 esponenti degli obiettori israeliani e resistenti palestinesi), per la missione di pace in Lituania (incontro con Our House e gli obiettori bielorussi), e per l’organizzazione di iniziative di conoscenza e aggiornamento della situazione degli obiettori nei diversi paesi, con testimonianze dirette. 5.725,22 € sono stati utilizzati per strumenti comunicativi e di diffusione della Campagna stessa, e 6.000,00 € sono stati necessari, in tre anni, per lavoro di coordinamento, segreteria, organizzazione. Nel fondo di solidarietà della Campagna restano 47.328,00 €, non sufficienti per coprire i progetti per il 2026, che sommano a 100.000,00 €, richiestici dai nostri partner nonviolenti in Israele/Palestina e Ucraina/Bielorussia/Russia anche a sostegno delle loro organizzazioni (stampa, spostamenti, affitto sedi, strumenti e comunicazione, ecc.) che spesso lavorano in condizioni estreme. La nonviolenza costa, anche se immensamente meno della guerra. Contribuisci con un versamento su IBAN IT35 U 07601 117000000 18745455, intestato al Movimento Nonviolento, causale “Campagna Obiezione alla guerra”. Grazie. Dobbiamo raccogliere altri 50.000,00 €, che saranno utilizzati per finanziare i movimenti nonviolenti di Russia, Bielorussia, Ucraina, Israele e Palestina nelle loro attività, per garantire la difesa legale agli obiettori e disertori dei Paesi coinvolti, per organizzare le missioni di pace e solidarietà con le vittime della guerra, per ospitare in Italia esponenti nonviolenti coinvolti nel conflitto e per il lavoro di testimonianza e informazione.   Movimento Nonviolento
Daniel Schultz, obiettrice di coscienza israeliana: “Rifiuto di arruolarmi perché è la cosa più umana da fare”
Mi chiamo Daniel Schultz, ho 19 anni e sono cresciuta in una famiglia liberale a Tel Aviv. Durante la maggior parte della mia adolescenza, la mia attività politica si è sviluppata nell’organizzazione giovanile Yesh Atid, dove ho adottato la convinzione fondamentale che l’IDF sia l’esercito più morale del mondo e che tutte le sue azioni siano giustificate. A 16 anni ho iniziato a studiare in una scuola mista israeliana e palestinese. L’oppressione subita dai miei compagni di classe palestinesi mi ha rivelato la falsità della visione del mondo in cui ero cresciuta e mi ha fatto capire che l’uniforme che credevo proteggesse tutti, dal fiume al mare, era in realtà la più grande minaccia per i miei compagni di classe e un simbolo della loro continua oppressione. Pertanto, ho deciso di rifiutare l’arruolamento. Il mio rifiuto non è un atto eroico. Non mi rifiuto perché credo che la mia azione individuale cambierà la realtà, e non penso che le mie scelte come israeliana meritino un’attenzione centrale nella discussione sulla liberazione palestinese. Mi rifiuto perché è la cosa più umana da fare. Di fronte a bambini morti di fame, interi villaggi sradicati con la violenza e civili mandati nei campi di tortura, non c’è altra scelta. La società israeliana nel suo complesso ha un ruolo nel plasmare l’orribile realtà del popolo palestinese. Non è “complicato”, non ci sono “eccezioni alla regola” e i discorsi sull’innocenza o la moralità degli individui in una società la cui essenza è lo spargimento di sangue e la supremazia razziale sono irrilevanti. Il discorso intra-israeliano ha sempre condizionato la libertà del popolo palestinese, persino il suo diritto all’esistenza, in base al suo effetto sulla sicurezza israeliana. La destra dichiara che solo l’occupazione e la costruzione di insediamenti garantiranno la sicurezza e la retorica della sinistra sionista proclama che “solo la pace porterà la sicurezza!” La resistenza dei palestinesi alla loro oppressione e al loro status di colonizzati è sempre vista come una sfida a tale sicurezza ed è seguita da atti di vendetta, commessi dallo Stato di Israele e sostenuti ciecamente dalla società israeliana. A Gaza, in Cisgiordania e nei 48 territori interni, lo Stato di Israele e i suoi cittadini impongono un regime da incubo al popolo palestinese, mentre l’opinione pubblica israeliana dominante ritiene che ogni misura di questo tipo sia una “necessità di sicurezza”. Un Paese la cui sicurezza richiede lo sterminio di un altro popolo non ha diritto alla sicurezza. Un popolo che decide di commettere un olocausto su un altro popolo non ha diritto all’autodeterminazione. Un collettivo politico che sceglie di cancellare un altro popolo non ha diritto di esistere. Gli israeliani che portano le armi non sono gli unici responsabili dell’oppressione del popolo palestinese. È vero, sono loro che massacrano, affamano, giustiziano, colonizzano, reprimono, ripuliscono e cancellano interi quartieri, città, popolazioni. È vero, senza di loro l’Olocausto di Gaza non sarebbe potuto accadere e sono direttamente colpevoli di crimini contro l’umanità. Ma quelli in uniforme non sarebbero in grado di commettere crimini così gravi senza il sostegno inequivocabile della società civile israeliana. Dopo 77 anni di occupazione e due anni di genocidio a Gaza, la società israeliana continua a incoronare i suoi soldati come eroi. Invece di ostracizzare gli assassini, li celebriamo, li salutiamo e diamo il via libera al loro ritorno alla vita come civili apparentemente normali. Il genocidio di Gaza ha avuto un impatto anche sulla società israeliana, ma invece di ribellarsi, le ONG civili hanno fatto di tutto per adattarsi alla situazione. Il sostegno alle famiglie dei riservisti, la ristrutturazione dei rifugi, le sale operatorie civili, tutto questo per ridurre al minimo il prezzo che gli israeliani pagano per il genocidio. Invece della disobbedienza civile, abbiamo creato un sostegno civile. Invece di resistere al genocidio, i critici del governo si lamentano dell’efficienza nella gestione della “guerra”. Invece di rifiutare l’arruolamento, competono nel numero di giorni di servizio da riservisti. L’opposizione e i gruppi di protesta dichiarano “non in nostro nome” e contemporaneamente salutano l’IDF e i suoi combattenti. Da quando è stato firmato l’accordo di cessate il fuoco, Israele lo ha violato decine di volte. Anche se la diminuzione delle uccisioni quotidiane mi dà un enorme sollievo, le immagini di bambini morti di fame, interi villaggi sradicati con la violenza e civili mandati nei campi di tortura non sono cessate. Lo stesso accordo, concepito fin dall’inizio per placare Israele e gli Stati Uniti – i diretti responsabili del genocidio – viene violato all’infinito. Questo accordo non aveva lo scopo di migliorare la situazione dei gazawi e nel suo nucleo ha un unico obiettivo: mantenere la superiorità di Israele al prezzo del sangue della Palestina. Una società capace di questi atti è malata. In tutto il mondo vediamo superpotenze che “difendono” i loro confini inventati con una forza sproporzionata ed eserciti assassini. Il militarismo e la normalizzazione dell’integrazione dell’esercito nella società civile rendono queste società più violente e causano danni irreparabili al loro tessuto umano. La loro nazionalità serve come scusa per opprimere e annientare altre nazioni e come causa di guerre sanguinose. Lo Stato di Israele e l’idea sionista alla sua base sono un esempio di quello stesso sadico sciovinismo nazionale. Tutte le sue istituzioni, dall’IDF all’Autorità per la natura e i parchi, sono afflitte da omicidi e sete di sangue. Questa piaga non deriva dal genocidio di Gaza, ma da 77 anni di occupazione e apartheid e dalla loro ideologia dominante. La società israeliana non ha alcuna possibilità di riabilitazione fintanto che il sionismo rimarrà il suo principio di base. Daniel Schultz si è presentata domenica mattina all’ufficio di reclutamento di Tel Hashomer e ha annunciato il suo rifiuto di prestare servizio nell’esercito per protestare contro il genocidio e l’occupazione. Ha agito legalmente ed è stata condannata a 20 giorni di prigione. Con una mossa insolita, dopo il processo, Schultz è stata mandata a casa in attesa della riunione del comitato che si occupa dell’obiezione di coscienza. Mesarvot
Gli obiettori di coscienza israeliani Roman Levin e Itamar Greenberg arrestati per la loro protesta al confine con Gaza
Gli obiettori di coscienza israeliani Roman Levin e Itamar Greenberg sono ancora in arresto insieme a un altro compagno per la protesta di due giorni fa al confine con Gaza e per il loro tentativo di rompere l’assedio. “Itamar e Roman, insieme a decine di altri attivisti – molti dei quali membri di Mesarvot – stavano compiendo il loro dovere umano fondamentale di lottare contro il genocidio. Hanno marciato lungo i confini di Gaza mentre intorno a loro si sentivano i bombardamenti, nel disperato tentativo di porre fine alla distruzione. Ora devono affrontare gravi accuse da parte di un regime vendicativo” ha dichiarato la rete di obiettori di coscienza Mesarvot.   Mesarvot
L’obiettrice di coscienza israeliana Yona Rosemann condannata a 30 giorni di prigione militare
Ieri, 17 agosto, Yona Rosemann (19 anni, di Haifa) è stata condannata a 30 giorni di prigione militare per il suo rifiuto di arruolarsi nell’esercito israeliano, che sta commettendo un genocidio a Gaza. La polizia israeliana ha disperso brutalmente la manifestazione di sostegno a Yona, organizzata dalla Rete Mesarvot davanti al campo di reclutamento di Haifa, arrestando 10 attivisti, che sono stati poi rilasciati. Mesarvot
Yona Roseman, 19 anni: “Israele sta commettendo un genocidio e noi dobbiamo opporci”
Domenica prossima, 18 agosto, alle ore 10:00, al campo di arruolamento di Haifa, Yona Roseman, una ragazza di 19 anni di Haifa, rifiuterà di arruolarsi per protestare contro il genocidio a Gaza e probabilmente sarà processata e mandata in prigione. Gli attivisti della rete Mesarvot la accompagneranno fuori dall’ufficio di leva in una manifestazione. Roseman è una donna trans e si teme che l’esercito decida di imprigionarla in isolamento, come è successo recentemente alla trans Ella Kedar-Greenberg, che ha rifiutato di arruolarsi. Nella sua dichiarazione di rifiuto, Roseman ha scritto: “Il vero riconoscimento della dimensione della distruzione che il nostro Stato semina, nella sofferenza totale che infligge alla gente, richiede un’azione adeguata. Se vedete la portata delle atrocità e vi considerate persone morali, non potete continuare come se nulla fosse, nonostante il costo sociale o legale. Lo Stato di Israele sta commettendo un genocidio. La sua autorità morale viene annullata con ogni bambino che seppellisce sottoterra; dopo decine di migliaia di morti, essa scompare come se non fosse mai esistita. Le sue istituzioni non hanno bisogno di soldi, ma di essere macchiate dai fiumi di sangue che versano. Israele non commette alcun atto che non meriti condanna, non impiega alcun agente che meriti rispetto, non dà alcun ordine che meriti obbedienza e non promulga alcuna legge che non meriti di essere violata. Lo Stato di Israele sta commettendo un genocidio e noi dobbiamo opporci.” Roseman si unirà agli obiettori di coscienza Ayana Gerstmann e Yuval Pelleg, condannati rispettivamente a 30 e 20 giorni di carcere alla fine di luglio, e all’obiettore “R”, un diciottenne di Holon che ha rifiutato di arruolarsi all’inizio di questa settimana ed è stato condannato a 30 giorni di carcere. Questi obiettori sono accompagnati dalla rete Mesarvot. Inoltre, ci sono molti altri obiettori anonimi, sia soldati regolari che riservisti, attualmente detenuti nella prigione militare di Neve Tzedek. Insieme ai molti che rifiutano di presentarsi senza essere incarcerati, ciò costituisce una chiara ondata di rifiuto. Noa Levy, consulente legale di Mesarvot, ha dichiarato: “I piani del governo per una nuova invasione di Gaza City e il prolungamento a tempo indeterminato della guerra hanno portato a un’importante ondata di obiezione di coscienza. Sempre più soldati, riservisti e giovani in età di leva si rivolgono a noi per chiedere aiuto per evitare di partecipare alla campagna. Questa ondata di rifiuto nei confronti dell’arruolamento dimostra che c’è un’ampia opposizione popolare alla guerra di distruzione in corso a Gaza e un crollo della fiducia nell’esercito e nelle sue missioni”. La protesta si terrà domenica 18 agosto alle ore 10:00 presso il campo di arruolamento di Haifa (https://maps.app.goo.gl/nLHvX).   Mesarvot
Yurii Sheliazenko: “Bene le proteste, ma tra gli ucraini c’è ancora chi crede nella guerra”
A Kiev ho incontrato Yurii Sheliazenko, obiettore di coscienza quacchero e dirigente del Movimento Pacifista Ucraino, che avevo conosciuto e intervistato durante il mio viaggio in Ucraina nell’agosto dell’anno scorso e il suo amico Artem Denysov, anch’egli quacchero. Mi hanno portato nel complesso residenziale “Fayna Town” dove abita Artem, una sorta di città nella città, cinto da cancellate e controllato da vigilantes. All’interno negozi, farmacia e scuola privata, molti alberi, prati e diverse aree gioco per bambini. Artem ci ha mostrato una palazzina ancora vuota danneggiata da un drone russo in pieno giorno, che ha terrorizzato gli abitanti senza per fortuna fare molti danni. Abbiamo toccato diversi temi, che sintetizzo qui di seguito. Yurii, puoi parlarmi della tua attuale situazione legale? Al momento hai qualche restrizione alla tua libertà personale? I miei arresti domiciliari sono terminati nel febbraio 2024, ma non ho potuto trasferirmi all’estero e qualsiasi viaggio all’interno dell’Ucraina è rischioso. Il nostro amico Oleksandr Ivanov è stato arruolato con la forza mentre era in viaggio turistico in Bessarabia. Non ho alcun obbligo formale di rimanere a Kiev, ma lo faccio perché qualsiasi tentativo di trasferirmi potrebbe essere interpretato come un tentativo di fuga e potrei essere privato della libertà; inoltre, non riesco a immaginare dove potrei realisticamente vivere e lavorare meglio che a Kiev, date le attuali circostanze e il divieto di viaggiare all’estero. Al momento posso muovermi con cautela a Kiev, perché i reclutatori militari stanno dando la caccia alle persone per le strade per arruolarle con la forza, picchiandole e sequestrando loro gli smartphone. Sono sottoposto a un processo per motivi politici a causa della mia visione pacifista del mondo e per una lettera inviata al presidente Zelensky con una dichiarazione intitolata “Agenda di pace per l’Ucraina e il mondo”, in cui si invita a resistere in modo nonviolento all’aggressione russa e a proteggere il diritto umano all’obiezione di coscienza al servizio militare. La prossima udienza è fissata per l’11 settembre. Al momento le udienze sono in fase preparatoria e io sto presentando reclami relativi a numerose violazioni commesse durante le indagini preliminari: il sequestro del mio computer e del mio smartphone, la pubblicazione di un comunicato stampa dei servizi di sicurezza ucraini che mi dipingeva come un nemico e un criminale, non solo come un sospettato, e che ha scatenato una campagna diffamatoria sui media, l’accesso non autorizzato alle mie cartelle cliniche e ai miei conti bancari, l’eccessiva intrusione nella mia casa e nella mia vita privata, comunicazioni mobili con ordinanze del tribunale formulate in modo vago e molte altre irregolarità tecniche da parte degli investigatori. Non hanno trovato alcuna prova di attività illegali nella mia vita, perché sono un avvocato e mi impegno molto per rispettare le leggi dell’Ucraina, ma hanno violato in modo sproporzionato la mia privacy ottenendo molte informazioni sensibili su di me e privandomi dei mezzi per svolgere il mio lavoro professionale di difensore dei diritti umani, probabilmente con l’intenzione di esercitare pressioni su di me e sui miei contatti. Sebbene io sia resistente alle pressioni, ho avuto l’impressione che su altre persone tali pressioni abbiano avuto più successo, ostacolando il mio lavoro a favore dei diritti umani e della pace. Vorrei aggiungere che in Ucraina l’obiezione di coscienza per motivi religiosi non viene riconosciuta. Al momento siamo in contatto con dodici persone che si sono dichiarate pubblicamente obiettori di coscienza, rifiutandosi di partire per il fronte. Appartengono tutte a confessioni religiose minori, fedeli ai loro principi pacifisti e nonviolenti, come Quaccheri, Testimoni di Geova e Avventisti del Settimo Giorno. Questi sono i loro nomi:  Adamovyc,  Bezsonov, Chyzhof, Ivanushchenko, Khomenko, Kryushenko, Nechayuk, Nosenko, Radashko, Semchuk, Skilar, Solonets. Le chiese ufficiali ucraine, sia quelle che riconoscono l’autorità del papa che quelle propriamente ortodosse, invece appoggiano la guerra contro i russi. Esposizione religiosa a favore della guerra a Leopoli Dalla parte opposta il patriarca di Mosca Cirillo I, la cui autorità é riconosciuta dagli ortodossi di madrelingua russa, ha dichiarato: “Ci troviamo in una guerra che ha assunto un significato metafisico. Le parate dei gay dimostrano che il peccato è una variabile del comportamento umano. Questa guerra è contro chi sostiene i gay, come il mondo occidentale.” La persecuzione degli obiettori di coscienza avviene nonostante l’articolo 35 della Costituzione ucraina, valido anche durante la legge marziale, preveda il diritto di sostituire il servizio militare con un servizio alternativo non militare. Che cosa pensi del movimento che è sceso in piazza contro la corruzione? La forte reazione popolare dopo l’approvazione della legge 12414 dimostra che l’Ucraina ha preservato una cultura della democrazia e delle proteste pacifiche. La legge 12414 era uno strumento per aumentare il controllo presidenziale sulle forze dell’ordine, introdotto in modo arbitrario per fermare le indagini sulla cerchia ristretta di Zelensky. Ha ridotto l’indipendenza dei pubblici ministeri e delle agenzie anticorruzione e ha conferito ampi poteri incontrollati al procuratore generale, che viene nominato dal presidente. Zelensky ha reagito alle proteste introducendo un nuovo disegno di legge con il numero 13533, che è stato approvato e firmato, ripristinando l’indipendenza delle istituzioni anticorruzione – Ufficio Nazionale Anti-Corruzione (NABU) e Procura Specializzata Anti-Corruzione (SAPO). Nonostante Zelensky affermi di aver ascoltato il popolo, ha piuttosto creato un alibi per rivendicare la sua innocenza, mentre gli agenti della NABU sono ancora sotto indagine da parte dei servizi di sicurezza ucraini controllati dal presidente con il pretesto dell’influenza russa. il nuovo disegno di legge mira anche a limitare tale influenza, il che significa che Zelensky insisterà sul fatto che l’attacco alla NABU con la perquisizione delle case di 20 agenti senza autorizzazione giudiziaria è “giustificato”. Questo scandalo non finirà facilmente e aumenterà le tensioni politiche nel Paese, già sotto pressione per l’aggressione russa e le perdite al fronte. È positivo che le proteste siano state principalmente pacifiche, ma d’altra parte gli animi sono accesi, con molti slogan osceni e non ci sono state proteste contro le politiche militariste; al contrario, la gente ripone ancora troppa fiducia nella guerra, nell’esercito e nella punizione dei nemici esterni e interni, come l’élite al potere, ritenuta corrotta. Se la popolazione continuerà a essere ossessionata dalla credenza che la giustizia possa arrivare solo attraverso la violenza, ciò rafforzerà il militarismo autocratico e distruggerà la democrazia che la gente spera di proteggere con le sue proteste. Ci sono però altri tipi di proteste meno riportati dai media, che contraddicono il sostegno alla guerra e riguardano soprattutto le zone rurali, quelle che pagano il tributo più alto di caduti. Dopo le recenti notizie di tortura a morte di un coscritto in un autobus militare, preso a calci e a scariche elettriche – caso che è oggetto di un’indagine ufficiale da parte dell’Ufficio Investigativo dello Stato – alcune persone hanno fermato uno di questi autobus e hanno liberato con la forza i coscritti detenuti e trasportati al fronte. A Vinnycja, nell’Ucraina centrale, molti manifestanti sono scesi in piazza per chiedere il rilascio delle reclute detenute illegalmente e private dei loro telefoni cellulari e la polizia li ha dispersi violentemente usando gas lacrimogeni e arrestando cinque persone con l’accusa di aver tentato di occupare un edificio governativo, il che sembra esagerato. I media hanno anche riportato notizie di una risposta violenta da parte degli abitanti di un villaggio nel sud del Paese alle retate di reclutamento. Probabilmente assisteremo a ulteriori proteste e rivolte contro le attuali detenzioni arbitrarie e le torture, violazioni palesi del diritto umano all’obiezione di coscienza al servizio militare, denunciate dai commissari per i diritti umani delle Nazioni Unite e del Consiglio d’Europa. Purtroppo, i media mainstream hanno politiche di autocensura riguardo alle violazioni dei diritti umani durante la mobilitazione; di solito diffondono comunicati stampa ufficiali e non chiedono commenti ai difensori dei diritti umani. Questa politica è sostenuta dall’autorità nazionale di regolamentazione dei media, secondo la quale qualsiasi critica alla mobilitazione favorisce il nemico. A proposito, il Consiglio nazionale per la regolamentazione dei media non ha registrato il mio media online “Free Civilians. Herald of Peace and Conscientious Objection”, pur sapendo che è contrario alla legge, probabilmente a causa di una lettera fuorviante e pressante dei servizi di sicurezza ucraini. La mia causa contro l’autorità di regolamentazione dei media è in tribunale, ma per strani motivi un semplice caso che si dovrebbe risolvere in due mesi non è stato risolto in un anno. Mauro Carlo Zanella
Due diciottenni israeliani finiscono in prigione per il rifiuto di partecipare al genocidio a Gaza
Questa mattina, i diciottenni Ayana Gerstmann e Yuval Pelleg si sono rifiutati di arruolarsi nell’esercito israeliano. Gerstmann è stata condannata a 30 giorni di prigione militare, mentre Pelleg è stato condannato a 20 giorni. Prima di entrare nella base di arruolamento di Tel HaShomer, la Rete Mesarvot ha organizzato una manifestazione a sostegno dei due giovani obiettori di coscienza, con la partecipazione di decine di ex obiettori, di familiari e del deputato della Knesset Offer Cassif. Ayana Gerstmann – Dichiarazione di rifiuto Mi chiamo Ayana Gerstmann, ho 18 anni e la legge israeliana mi impone di arruolarmi. Ho deciso di rifiutare, poiché la mia morale mi obbliga a farlo e ho scelto di agire di conseguenza. Sono cresciuta in una famiglia che parlava spesso del fallimento morale del servizio militare. Eppure da ragazzina non capivo bene cosa fosse il fallimento morale del servizio militare di cui mia madre parlava spesso. Non avevo idea di cosa stesse accadendo intorno a me, quali fossero i territori e quali le occupazioni. Ricordo che anni fa ho partecipato alla cerimonia della Giornata di Gerusalemme della mia scuola – ho ballato, cantato e recitato testi nazionalistici senza nemmeno immaginare che ci fosse un problema con la celebrazione gioiosa di ciò che ci veniva mostrato come “l’unificazione di Gerusalemme – la capitale eterna”. Un anno dopo la mia ignoranza politica è andata in frantumi. Nei giorni precedenti la Giornata di Gerusalemme, ci venne assegnata una ricerca sui luoghi importanti di Gerusalemme. Oggi mi è chiaro che l’obiettivo era quello di rafforzare le mie tendenze nazionalistiche, ma il risultato è stato l’opposto. Ho letto di Gerusalemme Est e per la prima volta l’ho vista come era rappresentata nel sito web di B’Tselem. Improvvisamente ho aperto gli occhi su ciò che si nascondeva dietro le celebrazioni dell’orgoglio nazionale a cui avevo partecipato un anno prima: l’occupazione e l’oppressione. Improvvisamente, e in un colpo solo, mi sono trovata davanti la profonda sofferenza di milioni di persone, che prima non sapevo nemmeno esistessero, la cui libertà viene schiacciata giorno dopo giorno, ora dopo ora, dal regime di occupazione. Da quel momento, è cresciuta la consapevolezza che non posso assolutamente far parte del sistema militare che applica il regime di occupazione e che rende la vita dei palestinesi miserabile. Non farò parte di un sistema che espelle abitualmente comunità, uccide innocenti e permette ai coloni di appropriarsi delle loro terre. Dal 7 ottobre questa consapevolezza ha raggiunto il suo apice a causa delle azioni dell’esercito a Gaza. Dall’inizio della guerra, decine di migliaia di donne e bambini sono stati uccisi e centinaia di migliaia sono stati sfollati dalle loro case, costretti a vivere in campi profughi, privati della loro dignità e affamati. Questa catastrofe umanitaria è il risultato delle azioni dell’esercito, il risultato di una guerra che dura da quasi due anni e che ha perso i suoi obiettivi da tempo. Da due anni vedo lo spargimento di sangue come risultato di una guerra di vendetta senza speranza. Vedo decine di migliaia di bambini gazawi che nascono e crescono nella disperazione, nella morte e nella distruzione che formano un circolo infinito di odio, vendetta e omicidio. Vedo centinaia di giovani della mia età che vengono uccisi perché mandati dallo Stato a continuare in eterno questo circolo. Vedo una guerra che mette in pericolo la vita degli ostaggi. E non posso rimanere in silenzio di fronte a queste cose. Non posso tacere in una società in cui il silenzio ha preso il sopravvento. Non ho il privilegio di stare in silenzio, quando so che tutti intorno a me lo hanno fatto a lungo. La società israeliana ha visto l’occupazione per sei decenni e sta chiudendo gli occhi. La società israeliana vede i bambini gazawi uccisi nei bombardamenti e chiude gli occhi. La società israeliana vede l’esercito commettere le peggiori atrocità morali e decide di tacere. La società israeliana non è pronta a riconoscere le atrocità che il suo esercito sta commettendo contro gli innocenti, perché sa che una volta che lo farà, non sarà in grado di affrontare il senso di colpa. Invece di invocare la propria moralità e opporsi alle atrocità, la società israeliana mette a tacere ogni accenno alla propria immoralità, giustifica tutto ciò che non può essere messo a tacere ed etichetta come malvagia qualsiasi opposizione alla guerra, per paura di essere etichettata come tale, se oserà guardare la verità. Durante la guerra ho sentito innumerevoli volte l’affermazione ”Non ci sono innocenti a Gaza” – e sono inorridita. Vedo questa affermazione normalizzarsi sempre di più. Vedo persone davvero convinte che nemmeno il più piccolo bambino di Gaza sia innocente e che quindi non meriti alcuna pietà. E io rispondo: Un bambino è sempre innocente! Anch’io da bambina ero innocente, quando ho partecipato alle cerimonie della Giornata di Gerusalemme. Non potevo scegliere diversamente quando ho letto i testi nazionalisti che mi era stato detto di leggere, ignorando completamente le sofferenze palestinesi. Un bambino inconsapevole non può fare le sue scelte e quindi è innocente. Ma ora, essendo maturata, la mia innocenza non è incondizionata. Per questo so che se decidessi di rimanere in silenzio, ora che sono consapevole delle sofferenze inflitte a milioni di persone dall’esercito, sarei complice del crimine. Oggi so che non posso tacere di fronte alla sofferenza. Non posso tacere di fronte alle uccisioni e alla distruzione. E oggi so che arruolarsi nell’esercito è peggio del silenzio: è collaborare con un sistema che fa del male a milioni di persone. Per questo mi rifiuto, e lo faccio a gran voce. Non collaborerò e non farò parte del silenzio che permette di commettere le peggiori atrocità in mio nome. Come cittadina di questo Paese dico chiaramente: la distruzione di Gaza – non in mio nome! L’occupazione – non in mio nome! Mi rifiuto di rimanere in silenzio, nella speranza che la mia voce apra gli occhi di altri nella nostra società e risvegli la loro consapevolezza di ciò che viene fatto in loro nome – fino a quando neanche loro potranno più rimanere in silenzio”. Yuval Pelleg – Dichiarazione di rifiuto Mi chiamo Yuval Pelleg e oggi mi rifiuto di arruolarmi. Come tutti noi, ricordo bene le atrocità del 7 ottobre e l’inizio della guerra di distruzione. Ricordo anche le parole di Tal Mitnick, che poco tempo dopo si rifiutò di arruolarsi e disse che la guerra non avrebbe portato alcun progresso, ma solo morte e distruzione. Sono passati 22 mesi e le sue affermazioni si sono rivelate vere. Gli obiettivi ufficiali della guerra – smantellare il dominio di Hamas e restituire gli ostaggi – non sono stati raggiunti. Sotto le dichiarazioni di “porteremo la sicurezza” e di “vittoria totale”, tuttavia, si nasconde una sinistra verità: il vero obiettivo che sta guidando la guerra, quello che non si trova nelle note ufficiali, era e rimane la vendetta. Una vendetta che ha causato l’uccisione di molte decine di migliaia di gazawi, tra cui bambini che il 7 ottobre non erano nemmeno nati, la distruzione totale della Striscia di Gaza e la distruzione di ogni speranza. Mentre assisto ai crimini commessi dall’esercito israeliano contro il popolo palestinese a Gaza e in Cisgiordania, si rivela un fatto spiacevole riguardo all’arruolamento in un esercito che pretende di proteggermi in quanto ebreo: si tratta di un’azione incompatibile con i principi fondamentali della vita e dell’uguaglianza per tutti gli esseri umani, e dell’adesione a un sistema la cui essenza è l’oppressione, l’occupazione e la distruzione. Un tempo speravo di dare un contributo importante alla società attraverso il servizio militare. Ho studiato informatica e volevo entrare nell’intelligence, imparare nell’esercito e poi trovare un buon lavoro nell’alta tecnologia. Purtroppo, ogni linea rossa che avrei potuto immaginare (e molte altre che non mi sono mai passate per la testa) è stata oltrepassata. Non si possono scusare o giustificare i crimini che lo Stato di Israele ha commesso negli ultimi due anni, e in generale in tutta la sua storia. La conclusione è chiara: rifiutare di arruolarsi non è solo un diritto, ma un obbligo, e il primo passo per migliorare la vita di tutti quelli che vivono in questa terra. Dobbiamo capire che il genocidio di Gaza non sta avvenendo in modo casuale o per una scelta “sfortunata” nell’elezione dei leader. È il risultato di lunghi processi di fascistizzazione dell’area e una logica conclusione derivata dai principi fondamentali del sionismo. Lo Stato di Israele ha acquisito esperienza nei crimini e nel terrore fin dalle prime fasi della sua fondazione, e oggi la loro portata e la loro accettazione da parte della società sono più ampie che mai. Da un lato l’ignoranza della morale e del diritto internazionale è sempre stata familiare allo Stato, dall’altro siamo chiaramente nel mezzo di un declino – è lecito supporre che se Nathan Alterman scrivesse “Al Zot” (una poesia del 1948 che critica i crimini di guerra israeliani) oggi verrebbe considerato un traditore e gli direbbero: “Vai a Gaza”. Giustamente, l’IDF non è considerato a livello internazionale un esercito morale, e tantomeno “l’esercito più morale del mondo”. Le sue azioni e le sue aspirazioni – uccisioni di massa di bambini, fame indotta e persino piani per istituire un campo di concentramento – cioè un genocidio – ispirano odio e disgusto, e se mettiamo da parte il nazionalismo e il tribalismo è facile vedere che la rabbia, l’odio e l’opposizione non sono reazioni radicali e certamente non antisemite, ma piuttosto morali, minime e giustificate in risposta ai crimini di cui sopra. Nonostante tutti i suoi crimini, le nazioni del mondo continuano a rifornire la macchina di distruzione israeliana con armi e finanziamenti. Presto sarò imprigionato per il mio rifiuto di partecipare al massacro e mi appello a voi, popoli del mondo: intensificate la lotta! Unitevi a me e resistete alla distruzione e al genocidio con tutta la vostra forza. Infine, voglio ricordare che qui non si tratta di me. Si tratta della distruzione, delle persone uccise, del dialogo che è stato portato all’estinzione e della giustizia che è stata sepolta sotto le macerie di Gaza. Mi sforzo di prendere parte a una lotta per la vita, l’uguaglianza e la libertà. In questa lotta, una cosa è chiara: io e l’esercito siamo agli antipodi. Ecco perché mi rifiuto di arruolarmi. Mesarvot
Due diciottenni israeliani rifiutano di arruolarsi nell’esercito per protesta contro l’annientamento di Gaza
Giovedì 31 luglio 2025 alle ore 10:00, presso la base militare di Tel HaShomer, gli attivisti della rete Mesarvot terranno una manifestazione a sostegno di Ayana Gerstmann, diciottenne di Ramat-Gan, che si rifiuta di arruolarsi nell’esercito israeliano per protesta contro la guerra e il genocidio a Gaza, che ha già ucciso più di 60.000 palestinesi e distrutto intere città, e per opporsi all’occupazione in corso del popolo palestinese. Insieme a lei, anche Yuval Peleg, 18 anni, di Kfar Saba, si rifiuterà di arruolarsi domani mattina. Ayana Gerstmann: “Durante la guerra, ho sentito innumerevoli volte l’affermazione ”Non ci sono innocenti a Gaza” – e sono inorridita. Vedo questa affermazione normalizzarsi sempre di più. Vedo persone davvero convinte che nemmeno il più piccolo bambino di Gaza sia innocente e che quindi non meriti alcuna pietà. E io rispondo: Un bambino è sempre innocente! Come cittadina di questo Paese, dico con voce chiara: la distruzione di Gaza – non in mio nome! L’occupazione – non in mio nome! Mi rifiuto di rimanere in silenzio, nella speranza che la mia voce apra gli occhi di altri nella nostra società e risvegli la loro consapevolezza di ciò che viene fatto in loro nome – fino a quando anche loro non potranno più rimanere in silenzio”. Yuval Peleg: “Nonostante tutti i suoi crimini, le nazioni del mondo continuano a rifornire la macchina di distruzione israeliana con armi e finanziamenti. Presto sarò imprigionato per il mio rifiuto di partecipare al massacro e mi appello a voi, popoli del mondo: intensificate la lotta! Unitevi a me e resistete alla distruzione e al genocidio con tutta la vostra forza”. Foto di Soul Behar Tsalik, Mesarvot Mesarvot
Israele: giovani-refusenik-bruciano-gli-ordini-di-arruolamento
Riceviamo testo e video dalla associazione ‘Pungolo rosso’ https://pungolorosso.com/2025/07/20/tel-aviv-giovani-refusenik-bruciano-gli-ordini-di-arruolamento-nellesercito-del-genocidio-video/ “Pubblichiamo un breve video di una manifestazione di protesta promossa da Mesarvot (organizzazione israeliana a supporto degli obiettori di coscienza) che ha avuto luogo lo scorso martedì 15 luglio a Tel Aviv, al termine della quale alcuni giovani refusenik hanno bruciato i documenti di coscrizione nell’esercito israeliano. Questa iniziativa non ha certo coinvolto enormi masse (siamo nell’ordine di grandezza delle decine), ma ha comunque il suo valore perché è avvenuta in un periodo in cui nella società israeliana impazza un’isteria genocidaria nei confronti del popolo palestinese. Per quanto storicamente ci siano state periodiche ondate in cui il numero di aderenti a questa prospettiva è cresciuto (per lo più in coincidenza con i periodi di maggiore tensione del conflitto israelo-palestinese) salvo poi rifluire, la renitenza alla leva in Israele rimane ancora, purtroppo, un fenomeno marginale. [Tutt’altra cosa è l’esenzione di stato dalla leva per gli ultra-ortodossi.] Ciò che è di particolare rilievo in questa testimonianza filmata è la natura del rifiuto espresso dai manifestanti, consapevoli che davanti ad un genocidio il dovere di ciascun individuo dotato di coscienza umana è quello di resistere e opporsi materialmente come può. Una presa di posizione contro la guerra ai palestinesi, questa, ben lontana da quella delle folle che richiedono a gran voce una tregua che consenta la liberazione degli ostaggi-prigionieri tutt’ora nelle mani di Hamas, ma non per questo sono contrarie ai piani colonialisti di Israele in Palestina e, più in generale, nel Medio Oriente. La posizione di questi giovani dimostranti, in larga parte adolescenti, è netta: quello che l’esercito israeliano sta compiendo (del tutto in continuità con l’azione intrapresa sin dalla fondazione di Israele, ricordano giustamente) è un genocidio. E a perpetrarlo è ciascun soldato, a prescindere dal grado del suo inquadramento nelle fila dell’IDF. «Che sia al fronte o nelle retrovie, ogni soldato è complice dell’assassinio in corso», «chiunque indossi un’uniforme è complice dell’omicidio di massa»: questi alcuni degli slogan scanditi dai manifestanti in corteo, a cui si accompagna, in uno degli interventi di chiusura la perentoria definizione delle forze armate israeliane quali «il nemico a cui dobbiamo resistere». Molti di loro hanno già scontato periodi di carcerazione in quanto renitenti alla leva (tra quanti rilasciano una dichiarazione nel filmato è presente anche Itamar Greenberg, della cui diserzione abbiamo già parlato in un post dello scorso agosto), e ai restanti non sarà certo risparmiata questa esperienza. Il coraggio mostrato nell’affrontare la situazione sfavorevole e questa prospettiva li rende degni del nostro rispetto e della nostra ammirazione. Crescete e moltiplicatevi! “ Antonio Ghibellini