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Ancona, gli studenti universitari extracomunitari ricorrono alla Caritas
Nelle realtà di provincia c’è un magma bollente che non è sotto i riflettori del mainstream, ma che opera quotidianamente per il ribaltamento delle attuali dinamiche sociali e culturali; detenute saldamente da poteri adulti, maschi e gerontocratici. Ad Ancona, una di queste componenti fluide del magma giovanile è il collettivo Flag Eaters (lett. mangiatori di bandiere). Nato nel dicembre 2024, il concetto alla base del nome del collettivo è la lotta contro il simbolo come limite sociale umano. “Una popolazione veramente sviluppata e con spirito critico porta alla dissoluzione dei simboli politici”, si legge nel sito. Opera in modo autonomo da entità esterne come partiti politici e sindacati, concentrandosi sulla vita politica e culturale, rispondendo ai bisogni e ai desideri dei giovani e degli studenti che vivono nella zona. Recentemente hanno pubblicato un’inchiesta-studio dal titolo “L’università Politecnica delle Marche punta all’internazionalizzazione, ma i diritti degli studenti stranieri vacillano”. L’Università Politecnica delle Marche, infatti negli ultimi anni ha puntato sull’internazionalizzazione, diventando un polo di attrazione per migliaia di studenti provenienti da tutto il mondo. Corsi in lingua inglese, numeri in crescita, riconoscimenti economici: l’ateneo si racconta come un centro d’eccellenza globale. In particolare ha rafforzato il proprio percorso di internazionalizzazione grazie al successo del corso di laurea triennale in lingua inglese “Digital Economics and Business” (DEB), attivato presso la Facoltà di Economia. Negli ultimi anni, il corso si è affermato come uno dei principali poli di attrazione per gli studenti extra-comunitari, tanto da rappresentare attualmente il principale canale di accesso all’Ateneo per i candidati internazionali. Gli atenei ricevono dallo Stato fondi di finanziamento ordinari, proporzionali al numero di iscritti, e pro capite sono maggiori per gli studenti extra UE. Ma poi questi fondi non si traducono in condizioni di vita o di studio migliori per i beneficiari. Come ad Ancona. Infatti i numeri raccolti da Flag Eaters fanno emergere problemi molto seri: mancanza di alloggi, servizio sanitario troppo caro per gli studenti, impossibilità di accedere ai bandi per il diritto allo studio perché i permessi di soggiorno arrivano fuori tempo massimo. Gli attivisti hanno raccolto e incrociato un po’ si dati, relativi all’anno accademico 2024-2025. “Per l’anno accademico in corso – spiega lo studio – sono state presentate oltre 12.000 domande di prevalutazione, un dato in forte crescita rispetto al passato. Di queste, circa 8.500 candidature sono state ammesse, con o senza riserva: più del doppio rispetto alle ammissioni complessive registrate lo scorso anno. La provenienza degli studenti conferma la forte attrattività del corso nei Paesi in via di sviluppo: il 45% degli ammessi è di nazionalità etiope, il 20% pakistana, il 7% indiana, il 6% afgana, il 6% bangladese e il 4% turca. Nei due anni precedenti il 6-7% degli ammessi si è poi effettivamente immatricolato; il trend di crescita delle richieste testimonia l’interesse crescente verso l’offerta formativa internazionale dell’Ateneo. Attualmente, gli studenti iscritti al corso DEB sono circa 800, su un totale di circa 1.300 studenti stranieri presenti all’Univpm”. Questo dati gli attivisti li hanno incrociati con il rapporto della Caritas diocesana. “Una parte – spiega ancora lo studio –riguarda la mappatura sull’utilizzo dei servizi offerti dalle strutture Caritas agli studenti universitari. L’indagine ha riguardato l’intero anno e ha evidenziato che, su un totale di 1.498 ospiti diversi, 107 erano studenti universitari stranieri, pari al 7,1% del totale. Le nazionalità più rappresentate tra questi studenti sono: Etiopia 46, Bangladesh 13, India 9, Pakistan 7. Venticinque si sono dichiarati persone senza dimora; per ulteriori 19 non disponiamo di alcuna informazione in merito. I restanti ospiti, sebbene abbiano un posto letto garantito, non hanno accesso alla mensa universitaria né dispongono di mezzi di sussistenza adeguati, stando alle notizie fornite”. Dai risultati si deduce una forte convergenza tra questi dati e la provenienza geografica del corso di ‘’Digital Economic and Business’’.  I dati evidenziano che circa il 8,23% degli studenti universitari stranieri ha richiesto il servizio mensa presso la Caritas Diocesana Ancona-Osimo nei mesi indicati; tale quota sarebbe sensibilmente maggiore se aggiustata della parte degli studenti che non risiede nel territorio poiché frequenta online. Emerge poi che le borse di studio non sono quasi mai in linea con le tempistiche burocratiche degli studenti stranieri. “Il 31,8% degli studenti internazionali a cui abbiamo sottoposto il sondaggio – racconta Flag Eaters – ha affermato di aver avuto bisogno tra i 3-4 mesi per ottenere il visto dopo la richiesta. Il 9,1% degli intervistati ha avuto bisogno di oltre 6 mesi. Una volta arrivati in Italia gli studenti internazionali devono anche rispettare gli adempimenti burocratici del bando. Il reperimento delle informazioni utili da parte degli studenti extracomunitari è anche esso molto difficile. Il 44% degli studenti stranieri ha affermato di non aver partecipato al bando ERDIS (Ente Regionale per il diritto allo studio) per mancanza d’informazioni e oltre il 22% per difficoltà legate all’ottenimento dei documenti necessari per partecipare al bando”. Anche la questione alloggio ad Ancona per gli studenti stranieri è tutta in salita. “Nel 2023 – si legge nello studio – si sono registrati 80 sfratti per fine locazione e 433 per morosità. Il 63,6% degli studenti internazionali che ha risposto al questionario non è riuscito ad assicurarsi un alloggio prima del proprio arrivo in Italia. Il 95,5% degli studenti ha dichiarato di aver trovato difficoltoso ottenere un alloggio ad Ancona. Il 22,7% ritiene che tali difficoltà siano legate a fenomeni di discriminazione da parte dei proprietari o degli attuali inquilini.”. Altro problema è l’assistenza sanitaria: per gli studenti extracomunitari, il costo dell’assicurazione sanitaria nazionale è aumentato; il governo Meloni ha innalzato la quota annuale da circa 150 euro a 700 euro. È importante ricordare che un’assicurazione sanitaria, sia privata che nazionale, è necessaria ai fini del rilascio del permesso di soggiorno. “Il 63,6% degli studenti – analizza il report – hanno optato per un’assicurazione sanitaria privata. Il 16,7% di questi studenti sono coperti solo relativamente ad infortuni mentre il 50% circa afferma di aver un’assicurazione privata che copre esclusivamente malattie ed infortuni”. Il collettivo Flag Eaters di fronte a questa situazione, non si ferma alla denuncia, ma avanza delle proposte: l’istituzione di un fondo che contribuisca alle spese sostenute per l’assicurazione sanitaria nazionale per soggetti particolarmente svantaggiati economicamente, assicurando il diritto alla salute per la componente straniera. Poi la rimodulazione degli strumenti di supporto economico per il diritto all’abitare alle nuove esigenze imposte dall’internazionalizzazione, ridefinendo gli importi e i criteri di calcolo del ‘Fondo Carlo Urbani” (istituito dall’Università con ulteriori riduzioni per studenti che hanno avuto situazioni di disagio personale e/o economico). Anche le tempistiche del bando ERDIS per gli studenti internazionali devono necessariamente essere rimodulate tendendo conto di quelle dei Paesi di provenienza. Infine, l’aumento delle strutture adibite all’alloggio degli studenti. Leonardo Animali
In un Paese con oltre 5,7 milioni di persone in condizioni d’indigenza si buttano 157 miliardi nell’azzardo
Dal 1990 al 2020, l’Italia è il fanalino di coda dei Paesi OCSE e l’unico Paese con un valore negativo (-2,9%) di variazione dei salari reali medi. La percentuale di lavoratori a basso salario è passata da 25,9 punti percentuali nel 1990 a 32,2 punti percentuali nel 2017. A essere colpiti sono soprattutto donne, giovani nella fascia 16-34 anni e residenti al Sud, ed in generale quanti hanno un contratto di lavoro part-time. Nel 2023, ogni italiana o italiano deteneva in media circa 190.000 euro di patrimonio. Il patrimonio medio dei 50,000 adulti più ricchi del paese è più che raddoppiato rispetto agli anni Novanta, mentre i 25 milioni di italiani più poveri hanno visto la propria ricchezza media ridursi di più di tre volte e oggi detengono un patrimonio medio di circa 7 mila euro pro-capite. Si stima che almeno 10 milioni di adulti abbiano risparmi liquidi inferiori ai 2.000 euro, decisamente insufficienti per far fronte a uno shock di reddito come quello inflitto dalla perdita del lavoro o da una malattia. La povertà assoluta nel nostro Paese coinvolge oggi una quota sempre più ampia della popolazione. Secondo i dati diffusi da Istat il 14 ottobre, il 9,8% degli italiani – oltre 5,7 milioni di persone e 2,2 milioni di famiglie (8,4% dei nuclei) – vive in condizioni di indigenza. Negli ultimi dieci anni il fenomeno è cresciuto in modo significativo: il numero di famiglie in povertà assoluta ha registrato un + 43,3%, segno di un processo di radicamento che ha reso la povertà una componente strutturale del tessuto sociale nazionale. E’ quanto si legge nel Rapporto 2025 su povertà ed esclusione sociale in Italia della Caritas, dal titolo “Fuori Campo. Lo sguardo della prossimità”. Due capitoli del Rapporto Caritas 2025 sono dedicati alla deriva nazionale dell’azzardo industriale di massa e alle sue conseguenze e alla povertà energetica. Il capitolo 3 si occupa della deriva dell’azzardo, sottolineando come a partire dalla fine degli anni 90, l’offerta dell’azzardo si sua arricchita di oltre una cinquantina di modalità di gioco, sia online che in presenza (oltre 150mila locali, disseminati in tutte le province italiane). “Il volume monetario del gioco d’azzardo, si legge nel Rapporto, mostra una crescita inarrestabile: dai 35 miliardi di euro giocati nel 2006 siamo giunti ai 157 miliardi giocati nel 2024 (+349%). A fronte di tale incremento, l’incasso dell’erario è aumentato solamente dell’’83% (da 6 a 11 miliardi), a tutto favore delle grandi società produttrici. Solo per le slot, si stimano 38 milioni di ore impegnate nel gioco. Oltre 22 milioni di ore impegnate per 1 miliardo e 358 mila giocate”. Ma sono soprattutto le modalità tradizionali ad impegnare tempo di vita: oltre 388 milioni di ore impegnate dalla popolazione per lotto, scommesse, superenalotto. In totale, le giornate lavorative assorbite dal gioco sono oltre 104 milioni. L’altra faccia della medaglia è costituita dalle perdite: nel 2024, il totale delle perdite è stato pari a 20 miliardi di euro. I dati mostrano una correlazione inversa tra reddito medio per contribuente e perdita media al gioco, con un peso percentuale più alto nelle regioni più povere. Dieci regioni sono sopra la soglia della media nazionale (493 euro) e di esse, cinque sono meridionali e isole, due del centro-sud (Abruzzo e Molise) seguite da Lazio e Lombardia. “L’azzardo – si sottolinea nel Rapporto –  costa di più a chi ha meno: non solo perché perde più euro, ma perché quegli euro valgono di più nel bilancio familiare. È il punto da cui far partire qualunque discussione seria su prevenzione, regolazione e responsabilità pubblica”. Il capitolo 5 si occupa, invece, della povertà energetica, quel fenomeno che interessa coloro che non possono usufruire di forniture adeguate e affidabili di energia elettrica e gas per indisponibilità di sufficienti risorse economiche. È la punta di un iceberg, la cui massa sommersa è costituita dalla complessità delle connessioni tra questioni ambientali, climatiche e sociali. È una “nuova” povertà sulla quale pesano gli effetti della crisi climatica che ha creato nuovi rischi ambientali e sociali, che incrementano le disuguaglianze e producono nuove forme di povertà. Secondo l’OIPE nel 2023 le famiglie in povertà energetica in Italia erano 2,36 milioni, pari al 9% del totale, in crescita rispetto all’anno precedente (+1,3 punti percentuali, pari a 340 mila famiglie in più), il valore più alto dall’inizio della serie storica. “Le famiglie più povere, si legge nel Rapporto,  impegnano l’8,7% della loro spesa per beni e servizi energetici, contro il 3,3% delle famiglie più ricche. I poveri sono anche coloro che, per effetto della riduzione progressiva delle risorse stanziate per i bonus (meno 1 miliardo tra il 2022 e il 2023), hanno ridotto più della media le spese per consumi energetici”. Dall’incrocio tra la posizione nel mercato energetico e l’inserimento nelle reti di protezione o possibilità di accesso alle politiche per la transizione energetica, il capitolo identifica e approfondisce tre tipi di poveri: i vulnerabili energetici, gli assistiti energetici e gli esclusi energetici. “Dal punto di vista delle risposte possibili, non si tratta più – propone la Caritas – di affrontare una povertà tradizionale con strumenti assistenziali tradizionali, ma di ripensare il welfare in una logica di sistema che integri sostenibilità ambientale e giustizia sociale, con politiche che intervengano prima che la vulnerabilità si trasformi in esclusione, affinché ogni cittadino, nella transizione energetica, abbia diritto a fruire di energia prodotta da fonti rinnovabili, accessibile a un prezzo equo e fruibile grazie a dispositivi efficienti”.  Come scrive il direttore della Caritas italiana, don Marco Pagniello, il “fuori campo” del titolo del Rapporto è ciò che non si vede, è la parte invisibile che sfugge allo sguardo immediato. La povertà oggi non è sempre visibile, spesso è silenziosa, frammentata, trasversale e multidimensionale. È la povertà di quei lavoratori che non riescono a vivere dignitosamente, di chi cade nella trappola dell’azzardo, di chi subisce violenza nel silenzio, di chi rinuncia al riscaldamento o alla luce, di chi non riesce ad assicurare un tetto alla propria famiglia, di chi vive perennemente connesso, ma senza relazioni significative. La povertà oggi è educativa, sanitaria, abitativa, energetica, affettiva. “Non basta guardarla da lontano o analizzarla con categorie vecchie, ammonisce il direttore della Caritas italiana. Bisogna abitarla, entrarci dentro, sporcarsi le mani, lasciarsi coinvolgere, assumere lo sguardo della prossimità per consentire alla conoscenza di diventare compassione e, di conseguenza, alla compassione di tradursi in azione davvero incisiva”. Qui il Rapporto Caritas: https://www.caritas.it/wp-content/uploads/sites/2/2025/11/Rapproto-Poverta-2025-Versione-integrale.pdf.  Giovanni Caprio
Aree interne: la presenza straniera contribuisce a contrastare lo spopolamento
Nel gennaio 2025, si stima che nel mondo i migranti internazionali siano 304 milioni, più del doppio rispetto al 1990 (153 milioni). In termini percentuali si è passati dal 2,9% al 3,7% della popolazione mondiale, percentuale che è rimasta invariata negli ultimi anni. Sono aumentati, invece, in maniera molto significativa i profughi e gli sfollati, che alla fine del 2024 hanno raggiunto la cifra record di 123,2 milioni. Uno scenario che si riverbera anche sul contesto italiano. La componente straniera – oltre 5,4 milioni di persone, pari a circa il 9,2% del totale – continua a crescere, sostenendo in maniera decisiva la dinamica demografica complessiva. Il saldo migratorio con l’estero ha compensato sia il saldo naturale negativo sia la riduzione della mobilità interna. “I cittadini stranieri regolarmente residenti in Italia, si legge nel XXXIV Rapporto Caritas-Mighrantes, si concentrano per lo più al Centro-Nord, mentre la presenza di migranti irregolarmente presenti sul territorio si distribuisce in modo disomogeneo, mostrando condizioni abitative spesso precarie e forme di insediamento che variano a seconda del contesto: dai ghetti rurali del Sud Italia agli spazi occupati nelle aree urbane del Centro-Nord”. I principali Paesi di origine dei cittadini stranieri in Italia restano Romania, Marocco, Albania, Ucraina e Cina, ma negli ultimi anni si osserva una crescita significativa di nuovi arrivi dal Perù e soprattutto dal Bangladesh. In appena due anni, i cittadini bangladesi hanno visto rafforzarsi in modo netto la loro presenza, tanto che il Bangladesh figura ormai tra le prime tre nazionalità per nuovi rilasci di permessi di soggiorno in oltre la metà delle province italiane. Nel complesso, i motivi familiari (43,7%) e di lavoro (40,7%) continuano a rappresentare la gran parte dei permessi di soggiorno validi, mentre quelli legati ad asilo, protezione internazionale o speciale si fermano al 7,2%. Questo dato conferma la tendenza a una presenza sempre più stabile, legata non solo all’inserimento lavorativo, ma anche alla costruzione di percorsi familiari duraturi. La dimensione familiare si riflette in un altro aspetto cruciale: la natalità. Pur in un quadro di costante decremento, nel 2024 le nascite complessive si attestano intorno alle 370 mila, e oltre il 21% dei nuovi nati ha almeno un genitore straniero. Si tratta di un indicatore eloquente del contributo strutturale delle famiglie migranti alla rigenerazione della popolazione residente. Allo stesso modo, le oltre 217 mila acquisizioni di cittadinanza registrate nel 2024 rappresentano non solo un traguardo individuale, ma anche una lente privilegiata per leggere le trasformazioni in corso: nelle aree interne, in particolare, la presenza straniera contribuisce a contrastare lo spopolamento e a mantenere vivi servizi, scuole e attività economiche di base. Su questo sfondo, il lavoro si conferma come snodo decisivo. Gli occupati in Italia hanno raggiunto quota 24 milioni, di cui oltre 2,5 milioni stranieri (10,5%). Il tasso di occupazione complessivo è salito al 61,3% (+1 punto rispetto al 2023), ma con forti divari: per i non comunitari scende al 57,6% (-3,3 punti), per i comunitari resta stabile al 62,2%. La disoccupazione, pur calando nel complesso (-14,6%), migliora soprattutto per gli italiani (-16%), meno per i non comunitari (-5,9%), che restano a un tasso del 10,2% contro il 6,1% degli italiani. Anche sul fronte dell’inattività, il quadro è diseguale: se dal 2021 il calo è stato di 2,2 punti, tra il 2023 e il 2024 il dato resta stabile, con un preoccupante +6,1% per i non comunitari. Nel complesso, emerge un mercato del lavoro fortemente segmentato, dove le opportunità non si distribuiscono in modo omogeneo né tra italiani e stranieri, né tra uomini e donne. Parallelamente, cresce il ruolo attivo degli stranieri: nel 2024 sono stati attivati 2.673.696 rapporti di lavoro con cittadini stranieri, pari al 25% del totale (+5,8% rispetto al 2023). La condizione di precarietà sembra, però, coinvolgere l’intero sistema Italia. Se una persona su dieci in Italia vive in condizione di povertà assoluta, ovvero è priva delle risorse fondamentali per condurre una vita dignitosa, l’incidenza della povertà tra i cittadini italiani si attesta al 7,4%, mentre tra gli stranieri raggiunge il 35,1%, coinvolgendo più di una persona su tre. Complessivamente, gli individui di cittadinanza straniera che vivono in povertà assoluta sono 1.727.000, pari al 30,3% dei poveri assoluti presenti in Italia, stimati in circa 5,7 milioni. Di nuovo, tra le criticità che coinvolgono le persone di cittadinanza straniera prevalgono le situazioni di disoccupazione (50,9%) e di “lavoro povero” (24,7%). Per quanto riguarda l’istruzione, nell’anno scolastico 2023/2024 si registra la presenza di 910.984 alunni con cittadinanza non italiana, con un’incidenza pari all’11,5%. Per certi versi, le nuove generazioni dell’immigrazione assomigliano a tutte le nuove generazioni, ma sono più cosmopolite e più “naturalmente” multiculturali, perché abituate a muoversi, a cercare un equilibrio tra mondi diversi. La grande maggioranza dei figli di immigrati è nata e cresciuta in Italia: ragazze e ragazzi italiani di fatto, ma privi di cittadinanza formale. Qui una sintesi del XXXIV Rapporto Immigrazione 2025 di Caritas e Migrante Giovanni Caprio
Appello alle Amministrazioni pubbliche spezzine: revocate il patrocinio a Seafuture
Comunicato congiunto delle associazioni laicali cattoliche e chiese riformate spezzine, sotto elencate, che si rivolgono alla Regione Liguria e ai Comuni di La Spezia, Lerici, Sarzana e Portovenere chiedendo che revochino il proprio patrocinio alla fiera che promuove il commercio e l’esportazione di armamenti e alla cui edizione di quest’anno è invitao Israele e partecipano delegazioni di Stati esteri belligeranti e governati da regimi autoritari e autocratici.  La nona edizione di Seafuture, in programma dal 29 settembre al 2 ottobre prossimi all’Arsenale Militare Marittimo di La Spezia e organizzata da Italian Blue Growth in collaborazione con la Marina Militare con il sostegno del Segretariato Generale della Difesa – DNA / Direzione Nazionale degli Armamenti, si presenta come “una mostra internazionale che esibisce tecnologie innovative nei settori marittimo, della difesa e del duplice uso (civile e militare)”. Come Associazioni laicali cattoliche e Chiese Riformate crediamo nel desiderio di Dio di “ricapitolare tutte le cose in Cristo” (Ef. 1,10) e nella riconciliazione finale dell’umanità con il Padre in una fraternità definitiva della famiglia umana. Siamo per questo impegnati a vivere il Vangelo personalmente e comunitariamente macrediamo anche che sia necessario che tutto ciò si esprima nella convivenza sociale e politica, operando nel presente i passi concretamente possibili in questa direzione. Per questo vogliamo esprimere insieme il nostro pensiero critico * Seafuture: una fiera finalizzata all’esportazione di armi Seafuture, secondo le dichiarazioni degli organizzatori, si caratterizza per essere una “business opportunity” in cui “gli espositori avranno l’opportunità unica di partecipare a incontri con delegazioni governative estere (B2G) e rappresentanti delle Marine Militari provenienti da tutto il mondo”. Non si tratta, pertanto, di una iniziativa che si rivolge alle esigenze interne della Difesa, ma è finalizzata a presentare prodotti e servizi ad un pubblico globale di leader del settore navale e rappresentanti militari e governativi di diversi Paesi del mondo. In questo quadro, la presenza delle Marine Militari e delle Delegazioni Nazionali di paesi esteri viene considerata come un “fattore chiave” per “soddisfare le richieste del mercato estero della difesa”, favorendo processi di aggregazione e internazionalizzazione “per migliorare la competitività e accrescere la rilevanza complessiva del sistema industriale italiano sul mercato internazionale”. Un mostra, dunque, con spiccate caratteristiche commerciali finalizzata a promuovere l’esportazione di prodotti e tecnologie militari. Da ciò deriva una fondamentale criticità che riguarda la commistione dei settori che contrassegnano Seafuture tradendo l’originale impostazione. * Commistione dei settori civile e militare Sono settori con caratteri, compiti e finalità differenti che, per le loro specificità, dovrebbero essere mantenuti separati. Mentre, infatti, una delle caratteristiche principali del settore delle tecnologie civili è la competitività industriale e commerciale, concorrenza e competitività nonappartengono al settore della Difesa che, secondo il nostro dettato costituzionale, ha come compito specificola promozione della sicurezza e della pace. Consideriamo perciò inaccettabile la tendenza, già dalle scorseedizioni, ad assimilare nell’ambito militare anche le iniziative riguardanti la “Blue Economy” e la mancanza di attenzione al problema della transizione ecologica. Il settore militare e civile dovrebbero essere oggetto di eventi differenti e separati, regolamentati secondo le proprie normative anche in riferimento alle tecnologie a duplice uso (civile e militare) sottoposte alle norme europee e nazionali tra cui la legge 185 del1990, legge promossa dalla società civile per regolamentare l’esportazione di armamenti, che chiediamo venga applicata con rigore e trasparenza. * Le delegazioni dei Paesi invitati e partecipanti Gli organizzatori riportano di aver invitato 140 delegazioni di Paesi esteri e di queste, ad oggi, avrebbero confermato la partecipazione a Seafuture 46 delegazioni di cui 40 rappresentanze di Marine Militari (Navy) e 6 di Delegazioni Nazionali (NAD). Scorrendo la lista delle rappresentanze rileviamo che, oltre alle dodici tra Marine Militari e Delegazioni Nazionali dei Paesi dell’Unione Europea, figurano – le Marine Militari e Delegazioni Nazionali di 14 Stati esteri che l’Indice di Democrazia redatto dalla Intelligence Unit del settimanale “The Economist” (qui il Report; qui una sintesi) definisce “Regimi Autoritari” (Algeria, Camerun, Gibuti, Egitto, Etiopia, Mauritania, Azerbaijan, Iraq, Kuwait, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Vietnam, Pakistan e Arabia Saudita) – le Marine Militari di 8 Stati che l’Indice di Democrazia definisce “Regimi Ibridi”, cioè regimi autocratici e repressivi (Ecuador,Messico, Perù, Costa d’Avorio, Tanzania, Tunisia, Bangladesh e Turchia). La Somalia, presente a Seafuture con una rappresentanza della propria Marina, non è classificata dall’Economist in quanto fino al 2024 è stato considerata uno “Stato instabile” e dal 1992 al 2023 è stata sottopost a misure di embargo e restrizioni sulle importazioni di armi e materiali militari che sono state rimosse dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite solo nel dicembre del 2023. L’esatta metà delle delegazioni degli Stati esteri che parteciperanno a Seafuture è costituita da regimi autoritari e autocratici. Sono state inoltre invitate la Marina Militare e la Delegazione Nazionale di Israele: avrebbero rinunciato a partecipare, ma nei confronti delle rappresentanze di Israele – nonostante lo sterminio sistematico da parte delle forze armate israeliane perpetrato nei confronti della popolazione della Striscia di Gaza e del Territorio palestinese occupato – gli organizzatori di Seafuture non hanno mai revocato l’invito. Questo significa che, secondo gli organizzatori di Seafuture, i governi di questi Paesi sarebbero una controparte affidabile, rispettosa dei diritti umani e delle libertà democratiche, a cui esportare armamenti e sistemi militari. Riteniamo che questo sia inammissibile: nonostante questi Paesi nonsiano oggetto di misure restrittive sui trasferimenti di armi, tecnologie militari e a duplice uso, non dorrebberoessere invitati ad un mostra internazionale come Seafuture che è finalizzata al commercio di materiali militari. * La nostra visione di Seafuture Nelle nostre coscienze e nella nostra visione, il futuro dell’industria navale e del mare non possono continuare a dipendere dalla produzione e dal commercio di sistemi militari sostenuti sottraendo risorse al settore civile. Il Mediterraneo deve essere un ponte di incontro tra i popoli e le culture, tra i centri di ricerca e tuttele realtà interessate a promuovere la tutela del mare, la sostenibilità ambientale, il turismo responsabile e losviluppo sostenibile nel rispetto dei diritti delle persone e dei popoli. Rispetto che vediamo negato dalle morti dei migranti in quel mare di cui si vorrebbe tracciare il futuro e dai respingimenti che li riportano nei paesi dove i loro diritti vengono calpestati mettendone a rischio la loro incolumità e la loro stessa vita stessa. In considerazione di tutto questo, ci uniamo alle richieste espresse già in passato da diverse associazioni affinché Seafuture ritorni alla sua mission originaria: una manifestazione internazionale dell’area mediterranea dedicata a innovazione, ricerca, sviluppo delle tecnologie civili inerenti al mare, per promuovere la sostenibilità ambientale e sociale. * I PATROCINI A SEAFUTURE La lista, disponibile sul sito ufficiale fino al 17 agosto scorso, riportava tra le 140 rappresentanzenazionali invitate a Seafuture quelle di altri “Regimi Autoritari” (tra cui Libia, Bahrain, Cina, Giordania, Libano, Oman, Kazakistan, Turkmenistan, Mozambico, Repubblica del Congo e Togo). In considerazione di questa situazione che ha visto l’invito e vedrà l’ampia partecipazione di rappresentanze di regimi autoritari chiediamo alle Amministrazioni pubbliche che hanno concesso il proprio patrocinio a Seafuture (Regione Liguria, Comuni della Spezia, Lerici, Sarzana e Portovenere) di revocarlo. Riteniamo infatti che le Amministrazioni pubbliche dello Stato italiano non debbano in alcun modo promuovere eventi a cui partecipano rappresentanze militari, istituzionali e delle aziende militari di governi repressivi in modo particolare se questi eventi – come Seafuture – si caratterizzano per la promozione della vendita di armamenti e tecnologie militari. Esprimiamo inoltre forte contrarietà riguardo ad ogni eventuale coinvolgimento degli studenti delle scuole secondarie in Seafuture per la mancanza di un’informazione completa e pluralistica sul significato dell’evento tale da permettere loro di valutare la sua trasformazione in rassegna degli armamenti navali promossa dal comparto industriale-militare.   Come Associazioni laicali cattoliche e Chiese Riformate impegnate a vivere e testimoniare i valori evangelici di pace e riconciliazione deploriamo il ricorso alla forza per la risoluzione dei conflitti e l’aumento delle spese militari e ci adoperiamo per promuovere la riduzione degli armamenti, la solidarietà tra i popoli e la cultura della nonviolenza. * ACLI Provinciali (La Spezia) – Marco Formato (Presidente) * Associazione Mondo Nuovo Caritas (La Spezia) – don Luca Palei (Presidente) * Azione Cattolica (La Spezia) – Stefano Lorenzini (Presidente) * Betania Amici del Sermig Odv (La Spezia) – Giovanni Ricchetti (Presidente) * Chiesa Cristiana Evangelica Battista (La Spezia) – Sandra Spada (Pastora) * Chiesa Evangelica Metodista (La Spezia) – Massimo Marottoli (Pastore) * Movimento Adulti Scout Cattolici Italiani (La Spezia) – Matteo Pucci (Magister) * Movimento dei Focolari (La Spezia) – Alessandro Carrozzi (Referente)   comunicato divulgato il 10 SETTEMBRE 2025 : A proposito di Seafuture 2025. La Spezia dal 29 settembre al 2 ottobre  Maddalena Brunasti
La povertà in Italia secondo i dati della rete Caritas: in 10 anni l’incremento è stato del 62,6%
L’Italia è il settimo Paese in Europa per incidenza di persone a rischio povertà o esclusione sociale (al 23,1%, in aumento rispetto al 22,8% del 2023): solo Bulgaria, Romania, Grecia, Spagna, Lettonia e Lituania registrano valori più alti. Oggi si contano complessivamente 5 milioni e 694 mila poveri assoluti, per un totale di 2 milioni e 217 mila famiglie, che non dispongono delle risorse necessarie per una vita dignitosa, impossibilitati cioè ad accedere a un paniere di beni e servizi essenziali, quali ad esempio alimentazione adeguata, abbigliamento, abitazione. Una situazione confermata anche dai dati della rete Caritas Nel 2024 le persone accolte e sostenute dai Centri di Ascolto e servizi informatizzati della rete Caritas in Italia sono state 277.775. Si tratta di un numero che corrisponde ad altrettanti nuclei familiari, poiché l’intervento degli operatori e dei volontari mira sempre a rispondere ai bisogni dell’intera famiglia. Le informazioni provengono da 3.341 servizi, attivi in 204 diocesi (pari al 92,7% delle diocesi italiane) e distribuiti in tutte le 16 regioni ecclesiastiche, rappresentando circa la metà delle strutture promosse e/o gestite dalle Caritas diocesane e parrocchiali. L’aiuto della rete ha raggiunto circa il 6 per mille dei nuclei familiari residenti in Italia e circa il 12% delle famiglie in povertà assoluta. Il numero degli assistiti è aumentato del 3% rispetto al 2023. Se confrontato con il 2014, il dato appare decisamente allarmante: in dieci anni l’incremento è stato del 62,6%. I territori con l’aumento più marcato delle richieste di aiuto sono quelli del Nord Italia (+77%), seguiti da quelli del Mezzogiorno (+64,7%). Tali trend, evidenziano l’effetto cumulativo delle molteplici crisi che hanno attraversato il Paese negli ultimi anni: dalla crisi finanziaria del 2008, a quella del debito sovrano, fino alla pandemia da Covid-19 e alle recenti tensioni internazionali. Cala l’incidenza dei “nuovi ascolti” (37,7%, rispetto al 41,0% del 2023) e al contempo aumentano i casi di povertà intermittente e di lunga durata. Particolarmente preoccupante è la crescita delle situazioni di cronicità: oltre un assistito su quattro (26,7%) si trova in uno stato di disagio stabile e prolungato. La povertà diventa anche più intensa: il numero medio di incontri annui per assistito è quasi raddoppiato rispetto al 2012. L’età media delle persone accompagnate è 47,8 anni, in aumento rispetto al passato. Sebbene le statistiche ufficiali mostrino una situazione in cui gli anziani risultano meno colpiti dalla povertà rispetto alle fasce più giovani della popolazione, i dati raccolti dalla rete Caritas evidenziano una costante crescita della componente anziana tra le richieste di aiuto: se nel 2015, infatti, gli ultrasessantacinquenni rappresentavano appena il 7,7% oggi la loro incidenza è praticamente raddoppiata raggiungendo il 14,3%. Rimangono invece pressoché stabili e strutturali le difficoltà delle famiglie con figli che costituiscono circa i due terzi degli assistiti (63,4%), molti dei quali con figli minori. Un fattore che accomuna la gran parte delle persone accompagnate riguarda la fragilità occupazionale, che si esprime per lo più in condizioni di disoccupazione (47,9%) e di “lavoro povero” (23,5%). Non è solo dunque la mancanza di un impiego che spinge a chiedere aiuto: di fatto quasi un beneficiario su quattro rientra nella categoria del working poor, con punte che superano il 30% nella fascia tra i 35-54 anni. Quindici anni fa i disoccupati rappresentavano i due terzi dell’utenza e gli occupati appena il 15%; questo descrive con chiarezza quanto sia mutato il profilo dell’utenza Caritas nel corso degli ultimi tre lustri, riflettendo al contempo una profonda trasformazione del fenomeno stesso della povertà. La povertà appare multidimensionale e complessa: nel 56,4% delle storie incontrate si sommano due o più ambiti di fragilità, e per il 30% se ne cumulano tre o più. I principali pilastri di vulnerabilità sono il reddito, il lavoro e la casa, anche se le difficoltà non si esauriscono solo a queste dimensioni Tra i bisogni più frequenti, spesso correlati alle condizioni economiche, vi sono: problemi sanitari (in forte aumento rispetto al 2023); problemi familiari (legate a separazioni, conflitti, lutti o maternità in solitaria); difficoltà connesse allo status migratorio. A fronte di questa complessità, cala il numero di beneficiari delle misure di sostegno al reddito: i percettori di Assegno di Inclusione (Adi) sono l’11,5% del totale, quelli del Supporto per la Formazione e il Lavoro (SFL) solo l’1,3%. L’incidenza dei beneficiari dell’ADI risulta più alta al Sud (32,7%) e nelle Isole (29,8%) rispetto alle aree del Nord; allo stesso modo si evidenziano marcate differenze rispetto alla cittadinanza: tra gli italiani la percentuale di percettori si attesta al 19,4%, tra gli stranieri al 4,2%. La quota di beneficiari dell’Assegno Unico Universale sfiora complessivamente il quaranta per cento tra le persone con figli (38,8%), senza particolari differenze tra italiani e stranieri. La Caritas pone un particolare accento poi sul “problema casa”, sottolineando come non si tratti più di un’emergenza temporanea, bensì di una crisi strutturale con radici economiche, sociali e urbanistiche profonde. “Continuare a trattarla come una situazione contingente, si legge nel Rapporto, impedisce l’elaborazione di strategie di lungo periodo e soluzioni sistemiche. Non riguarda soltanto le situazioni estreme come quella delle persone senza dimora, ma coinvolge un numero crescente di famiglie che incontrano difficoltà nel trovare o mantenere un alloggio dignitoso e accessibile”. Ma anche la povertà sanitaria appare ormai preoccupante: i dati raccolti dalla Caritas nel 2024 mostrano che il 15,7% degli assistiti vive una condizione di vulnerabilità sanitaria, spesso legata a patologie gravi e alla mancanza di una risposta adeguata da parte del sistema pubblico. Qui il Rapporto: https://www.caritas.it/wp-content/uploads/sites/2/2025/06/report_stampa_9_06_25.pdf.  Giovanni Caprio