Incontri sulle devianze giovanili con i Carabinieri: rischio militarizzazione nelle scuole di Napoli
Alla fine dell’anno scolastico appena terminato, il 3 giugno 2025 dalle 9:00
alle 11:00, si è tenuto presso uno storico Liceo del centro di Napoli, il Liceo
Statale “Antonio Genovesi”, un incontro rivolto agli studenti e alle studentesse
delle prime classi sul tema delle devianze giovanili dal titolo “Oltre il
limite. Quando le scelta diventa rischio”, presentato come «un dialogo aperto
sulle devianze giovanili e il loro significato. Confronto tra dimensione
psicologica, responsabilità legale e prevenzione educativa».
Dell’evento, qualche giorno dopo, è scomparsa traccia dal sito dell’Istituto e
una ricerca sui più diffusi motori di ricerca, anche tramite immagine, non ha
dato risultati; resta quindi solo una foto scattata alla locandina che è stata
affissa sul portone della scuola e la testimonianza di alcune persone che
l’hanno vista e di una nostra attivista che ne ha parlato con degli studenti e
le studentesse all’ingresso della scuola.
I relatori dell’iniziativa? Oltre al Dirigente Scolastico per i saluti
istituzionali di rito e una docente – si presume dell’Istituto – in qualità di
moderatrice, tutti i tre interventi sono a cura di “esperti” dell’Arma dei
Carabinieri. Colpisce in particolare che il primo dei tre sia il Comandante del
Nucleo di Psicologia della Legione Carabinieri della Campania.
Perché uno psicologo interno alle Forze Armate dovrebbe essere preferibile, per
dialogare coi giovani all’interno di una scuola, ad un altrə professionista?
Quale ragione sta dietro a tale scelta?
Per noi dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle
università il fatto che dei professionisti siano interni ad un corpo militare fa
assumere di fatto all’iniziativa un’impostazione diversa da quella che avrebbe
con esperti della società civile, improntata a un paradigma securitario, basato
cioè sulla norma e la punizione prevista per chi la infrange; un paradigma
lontanissimo da quello educativo, che dovrebbe prevedere il dialogo, il
pluralismo, la costruzione condivisa di saperi e di valori e una motivazione
intrinseca alla base dell’elaborazione personale, da parte degli educandi, di
questi ultimi.
Nel caso specifico, sul delicato e scivoloso tema delle devianze giovanili
(devianze da cosa? da quale norma?) – e in particolare in una città come Napoli
e in tempi di “Decreto Caivano” e “Decreto Sicurezza” – ci chiediamo quale
dialogo aperto possa essere stato intessuto con gli/le studenti/studentesse da
esperti con l’arma d’ordinanza nella fondina.
Un altro aspetto di questa iniziativa, ancora poco diffuso e che ci pare assai
preoccupante, è la presenza non di semplici Carabinieri, ma di esponenti delle
professioni – proprio di quelle professioni che secondo noi sarebbero da
preferire ai militari nella scelta di eventuali esperti esterni che intervengano
nelle scuole -, ma interni all’Arma dei Carabinieri. Questo fatto testimonia
della crescente militarizzazione delle professioni, evidente anche in alcuni
percorsi universitari e post universitari che vengono attivati in alcune
facoltà, come ad esempio il master in psicologia militare dell’Università La
sapienza di Roma
(https://www.uniroma1.it/it/offerta-formativa/master/2025/psicologia-militare).
Anche in altre parti d’Italia abbiamo testimonianze di giovani studenti e
studentesse che dichiarano di voler lavorare, ad esempio, come biologa/o al RIS
di Parma dei Carabinieri oppure psicologa/o nell’ufficio reclutamento della
Marina Militare.
Il fatto che si stia diffondendo un’attitudine a legare alcune occupazioni alla
divisa e quindi all’attività lavorativa nelle Forze Armate è secondo noi il
segno evidente che è in atto un tentativo di sovrapposizione tra il mondo civile
e quello militare, atto a persuadere che tra l’uno e l’altro non ci sia nessuna
differenza; di più: la presenza di queste professionalità nelle iniziative nelle
scuole ha come obiettivo quello di aumentare la fascinazione dei giovani per la
divisa, come se il mondo militare fosse un luogo in cui tutte le inclinazioni
personali e le aspirazioni possono trovare spazio. In territori ad alto tasso di
disoccupazione giovanile come il sud Italia, in cui la carriera militare è già
vista come una delle poche possibilità di impiego sicuro, ora promette anche la
possibilità di realizzarsi in molti campi diversi.
Noi crediamo che questa promessa sia ingannevole e vogliamo scuole libere da
questa propaganda!
È evidente che un professionista stipendiato dal Ministero della Difesa non è
più un libero professionista, ma ha l’obbligo di fare gli interessi e di
veicolare la cosiddetta “cultura della Difesa”. Alcuni liberi professionisti,
come avvocati o psicologi, se assunti da un’azienda devono uscire dall’ordine
professionale, a garanzia dell’indipendenza e dell’autonomia che deve
caratterizzare queste professioni. Perché, quando si è stipendiati dal Ministero
della Difesa e a maggior ragione nel clima culturale denso di militarismo di
questi anni, si vorrebbe far credere ai più giovani e alle comunità scolastiche
tutte, che questi professionisti in divisa siano davvero liberi nei contesti
educativi, e che facciano qualcosa di diverso dal veicolare il militarismo e i
suoi valori?
Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, Napoli