Rendere obbligatori i test alternativi all’uso di animali, una petizione al Parlamento Europeo. Intervista a Massimo TerrileNella primavera del 2024 è stato dato l’avvio ad un Comitato promotore per l’ICE
‘USE NAMs NOT ANIMALS’, coinvolgendo persone dedite alla causa antispecista e
ovviamente antivivisezionista. All’ICE è stata poi preferita una petizione al
Parlamento Europeo (P.E), inviata ad aprile 2024 tramite il “Portale delle
petizioni al P.E.”, con richiesta di interessarne la Commissione Europea. La
petizione fu però accettata troppo tardi, a ottobre 2024, dopo la costituzione
del nuovo P.E. e quando la Commissione Europea era ormai sciolta. Per questi
motivi – sebbene accettata – la petizione fu archiviata e inviata solo alle
commissioni del P.E. competenti, sottraendola così alla pubblicazione sul
portale e rendendo impossibile l’accesso ai possibili ‘like’ dei cittadini
europei. Sulla base della risposta (incoraggiante) ricevuta – sebbene relativa
alle posizioni in merito delle precedenti due istituzioni – le associazioni
hanno pensato di proporne un’altra, più precisa e più documentata. Prendendo
atto che i metodi alternativi validati dalla UE e dall’OCSE non sono considerati
obbligatori nei relativi regolamenti UE, si è ora voluto evidenziare che anche
quelli validati nella UE dall’ECVAM di Ispra (centro comune europeo per la
validazione dei metodi alternativi, che peraltro costa molti soldi pubblici) non
sono inseriti nei rispettivi regolamenti UE per i test di tossicità, ma
archiviati in attesa dell’approvazione dell’OCSE (38 paesi), causando in tal
modo l’utilizzo, evitabile, di migliaia di animali non umani. Ovviamente, tutto
questo, per ragioni commerciali, dato che i prodotti testati utilizzando metodi
approvati dall’OCSE, dopo anni, possono essere venduti anche in tali paesi, e
non solo nella UE. A questo le organizzazioni promotrici hanno aggiunto la
richiesta – precedentemente limitata all’inserimento nelle etichettature dei
prodotti della dicitura ‘testato solo su animali’ – che sia indicato se le
sostanze chimiche usate siano o meno testate anche clinicamente (sugli umani),
cosa che avviene solo per i farmaci (ma non nota al pubblico) per poterne
informare i cittadini e consentire loro una maggior possibilità di scelta in
relazione alle proprie convinzioni etiche e a salvaguardia della propria salute.
Sulla nuova petizione al Parlamento Europeo intitolata TUTELA DEGLI ANIMALI,
DELLA SALUTE E DELLA LIBERTA’ DI COSCIENZA, abbiamo intervistato Massimo
Terrile, attivista, membro del Movimento Antispecista e coordinatore del
Comitato promotore della Petizione presso il Parlamento Europeo.
Da dove nasce questa proposta di petizione al Parlamento Europeo?
L’iniziativa di predisporre ed inviare la Petizione ‘TUTELA DEGLI ANIMALI, DELLA
SALUTE E DELLA LIBERTA’ DI COSCIENZA’ al Parlamento europeo il 24 maggio 2025,
tramite il Portale delle petizioni al P.E., anziché promuovere un’I.C.E.
(Iniziativa dei Cittadini Europei) destinata quindi solo alla Commissione
europea, procedimento molto più complesso, lungo e costoso (richiede almeno 1
milione di firme tra tutti i Paesi aderenti alla UE e non coinvolge direttamente
i membri del P.E.), nasce da un gruppo di cittadini italiani, costituitosi come
‘Comitato per le petizioni al Parlamento europeo’. Questo comprendente artisti,
biologi, filosofi, giuristi, giornalisti, medici, scrittori, veterinari, ecc.,
impegnati da tempo contro quella che veniva chiamata ‘vivisezione’. Questa è ora
detta ‘sperimentazione animale’ (termine introdotto dalla direttiva CE 2010/63
sulla protezione degli animali usati a scopo scientifico). Il testo della
Petizione, per ora non ancora pubblicato, in sintesi, su tale Portale, in attesa
della dichiarazione di ‘ricevibilità’ da parte della ‘commissione per le
petizioni’ del P.E. che deve verificarne i requisiti per l’ammissibilità, è
disponibile in versione integrale sul sito di alcune associazioni, quali il
Movimento Antispecista (v. Petizioni) e SOS Gaia.
Vale tuttavia soffermarsi sul termine ‘vivisezione’, che trae origini dai
crudeli esperimenti effettuati dal vivo, anche pubblici, senza anestesia,
effettuati nei secoli passati (dal ‘500 al ‘700 circa), per studiare e
dimostrare la biologia degli animali non umani. Lo studio di quella umana si
effettuava di nascosto, sui cadaveri, fino a quando è stata legalizzata; in
Italia è avvenuto nel 1961.
Dopo la suddetta direttiva, dal 2010 in poi, si sente spesso affermare che
intervenire dal vivo su un animale non umano, senza anestesia, non sia più
permesso. Questo non è vero. L’art.14 delle direttiva stabilisce infatti le
relative eccezioni, ad esempio ove l’anestesia sia ‘incompatibile con lo scopo
dell’esperimento’. Inoltre, l’Allegato VIII (VII nel Dlgs n. 26/2014), in
particolare, elenca gli esperimenti (ora detti ‘procedure’), autorizzabili
dietro giustificazione col bilancio danni/benefici (naturalmente ipotizzati dal
proponente, senza sentire il parere dei ‘diretti interessati’), che possono
causare sofferenze classificate anche come ‘gravi’. Ad esempio: gli interventi
chirurgici o biologici invasivi (es. l’induzione di tumori), l’inalazione
forzata di agenti chimici in cui la morte è il punto finale, la riproduzione di
animali con alterazioni genetiche suscettibili di generare distrofie o nevriti
croniche, l’irradiazione o chemioterapia in dose letale, l’uso di gabbie
metaboliche con limitazione grave del movimento per lungo periodo, le scosse
elettriche, l’isolamento completo di specie socievoli per lunghi periodi, lo
stress da immobilizzazione per indurre ulcere gastriche o insufficienze
cardiache, o la generazione di anticorpi monoclonali tramite la provocazione di
ascessi, il nuoto forzato o altri esercizi fino allo sfinimento, gli
xenotrapianti, la somministrazione di sostanze stupefacenti (così dette
d’abuso), ecc.
Gli esperimenti ‘in vivo’, senza anestesia, sono quindi ancora autorizzabili sia
a scopo di ricerca, sia di prove tossicologiche richieste dalle normative Ue, e
non si può dire che molti di questi non siano assimilabili a vere e proprie
torture o ‘vivisezioni’. Usiamo oggi tuttavia il termine ‘sperimentazione
animale’ (s.a.) sia per adeguarci a tale dizione della direttiva, sia in quanto
il termine ‘vivisezionista’ è stato considerato un reato (v. Corte di
Cassazione, 14694/2016), essendo inteso come un insulto, passibile di querela.
Il nuovo termine, tuttavia, è in parte corretto, almeno dal lato scientifico, in
quanto non tutti gli esperimenti oggi autorizzabili sono assimilabili a vere e
proprie ‘vivisezioni’, ma anche in quanto la nuova dizione, meno emotivamente
impattante sulla sensibilità umana, consente di non mettere sullo stesso piano
chi oggi effettua esperimenti ‘in vivo’ autorizzati, rispetto a chi, nel
passato, operava senza autorizzazione e senza alcun controllo. Benché gli
effetti possano essere simili.
A che punto si trova l’Unione Europea sul tema della vivisezione e della
sperimentazione animale? Per cosa vengono ancora usate?
Nel quadro internazionale, la Ue si trova in una posizione avanzata, dal lato
legislativo, per quanto riguarda la s.a. grazie alla suddetta direttiva
2010/63, che non trova riscontro in altre legislazioni extra europee. Questa ha
posto dei limiti (sebbene contenuti) a tale pratica, stabilendo il principio che
gli esperimenti devono essere prima approvati dalle rispettive autorità
sanitarie nazionali (leggi Ministeri della salute) in base ai parametri posti da
tale direttiva. La precedente, la 86/609 richiedeva infatti solo la
comunicazione degli esperimenti in corso, non specificamente condizionati a tali
principi. Per contro, la direttiva 2010/63 vieta agli Stati membri di adottare
una protezione ‘più estensiva’ degli animali (art. 2), ovviamente allo scopo di
livellare la concorrenza tra gli Stati membri, mentre la precedente la
auspicava. Il che ha sollevato molte critiche, non potendosi mettere sullo
stesso piano etica ed interessi economici. Infine, la direttiva demanda alla
legislazione specifica (i ‘regolamenti’ Ue) le prove da effettuarsi per la
sperimentazione così detta ‘regolatoria’, ossia quelle approvate dall’OCSE, di
cui la Ue fa parte, anche al fine di poter vendere tali prodotti nei 38 Paesi ad
essa aderenti.
Nella Ue, peraltro, esiste da tempo l’ECVAM a Ispra, quale Centro Comune di
Validazione dei Metodi Alternativi, che invia periodicamente all’OCSE, per la
ri-convalida, i nuovi metodi scoperti nella Ue, pur dovendo averne eseguito la
validazione nell’osservanza delle apposite Linee guida dell’OCSE stessa. La
Commissione europea però non li inserisce nei regolamenti fino all’approvazione
dell’OCSE, che richiede circa 2 anni, impedendo così agli Stati membri di
utilizzarli subito. Peraltro, non risulta che la legislazione Ue in materia
obblighi la C.E. a seguire tale procedura, bensì solo ‘a tener conto’ degli
aspetti internazionali al riguardo. A ciò si aggiunge il ritardo nella
pubblicazione nei regolamenti Ue di tali metodi da parte della C.E. , che
richiede altri 2 o 3 anni. Per cui un nuovo metodo alternativo viene recepito
nei regolamenti Ue anche tre o quattro anni dopo essere stato scoperto e
validato nella Ue. Inoltre, nei regolamenti Ue tali metodi non sono ancora stati
resi obbligatori, lasciando spesso allo sperimentatore la scelta del metodo ‘in
vivo’ o ‘in vitro’, se presenti entrambi per una prova specifica (detta
end-point). Almeno 1,4 milioni di animali non umani (v. rapporto ECVAM 2025)
vengono pertanto ‘sacrificati’ nella sola UE, ogni anno, per le prove
tossicologiche regolatorie, mentre moltissimi potrebbero essere salvati se la UE
consentisse l’uso dei metodi validati dall’ECVAM nel mercato interno, prima
della ri-convalida dell’OCSE.
A latere della direttiva 2010/63, esistono pertanto nella Ue diversi regolamenti
(obbligatori per i Paesi membri) per effettuare i test ‘preclinici’ sugli
animali non umani e quelli ‘clinici’ sugli umani. Negli USA, ad esempio,
esistono leggi specifiche per entrambi tali tipi di test, sotto il controllo di
due diverse istituzioni, l’FDA per farmaci e alimenti, e l’EPA per le sostanze
chimiche, ma non risulta esista una normativa assimilabile alla direttiva
2010/63 per la protezione degli animali usati a scopi scientifici che imponga
dei limiti agli esperimenti.
Le finalità per le quali tali prove (o test) possono essere effettuate, nella
Ue, riguardano sia la ricerca così detta ‘di base’ a puro scopo scientifico
investigativo, sia quella ‘traslazionale’ (prove di efficacia verso gli umani)
sia quella ‘regolatoria’ o ‘applicata’ riguardante test di tossicità previsti di
routine per nuovi farmaci e sostanze chimiche (v. regolamento REACH) costituiti
da 70 e più prove su mammiferi, pesci e molluschi.
In particolare, per i farmaci, la sperimentazione ‘preclinica’ è obbligatoria
prima di passare a sperimentarli (davvero) sugli umani nelle 4 fasi della
sperimentazione ‘clinica’ (volontari a titolo gratuito ‘rimborsati dalle spese’,
ammalati ospedalizzati e pazienti ‘consenzienti’ delle ASL, e infine, in quella
commerciale, sui pazienti, quali ‘consumatori’, dove si scopre che i test
effettuati (su centinaia di ‘volontari’) spesso non bastano a escludere gravi
effetti collaterali.
Per le sostanze chimiche, è invece obbligatoria solo la fase preclinica sugli
animali non umani (anche per gli ingredienti riguardanti i cosmetici, nonostante
quanto si dica), con gravi rischi poi per gli umani nell’utilizzo di tali
prodotti, sia per evitare stragi (anche) ecologiche all’atto della
commercializzazione, sia infine in quanto non si ha il coraggio di renderne
obbligatori i test sugli umani. Non essendo tali prodotti utili a guarire dalle
malattie, ne manca infatti la giustificazione ‘etica’, senza contare che è
molto più difficile trovare, come per i farmaci, i volontari. Molti di questi
test prevedono la morte dei soggetti, usati a centinaia di migliaia, come l’LD50
o l’LC50, nei quali la tossicità è misurata dal superamento di una determinata
soglia di animali morti (50%). Ovviamente senza possibilità di ricorrere ad
anestesia.
La ragione posta dalle autorità scientifiche della UE e dell’OCSE per i test ‘in
vivo’ è che non tutte le prove per testare tali prodotti possono essere
effettuate su parti del corpo esposte, come l’epidermide. Alcune (tossicologia
acuta, a prove ripetute, tossicità genetica e riproduttiva, farmacocinetica,
ecc.), dette ‘a livello sistemico’, richiedono infatti che il test sia
effettuato su un organismo animale integro e sano, senza interferenze con altre
sostanze (come gli analgesici), al fine di scoprire i ‘meccanismi di azione
biologica’ per i quali l’organismo reagisce a determinate sostanze, ancora
molto poco noti.
Tali informazioni non sono peraltro riportate sulle confezioni di farmaci,
prodotti alimentari o prodotti per uso domestico che contengono tali sostanze,
impedendo ai cittadini di mettere in atto le proprie scelte etiche e
salutistiche, anche quali consumatori. Una tale consapevolezza può infatti solo
provenire dal riportare sulle confezioni di tutti tali prodotti l’informazione
di come sono stati testati, sia dal lato clinico (umano) sia preclinico (non
umano), essendo il diritto alla salute e all’informazione garantito dai Trattati
dell’Unione (Trattato sul Funzionamento dell’Unione e Carta dei diritti
fondamentali).
Spesso, sul tema della sperimentazione animale, c’è chi afferma ancora che è
eticamente ammissibile a condizione che non avvengano maltrattamenti. Siamo
sicuri che è così ben delineato il confine tra “maltrattamento” e
“sperimentazione animale”? Se la sperimentazione animale implica l’uso di un
corpo animale e la sua medicalizzazione, può essere considerata diversa da una
condizione di maltrattamento? E’ veramente etico usare gli animali per fini
puramente umani?
Le gerarchie delle leggi, dal lato giuridico, sono tali per cui una ‘legge
speciale’ ha la prevalenza su una ‘legge generale’, e le ‘leggi speciali’ non
possono essere in conflitto tra loro in merito al campo di applicazione. Per
cui, direttive e regolamenti Ue, essendo normative comunitarie ‘speciali’, sono
prioritarie, anche a livello costituzionale (v. art. 117 della Costituzione: “La
potestà legislativa è esercitata dallo Stato [70 e segg.] e dalle Regioni nel
rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali”). Di conseguenza una legge
nazionale, come la 189/2004 così detta ‘sui maltrattamenti’ che istituisce il
Titolo IX bis del c. penale, non è applicabile, salvo dichiarazione esplicita,
ad altre leggi ‘speciali’ nazionali, né a quelle ‘speciali’ comunitarie (es.
caccia, macellazione, allevamenti, trasporti, sperimentazione animale, ecc.). Il
rispetto degli animali non umani, nonostante l’art. 13 del Trattato sul
Funzionamento dell’Unione (T.F.U.) che invita a tener conto degli animali quali
esseri senzienti, viene quindi ancora negato (e lo si riscontra paradossalmente
anche nelle encicliche papali, v. Papa Francesco in ‘Laudato sì …’ : la s.a. è
giustificabile se contribuisce a salvare vite umane), in funzione dell’umano,
perpetuando il mito antropocentrico della filosofia occidentale.
Perché ancora oggi la sperimentazione animale trova ancora così tanti
sostenitori tra politici e scienziati, nonostante l’avvento dei metodi
sostitutivi human-based? Cosa è che fa propendere ancora per l’uso della
sperimentazione animale piuttosto che per i metodi alternativi? E’ una questione
economica?
Da alcuni anni si stanno scoprendo sempre più nuovi approcci metodologici (detti
NAMs) che possono condurre a simulare le reazioni di organi animali umani e non
umani alle sostanze farmacologiche e chimiche, utilizzando parti di organi fatte
sviluppare da cellule staminali o da prelievi ex-vivo inseriti su ‘chips’, o
mini organi sviluppati da colture cellulari, detti ‘organoidi’. Negli USA ad
esempio è stata modificata a gennaio 2023 la legge per le prove precliniche sui
farmaci, rinominate ‘non cliniche’, ammettendo il ricorso a tali nuove
metodologie, sebbene manchino le diposizioni per caratterizzarle e validarle,
lasciato per ora alla valutazione della FDA. Ad oggi, tali metodi per sostituire
le prove ‘in vivo’ a livello ‘sistemico’ sono quindi ancora allo stadio
sperimentale.
E’ però fondamentale, per garantire il successo delle nuove metodologie,
superare un’ultima barriera. Ossia eliminare il ‘paradosso della validazione’
del metodo alternativo stesso. Oggi l’OCSE, nelle Linee guida emesse per
regolamentare la validazione dei metodi alternativi alla s.a., stabilisce che
questi, per essere convalidati (dalla stessa) e quindi applicati nelle prove
‘regolatorie’ a livello internazionale, devono essere testati ‘sugli animali’ e
dare gli stessi risultati delle prove effettuate ‘in vivo’ (o verso i test
precedenti) su altri ceppi di animali. pur non essendo vietate le prove di
confronto sugli umani, almeno in base al regolamento Ue 2014/536 sui test
clinici. In tal modo, è impedito di verificare l’oggetto stesso della ricerca:
la validità di tali metodi a fini umani. Occorre quindi, per superare tale
‘paradosso’, che i test dei nuovi metodi siano effettuati (anche) clinicamente,
sugli umani. Si dovrebbero quindi studiare metodi human-based separatamente da
quelli animal-based, orientandosi a metodi specie-specifici, così come la nuova
medicina di genere si orienta a testare e produrre farmaci per sessi diversi,
bambini, anziani, donne in gravidanza, e gruppi etnici. Per le popolazioni di
colore ad esempio è noto che alcune tipologie di farmaci non sono
interscambiabili con quelle per i bianchi. La ‘propensione’ all’uso degli
animali non umani è quindi per ora imposta dalle normative internazionali e
comunitarie causa l’assenza di metodi sostitutivi (ossia né ‘in vivo’ né ‘in
vitro’) validi per le prove a carattere sistemico. E’ quindi sia una questione
scientifica e normativa, che coinvolge anche aspetti economici.
Perché oggi la ricerca scientifica si ostina ad utilizzare maggiormente i test
su animali per farmaci umani, quando l’essere umano è completamente diverso –
per esempio – dai murini? E’ una questione economica?
La scienza ha ormai riconosciuto che le prove effettuate sugli animali non
umani, a fini umani, sono inutili, in quanto le differenze biologiche tra le due
categorie sono profonde (es. differenza di DNA, metaboliche, epigenetica, ecc.)
e l’alta variabilità dei risultati delle prove effettuate sui non umani
impedisce di considerare attendibili i risultati, rappresentando pertanto un
inutile dispiego di tempi e risorse, a parte l’aspetto etico. Per di più tali
prove non garantiscono i volontari umani dai rischi nelle prove cliniche.
Tuttavia, fino a quando le nuove metodologie non saranno ‘validate’ come sopra
descritto, e non solo per alcune prove specifiche, le attuali normative non
potranno essere modificate, salvo eccezioni. Peraltro, le prove precliniche dei
farmaci e delle sostanze chimiche servono, eccome, anche a fini veterinari. A
tali fini non è peraltro applicabile, per disposizione espressa, la direttiva
2010/63 e infatti il relativo regolamento Ue per le prove a scopo veterinario si
limita da ‘auspicare’ che vengano utilizzati i metodi alternativi.
I metodi sostitutivi human-based sono oggi certificati ed applicati in alcuni
ambiti di ricerca? Se sì, che riscontri abbiamo in termini di efficacia e
precisione?
Non mi risulta esistano metodi sostitutivi ‘human-based’ validati a fini
regolatori, salvo per alcuni specifici test (es. OCSE 458, Androgen Receptor
TransActivation Assay using the stably transfected human AR-EcoScreen cell line,
o OCSE 431, Skin corrosion). Essendo questi validati, si suppone sia stata
dimostrata la loro efficacia. Purtroppo non sono qui disponibili i risultati.
Quale esiti potrebbe avere la vostra petizione al Parlamento Europeo, qualora
dovesse avere consenso?
Nel presente, è stato ritenuto opportuno concentrarsi, per ridurre sofferenze e
morti, sia umane sia non umane, sulla necessità che i metodi alternativi già
validati (dalla UE e/o dall’OCSE) relativi alle prove in vitro o con nuovi
altri metodi senza uso di animali non umani (NAMs), siano sempre realmente
applicati, ossia siano resi ‘obbligatori’, ovvero autorizzati nella Ue, a fini
del mercato interno, ove validati solo dall’ECVAM, tenuto conto che per le prove
a livello sistemico non esistono ancora metodi alternativi. Inoltre, che siano
fortemente promosse ad ogni livello le nuove metodologie (NAMs), e che siano
riportati, nelle confezioni dei prodotti farmaceutici e chimici, i metodi con i
quali sono stati testati, sia a livello preclinico, sia clinico.
Gli scopi cui si mira con le richieste effettuate (2) sono quindi
essenzialmente:
1. Chiedere ai Membri del P.E. di impegnare la Commissione europea a proporre
le modifiche legislative per soddisfare le richieste effettuate nella
Petizione;
2. Informare i cittadini europei dei rischi per la loro salute dovuti
all’inefficacia degli attuali test regolatori sugli animali non umani per la
sicurezza di farmaci e sostanze chimiche, e del loro diritto ad essere
portati a conoscenza dei metodi di test utilizzati per la
commercializzazione di tali prodotti, onde poter esercitare il loro diritto,
anche quali consumatori, ad effettuare le proprie scelte etiche e
salutistiche.
Nota 2
1. a) Includere, nei regolamenti riguardanti le prove precliniche di tossicità
ed efficacia per farmaci ad uso umano o veterinario, prodotti biosimilari,
dispositivi sanitari, cosmetici e sostanze chimiche prodotti nella UE,
l’obbligo dell’utilizzo dei metodi alternativi in vitro o senza l’uso di
animali accettati dall’OCSE o ritenuti scientificamente validi dalla Ue.
1. b) Includere, nei regolamenti riguardanti le prove precliniche di tossicità
ed efficacia per farmaci ad uso umano o veterinario, prodotti biosimilari,
dispositivi sanitari, cosmetici e sostanze chimiche prodotti nella UE, i
metodi alternativi in vitro o senza uso di animali validati nell’Unione e
trasmessi all’OCSE per accettazione, consentendone l’utilizzo in alternativa
ai metodi in vivo ai fini della commercializzazione nell’Unione.
1. c) Promuovere fortemente ad ogni livello la ricerca di nuovi approcci
metodologici in vitro e/o senza uso di animali, mirando alla qualificazione
e standardizzazione di metodi computazionali, tecnologie ‘organo-su-chip’,
organoidi e similari basate sulla specifica specie biologica e favorire
l’utilizzo a tali fini di materiali provenienti dalla donazione di corpi
umani.
1. d) Includere, nei regolamenti riguardanti l’etichettatura dei prodotti di
cui ai punti precedenti, ove commercializzati nella Ue, l’obbligo di
riportare sulle confezioni le diciture: ‘sostanza testata su animali /non
testata su animali’ e ‘sostanza testate clinicamente / non testata
clinicamente’, per ogni componente, a seconda delle prove effettuate.
Sigle usate:
EPA: Environmental Protection Agency (USA)
FDA: U.S. Food and Drug Administration (USA)
OCSE: Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (38 Paesi)
ICH: International Council for Harmonization of Technical Requirements for
Pharmaceuticals for Human Use.
REACH: Registration, Evaluation and Authorization of Chemicals (regolamento CE
1907/2006 e successivi).
http://www.movimentoantispecista.org/petizioni/index
Lorenzo Poli