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Condanna, e denuncia, dell’aggressione alla manifestazione del 24 ottobre a Roma
Con il comunicato congiunto, i promotori riferiscono i fatti avvenuti e chiedono al Questore della città di rispondere in merito alle azioni e alle dichiarazioni degli agenti delle forze dell’ordine intervenuti. ROMA NON SI PIEGA AI DIKTAT D’ISRAELE: IL DIRITTO A MANIFESTARE NON SI REPRIME Le realtà promotrici della manifestazione condannano con forza quanto accaduto venerdì 24 ottobre a Roma. Come reti palestinesi, Global Movement to Gaza, sindacato USB, movimento per il diritto all’abitare, ARCI e tante altre realtà sociali e politiche, eravamo in piazza per manifestare pacificamente in solidarietà con il popolo palestinese, come facciamo da due anni in tutta Italia. Già al nostro arrivo abbiamo assistito a un dispiegamento di forze dell’ordine senza precedenti: blindati, reparti antisommossa, idranti, droni e perfino fari di ricerca, cosa mai vista nemmeno nelle più grandi manifestazioni nazionali. Una presenza sproporzionata che lasciava intuire fin da subito la volontà di impedire qualsiasi forma di espressione libera. Era stata autorizzata una manifestazione statica a Piazza Verdi, con la possibilità di concordare successivamente un percorso di corteo verso la Festa del Cinema e l’Ambasciata israeliana. Ma fin dall’inizio la questura ha negato ogni possibilità di movimento, precludendo di fatto il diritto costituzionale a manifestare. Quando i manifestanti — tra cui famiglie, donne, bambini e anziani — hanno iniziato ad avvicinarsi pacificamente, la polizia ha risposto con cariche improvvise e indiscriminate. I partecipanti sono stati poi trattenuti per oltre due ore in via Monteverdi, bloccati senza poter andare né avanti né indietro. Ogni tentativo di dialogo è stato respinto, e la sola “condizione” imposta per muoversi è stata quella di abbassare le bandiere palestinesi e delle organizzazioni presenti: un atto grave, simbolicamente e politicamente. I manifestanti sono stati rilasciati solo dopo ulteriori e violenti getti d’idranti, a testimonianza di una gestione che ha scelto deliberatamente la provocazione e la forza. Le immagini e i video diffusi in rete lo dimostrano chiaramente: non c’è stata alcuna azione violenta da parte dei manifestanti, solo un uso gratuito e sproporzionato della forza da parte dello Stato. Quanto accaduto è il segno evidente di una volontà politica: il governo sta cercando di svuotare la grande mobilitazione che in questi mesi si è creata intorno alla Palestina, usando la paura e la repressione per intimidire chi scende in piazza. Si tenta di far passare l’idea che con un “piano di pace” tutto sia finito, mentre il massacro e l’occupazione a Gaza continuano ogni giorno. La verità è che il governo italiano, sempre più allineato agli interessi dell’ambasciata israeliana, sta seguendo un copione già visto in altre città come Milano, Torino, Bologna e Napoli, dove la gestione dell’ordine pubblico è diventata uno strumento di intimidazione politica. L’Italia sta accettando una deriva pericolosa, in cui la repressione diventa un laboratorio per limitare il diritto di dissenso. Non accetteremo mai che in una democrazia vengano vietate manifestazioni pacifiche o criminalizzati simboli di solidarietà con un popolo sotto assedio. Il diritto a manifestare non si reprime con gli idranti e i manganelli: si difende con il rispetto dei diritti, con il dialogo e con la libertà di espressione. Non possono esserci restrizioni autoritarie e antidemocratiche al diritto di manifestare. CONGIUNTAMENTE, VALUTANDO LE PROSSIME FUTURE AZIONI, CHIEDIAMO OGGI CHE IL QUESTORE DI ROMA SI ASSUMA LA RESPONSABILITÀ DELLA GESTIONE DELLA PIAZZA DEL 24 OTTOBRE E DELLE DICHIARAZIONI EMANATE IN PIAZZA DAI RESPONSABILI DELLE FORZE DELL’ORDINE, COLPEVOLI DI UNA PROVOCAZIONE GRAVE CONTRO UN MOVIMENTO CHE SI BATTE PER LA GIUSTIZIA, E CHE SI È VISTO INFINE REPRIMERE ESPLICITAMENTE ED IMPLICITAMENTE IL DIRITTO ALLA MANIFESTAZIONE PACIFICA DI DISSENSO.   Non ci fermeranno. Continueremo a manifestare, a bloccare e a mobilitarci finché continuerà l’occupazione e la violenza contro il popolo palestinese. Nessuna intimidazione e provocazione è accettabile per distogliere l’attenzione dal genocidio, dall’occupazione illegale a Gaza e dalle relative e palesi complicità del Governo italiano. Con la Palestina nel cuore, * Movimento Studenti Palestinesi * Global Movement to Gaza * USB – Unione Sindacale di Base * ARCI Roma * Movimento per il Diritto all’Abitare * Potere al Popolo Redazione Italia
Maya Issa al Gay Pride. “La solidarietà non è vera se non è anche contro l’oppressione del popolo palestinese”
Riportiamo il discorso dell’attivista italo-palestinese Maya Issa ieri al Gay Pride di Roma. Mi chiamo Maya Issa e sono una studentessa italo-palestinese. I miei genitori sono profughi palestinesi, ma io sono nata in Italia e non sono mai potuta entrare nella terra della mia famiglia, la Palestrina, alla cui storia e cultura sono legata; per questo da anni sono un’attivista della causa del mio popolo oppresso. Non ho mai potuto entrare in Palestina perché fino a diciotto anni avevo un passaporto da profuga palestinese rilasciato dal Libano e a noi profughi è vietato a causa dell’occupazione israeliana l’ingresso nella nostra terra; è negato infatti il diritto al ritorno dei profughi palestinesi. Essendo nata in Italia a diciotto anni ho chiesto e ottenuto la cittadinanza italiana, ma poco cambia perché, a causa del mio cognome, capirebbero che sono palestinese e soprattutto a causa del mio attivismo, molto probabilmente mi respingerebbero senza neppure farmi uscire dall’aeroporto. Mi considero italo-palestinese, anche se non é mai stato facile portare avanti queste due identità. Fin da bambina, alle elementari, venivo derisa e isolata. Ero “l’araba”, quella con i tratti diversi, il nome difficile da pronunciare. Sono stata vittima di bullismo e di razzismo. Al liceo era anche peggio. Mi dicevano: “Tu non esisti. La Palestina non esiste sulla cartina”. Parole taglienti, che non volevano solo ferire: volevano cancellarmi. Cancellare la mia storia, la mia famiglia, la mia esistenza. Ma io non mi sono vergognata. Mai… Quelle parole e quegli sguardi ostili mi hanno dato forza.  Mi hanno spinta a cercare, a capire, a domandare. A conoscere la terra dei miei genitori, le radici dei miei nonni, la causa del mio popolo. Nonostante tutto, nonostante il razzismo, nonostante il silenzio assordante e la complicità dei governi italiani di fronte al genocidio del mio popolo, io continuo a sentirmi, nel profondo, fieramente italiana e fieramente palestinese. Sono nata qui, ho respirato l’aria di questo Paese sin dal primo giorno. Ho studiato qui, ho vissuto qui, ho costruito la mia vita qui. Ho potuto avere quei diritti che ai miei cugini, nati nei campi profughi in Libano, sono ancora negati. Io sono entrambe le mie identità. E nessuno potrà cancellarle. Due anni fa, durante una manifestazione di “Non una di meno”, sono stata aggredita da una donna sionista che ha tentato di strapparmi la bandiera palestinese e poi mi ha insultato. Al Pride siamo presenti come Movimento Studenti Palestinesi. Siamo lì per contestare la presenza dei sionisti, per dire chiaramente che non permettiamo che si ripuliscano la loro immagine strumentalizzando le nostre lotte. La nostra identità, le nostre battaglie non sono terreno da usare per la loro propaganda. La solidarietà non è vera se non è anche contro l’oppressione del popolo palestinese. Israele non è una democrazia. Non lo è mai stata. Una democrazia si riconosce da come tratta le sue minoranze, da come garantisce diritti, dignità e giustizia. Israele invece, da decenni nega tutto questo al popolo palestinese. Ha costruito un sistema di apartheid, di segregazione, di violenza. Ha trasformato Gaza in una prigione a cielo aperto. Ha occupato la Cisgiordania con checkpoint, incursioni militari e umiliazioni quotidiane. Oggi parliamo di 70.000 palestinesi assassinati. Settantamila martiri, tra cui migliaia di bambini. Settantamila persone massacrate mentre il mondo finge di non vedere. Questo è genocidio. E in mezzo a questo orrore, Israele si presenta al mondo come uno Stato “progressista”, “moderno”, “inclusivo”, sbandierando il fatto che le persone LGBTQIA+ avrebbero diritti, che a Tel Aviv si fa il Pride, che c’è “libertà”. Questo è Pinkwashing,  una strategia di propaganda che Israele – come altri Stati – usa per la propria immagine, strumentalizzando i diritti LGBTQIA+ per distrarre, per coprire, per giustificare l’occupazione e il genocidio in corso. Ma noi non ci caschiamo. Non possiamo accettare che le nostre lotte vengano usate per legittimare crimini contro l’umanità. Non c’è nessun “diritto”” da celebrare se, a pochi chilometri dal Pride di Tel Aviv, bambini vengono massacrati e famiglie intere rase al suolo. Non c’è orgoglio sotto le bombe. Non si può parlare il linguaggio del Pinkwashing durante un genocidio. E dobbiamo dirlo forte anche qui, nelle nostre piazze, nei nostri Pride: è vergognoso che Starbucks sia sponsor di questo Pride. Una multinazionale che reprime chi esprime solidarietà alla Palestina, che licenzia lavoratorə per aver preso posizione, che si schiera con chi bombarda e poi si presenta come società “inclusiva”. Noi non vogliamo alleati così. I nostri Pride non sono vetrine per aziende complici. I nostri corpi non sono strumenti di marketing. Le nostre lotte non si vendono. Ed è proprio qui che vogliamo ribadirlo con forza: le nostre lotte sono intersezionali. Lottare contro l’omolesbobitrasfobia vuole dire anche lottare contro il razzismo, il colonialismo, il genocidio. Essere queer e antifascista vuol dire anche essere antisionista. Le nostre oppressioni sono collegate e così devono esserlo le nostre resistenze. Non esiste liberazione queer se c’è l’apartheid. Non esiste giustizia sociale se si ignorano i corpi palestinesi massacrati. Non c’è libertà per nessuno finché c’è occupazione. Redazione Roma