Ernesto Franco / Spiccioli di vita
Nico Orengo raccontava negli Spiccioli di Montale come il Mediterraneo, prima
del distopico ma realissimo presente, avesse i suoi eroi, le sue farfalle, i
legnetti per chi volesse fare gli acquarelli – uscivano dalle scatole Winsor &
Newton come figli delle giostre per diventare nipotini della Torre Saracena. A
nord della Corsica c’è la frontiera, e chi vuole può prendersi un po’ di riposo
alla Mortola dove i giardini Hanbury ricordano ancora le infanzie.
È nel bel mezzo di panorami mnemonici che viaggia lo sguardo di Ernesto Franco
in Sono stato, dove la moltitudine del proprio io dispiega le ali, in
quest’ultimo viaggio dove c’è Genova “scintillante”, il cui mare accoglie – ha
sempre accolto – lo scrittore dentro la sua barchetta dalla vela-bandiera
genovese: come nell’evocativo disegno di Lorenzo Mattotti che adorna la
copertina di Sono stato. Franco non ha paura dei flutti, né di Proust quando
spesso fa capolino fra un suono di cicale e una tenera solitudine. Franco è,
senza dubbio, tutti i personaggi che si ricombinano nelle pagine come fossero –
e sono – particelle dell’universo intero. Né ricordi né “spiccioli”
autobiografici, ma frammenti di vita vera: tanto che l’autore può dire in
principio: «Sono stato, per un minuto, un’ora, un giorno, un anno uno di questi
personaggi».
Però poco Montale, e molto Caproni. Poiché dalla collina di Castelletto è più
facile scendere giù in Piazza Alimonda, alle spalle di Piazzale Kennedy fra
cariche di polizia, un ragazzo morto, e – risalendo verso nord – le torture alla
caserma di Bolzaneto. Franco, come molti altri, è stato uno di quelli che in
pieno G8 nel 2001 è rimasto ipnotizzato davanti ai container lungo le vie. La
domanda a quel punto arriva puntuta: «Come se lo sono potuti permettere?»
Sono parecchi i segni che l’uomo del ’56 offre al nostro sguardo coetaneo, dai
travestimenti salgariani in piena infanzia, fatti di carta (ma guarda la
coincidenza), al Natale del ’77 dove il dono più acclamato è una “pietra” fatta
di hashish da cui viene confezionato un cannone di gran successo soprattutto
presso i nonni. Dal velista che combatte le onde montanti di libeccio che
affondarono la London Valour contro la diga foranea, al ragazzino
“specializzato” nel gioco del dottore quando di fronte a lui si piazzano glutei
trionfanti offerti all’inevitabile iniezione. E i primi amori… e le decine di
fascicoli impilati per comporre enciclopedie… gli odori indimenticabili della
carta e della colla… cowboy e 007… la magia della Rollei e della Vespa 50 cc. E
sempre Genova, ottobre 1970, al centro del fango. Il ragazzo degli anni Settanta
ha la propria colonna sonora nel risorgente Montale, in Pasolini e nel Che, in
Martin Luther, John, Bob, Moro… il mondo in discussione partendo da Moby-Dick:
capitano, marinaio, ma soprattutto figlio di un padre che lo educava (come il
mio) dentro la “stanza degli attrezzi”.
Il poeta Ernesto Franco
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