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Mille morti in dieci mesi e soprusi quotidiani. Ecco come i palestinesi (soprav)vivono in Cisgiordania
Le colonie nascono come funghi in Cisgiordania, autenticamente dalla sera alla mattina: ti alzi e trovi a 50 metri dal villaggio un avamposto, a volte solo una bandiera, ma il giorno dopo arriva una roulotte, poi spunta un prefabbricato e i pastori palestinesi si ritrovano sotto assedio, in balia dei soprusi quotidiani di coloni e ‘forze dell’ordine’. È esasperata Elena Castellani, volontaria di Assopace Palestina, reduce da quasi tre settimane trascorse in agosto a Masafer Yatta, il villaggio palestinese reso famoso dal documentario premio Oscar “No other land”. Ecco la sua testimonianza, seguita da quella di Sara Emara, attivista italo-egiziana di Amnesty International. Qual è la situazione che hai trovato il mese scorso? Era la terza volta in un anno che andavo a fare ‘interposizione’ per difendere la popolazione palestinese e denunciare gli abusi quotidiani che è costretta a subire. Rispetto all’estate scorsa e a dicembre la situazione già drammatica è ulteriormente peggiorata. L’avvento alla Casa Bianca di Donald Trump e l’appoggio incondizionato del governo estremista di Netanyahu hanno reso i coloni ancora più arroganti. Sanno di poter godere non solo di totale impunità per i loro crimini, ma anche della complicità di tutte le ‘forze di sicurezza’”. Com’è amministrata la Cisgiordania? La Cisgiordania è divisa in tre zone, A, B e C. La prima è (almeno in teoria) governata dai palestinesi sotto l’aspetto amministrativo e militare e copre circa il 18% del territorio, la B (22%) solo per le questioni civili, la Zona C invece è alla mercé degli israeliani, che gestiscono il potere in modo totalmente arbitrario. Con il pretesto di aperture o ampliamenti di zone militari rubano impunemente la terra e il bestiame ai pastori, uccidono le loro galline, avvelenano le capre. Fanno incursioni notturne nelle case, le devastano, bastonano gli anziani, picchiano i ragazzi. Cingendo d’assedio i villaggi impediscono alle famiglie di guadagnarsi da vivere con la pastorizia. Chiudono i pozzi con il cemento, li avvelenano o più spesso deviano il flusso verso le piscine delle colonie illegali. I palestinesi sono quindi costretti ad andare a comprare l’acqua a caro prezzo nella Zona A, e non è sufficiente per irrigare i campi e abbeverare gli animali. Un altro sistema molto usato è la demolizione delle case e delle scuole. I palestinesi di notte le ricostruiscono, ma pochi giorni dopo vengono di nuovo distrutte, magari con dentro gli animali o le loro povere cose. Per costruire o riscostruire serve un permesso che le autorità non concedono mai. Molte famiglie si riducono a vivere dentro le grotte, dove i bambini e gli anziani si ammalano e non c’è neanche la possibilità di farli curare. Nei giorni scorsi all’ingresso del villaggio di At Tuwani in una notte l’esercito ha installato un cancello giallo, trasformato subito in check point: i soldati possono decidere ‘a sentimento’ se e quando far tornare a casa i palestinesi. I palestinesi possono rivolgersi a qualcuno per rivendicare i propri diritti? No. In Area C spadroneggiano i coloni appoggiati dalla polizia, dalle ‘forze di sicurezza’ e dall’esercito. Se qualche palestinese abbozza una minima reazione ai soprusi anche solo a parole si ritrova come minimo pestato e arrestato, ma non di rado viene ferito o ucciso. Secondo l’Onu negli ultimi dieci mesi circa mille palestinesi sono stati uccisi dagli israeliani in Cisgiordania. Chi poi finisce in carcere (e tra questi ci sono centinaia di bambini e adolescenti) può essere sottoposto a tortura fino alla morte e restarci per anni senza poter vedere un avvocato grazie alla ‘detenzione amministrativa’ prevista dalla legge marziale che vige (solo per i palestinesi) in tutti i territori occupati. Qual è l’obiettivo dei coloni israeliani? Vogliono rendere impossibile la vita ai palestinesi per costringerli ad andarsene. E per quanto si tratti di un popolo molto resiliente, spesso riescono nel loro intento. In agosto ho dovuto con tristezza constatare che una comunità che avevo aiutato l’anno scorso aveva ceduto e abbandonato il suo terreno dopo quotidiane incursioni e aggressioni di otto sgherri armati e mascherati: devastavano le case, spruzzavano spray urticante, hanno pestato due ragazzini. Come si può vivere nel terrore? Il problema è che non esistono posti sicuri per i palestinesi, ora più che mai con l’invasione della Striscia di Gaza e il genocidio in corso. Qual è l’attività dei volontari e quali rischi corrono? Il nostro intento è quello di proteggere le famiglie palestinesi, contando sul fatto che la presenza di persone straniere possa fare da deterrente alle incursioni e prepotenze dei coloni. Facciamo turni di guardia la notte per dare l’allarme in caso di bisogno e di giorno accompagniamo quando possibile i pastori al pascolo e i bambini a scuola. Ma siamo ovviamente disarmati e di fronte alle angherie non possiamo far altro che protestare e documentare ciò che accade. Anche noi siamo passibili di arresto, possiamo essere tenuti in cella 24 ore e poi caricati su un aereo diretto a un qualsiasi aeroporto. In passato, alcuni volontari sono stati anche uccisi. È successo un anno fa a Aysenur Ezgi Eygi, 26enne statunitense di origine turca e attivista dell’International solidarity movement, e ancor prima a Tom Hurndall, colpito da un cecchino mentre nella Rafah del 2003, al centro di una pesante offensiva israeliana, indicava ad alcuni bambini dove cercare riparo dalla sparatoria in corso in quel momento e a  Rachel Corrie, schiacciata dai cingoli di una ruspa militare mentre chiedeva di fermare la demolizione della casa di un medico palestinese. Che cosa pensi accadrà alla Global Sumud Flotilla?  Temo saranno attaccati e imprigionati. Israele sa di avere la protezione degli Stati Uniti e di potersi permettere qualsiasi cosa. Tra i rischi che corrono i volontari che da ogni parte del mondo vanno in Cisgiordania c’è anche quello di non riuscire a entrare nei territori occupati. È successo a Sara Emara, attivista italo-egiziana di Amnesty International, che con Elena Castellani e altri tre ha tentato di passare la frontiera con la Giordania. Ho fatto l’errore di presentarmi per prima al controllo passaporti e il cognome egiziano ha destato l’attenzione. Mi hanno trattenuta per oltre sei ore e sottoposta a tre diversi interrogatori. Naturalmente mi ero preparata: la motivazione del viaggio era un pellegrinaggio in Terra Santa con qualche giorno di mare in coda. Avevo svuotato il telefono da tutto ciò che poteva essere compromettente, dai social a molti dei miei contatti. La giustificazione dello smartphone appena sostituito a causa di un furto non ha convinto i soldati, che alla fine mi hanno caricato su un autobus diretto ad Amman. In teoria avrei avuto 30 giorni per fare ricorso; se non lo presenti possono ‘bandirti’ da Israele per 5 anni, ma se lo fai vai incontro a un processo lungo e costoso con altissime probabilità di perdere ed essere condannata per ingresso illegale. Ho dovuto rassegnarmi a tornare in Italia, ma il mio impegno non verrà certo meno. Foto di Elena Castellani Claudia Cangemi
Vicofaro, lettera dei volontari al vescovo di Pistoia Fausto Tardelli
Vicofaro è un sistema che infastidisce le istituzioni e la gente “perbene” perché costringe a guardare. Dopo una comunicazione piccata della curia di Pistoia sulla vicenda dello sgombero di Vicofaro i volontari che per anni hanno lottato con Don Massimo Biancalani e contribuito a fare accoglienza vera, quella fatta di cura e umanità, rispondono al vescovo Fausto Tardelli con questa bellissima lettera…. Vicofaro, 27 Luglio 2025 Egregio Vescovo Tardelli, abbiamo letto la risposta inviata dalla Sua cancelleria alle numerose persone ed associazioni che le avevano scritto riguardo a quanto successo a Vicofaro. Pensiamo che Lei condivida quanto scritto nella mail non firmata, ma ci permetta alcune considerazioni che, per chiarezza, elencheremo per punti: Da molti anni conosciamo e cerchiamo di aiutare il lavoro portato avanti da don Massimo Biancalani. Molte volte ci siamo recati nei locali della parrocchia e conosciamo bene le difficoltà che quotidianamente don Massimo e i ragazzi ospiti dovevano affrontare.  Sappiamo bene anche quante volte da Vicofaro siano giunte richieste di aiuto alla pubblica amministrazione e al mondo ecclesiastico. Appelli, come anche il Suo di pochi mesi fa, rimasti come Lei sa bene, senza risposta.  Come poteva e sapeva fare, don Massimo ha risposto all’invito di Papa Francesco di aprire le Chiese ai poveri e ai migranti. E non è stata solo accoglienza, ma anche un percorso di integrazione che ha permesso a tanti ragazzi di trovare un’occupazione e di tornare la sera in un posto dove si sentivano accolti. Aver avuto più “Vicofaro” sul territorio, avrebbe permesso di non arrivare a numeri consistenti di ragazzi ospitati, con i problemi che ne conseguivano. Ci permetta una domanda: se la situazione di sicurezza e igieniche presentavano carenze gravi, si doveva aspettare l’ordinanza del sindaco per trovare una sistemazione ai ragazzi? Non si sarebbe potuto trovare prima quelle soluzioni che in così breve tempo sono state messe in campo? Non possiamo credere che Lei non abbia mai constatato le difficoltà presenti e così evidenti a chiunque si fosse recato a Vicofaro. Perché chiudere Vicofaro? Imbullettarla? Poteva rimanere un presidio, magari per i più fragili? Perché togliere la rappresentanza legale a don Massimo? A quale scopo? Perché non si sono mai ricordate le centinaia di persone salvate da Vicofaro? Mai una parola è stata spesa per ringraziare il sacrificio fatto da tanti volontari che hanno speso tempo e risorse per i ragazzi! Non ritiene che l’irruzione della polizia in tenuta antisommossa sia stata dettata da un mero calcolo di convenienza elettorale, di cui anche Lei – non sappiamo quanto consapevolmente – si è reso responsabile?  I sei ragazzi rimasti in canonica dopo il trasferimento della grande maggioranza dei presenti e che presentavano notevoli fragilità, anziché essere prelevati con la forza avevano necessità di un aiuto invece che di un’azione di polizia. Il modo con cui Lei ha trattato don Massimo noi lo viviamo come una punizione ingiustificata che colpisce una persona che in dieci anni ha messo tutto se stesso per stare dalla parte dei più deboli. Non riusciamo ad accettare la Sua affermazione “Farci vivere i poveri, dicendo che visto che son poveri, è meglio di niente, questo si, è tradire il Vangelo”.  Noi crediamo che lasciare persone in difficoltà senza un tetto, senza cibo, senza alcuna tutela legale e sanitaria, senza un aiuto per imparare la lingua italiana (tutti servizi che a Vicofaro erano garantiti da don Massimo e dai volontari) e – non ultimo – senza sentirsi rifiutati, ma accettati ed amati, sia rispondere oltre che al Vangelo anche a un minimo di umanità. Nessuno può negare che l’attuale situazione di accoglienza dei ragazzi sia decisamente migliore rispetto a quella che per lunghi anni hanno vissuto a Vicofaro e di questo non possiamo che compiacercene, ma Lei è sicuro che la nuova accoglienza sia stata rivolta a tutti i ragazzi, anche a quelli che leggi  come le attuali hanno riportato in una situazione di invisibilità? E’ stato tenuto conto delle possibilità di integrazione nel mondo del lavoro e della possibilità di mezzi per raggiungere il luogo dove diversi di loro sono occupati? E quanti dei 140 mancano all’appello, finiti per strada o rinchiusi nei CPR? Che ne sarà di quei ragazzi che, finiti in carcere per piccoli reati commessi per cercare mezzi di sopravvivenza e che, finita di scontare la pena, non sapranno più a chi rivolgersi per tentare di ricostruire una nuova vita? Resteranno fuori dalla porta del carcere per essere di nuovo riassorbiti nel mondo della criminalità? Non crede che aver escluso don Massimo da qualsiasi ruolo nel rapporto con i ragazzi, rinunciando alla sua conoscenza delle persone ospitate e al carisma che gli deriva da anni di sacrificio ed impegno sia la dimostrazione di voler affossare e rinnegare quanto è stato fatto in questi anni a Vicofaro? Sappiamo anche che il progetto di ristrutturazione è presso il Comune. Che tempi ci sono per le autorizzazioni e per l’inizio dei lavori? E non le sembra strano che don Massimo, i parrocchiani e altri cittadini che sono vicini all’esperienza di Vicofaro non possono vedere tale progetto e sapere quando inizierà? Per quel che ci riguarda, continueremo a seguire e ad aiutare e sorveglieremo la gestione dei migranti e la loro sorte. Speriamo vivamente che, come da Lei più volte affermato, l’esperienza di accoglienza di Vicofaro possa continuare e che non si perda questa testimonianza di umanità di cui abbiamo sempre più bisogno. I volontari di Vicofaro Come associazione Mesa Popular siamo stati più volte a Vicofaro per portare aiuti concreti e solidarietà a Don Massimo, ai volontari e ai ragazzi ospiti e continueremo a seguire e sostenere questo progetto di accoglienza, per ora schiacciato dalla forza di chi non riesce a vedere più la bellezza di azioni umane, ma vive solo di odio e pregiudizio. Redazione Italia
Tre volontari della Freedom Flotilla ancora in carcere. Adalah chiede che vengano liberati e possano partire dalla Giordania
La Freedom Flotilla Coalition denuncia su X la situazione degli ultimi tre volontari rimasti in Israele. Con l’attacco di Israele all’Iran, gli aeroporti sono stati chiusi e i tre membri della Madleen rimasti, i francesi Pascal Maurieras e Yanis Mhamdi e l’olandese Marco van Rennes potrebbero rimanere per oltre un mese nella prigione di Givon. Si tratta di una detenzione illegale, che fa parte delle continue violazioni del diritto internazionale compiute da Israele. Sono detenuti in condizioni disumane, con una sola ora di luce al giorno e gravi infezioni cutanee dovute a infestazioni di cimici nei letti.  Non sono prigionieri, ma ostaggi. Tutti e tre dovevano essere rilasciati e tornare dalle loro famiglie il 13 giugno. I governi francese e olandese devono trovare percorsi alternativi per riportare a casa i loro cittadini. L’organizzazione per i diritti umani Adalah chiede il loro rilascio immediato e la partenza attraverso la Giordania, dato che i voli da Amman sono ripresi oggi.     Redazione Italia