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Una colata di cemento su Catania (e dintorni): un milione di metri cubi saranno riversati in mare
«Non si possono creare nuovi posti di aggregazione aperti e belli senza usare il cemento». Sono le parole con cui il presidente dell’Autorità di Sistema Portuale della Sicilia orientale, intervistato da un quotidiano locale, difende le sue scelte dalle critiche che da ogni parte arrivano alla sua proposta di Piano Regolatore Portuale (PRP) di Catania. In effetti, il nuovo PRP che è in attesa dei pareri di legge è un’ode al cemento. Cemento sia a mare che a terra. Più di un milione di metri cubi di cemento e pietrisco di cava saranno riversati in mare per realizzare due nuove darsene: una turistica a nord-est e una commerciale a sud, entrambe producendo gravi danni ambientali. La nuova darsena turistica provocherebbe la cementificazione di un tratto di scogliera lavica datata a 5.400 anni fa con alcune grotte semisommerse, pressoché incontaminata, e la desertificazione di un tratto di mare in cui è stata rilevata la presenza di un habitat a coralligeno in buono stato di salute protetto dalle normative europee. Ma il boccone è appetitoso e i pretendenti sono due: anche una società privata tenta, dal 2003, di ottenere in concessione la stessa parte di demanio per un porto turistico con annesso albergo da 170 camere. Per la stessa darsena turistica l’Autorità portuale prevede un costo di 230 mln € per ospitare 12 mega-yacht, oltre a un albergo. Sembra che questa espansione sia l’unica previsione del PRP che suscita interesse, sia nel pubblico che nel privato. Nella successione per fasi temporali indicata dal PRP la nuova darsena turistica è da realizzare nella prima fase. Insomma, subito. Ma c’è qualcosa che non quadra. La stessa Autorità di sistema portuale che propone il PRP ha da poco affidato in concessione per 25 anni un tratto di banchine portuali di 35.000 metri quadri, che nel PRP è previsto debba essere destinato al diporto nautico, a una società che gestisce un traffico commerciale. Per i prossimi 25 anni la ripartizione delle funzioni portuali prevista dal PRP non è realizzabile. L’Autorità di sistema portuale è la prima a non credere nella sua pianificazione che, evidentemente, serve solo a pianificare ampliamenti e cementificazioni. Ma non c’è solo cemento a mare. Anche il cemento a terra è previsto in quantità da capogiro. Nell’ambito portuale il PRP prevede la possibilità di realizzare nuovi edifici per complessivi 3.700.000 metri cubi con destinazioni varie, fra cui anche gli alberghi. Una quantità di edifici che, se tradotta in termini di volumetrie residenziali, equivale a una cittadina di 37.000 abitanti. Naturalmente, per giustificare le espansioni sconsiderate occorrono consistenti previsioni di crescita dei traffici portuali, sia passeggeri che commerciali. Ma quelle si costruiscono facilmente. Ecco che importanti società di consulenza approntano studi specialistici secondo cui si prevede per l’anno 2040 un traffico passeggeri di quasi tre volte il traffico attuale, e un traffico merci di più del doppio rispetto a quello registrato nel 2023. Mentre invece negli ultimi anni, dal 2017 al 2024, il traffico merci del porto di Catania è diminuito del 15%, rendendo decisamente improbabili le vertiginose previsioni di crescita ipotizzate. Insomma, sembra proprio che prima vengano decise le opere da realizzare e dopo siano valutati i fabbisogni, facendo bene attenzione a gonfiarli nella misura necessaria per giustificare le nuove opere. Proviamo adesso ad allargare lo sguardo anche su altre importanti opere infrastrutturali già avviate o programmate a Catania, cercando di individuare le linee di tendenza più generali. Ferrovia Circumetnea (FCE), una ferrovia storica a binario unico che da fine Ottocento collega la città con tutti i centri abitati ai piedi dell’Etna circumnavigando il vulcano, ha realizzato una metropolitana urbana partendo dall’interramento di una parte del suo percorso di superficie dentro la città. Recentemente ha avviato il prolungamento della linea metropolitana cittadina da Misterbianco, comune limitrofo facente parte della conurbazione catanese, fino a Paternò, con un tracciato di 12 Km di lunghezza che si svolge in buona parte in aperta campagna. Questo tracciato sostituirà, interrandola e raddoppiando il binario, la preesistente linea a binario unico interamente in superficie, già dismessa per poter avviare i lavori, che era percorsa da treni con automotrici diesel capaci di soddisfare la modesta domanda di trasporto tra Paternò e il comune capoluogo (circa 5.000 passeggeri al giorno). Questa tratta di metropolitana avrà un costo di 730 milioni di euro, una capacità di trasporto potenzialmente altissima (circa 200.000 passeggeri al giorno) e una utilità pressoché nulla perché non è prevedibile, da quella direzione, un incremento di domanda tale da giustificare l’investimento. In effetti la stessa FCE programma, su questa tratta, un servizio ferroviario extraurbano a frequenza ridotta con forte sottoutilizzazione delle potenzialità del sistema. Useremo un cannone per sparare a una mosca. Con una spesa di gran lunga inferiore si potrebbe fornire un servizio altamente efficiente ammodernando il tracciato ed eliminando i passaggi a livello. Quindi l’obiettivo dell’operazione non è fornire un servizio di trasporto efficiente: la spesa pubblica è essa stessa l’unico obiettivo che giustifica l’opera. Ancora. Ferrovie dello Stato ha in programma l’interramento della linea ferroviaria nel tratto urbano, compresa la stazione centrale, da piazza Europa alla stazione Bicocca, per una lunghezza di circa 10 Km e un costo preventivato, ma non ancora finanziato, di circa un miliardo di euro, senza neanche prevedere un collegamento diretto e dedicato con l’aerostazione distante solo 700 metri dalla linea ferroviaria. L’interramento della linea comporterà la liberazione di ampie aree in superficie in ambito urbano, di cui si dovrà individuare l’uso più opportuno. Si tratta di aree di grande pregio, situate lungo la costa lavica in pieno centro cittadino. A questo proposito è già stato siglato un accordo tra Comune e Ferrovie dello Stato per collaborare nella individuazione degli usi possibili e delle procedure necessarie. Al protocollo partecipa anche FSSU (Ferrovie dello Stato Sistemi Urbani), una società del gruppo FF.SS. che si occupa della valorizzazione immobiliare delle aree ferroviarie che si liberano in ambito urbano. È facile immaginare gli intenti speculativi che si nascondono dietro la “valorizzazione”. Questa volta l’utilità dell’opera è un corollario di importanza trascurabile a fronte dell’imperativo della valorizzazione. L’ultima parte, verso sud, dell’interramento della linea ferroviaria serve a eliminare un ostacolo (la linea ferroviaria di superficie) che in quel tratto confina con l’area dell’aeroporto e impedisce la realizzazione di una nuova pista aeroportuale più lunga dell’attuale. L’appalto è stato già assegnato per un importo di 370 milioni. L’esigenza che giustifica questa parte di interramento, con la relativa spesa, è soltanto quella della realizzazione di una nuova pista aeroportuale, affiancata a quella esistente, con una lunghezza di 3100 metri (700 metri più lunga di quella attualmente in esercizio) che si ritiene necessaria per poter gestire il traffico aereo di lungo raggio, cioè i voli intercontinentali. Il costo preventivato per la nuova pista è di circa 300 milioni. Quindi la realizzazione della nuova pista, assieme alle opere necessarie sulla linea ferroviaria, avrà un costo di circa 670 milioni. Tutto questo «per potere raggiungere mete come New York», si legge nel master plan 2030 dell’aeroporto, recentemente approvato. Ma nei giorni scorsi la compagnia aerea statunitense Delta Air Lines ha inaugurato un volo diretto Catania-New York, senza scalo, con cadenza giornaliera, che utilizza aeromobili con 211 posti. Evidentemente basta usare aerei di media capacità per gestire voli intercontinentali con la pista attuale. Quindi stiamo programmando spese che si potrebbero evitare? Tutto questo avviene, senza eccezioni, nella totale assenza di una regìa istituzionale: Comune, Città Metropolitana e Regione si guardano bene dall’ipotizzare la pur minima forma di programmazione coordinata in cui un’integrazione ragionata fra i diversi sistemi di trasporto consenta di massimizzare i benefìci ottenuti e minimizzare i costi. Le istituzioni locali si limitano a prendere atto dei programmi, spesso esagerati, delle singole aziende di trasporto fornendo la necessaria copertura amministrativa con l’approvazione di progetti e varianti urbanistiche. Le società che gestiscono sistemi di trasporto diventano così quasi istituzioni autonome, autonomi centri di spesa e quindi di potere, che non hanno elettori a cui rendere conto del loro operato. L’utilità delle opere da realizzare si perde di vista rimanendo uno sfondo sfumato ed evanescente su cui si fa risaltare, in primo piano, la facile propaganda della “crescita” e dello “sviluppo”. Gli slogan propagandistici della “città grande e moderna”, che negli anni del boom edilizio servivano a giustificare speculazioni fondiarie e consumo di suolo in grandi quantità, in un ciclo del cemento che il mercato dell’edilizia ha ormai dichiarato concluso, oggi si applicano con la stessa facilità e ipocrisia alle grandi opere infrastrutturali. I grossi appalti pubblici esauriscono quasi sempre la loro finalità nel favorire la circolazione di denaro, a cui solitamente si accompagnano consenso politico, clientelismo, consolidamento di centri di potere, mazzette, rafforzamento di poteri occulti. Il ciclo del cemento può continuare a prosperare sotto altre forme producendo ancora consumo di suolo e degrado del territorio, utilizzando denaro pubblico senza dover fare i conti con le esigenze del mercato e con i reali fabbisogni della collettività. Le istituzioni fanno a gara con i privati nell’incessante consumo della risorsa più facilmente disponibile: il territorio. Non si può fare a meno di accennare alla “madre” di tutte le speculazioni: il ponte sullo stretto di Messina. Qui la vicenda diventa surreale. Si spende denaro pubblico per un’opera che tutti sanno non potersi realizzare per mancanza di certezze sulla reale fattibilità tecnica. La Valutazione di Impatto Ambientale ha elencato 64 prescrizioni, molte delle quali concretamente impossibili da ottemperare. Insigni studiosi e illustri progettisti di ponti hanno chiarito che avviare la realizzazione del ponte sarebbe un azzardo privo degli approfondimenti tecnico-scientifici necessari per dare certezza della fattibilità. Ma governo e società Stretto di Messina, general contractor dell’opera, procedono senza incertezze. Per aggirare le normative ambientali nazionali e comunitarie che impedirebbero la realizzazione si arriva a dichiarare l’opera “strategica per la difesa europea e della Nato, fondamentale in caso di scenari di guerra”. Ma l’obiettivo non è certamente realizzare il ponte. Ci si “accontenterà” di realizzare le opere preparatorie sui due versanti di Sicilia e Calabria assicurando la possibilità di spendere ingenti quantità di denaro pubblico utili solo per chi realizza l’opera. Con i soliti “effetti collaterali”: prosecuzione del ciclo del cemento, consumo di suolo, distruzione di valori ambientali. Tutto questo mentre restano trascurate le importanti esigenze di riorganizzazione del territorio nell’interesse generale della popolazione: completamento di reti infrastrutturali, protezione dal rischio idrogeologico, minimizzazione del danno provocato dalle alluvioni, interventi di prevenzione antisismica, energie rinnovabili, infrastrutturazione “verde” delle città, edilizia sociale ecc. Purtroppo si tratta spesso di programmazioni i cui risultati si possono apprezzare soltanto in tempi lunghi, non compatibili con le esigenze della propaganda elettorale. La gestione delle emergenze viene solitamente ritenuta preferibile in quanto facilita i commissariamenti per velocizzare la spesa pubblica (“spendere presto e molto!”) e fornisce munizioni alla facile propaganda politica. Ecco che il cerchio si chiude. Redazione Sicilia
Ponte sullo Stretto di Messina: Salvini accelera, gli scienziati frenano, DIA e ANAC ammoniscono,… gli imprenditori fremono
Il 30 maggio Matteo Salvini ha radunato a Messina amministratori pubblici e imprenditori insieme ai rappresentanti di associazioni di categoria e sindacati e ad alcuni del mondo scientifico annunciando l’inizio dei lavori. Il 9 giugno il presidente dell’ANAC ha avvertito i parlamentari dei rischi, non ipotetici, che la criminalità organizzata si infiltri nella costruzione della mega-struttura e che i costi della sua realizzazione non vengano approvati All’assemblea intitolata PONTE SULLO STRETTO DI MESSINA. INCONTRO CON ASSOCIAZIONI PRODUTTIVE E SINDACATI svolta alla Prefettura di Messina e da lui indetta e presieduta nel duplice ruolo di vice-premier e di ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Matteo Salvini ha presentato il progetto per la costruzione del ponte sullo stretto di Messina ed enfaticamente dichiarato che la ‘grande opera’ potrà cominciare a venire realizzata nell’autunno prossimo, prima della fine di settembre 2025. L’annuncio ha suscitato molto entusiasmo tra gli imprenditori e qualche perplessità tra i professionisti esperti di geodinamica, geotecnica, geofisica e ingegneria strutturale e ambientale. Dopo aver esposto aspetti legati ai movimenti della crosta terrestre, sia quelli lenti, ovvero bradisismi, che quelli improvvisi, cioè sismi, o terremoti, Carlo Doglioni, presidente dell’INGV – Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia dal 2016 fino al febbraio scorso) ha evidenziato che molte di tutte le criticità del progetto originario sono state corrette con delle modifiche, ma se tali cambiamenti siano efficaci e sufficienti a garantire la sicurezza della struttura e, quindi, permetterne la costruzione, non è ancora certo. In effetti il progetto presentato da Matteo Salvini nell’occasione ha già superato un esame, quello della VIA  – Valutazione di Impatto Ambientale del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, e ora è al vaglio del CIPESS  – Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica e lo Sviluppo Sostenibile diretto dalla premier Giorgia Meloni. Sull’esito di tale valutazione – atteso per fine giugno o ai primi di luglio, e abbastanza scontato – incombe l’effetto della lettera inviata dalla CGIL alla Commissaria Europea per l’Ambiente, Jessika Roswall per informarla delle “gravi criticità tecniche, ambientali, normative e sociali connesse all’iter di approvazione del progetto relativo al Collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria, recentemente trasmesso alla Commissione mediante la relazione IROPI (Indicatori di Rilevanza di Obiettivi di Prevalente Interesse Pubblico) approvata dal Consiglio dei Ministri”. All’incontro con Salvini, il 30 maggio l’Ordine Regionale Geologi Sicilia ha ricordato che gli scienziati si erano espressi nel 2023, ai due convegni svolti uno a Reggio Calabria e uno a Messina, esaminando nei dettagli ogni questione riguardante alla realizzazione del ponte e valutando che la sua costruzione implica affrontare, pur non riuscendo a risolvere, le molteplici e complicate problematiche evidenziate dalla sismica, dall’idrogeologia e dalla geotecnica. In un’intervista a IL GIORNALE DELL’AMBIENTE il presidente dell’ordine professionale dei geologi siciliani, Paolo Mozzicato, ha dichiarato: “ci siamo tirati fuori dalla polemica ponte sì, ponte no. Gli obiettivi li fissa la politica. Su questo noi siamo stati chiari sin dall’inizio proprio per evitare strumentalizzazioni; per una questione di deontologia e di rispetto dei ruoli”. Ricordando che nel 1908 un terremoto di magnitudo 7,1-7,2 della scala Richter distrusse quasi totalmente Reggio Calabria e Messina, causando 80 mila morti, il direttore della rivista specializzata in questioni ambientali ha chiesto a Paolo Mozzicato se il ripetersi di eventi simili sia probabile e, sebbene non prevedibile riguardo al quando, valutato una possibilità molto concreta e di cui tener conto nella costruzione del ponte sullo stretto di Messina. Paolo Mozzicato ha risposto citando un’osservazione del geologo e geofisico suo predecessore alla presidenza dell’Ordine Regionale dei Geologi di Sicilia, «Mauro Corrao disse “mi preoccuperei più della sicurezza delle città che del ponte tra loro”», e testimoniando: «Sono originario di Ispica, un paese del ragusano, dove ricordiamo il terremoto del 1693 come se fosse accaduto ieri. È stato un disastro. La sua magnitudo era di 7,4-7,5 gradi della scala Richter, come il prossimo che si aspetta». Dal direttore de IL GIORNALE DELL’AMBIENTE sollecitato a esprimersi in merito all’opinione, favorevole, espressa da Mario Tozzi, un ricercatore del CNR e noto divulgatore, Paolo Mozzicato ha commentato che è una posizione “più politica che scientifica” e valutato tale intervento un parere personale “sull’opportunità politica di realizzarlo o non realizzarlo, e non sulla fattibilità dell’opera”. Che le coste dello stretto di Messina siano molto insidiose è risaputo fin dall’antichità. L’Odissea descrive le due sponde raffigurandole come Scilla “che lacera” e Cariddi “che inghiotte”, le mostruose creature “appostate a entrambi i lati dello stretto, di cui sono implacabili guardiane, Scilla in terra calabra, in corrispondenza del promontorio Scilleo, Cariddi a distanza di un dardo, in terra sicula” [STORICA – NATIONAL GEOGRAPHIC]. Le criticità ambientali che incombono sulla costruzione di un ponte tra Scilla e Cariddi, una grande opera colossale come gli edifici eretti dagli antichi romani, esperti proprio anche nella costruzione di ponti, invece sono note da tempo perché ampliamente descritte nella letteratura scientifica, spiega il geologo Alfredo Frixa, interpellato da PRESSENZA per capire quali siano i problemi affrontati dai progettisti: > Secondo i massimi esperti favorevoli al progetto le numerose e complesse > problematiche possono essere superate, probabilmente, solo da sofisticate e > accorte tecniche ingegneristiche, legate alla costruzione del ponte e > all’ancoraggio delle sue due torri ai lati dello stretto. > > Lo stretto di Messina è una valle tettonica sottomarina, in geologia detta > graben, bordata da faglie distensive importanti, create dall’allontanamento > della Sicilia dalla Calabria, tuttora in atto e in 10 anni aumentato di circa > 10 cm. > > Inoltre la zona siciliana si muove verso Nord mentre quella calabrese verso > Nord-Est e nel frattempo entrambe si sollevavo, ma in 10 anni a Scilla si è > alzata di 1,5 cm e invece a Ganzirri di 0,5 cm, quindi la costa siciliana meno > di un terzo di quella calabrese. > > E ci sono anche scorrimenti lungo faglia di 0,4-1,1 mm/anno. > > Tutti questi movimenti tettonici accumulano le tensioni e gli attriti lungo le > zone di faglia che provocano terremoti, devastanti, come in passato a Messina > e Reggio Calabria e nella valle di Noto. > > L’intensità dei venti, che spesso soffiano ‘furiosamente’ in questa zona, è un > parametro impattante su un ponte con una campata unica di 3˙300 mt, una > lunghezza molto maggiore rispetto a quella di 1˙991 mt del ponte giapponese > Akashi Kaikyo, la più lunga del mondo. > > Nello stretto di Messina confluiscono due mari, il Tirreno e lo Ionio, che > hanno salinità e quote diverse, per cui quando uno è in alta marea l’altro è > in bassa marea. > > A questi fenomeni consegue che le acque dello stretto siano particolarmente > ‘agitate’ da forti correnti e vortici. > > Dal punto di vista ambientale si ritiene che il differente livello di salinità > dei due mari e il continuo ricambio d’acqua tra loro siano le condizioni che > nell’area favoriscono la coesistenza di diversificate flore e faune marine. Il Coordinamento NO PONTE SICILIA E CALABRIA ritiene che, oltre a togliere risorse finanziarie con cui intervenire a risolvere molte problematiche, tra cui il dissesto delle reti stradale, autostradale e ferroviaria, la costruzione del ponte sullo stretto di Messina sia un “azzardo tecnico” la cui realizzazione provocherebbe un impatto devastante, e non compensabile, su “zone di interesse comunitario e su habitat e specie naturali prioritari non è compensabile” e “rappresenta più una minaccia che una opportunità per lo sviluppo sostenibile della Sicilia, della Calabria e del Meridione” [PRESSENZA – 17 marzo 2025]. Sulla messa in opera del progetto due esperti di corruzione e criminalità organizzata sono intervenuti in questi giorni: il direttore della DIA / Direzione Investigativa Antimafia di Catanzaro, Beniamino Fazio ha ammonito che questa grande opera “Attira gli appetiti di tutti i livelli della ‘ndrangheta” e il presidente dell’ANAC / Autorità Nazionale Anti-Corruzione, Giuseppe Busia all’audizione alla Camera sul Decreto Legge “Infrastrutture” (n.73 -21/5/2025), il cui articolo 1 è dedicato al ponte sullo stretto di Messina, ha avvertito che la mancanza della pianificazione esecutiva dei lavori impedisce una visione chiara della loro concreta realizzazione e dei loro costi, su cui la normativa UE non consente variazioni superiori al 50% rispetto al valore iniziale di gara, e ha ribadito la necessità di aumentare il monitoraggio dei cantieri e i controlli delle imprese in subappalto, dove più spesso si annidano le infiltrazioni mafiose [Ponte sullo Stretto, i dubbi dell’ANAC – Annalisa Cangemi, FANPAGE / 9 GIUGNO 2025]. La realizzazione del progetto invece è sostenuta con esuberanza soprattutto dagli imprenditori aggregati nella Rete civica per le infrastrutture nel Mezzogiorno, il cui presidente, Fernando Rizzo, ha definito “abnorme” il monito del presidente dell’ANAC, proclamato che il ponte porterà “benefici di gran lunga superiori ai disagi” e affermato che chi lo nega sbaglia, perché ragiona “come il soldato di Popper, il quale si accorse con meraviglia che tutto il resto del plotone marciava fuori tempo, tranne lui…”… appunto! La ‘truppa’ che, anziché al ritmo rigorosamente scandito dalle tempistiche scientifiche, procede al passo convulso delle frenesie politiche, si sta cimentando in un’impresa molto ambiziosa. Il direttore de IL GIORNALE DELL’AMBIENTE, Gianni Avvantaggiato, ne accentua la caratteristica di “sfida ingegneristica senza precedenti in Europa” evidenziando che “il sogno del collegamento stabile tra Sicilia e continente si scontra con i limiti imposti dalla natura e dalla scienza” perché è “un’opera colossale in un’area ad altissimo rischio geologico”. Proverbialmente, le catastrofiste predizioni degli ambientalisti, i prudenti avvertimenti degli scienziati e i timorosi sospetti degli investigatori si infrangono, e frantumano, sugli scogli dello stretto di Messina, mentre l’esaltante prospettiva di costruire un ponte da record affascina chi nella sua costruzione vede realizzarsi un’opportunità conveniente e chi vi ha intravvisto l’occasione di una rivincita. Infatti, l’attraente promessa dei suoi vantaggi sposta la loro attenzione e, sognando il favoloso ponte proteso tra il passato e il futuro, un’intera generazione di italiani dimentica l’incubo che nel presente tormenta la classe dirigente: il prezzo che i cittadini stanno pagando per il concreto, e davvero gigantesco, colossale e madornale fallimento della TAV Torino-Lione *.   PONTE SULLO STRETTO * VALUTAZIONI GEOLOGICHE E SFIDE SISMICHE  – Gianni Avvantaggiato, IL GIORNALE DELL’AMBIENTE / 6 GIUGNO 2025 * NIENTE APPROVAZIONE IN DEROGA – Coordinamento No Ponte Sicilia e Calabria, PRESSENZA / 17 MARZO 2025 *  TAV TORINO-LIONE * AVANTI TUTTA, ANZI NO. Il punto sui lavori e sui costi. Se ne parla da oltre trent’anni e a oggi si è scavato qualche decina di chilometri  – Cecilia Caciotto, VALORI / 20 MAGGIO 2025 * TRA RITARDI E PROCLAMI, A CHE PUNTO SIAMO DAVVERO. I lavori veri e propri non sono mai iniziati. E basterebbe ammodernare la linea esistente. Intervista all’ingegnere Alberto Poggio. – Maurizio Bongioanni, LIFEGATE / 16 MAGGIO 2024 Maddalena Brunasti