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Vent'anni di Aldro
Nelle prime ore del mattino del 25 settembre 2005 Federico Aldrovandi, giovane ragazzo ferrarese di appena 18 anni, sta tornando a casa dopo una serata passata in un locale bolognese con alcuni amici per una serata come molte altre. Purtroppo Aldro a casa non ci tornerà più perché verrà letteralmente massacrato di botte (le foto del corpo del giovane, in questo senso, lasciano ben pochi dubbi su quanto accaduto) da quattro agenti della Polizia di stato in un parco sito in viale Ippodromo nella città degli Estensi. La morte di Federico rientra a pieno titolo in quella categoria che si può riassumere con “morto per colpa dello stato” in cui l’operato delle forze dell’ordine è coperte da molte ombre. Federico Aldrovandi purtroppo non è la sola vittima di questa violenza: è lunga infatti la lista di giovani massacrati da chi, almeno sulla carta, dovrebbe proteggere i cittadini.
Una storia italiana: il campionato libico... a Milano
Chissà se sfruttando il periodo vacanziero Pulcinella, la storica maschera da carnevale napoletano, abbia colto la palla al balzo per andare a farsi un giro a Milano; perché quello che sta succedendo nel capoluogo lombardo (anzi sarebbe più opportuno parlare del suo hinterland) ha tutti i crismi per essere annoverato tra i suoi classici segreti. Ci riferiamo alle Final Six del campionato libico che si stanno disputando “in gran segreto” qui in Italia e precisamente tra Meda, Sesto San Giovanni e l’Arena Civica di Milano. Proprio quanto successo nel primo week end di Agosto allo stadio Breda di Sesto ha gettato un’ingombrante luce sull’evento sportivo meno pubblicizzato nella storia recente del nostro Paese. Ci riferiamo agli scontri tra gli ultras dell’Al-Ittihad (i Teha Boys), la squadra legata storicamente alla famiglia di Muhammad Gheddaffi e quelli dell’Al-Ahly (i Flame Boys). Le due tifoserie di Tripoli, storicamente rivali, non hanno perso occasione per sfidarsi in campo neutro con lancio di oggetti e corpo a corpo a cui ha fatto da corollario anche un’aggressione in metropolitana a danno di figure di spicco dei Flame Boys. Ma al di là del feticismo da scontri, la domanda importante è un’altra: cosa ci fa il campionato libico in Italia?
Sventolano bandiere palestinesi
Giovedì scorso, 30 maggio 2025, cadeva la ricorrenza del 600° giorno di genocidio sionista a Gaza. Nella striscia abitata dal popolo palestinese, ma anche nella zona conosciuta con il nome di Cisgiordania, i soldati dell’IDF (Israel Defense Forces) stanno mettendo  in atto una vera e propria pulizia etnica senza che nessuno faccia nulla. Da parte della politica mainstream infatti non è stata presa nessuna decisione concreta verso il governo di ultra-destra di Tel Aviv guidato da Benjamin Netanyahu. Anche le poche decisioni che provavano a mettere in dubbio i numerosi trattati, soprattutto economici e legati alla vendita di armi, che legano la maggior parte dei paesi “democratici” europei con il governo sionista, non hanno ricevuto l’appoggio del Vecchio Continente. Germania e Italia, ad esempio, non hanno firmato una semplice sollecitazione fatta dall’alto rappresentante Ue Kallas che chiedeva di “condurre una revisione del rispetto dell’articolo 2 dell’accordo di associazione con Israele”. Guarda caso si sono opposti i due stati che furono la culla del fascismo e del nazismo; ma sì sa che la storia è sempre quella! Anche le parole spese dai maggiori leader politici europei lasciano il tempo che trovano. Se poi non si passa immediatamente dalle parole ai fatti si parla semplicemente di pura e schifosa ipocrisia.
Il camerata Conor McGregor
Se tutto è politica, ricevere Conor McGregor alla Casa Bianca nel giorno di San Patrizio non può essere casuale. Molti potrebbero considerare l’ex campione irlandese della Ufc (Ultimate Fighting Championship), recentemente condannato per stupro, un impresentabile. Evidentemente non il presidente Trump che più volte ha manifestato non solo apprezzamento verso il trascorso sportivo di McGregor, ma anche vicinanza umana e stima professionale. Ormai lontano da parecchio tempo dall’ottagono McGregor ha infatti creato un piccolo impero fatto di attività immobiliari e società, dal whiskey alla birra, alle promotion di sport da combattimento. Ha dismesso i panni del combattente, scegliendo le sete pregiate degli abiti di sartoria della buona borghesia.
Denis Bergamini, 35 anni dopo: non è mai tardi per fare giustizia
Meglio tardi che mai. È proprio il caso di dirlo. Specie se il ritardo più che trentennale riguarda la morte di un ragazzo di ventisette anni. L’ultimo capitolo giudiziario sulla morte di Denis Bergamini è la prova di come sia sempre possibile riscrivere una verità processuale anche dopo anni di distanza. 35, per l’esattezza. Piú di tre decenni per giungere a un primo – ma comunque fondamentale – verdetto: Denis Bergamini è stato ucciso. La revisione di un processo archiviato (oggi è possibile affermarlo) troppo frettolosamente come suicidio non sarebbe stata possibile senza la tenacia della famiglia Bergamini. Di Donata, in primis. Una donna caparbia che ha sempre lottato per fare luce su quanto accadde a suo fratello quel maledetto 18 novembre 1989.