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Gaza Riviera: genocidio come governance. Ma arriva l’Onda – di Maresa Lippolis e Sergio Tringali
Il piano G.R.E.A.T Trust* (Gaza, Reconstitution, Economic Acceleration and Transformation Trust), diffuso dal Washington Post alla fine dell’estate 2025, non è soltanto un documento geopolitico. È il sintomo di un immaginario di governo che prende forma da tempo: un miscuglio di tecnocrazia autoritaria, privatizzazione della sovranità e ingegneria sociale. L'ideologia alla base di queste [...]
Proposta shock di Francesca Albanese per salvare Gaza a La Sapienza di Roma
“E’ vergognosa l’assenza di iniziative da parte dei governi per fermare il genocidio in Palestina.  Non dovrebbe essere la Global Sumud Flotilla a rompere l’illegale assedio israeliano di Gaza, bensì la Marina Militare italiana.” Parole forti queste, pronunciate da Francesca Albanese ieri (5 settembre) davanti a una sala stracolma della Facoltà di Scienze Politiche de La Sapienza, Roma.  L’incontro, intitolato I saperi nell’economia del genocidio, è stato organizzato dal Comitato Sapienza Palestina, dal CNR contro le guerre e dall’Assemblea precaria universitaria. La Relatrice Speciale delle Nazioni Unite per i territori palestinesi occupati ha dedicato con grande generosità oltre due ore del suo tempo a rispondere a tutte le domande degli studenti e dei docenti assiepati nell’aula Vittorio Bachelet e nei corridoi adiacenti. Un unico filo conduttore percorreva tutte le risposte di Albanese: bisogna farsi sentire per Gaza, nonostante tutti gli ostacoli che possa frapporre l’Università; bisogna boicottare gli accordi già stipulati dall’Università con Israele e rifiutare di collaborare a futuri progetti di ricerca a fini militari o dual use.  In una parola, bisogna sempre e ovunque “fare la cosa giusta”, ha insistito la giurista italiana – anche se una determinata azione potrebbe sembrare velleitaria.  “Alla fine, qualcosa cambierà.  E mentre lottiamo, i palestinesi ci vedranno e ci sentiranno vicini.” Certo, ha aggiunto poi la Relatrice speciale, i governi hanno la responsabilità primaria, la cosiddetta Responsabilità di proteggere o R2P.  Si tratta della dottrina che giustifica anche l’intervento militare di uno Stato per fermare i crimini contro l’umanità commessi da un altro Stato, in particolare il genocidio e la pulizia etnica  – da qui un ipotetico intervento della Marina italiana a Gaza.  Purtroppo, ha osservato Albanese con rammarico, Israele sta commettendo sia il genocidio che la pulizia etnica davanti ai nostri occhi, eppure gli Stati terzi rimangono inerti, limitandosi a condanne verbali senza conseguenze.  Ecco perché è sempre più importante che i cittadini reagiscano. Qualsiasi tentativo di contestazione o di boicottaggio, comunque vada, richiama i governi alle loro responsabilità. Molti degli studenti e dei docenti intervenuti all’incontro hanno fatto presente la difficoltà di mettere questi lodevoli principi in pratica.  Un ricercatore ha spiegato come, all’Università, la libertà di ricerca è soltanto teorica; nei fatti, solo i progetti di ricerca funzionali al sistema vengono lautamente finanziati.  Naturalmente, sì è sempre liberi di condurre progetti di ricerca al di fuori di quelli che interessano i professori-baroni – ma saranno sempre definanziati e inoltre condanneranno il ricercatore a non fare mai carriera nell’Università. “Tutto ciò è vero,” ha risposto Albanese. “Nell’università ci sono una frammentazione e una precarizzazione – funzionale al potere – che rendono difficili le contestazioni. Ma la sfida è quella.” Per quanto riguarda gli insegnamenti offerti dalle Università ai loro studenti, ha aggiunto Albanese, questi corsi tendono “a normalizzare e a legittimare” le narrative dominanti.  Viene subito in mente, ad esempio, il colonialismo insegnato come fenomeno del passato, mentre quello israeliano attuale raramente viene fatto oggetto di studio: eppure oggi esso viene imposto con devastante crudeltà a intere popolazioni, le quali vengono spostate con la violenza per consentire a Israele di accaparrarsi le loro terre e di estrarre guadagno a proprio beneficio e a quello dei suoi “facilitatori” (le grandi aziende, ma anche il sistema universitario). Comunque, negli atenei israeliani, ha detto la giurista italiana, la situazione è addirittura peggiore di quella riscontrata in Europa: viene insegnata una storia che cancella quasi totalmente i palestinesi e i loro diritti.  “E’ significativo”, ha aggiunto  Albanese, che nessuna università israeliana abbia mai condannato la distruzione totale, da parte dell’IDF, delle università nei territori palestinesi – tutte e undici.”  Come se non fossero mai esistite e non dovessero esistere”. Peacelink Telematica per la Pace
Francesca Albanese non è soltanto una voce che denuncia: è un’energia che travolge
Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani nei Territori palestinesi occupati, già sanzionata dall’amministrazione Trump per aver denunciato il genocidio in corso, è stata ospite di Terra!, la festa nazionale di Alleanza Verdi e Sinistra. La forza politica sostiene ufficialmente la sua candidatura al Premio Nobel per la Pace, promuovendo una petizione sul sito www.mettilafirma.it. L’occasione è stata la presentazione del libro Quando il mondo dorme. Storie, parole e ferite della Palestina, ospitata al Monk Club, spazio culturale romano aperto e inclusivo, punto di riferimento per chi vuole condividere e vivere esperienze artistiche e sociali. «Finalmente vediamo il buio che ci siamo costruiti intorno. Ci stiamo svegliando da un sonno di pietra – ha dichiarato Albanese – e ci accorgiamo che proteggiamo chi ha attaccato. Il nostro governo non è semplicemente passivo: sostiene lo stato di apartheid imposto da Israele al popolo palestinese. Non è in corso una guerra tra due eserciti, ma una continua aggressione contro la popolazione civile. Il paradigma dell’autodifesa israeliana nei territori occupati non è più credibile». Albanese ha sottolineato come l’Europa resti uno dei principali partner commerciali di Israele, con l’Italia tra i Paesi più attivi nel sostenere questa strategia. «Anche il mancato riconoscimento dello Stato di Palestina è una scelta politica» ha aggiunto, ricordando che i palestinesi vengono etichettati come terroristi così come accadde a Nelson Mandela, rimasto in quella lista negli Stati Uniti fino al 2000. «Eppure – ha precisato – i palestinesi hanno diritto a difendersi e lo hanno fatto prevalentemente in modo nonviolento». Un aspetto, questo, che raramente trova spazio nei media internazionali, perché la nonviolenza non “fa notizia” quanto un attentato. Ad ogni modo la consapevolezza delle persone cresce, e con essa il desiderio di sapere. In questo scenario, Francesca Albanese ha espresso l’auspicio, che può suonare anche come una sfida alla società civile: dare un seguito al suo libro, che potrebbe intitolarsi Quando il mondo si sveglia. Il tema centrale resta uno: come fermare il genocidio, ovvero la distruzione del popolo palestinese in quanto tale, accompagnato da esecuzioni sommarie e sfollamenti forzati. «Il sacrificio è la risposta all’impotenza. Dobbiamo rinunciare a un po’ del nostro comfort per non sacrificare un popolo» ha ribadito, invitando a riflettere su quanto la terra rappresenti per un popolo indigeno: non solo un luogo da abitare, ma parte stessa della propria identità, parte di sé. Le azioni concrete passano per il boicottaggio: «Rifiutiamo i prodotti “made in Israel”, le banche armate e i partenariati di ricerca dual-use. Facciamo scelte etiche: è un gesto d’amore verso noi stessi e verso il popolo palestinese». Un segnale incoraggiante è arrivato a luglio, quando 30 nazioni si sono riunite a Bogotá – tra cui Cina, Spagna e Qatar – per discutere misure concrete contro il genocidio e per la fine dell’occupazione israeliana. «L’Italia purtroppo era assente» ha sottolineato Albanese. Secondo la relatrice ONU, serve una mobilitazione dal basso per costruire una reale opzione pacifista. La Palestina oggi è «uno specchio che rivela l’abominio degli ultimi vent’anni, una lotta non solo per i confini, ma soprattutto per le risorse, frutto di un sistema che produce mostri ben oltre i confini del Medio Oriente. Non possiamo accettare di ridurci a meri consumatori, complici passivi di questa realtà» ha concluso, rilanciando la partecipazione a iniziative pacifiste e nonviolente come la marcia per la pace Perugia-Assisi del 12 ottobre, alla quale sarà presente. «Il pacifismo è decostruzione del patriarcato, è preservare il pianeta che abitiamo. Unione dei popoli, unione delle lotte!». L’evento si è chiuso con un omaggio alla Global Sumud Flotilla e un collegamento con la flotta, seguito dal tradizionale firma-copie del libro. Ci vuole coraggio per dire ciò che altri tacciono, per denunciare complicità scomode e per sfidare governi e istituzioni. In un panorama politico e mediatico dominato troppo spesso dalla prudenza calcolata, la figura di Francesca Albanese si staglia come quella di una donna capace di unire fermezza e passione, portando avanti una battaglia che non appartiene solo alla Palestina, ma all’umanità intera. Una donna con la convinzione che la verità, anche quando scomoda, sia l’unico strumento di cambiamento. Foto di Francesca De Vito Redazione Roma
Oggi in onda sulle reti RAI e da ieri online sul canale di L’Espresso
In tutti i telegiornali del network nazionale di venerdì 5 settembre 2025  viene trasmesso il videocomunicato che mostra la solidarietà di USIGRai / Unione Sindacale dei Giornalisti RAI con RSF / Reporters Sans Frontières. Nel repertorio di video e nelle pagine online del periodico in stampa dal 1955 è pubblicata una testimonianza di Francesca Albanese. Nel maggio 2022 nominata dall’ONU Relatrice Speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967, un incarico triennale recentemente rinnovato confermando l’approvazione al suo operato, in particolare al suo report intitolato Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio, a margine della confereza stampa convocata dall’Intergruppo parlamentare per la pace tra Palestina e Israele per riferire in merito a L’impatto delle sanzioni USA sulla relatrice ONU, il 4 settembre scorso Fancesca Albanese ha spiegato come viene colpita dai provvedimenti dell’amministrazione Trump e dall’inazione del governo Meloni e perché le vessazioni da lei subite in prima persona stiano sgretolando le basi su cui si fondando lo stato di diritto e che tutelano i diritti di tutti i cittadini italiani. Questa testimonianza di Francesca Albanese è riferita anche nella pagina di L’ESPRESSO online da ieri, 4 settembre, e nella cui trascrizione spicca un’osservazione: «Giorgia Meloni dice che verranno date tutte le garanzie di sicurezza agli attivisti e ai politici della Global Sumud Flotilla in rotta per Gaza. E che vuol dire? I giornalisti hanno chiesto cosa vuol dire in pratica? Io se fossi giornalista l’avrei chiesto. Cosa vuol dire in pratica? La prima protezione che un governo dovrebbe dare è di inviare navi per rompere l’assedio. È un obbligo legale per prevenire il genocidio». Oggi, venerdì 5 settembre, su tutti i tre canali RAI mentre vanno in onda i telegiornali il flusso continuo delle immagini si interrompe e per 45 secondi nello schermo annerito compare il testo, anche letto, che dice: > L’Usigrai, sindacato delle giornaliste e dei giornalisti della Rai, è con > Reporters Sans Frontières nel denunciare la sistematica uccisione di > giornaliste e giornalisti palestinesi a Gaza. > > Al ritmo con cui vengono colpiti presto non ci sarà più nessuno a informare su > quanto succede ai Palestinesi ancora nella Striscia. > > Il goversno israeliano non fa entrare a Gaza nemmeno i giornalisti > internazionali e in questo vuoto informativo non sappiamo nulla nemmeno sulle > condizioni degli ostaggi israeliani in mano ad Hamas. > > Il nero e il buio di questo comunicato sono quello che resta quando si > impedisce a chi fa informazione di fare il proprio lavoro al servizio dei > cittadini. “Stop al massacro di civili e giornalisti a Gaza, necessità di garantire l’accesso ai media internazionali per testimoniare ciò che sta avvenendo in Palestina” è aggiunto nel post divulgato sui social media insieme a FNSI / Federazione Nazionale Stampa Italiana, EFJ  / European Federation of Journalists e IFJ / International Federation of Journalists dall’associazione sindacale che aggrega i giornalisti della rete televisiva nazionale italiana. Inoltre, nel proprio sito USIG Rai spiega: > Agosto è per definizione il mese delle ferie. > > Ma alcuni temi sulla Rai sono “in vacanza” da tanto, troppo tempo. > > È ora che le ferie finiscano, in tutti i sensi. > > L’Usigrai auspica che cessi il Silenzio assordante, e prolungato ben oltre la > classica pausa estiva, che da più parti circonda la Rai e ne rende incerto e > preoccupante il futuro. > > Il Silenzio della commissione di Vigilanza, paralizzata da più di un anno e > incapace di svolgere il ruolo affidatole dal Parlamento, con una  Rai lasciata > senza controllo, senza indirizzo e senza Presidente. > > Il Silenzio della politica, che dopo aver lanciato il sasso nello stagno con > diverse proposte di riforma per la nomina dei vertici, non trova il coraggio > di affrontare il vero tema della questione: sottrarre l’azienda del Servizio > Pubblico all’influenza dei partiti, di tutti i partiti, e consentirle di > adempiere agli obblighi imposti dall’European Media Freedom Act. > > Va invece in direzione opposta la proposta di riforma della Rai dell’attuale > maggioranza di Governo, che punta a legare il destino dell’azienda alla > maggioranza semplice del Parlamento, vincolando ancor di più la Rai ai partiti > al governo e svilendo – tra gli altri – il ruolo delle opposizioni, delle > regioni. > > Il Silenzio della stessa azienda che deve far chiarezza sul destino del Piano > delle News:  un progetto che sembra sempre più una nave alla deriva, persa nel > porto delle nebbie, senza alcun approdo certo e al momento anche senza guida, > senza una nuova Direzione per l’Offerta Informativa. > > Sono i silenzi a pesare più delle parole. > > Lo ribadiamo e lo ribadiremo sempre, come giornalisti che hanno a cuore > l’autonomia e la credibilità della Rai Servizio Pubblico e il futuro di chi ci > lavora. > > Ferie finite, si rompa il silenzio sulla Rai / USIGRAI – 28 AGOSTO 2025 Maddalena Brunasti
La Flotilla dell’umanità è in viaggio sotto un cielo stellato; le stelle, però, sono droni
Partita da Barcellona per Gaza, la Global Sumud Flotilla affronta sorveglianza militare, minacce e sostegno internazionale . Il 2 settembre, le prime barche della Global Sumud Flotilla erano partite da meno di 48 ore da Barcellona, quando, intorno alle 22:30 ora italiana, mentre navigavano a circa novant miglia nautiche dall’isola di Minorca, sono state intercettate da tre droni. Ma cos’è la Global Sumud Flotilla? È un’azione civica, nata dal basso, nell’ambito del Movimento Globale a Gaza, composta da circa cinquanta imbarcazioni civili, con a bordo attivisti provenienti da quarantaquattro paesi del mondo. L’obiettivo è creare un corridoio umanitario per Gaza, sotto assedio israeliano da mesi. Sulla flottiglia è puntata l’attenzione di quella parte di mondo che riconosce i diritti umani e il valore della vita; purtroppo, però, non soltanto di quella. La presenza dei droni sulla flottiglia è stata comunicata dall’attivista Thiago Avìla attraverso una diretta lanciata sul profilo Instagram del movimento @globalmovementtogaza. Thiago è ormai un volto noto per chi segue la causa palestinese: climattivista e militante per i diritti umani, è stato protagonista di una precedente spedizione della Freedom Flotilla, membro dell’equipaggio della barca Madleen, bloccata illegalmente dall’IDF, sempre attraverso droni e quadcopters (quadricotteri militari). Nella diretta, Thiago ha evidenziato, mettendo in allerta il resto dell’equipaggio, che i droni potevano essere lì per una ricognizione di sorveglianza ordinaria dell’autorità marittima competente su quelle acque; oppure per un attacco militare. A chi non abbia seguito attentamente gli ultimi sviluppi dell’invasione di Gaza potrebbe sembrare un’affermazione forte. Invece, la seconda ipotesi è molto plausibile. Infatti, come chi scrive sottolineava poco prima, all’enorme e commovente solidarietà che è giunta da ogni parte del globo (è notizia recente che anche Emergency sosterrà la flotta e affiancherà le imbarcazioni con natanti di supporto logistico e medico), si sono contrapposte le dichiarazioni del governo israeliano: sul Jerusalem Post di tre giorni fa, il ministro della Sicurezza nazionale israeliano, Itamar Ben-Gvir, annunciava che stava per presentare un piano al governo secondo cui «tutti gli attivisti arrestati saranno trattenuti in detenzione prolungata, a differenza della precedente prassi, nelle prigioni israeliane di Ketziot e Damon, utilizzate per detenere i terroristi in condizioni rigorose tipicamente riservate ai prigionieri di sicurezza. Non permetteremo a chi sostiene il terrorismo di vivere nell’agiatezza». Tale piano è stato considerato illegittimo da vari giuristi esperti di diritto internazionale. La relatrice speciale Onu per i territori palestinesi, Francesca Albanese, ha definito l’azione della Global Sumud Flotilla «pienamente conforme al diritto internazionale». Secondo Albanese, «ogni tentativo di fermare o intercettare le imbarcazioni nelle acque internazionali costituirebbe una violazione della libertà di navigazione sancita dal diritto marittimo». È questo il clima in cui naviga oggi la flotta per Gaza, la flotta dell’umanità. Ma torniamo ai droni, ai quadricotteri. Tutti e tutte ne abbiamo sentito parlare. Vengono usati come regalo per i bambini al compleanno, dai fotografi per i matrimoni, dalla protezione civile per la prevenzione degli incendi. Eppure, facendo una ricerca su AI Overviews, leggiamo che sono “piccoli aerei a pilotaggio remoto, utilizzati per ricognizione, sorveglianza e attacchi mirati, che offrono una maggiore protezione delle forze armate grazie alla fornitura di dati in tempo reale e riducendo la necessità per i soldati di accedere ad aree pericolose. Dotati di sensori e telecamere avanzati, questi droni possono operare di giorno e di notte e alcuni modelli sono dotati di funzionalità sull’intelligenza artificiale per l’edge computing e la navigazione avanzata. Le loro dimensioni ridotte e laità rapida di impiego li rendono ideale per le unità di fanteria, sebbene la loro proliferazione, in particolare nei conflitti come quello di Gaza, abbia sollevato anche significative preoccupazioni etiche riguardo all’impatto sulla popolazione civile e al potenziale uso improprio”. Non bisogna essere esperti di ingegneria aerospaziale per capire, quindi, che i droni sono l’esempio perfetto delle tecnologie dual use, cioè di quell’insieme di dispositivi e sistemi operativi che, nati per scopo pacifico, sono oggi largamente utilizzati nelle attività belliche. Un tema che solo di recente è giunto alla ribalta della cronaca, soprattutto per l’uso che se ne sta facendo in Palestina. Che la questione sia delicata lo dimostra il fatto che l’unica base giuridica che prova a disciplinare la materia sia il Regolamento (UE) 821/2021, attraverso cui le produzioni di questi dispositivi vengono supervisionate dall’Unione Europea. I primi droni, però, da ciò che ci dicono le fonti, sono stati impiegati già nel XX secolo, in particolare dagli Inglesi nella Prima guerra mondiale. Non è un po’ tardi arrivare, solo nel 2021, all’adozione di un regolamento europeo per questa materia? Sì, lo è: se, nel secolo scorso, a Sarajevo, durante l’assedio, per sparare alla popolazione civile in mezzo alle strade venivano assoldati mercenari che si posizionavano sui tetti dei palazzi o sulle colline circostanti, nel terzo millennio il cecchinaggio avviene attraverso la tecnologia. Le testimonianze su come l’IDF usi i droni contro la popolazione civile non si contano più, da parte della stampa, dei medici, dei sanitari. La robotizzazione della sparatoria aumenta esponenzialmente la distanza tra la bocca e la vittima e, quindi, trasporta l’atto omicida verso una derivazione di disumanizzazione che non ha precedente. Così, il lavoro delle bombe intelligenti viene coadiuvato perfettamente dai droni killer. La Global Sumud Flotilla, flotta dell’umanità, naviga verso la spiaggia di Gaza che, ricordiamolo sempre, rispetto all’Italia è soltanto dall’altra parte del Mediterraneo; come per i Gazawi, anche per gli attivisti della Sumud il pericolo può arrivare dall’alto, silenzioso e imprevedibile, sotto forma di una piccola lucina nel cielo, che però non è una stella. Non c’è protezione dai droni, per i civili disarmati di Gaza come per gli equipaggi delle imbarcazioni. Forse, però, i nostri occhi possono farsi luce, diventare fari. Tenerli aperti su Gaza e sulla flottiglia può essere una missione, per chi crede che questo massacro vada fermato. La difesa del diritto alla vita dei Gazawi e della permanenza dignitosa sulla loro terra è difesa del diritto internazionale e, quindi, delle nostre stesse esistenze. Ogni cosa è connessa. Da terra, si può e si deve costruire una flotta, che attraversi tutti i paesi e che faccia pressione sui governi, come un’azione internazionalista tra i popoli, a protezione delle barche. È quello che sta facendo il GMTG in tantissime città. Seguiamola, quest’onda, portiamo i nostri corpi nelle piazze e rispondiamo numerosi alla chiamata per le flotte di terra che ci sarà il 4 settembre. Sulle pagine del GMTG ci sono tutti gli appuntamenti: a Napoli, ci vediamo alle 18:00 in Largo Berlinguer. Sosteniamo la Global Sumud Flotilla Fonti Jerusalem Post, 30 agosto 2025 – http://link https://www.jpost.com/israel-news/article-865898 La Repubblica, 1 settembre 2025 Redazione Napoli
Lettera ASGI al CNF per il convegno su Gaza: “torni all’originaria organizzazione dell’evento”
Pubblichiamo integralmente  la lettera dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione–ASGI APS, con la quale si chiede al Consiglio Nazionale Forense di tornare all’originaria organizzazione del convegno dal titolo La violazione dei diritti umani a Gaza e nei territori occupati, ritenendo incomprensibile “la scelta di accettare le richieste formulate dell’Associazione Giuristi  Ebrei (AGE)”, giacché l’evento consentiva già “un’effettiva  interlocuzione anche tra differenti punti di vista”[accì] _____________________ Egregio Sig. Presidente,  abbiamo accolto molto positivamente la scelta del Consiglio Nazionale Forense di organizzzare per il prossimo  4 Settembre il convegno dal titolo “La violazione dei diritti umani a Gaza e nei territori occupati”, con la  partecipazione della Relatrice speciale ONU Dr.ssa Francesca Albanese e della Collega Avv. Barbara Spinelli  del Foro di Bologna.   A fronte del genocidio in corso, della morte per fame di uomini, donne e bambini, dell’uccisione di giornalisti  e giornaliste, operatori e operatrici sanitarie, della sistematica distruzione di case, scuole, ospedali, il  convegno, promosso su impulso della Commissione Diritti Umani e Protezione Internazionale del CNF,  appariva la giusta sede per esaminare quanto sta avvenendo a Gaza sotto il profilo giuridico con riferimento  ai principi del diritto umanitario e internazionale.  Riteniamo pertanto incomprensibile la scelta di accettare le richieste formulate dell’Associazione Giuristi  Ebrei (AGE), che ha lamentato l’assenza di contraddittorio e chiesto di integrare il programma, tenuto conto  che la dott.ssa Albanese interviene come Relatrice speciale delle Nazioni Unite e che la stessa esercita una  funzione istituzionale riconosciuta a livello multilaterale, con un’autorevolezza che dovrebbe essere  riconosciuta dall’intera comunità internazionale.   Crediamo che la decisione di modificare il titolo e di prevedere ulteriori interventi, revocando i crediti  all’evento, peraltro senza passaggi formali ed interlocuzione rispetto alla decisione definitiva con la Dr.ssa  Albanese e la Collega Avv. Spinelli, rischi di modificare l’assetto originario del convegno e di trasformarlo da  evento squisitamente giuridico ad iniziativa oggetto di strumentalizzazione politica.  Altresì riteniamo che la revoca dei crediti formativi prima riconosciuti, quasi a svilire il carattere formativo e  scientifico dell’evento, costituisca un pericoloso precedente, un segno tangibile di un’ingerenza politica che  ben potrebbe, in futuro, essere esercitata con riferimento a qualsiasi altra iniziativa promossa nell’ambito  della tutela dei diritti umani. Chiediamo quindi che il CNF torni all’originaria organizzazione dell’evento, che già consentiva un’effettiva  interlocuzione anche tra differenti punti di vista. Nulla impedira’ un successivo evento, declinato in differenti  modalità. La tradizione formativa del CNF non consente di dare spazio a un dibattito che, anziché offrire  elementi di conoscenza, diverra’ un talk-show mediatico, alimentando anche all’interno dell’avvocatura  tensione e spinte che non dovrebbero trovare alcuno spazio di legittimità.  Esprimiamo tutto il nostro appoggio, oltre che alla dott.ssa Albanese, anche alla Collega, Avv. Barbara  Spinelli, socia ASGI e co-presidente dell’European Lawyers Association for Democracy and Human Rights, il  cui curriculum testimonia la serietà e la determinazione a denunciare, ovunque e nei confronti di chiunque,  le violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani e condanniamo fermamente la campagna di  denigrazione operata nei loro confronti da alcuni organi di stampa.   Manteniamo in ogni caso fermo il nostro impegno ad essere presenti al convegno anche per richiamare  ancora una volta l’attenzione sul silenzio colpevole delle istituzioni italiane, rimaste del tutto inerti a fronte  degli ordini di rilascio di visti umanitari o per famiglia impartiti dal Tribunale di Roma per 5 nuclei familiari di  gazawi, con il rischio di esporre ogni giorno le persone interessate a gravissimi rischi per la vita e l’incolumità  personale.  CON OSSERVANZA,  IL PRESIDENTE AVV. LORENZO TRUCCO  E IL CONSIGLIO DIRETTIVO DELL’ASSOCIAZIONE PER GLI STUDI GIURIDICI SULL’IMMIGRAZIONE Redazione Italia
USA, le critiche a Israele zittite a suon di sanzioni. Colpiti altri 4 giudici della CPI
a Il Segretario di Stato americano, Marco Rubio, ha annunciato che gli Stati Uniti emetteranno sanzioni nei confronti di altri 4 giudici della Corte Penale Internazionale, accusandoli di costituire una «minaccia» per gli USA e per Israele. I giudici in questione sono Kimberyly Prost (di nazionalità canadese), Nicolas Guillou (Francia), Nazhat Shameem Khan (Fiji), e Mame Mandiaye Niang (Senegal). La prima è stata sanzionata per avere permesso alla CPI di indagare sui crimini statunitensi in Afghanistan, mentre gli altri tre per avere autorizzato o legittimato l’emissione di mandati d’arresto contro Netanyahu e il suo ex ministro Gallant. In precedenza, gli USA avevano già emesso sanzioni contro giudici della CPI e contro il procuratore Karim Khan, che aveva chiesto l’emissione di mandati di arresto contro Netanyahu. Ora, le persone coinvolte avranno conti e proprietà negli USA congelati e nessuna realtà statunitense potrà avere legami con loro o facilitare il loro lavoro. L’amministrazione degli Stati Uniti ha così intensificato la sua pressione sulla Corte penale internazionale (CPI). Marco Rubio ha giustificato le sanzioni, dichiarando che i giudici sanzionati hanno partecipato «direttamente alle azioni della Corte per indagare, arrestare, detenere o perseguire cittadini degli Stati Uniti o di Israele, senza il consenso di entrambe le nazioni». Per gli USA, ha detto il Segretario di Stato, la CPI rappresenta «una minaccia alla sicurezza nazionale» e uno «strumento di lotta giuridica contro i nostri alleati». Secondo Rubio, il Dipartimento di Stato è fermamente contrario alla «politicizzazione» della Corte e a quello che definisce «l’abuso di potere» da parte di quest’ultima. Il governo israeliano ha accolto con favore la decisione, con il premier Benjamin Netanyahu che ha elogiato l’iniziativa degli Stati Uniti, affermando che si tratta di un’«azione decisiva contro la campagna di diffamazione e menzogne» che avrebbe colpito il Paese e il suo esercito. La reazione della CPI è stata di forte condanna. Il tribunale ha definito le sanzioni un «flagrante attacco all’indipendenza di un’istituzione giudiziaria imparziale» e un affronto «agli Stati parte della Corte e all’ordine internazionale basato sulle regole». La Corte ha sottolineato che continuerà a svolgere «imperterrita» il proprio mandato, esortando gli Stati che ne fanno parte e i sostenitori del diritto internazionale a «fornire un sostegno fermo e costante» al suo lavoro. Il 21 novembre 2024, la Corte Penale Internazionale (CPI) aveva emesso mandati d’arresto per il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l’ex Ministro della Difesa Yoav Gallant, accusandoli di crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi durante il conflitto a Gaza. Tra le accuse, l’uso della fame come metodo di guerra e attacchi deliberati contro la popolazione civile. In risposta, nel 6 febbraio 2025, il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva firmato un ordine esecutivo imponendo sanzioni contro la CPI, che hanno previsto il congelamento dei beni e delle risorse di funzionari, dipendenti e collaboratori della Corte Penale Internazionale, estendendosi anche ai loro familiari più stretti. A queste persone è stato inoltre vietato l’ingresso negli Stati Uniti. A giugno, gli Stati Uniti avevano sanzionato quattro giudici della Corte, a causa di quella che hanno definito una «grave minaccia e politicizzazione», oltre che un «abuso di potere» da parte dell’istituzione. In ultimo, dopo mesi di tentativi di affossamento, a luglio gli USA hanno deciso di sanzionare anche la Relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, l’italiana Francesca Albanese. L’ordine, firmato da Marco Rubio, si basa sullo stesso decreto con cui Trump aveva aperto la strada alle sanzioni contro membri della Corte Penale Internazionale. Albanese, insomma, è stata accusata di avere contribuito direttamente ai tentativi della CPI di indagare, arrestare o perseguire cittadini israeliani e statunitensi con il suo ultimo rapporto, “Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio”, all’interno del quale ha smascherato le aziende che fiancheggiano Israele nel suo progetto genocidario traendone profitto. Il report, evidentemente, non è andato giù all’amministrazione statunitense: Albanese, ora, sarà soggetta a limitazioni come il divieto di entrare negli USA, e le associazioni statunitensi non potranno sostenerla nel suo lavoro.   L'Indipendente
Webinar di Docenti per Gaza – Francesca Albanese incontra le scuole
RILANCIAMO UN INTERESSANTE VIDEO DI FRANCESCA ALBANESE A CURA DI DOCENTI PER GAZA, CHE SOSTENIAMO ATTIVAMENTE, IN CUI LA RELATRICE SPECIALE DELL’ONU PER IL TERRITORIO PALESTINESE OCCUPATO INCONTRA DI STUDENTI E LE STUDENTESSE DELLE SCUOLE ITALIANE PER RACCONTARE L’ECONOMIA GENOCIDARIA DELLO STATO D’ISRAELE. Il 26 marzo 2025 la relatrice speciale delle Nazioni Unite per il territorio palestinese occupato, Francesca Albanese, ha incontrato più di 3000 studenti in tutta Italia (una media di 180 classi partecipanti), introducendo la questione palestinese da un punto di vista storico, culturale e rispondendo con grande professionalità e disponibilità alle tante domande inviate dagli studenti stessi. Dopo una breve presentazione della sua formazione come figura professionale, delle sue esperienze in campo di migrazione e diritti umani, ha tracciato un quadro storico della questione palestinese per far capire ai ragazzi il contesto storico, sociale e culturale di riferimento. Questa introduzione è stata necessaria alla comprensione tanto delle parole chiave sulle quali ha strutturato il suo stimolante intervento, quanto sull’approccio critico essenziale per una corretta conoscenza dell’argomento. Clicca sull’immagine per il video. Francesca Albanese DALL’INTERVENTO DI FRANCESCA ALBANESE: 10 PAROLE CHIAVE 1. Colonialismo 2. Antisemitismo 3. Palestina 4. Occupazione militare 5. Diritto internazionale 6. Apartheid 7. Autodeterminazione 8. Resistenza 9. Tensione tra diritto e politica 10. Genocidio BIBLIOGRAFIA Francesca Albanese, Palestinian Refugees in International Law Francesca Albanese, Inside, quando il mondo non dorme Eduardo Galeano, Le vene aperte dell’America Latina Menachem Klein, Lives in Common Benny Morris, The Birth of the Palestinian Refugee Problem Frantz Fanon, I dannati della terra Antony Loewenstein, Laboratorio Palestina Samah Jabr, Sumud. Resistere all’oppressione SITOGRAFIA https://bdsitalia.org https://forensic-architecture.org https://www.instagram.com/laboratorioebraicoantirazzista https://www.breakingthesilence.org.il FILMOGRAFIA Farah Nabulsi, The present (2020) Farah Nabulsi, The teacher (2023) Rakan Mayasi, The key (2023) Bruno Sorrentino, Rooted in the West Bank (2024) Erin Axelman e Sam Eilertsen, Israelism (2023) Basel Andra, Yuval Abraham, Rachel Szor, Hamdal Ballal, No Other Land (2024)
Guerra, repressione e austerità all’ombra del genocidio palestinese
Ci sono Paesi in Occidente che davanti al genocidio palestinese hanno adottato politiche conseguenti rispetto allo Stato di Israele? No, anche i Paesi più critici si sono limitati a qualche invettiva diplomatica, ipotizzando il riconoscimento di un eventuale Stato palestinese, la cui entità geografica è tanto confusa quanto irreale, visto il dispiegamento militare israeliano e i progetti di occupazione e colonizzazione in atto. In molti Paesi poi i tentativi di fermare la vendita di armi ad Israele è stata letteralmente boicottata da lobby sioniste (chiamiamole con il loro nome) che, all’occorrenza, scatenano il senso di colpa verso l’eccidio del popolo ebraico da parte nazista. In altre nazioni si afferma pubblicamente di avere interrotto qualsiasi rapporto commerciale e militare con Israele, salvo poi scoprire ben altra realtà, cioè che, ad esempio, una partita di armi può anche essere ceduta ad un Paese per arrivare ad un altro che, a sua volta, fa recapitare lontano il rifornimento e dopo innumerevoli giri arriva alla vera destinazione. Nelle università statunitensi e in Germania centinaia di attivisti propalestinesi sono stati arrestati e denunciati, quanto accade in terra trumpiana non è detto sia estraneo al clima culturale che vorranno esportare in autunno in Europa a partire da scuole e atenei.  L’obiettivo della campagna filoisraeliana va ben oltre il sostegno al genocidio, mira a ridefinire assetti democratici nei Paesi occidentali, utilizza le accuse di antisemitismo per normalizzare l’insegnamento, per dare impulso alle tecnologie duali avvalendosi magari del sostegno di qualche esponente politico che da anni, ormai, ad ogni domanda sulla Palestina risponde con la litania sul 7 ottobre. Non occorrono grandi conoscenze della storia per capire che da decenni è in atto una feroce repressione del popolo palestinese e con gradualità siamo arrivati al genocidio. Si confonde deliberatamente la critica politica, la lettura storica non in linea con la vulgata ufficiale con istigazione all’odio razziale. È quindi in atto, negli USA, ma presto anche in UE, la normalizzazione delle scuole e dell’università, forse in Italia siamo già avanti con la presenza di protocolli tra Ministero dell’Istruzione, Provveditorati e Forze Armate, gli Atenei, con le linee guida in materia di educazione civica, con gli stages scuola lavoro nelle caserme. Ha ragione Clara Mattei (sul Fatto Quotidiano del 18 Agosto) che, riprendendo Gramsci, ricorda come l’università sia «parte integrante dell’apparato del potere statale, essenziale nella costruzione del consenso per un ordine socio-economico fondamentalmente antidemocratico. Se un tempo la maschera era quella del pluralismo, oggi il volto è apertamente autoritario». E, quindi, un sentito ringraziamento va a studenti, studentesse, ricercatori e a quanti li hanno sostenuti, che hanno elaborato degli statuti accademici con passaggi chiari contro la partecipazione delle università a progetti di guerra: questo, però, potrebbe essere il canto del cigno di percorsi conflittuali ai quali seguiranno processi di normalizzazione e progetti neo-autoritari. In questi giorni estivi, girando per festival e le poche iniziative pubbliche, abbiamo toccato con mano il disinteresse verso l’economia di guerra, l’inconsapevole sottovalutazione politica di quanto la sopravvivenza del sistema capitalistico sia legata alle guerre in corso, prova ne sia l’aumento esponenziale di alcuni titoli azionari in borsa. I governi nazionali stanno facendo di tutto per favorire queste aziende, fautori del libero mercato intervengono invece con fare protezionistico per impedire ad una impresa concorrente di entrare nei mercati nazionali, si ergono a mediatori per rafforzare il capitalismo nazionale all’ombra della produzione di morte. E sarebbe utile, anzi indispensabile, provare a ricostruire quella fitta rete di interessi tra le aziende produttrici di armi, il sostegno accordato alla classe politica dominante a determinate imprese e la politica estera intrapresa dai singoli Paesi. L’accanimento contro Francesca Albanese nasce proprio dalla pubblicazione del report Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio, per questo non passa giorno in cui venga descritta dai giornali di centrodestra, e non solo, come una alleata di Hamas con una campagna di odio ben orchestrata ai piani alti dell’editoria e della politica nazionale. Chiudiamo con due ulteriori considerazioni: il bilancio pluriennale europeo ci parla di investimenti duali e nelle infrastrutture, nei singoli paesi UE vedremo tra qualche settimana quante spese sociali saranno cancellate, questione rilevante perché, quando mancano i soldi si vanno a prendere dove sono ossia da sanità e pensioni, dai finanziamenti previsti agli Enti locali.  È poi importante ricordare che un aumento delle spese sociali rimetterebbe in funzione l’ascensore interclassista, che invece sono in molti a volere tenere fermo. E se gli USA rappresentano ancora un parametro di confronto, anzi una sorta di anticipazione degli scenari prossimi del vecchio continente, l’aumento delle spese militari ha già sacrificato le risorse destinate a tre capitoli di spesa: la sanità, l’assistenza alimentare, i servizi educativi e i piani sociali destinati ai migranti. E in alternativa? Nuovi centri di detenzione, sorveglianza e tecnologia avanzata per controllare i confini con il Messico e le aree metropolitane facendo leva sulla insicurezza e sui pericoli. SIAMO DAVANTI A UNA SORTA DI AUSTERITÀ CHE TAGLIA I PROGRAMMI SOCIALI, ACUISCE IL CONTROLLO E LA REPRESSIONE, RESTRINGE GLI SPAZI DI LIBERTÀ E DI DEMOCRAZIA, CHIUDE LA BOCCA ALLE VOCI DISSENZIENTI E RAFFORZA I DISPOSITIVI MILITARI NEL CORPO SOCIALE. ECCO SPIEGATO, IN TERMINI SEMPLICI E UN PO’ AFFRETTATI, IL RAPPORTO TRA POLITICHE DI AUSTERITÀ, SOSTEGNO ALLA GUERRA E REPRESSIONE DELLE ISTANZE DEMOCRATICHE, Federico Giusti, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Con le persone contro l’orrore. “Quando il mondo dorme” di Francesca Albanese
È da poco uscito, edito da Rizzoli, “Quando il mondo dorme. “Storie, parole e ferite della Palestina”, l’ultimo libro di Francesca Albanese, Relatrice speciale Onu sui territori palestinesi occupati, carica che ha assunto dopo un lungo processo di conoscenza diretta della situazione nei suoi molteplici aspetti. È un libro vivo e coinvolgente, ricco di riferimenti a persone e luoghi descritti con sensibilità e partecipazione e con spunti autobiografici e personali. Contiene inoltre considerazioni storiche, politiche e giuridiche, frutto di numerosi contributi e ricerche che l’autrice ha svolto in prima persona e che si aggiungono a quanto aveva  diffusamente esposto nel suo precedente  saggio “J’accuse”, pubblicato all’indomani del 7 ottobre 2023. La cieca e indiscriminata violenza perpetrata dal governo e dall’esercito israeliano ha continuato e continua purtroppo ad abbattersi sul popolo palestinese e a mietere innumerevoli vittime innocenti. Ogni giorno vediamo e ascoltiamo ancora, con dolore e rabbia, notizie di orrore, sofferenza e crudeltà oltre l’immaginabile. Questo libro ci offre storie, emozioni e riflessioni su quanto è accaduto e accade. Si apre con le parole colme di indignazione pronunciate da Francesca Albanese all’Assemblea Generale dell’ONU il 30 ottobre 2024, per poi illustrare la repressione e gli attacchi che ha subìto in molte occasioni denunciando i crimini culminati con il genocidio in atto, ma anche il sostegno ricevuto da parte di attivisti, studiosi e opinione pubblica. Il testo si snoda in dieci capitoli, ognuno dei quali ha come protagonista una persona, e pone una domanda che introduce un tema specifico. * Hind Cos’è l’infanzia in Palestina? “Il carro armato è accanto a me. Si sta muovendo. Verrai a prendermi ? Ho tanta paura” . La piccola Hind è un simbolo delle migliaia di bambini palestinesi intenzionalmente uccisi, feriti, mutilati e traumatizzati. Morta a sei anni, la sua disperata richiesta d’aiuto è rimasta registrata prima che la macchina su cui fuggiva  venisse crivellata di colpi che l’hanno uccisa con i parenti e i soccorritori della Mezzaluna Rossa. L’infanzia in Palestina è una storia di vittime, di paura e di violenze fisiche e psicologiche. Anche i bambini e i giovani israeliani, sostiene la filologa israeliana Nurit Peled-Elahanan, sono educati alla paura, al sospetto e a una visione del mondo basata su razzismo e sopraffazione. * Abu Hassan Quali sono le conseguenze dell’occupazione? Abu Hassan, palestinese di Gerusalemme, mostra in alternative tours cosa si cela dietro la narrazione dell’archeologia di propaganda israeliana, che legittima l’appartenenza della Palestina al popolo ebraico. Racconta gli espropri, i muri, i check point che costituiscono limiti fisici oltre che burocratici imposti ai palestinesi, oggetto di continue  discriminazioni e vessazioni. Mostra luoghi teatro di stragi, come la Moschea di Hebron e i campi profughi, culla della resistenza armata nata come risposta all’occupazione. * George Cosa significa vivere a Gerusalemme? George, ingegnere palestinese vissuto negli USA e tornato a Gerusalemme, racconta questa città bellissima e schizofrenica , iper religiosa ma poco spirituale, malinconica per l’atmosfera di convivenza perduta e di tensione permanente. Divisa e frammentata, è costellata di case i cui proprietari sono stati cacciati e sostituiti da ebrei israeliani. Mostrando la casa che era stata espropriata a sua nonna George dice che non ha potuto più rivederla “Lasciamo perdere. Ho provato a entrare e non ti dico come ci hanno trattati…” Spesso i “nuovi proprietari” le affittano perché hanno la doppia cittadinanza e vivono all’estero. * Alon Come si fa a riconoscere una persona antisemita ? Alon Confino, storico italo-israeliano studioso di ebraismo e memoria dell’Olocausto, ha sostenuto con altri studiosi ebrei la differenza tra antisemitismo e critica alle politiche di Israele, in contrasto con il tentativo di tacciare di antisemitismo qualunque posizione di condanna dei crimini commessi dallo Stato ebraico. * Ingrid  Come si fa ad abbattere l’apartheid? Ingrid Jaradat Gassner, esperta di Palestina di lunga data, tramite l’analisi del quadro giuridico insisteva sul concetto di apartheid per definire la situazione palestinese. Attivista, è stata cofondatrice del centro di ricerca sui rifugiati palestinesi BADIL e del movimento BDS (Boycott, Disinvest and Sanctions) ispirato alla resistenza globale contro l’apartheid in Sudafrica e fondato sul diritto internazionale. * Ghassan Fino a che punto può arrivare la crudeltà di un genocidio ? Ghassan Abu Sitta, medico chirurgo naturalizzato britannico, ha portato il suo contributo negli ospedali di Gaza fino a quando gli è stato possibile. Rientrato nel Regno Unito, denuncia le spaventose sofferenze della popolazione e in particolare dei bambini, la distruzione del sistema sanitario e il massacro degli operatori, con la complicità dell’apparato mediatico occidentale. * Eyal Come calcolare le condizioni che portano alla distruzione di un popolo? Eyal Weizman, architetto forense israeliano, rivela le condizioni dell’occupazione attraverso l’analisi spaziale. Il suo libro Hollow land (tradotto in italiano con il titolo Spaziocidio. Israele e l’architettura come strumento di controllo) ripercorre la storia dell’occupazione israeliana dal punto di vista della frammentazione geografica e del suo ripercuotersi nella quotidianità delle persone. Il colonialismo di insediamento opera attraverso la costruzione di insediamenti e infrastrutture e la distruzione sistematica delle condizioni di vita della popolazione colonizzata. La creazione del ghetto di Gaza è stata progettata per ridurre la minaccia demografica calcolando le forniture secondo un livello minimo di sopravvivenza, fino al genocidio esplicito che vediamo oggi. * Malak  Dov’è la casa di una persona rifugiata? Malak Mattar, giovane pittrice palestinese, autrice del bellissimo dipinto in copertina, ha lasciato Gaza il giorno prima del 7 ottobre 2023 per traferirsi a Londra, dove era stata ammessa a un Master di Belle Arti. La sua famiglia è riuscita poi a rifugiarsi  fortunosamente in Egitto. Malak sente di dover dar voce attraverso la pittura a ciò che il suo popolo sta vivendo. Ha realizzato un grande dipinto, dal titolo No words ,soprannominato “La Guernica di Gaza “, interamente in bianco e nero perché “solo il nero può riflettere l’orribile realtà che ci riduce al silenzio”  * Gabor  Perché è così importante preservare la memoria di un popolo? Gabor Matè, medico e psicoterapeuta di nazionalità canadese e origini ungheresi è un sopravvissuto all’Olocausto. Si occupa di traumi non solo individuali, ma anche collettivi, di famiglie e di popoli, vedendo in questo il punto di contatto tra ebrei e palestinesi. Solo sviluppando consapevolezza e compassione, afferma, è possibile avviare un processo di guarigione. Molte altre persone sono citate nelle pagine di questo bellissimo libro. Da ricordare il poeta Refaat Alareer, ucciso con la famiglia in un bombardamento, che ha sempre creduto nel potere della parola come forma di resistenza e cura e con l’organizzazione We are not numbers ha sostenuto l’importanza della narrazione nel dare dignità e identità  alle vittime L’ultima persona  a cui va il ringraziamento di Francesca è il suo compagno, con cui ha condiviso il percorso di conoscenza dei luoghi, amicizia ed empatia con le persone  di cui questo  lavoro è frutto. “La solidarietà è la declinazione politica dell’amore” dice citando la rabbina americana Alice Wise, dunque dobbiamo opporci al “sistema che considera la solidarietà un atto sovversivo”. “Quando il mondo dorme si generano mostri ” afferma nell’ultimo capitolo  che però intitola “Il vizio della speranza”.  La speranza come disciplina e come abitudine, indispensabile al di là di ogni logica e ragionamento. Per questo leggere le testimonianze e conoscere le persone raccontate in queste pagine è un modo per raccogliere il suo appello, affinché ognuno di noi si faccia portavoce di quella speranza e amore per la vita che sembrano calpestate e cancellate ogni giorno.     Natalia Latis