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Francesca Albanese: “La sopravvivenza della Palestina sarà la nostra riabilitazione”
Riprendiamo dal sito di Reti Solidali un articolo di Maurizio Ermisino su un incontro avvenuto a Roma con Francesca Albanese, ambasciatrice ONU in Palestina, per la presentazione del suo libro “Quando il mondo dorme” La solidarietà è la declinazione politica dell’amore, secondo la Relatrice Speciale dell’ONU per la Palestina. Per Albanese l’obbligo di prevenire il genocidio è scattato con l’istanza del Sudafrica alla Corte di Giustizia di gennaio 2024. Il sacrificio della Palestina deve essere un’occasione. Possiamo uscirne distrutti o migliori. Genocidio. Pulizia etnica. Apartheid. Le parole sono importanti. E usare le parole giuste per raccontare che cosa sta accadendo oggi in Palestina, nella Striscia di Gaza, è sempre più importante. L’incontro con Francesca Albanese, Relatrice Speciale dell’ONU per la Palestina, di ieri sera al MONK a Roma, per presentare il libro Quando il mondo dorme (Rizzoli, 2025), è stato in questo senso illuminante. In un giardino gremito di folla, con altrettante persone rimaste fuori, Francesca Albanese ha parlato a cuore aperto, con quella “dolorosa gioia”, come la definisce lei, che è  raccontare una situazione terribile con la consolazione della condivisione della denuncia.  Ogni volta è straziante, un dolore collettivo, ma c’è l’obbligo di non fermarsi e di riflettere per cambiare un sistema e di provare a costruire il domani che vogliamo. «Mi si chiedeva perché è così importante chiamare quello che sta accadendo a Gaza “genocidio” e perché dire che Israele sta commettendo crimini di guerra e crimini contro l’umanità non è sufficiente» si è chiesta Francesca Albanese. «Se andate dal medico con il cancro e vi dice che avete la febbre, ha sbagliato la diagnosi. Se anche si dovesse condannare la leadership israeliana per crimini di guerra, si fallirebbe la soluzione del problema fondamentale. Non è solo lo Stato di Israele, ma il Sionismo come ideologia predicata sulla realizzazione di uno Stato di soli ebrei in Palestina, che vuol dire che non lo è per tutti gli altri popoli. Il genocidio è l’intenzione di distruggere un gruppo in quanto tale. Ed è quello che Israele sta facendo con atti di uccisione, con l’inflizione di condizioni di vita calcolate per distruggere: se togli l’acqua, il tetto sopra la testa, il cibo, il carburante, se distruggi tutti gli ospedali, se impedisci alle persone l’accesso a qualsiasi cosa per vivere, il risultato è questo. Ormai siamo al di là: nelle ultime settimane sono morte 147 persone, la maggior parte bambini, la maggior parte neonati, per mancanza di viveri. Se anche domani cessassero di piovere le bombe sui palestinesi rinchiusi in quel ghetto che Israele ha creato nel 1948, il genocidio c’è già stato. E chiamarlo genocidio ci dà la misura di quella che è stata la nostra responsabilità». «La cosa fondamentale della convenzione sul genocidio è la prevenzione» continua. «Abbiamo già fallito. L’obbligo di prevenire il genocidio è scattato quando la Corte di Giustizia internazionale ha ricevuto, nel gennaio del 2024, l’istanza del Sudafrica, a cui si sono uniti altri 14 Paesi». «Passo dopo passo facciamo la cosa giusta. Sicuramente non saremo peggio di come siamo adesso» FERMARE L’ECONOMIA DEL GENOCIDIO La grande ipocrisia è quella di tanti Paesi, tra cui l’Italia, che hanno continuato a intrattenere rapporti politici e commercial con Israele. «Un governo può rendersi complice» afferma Francesca Albanese. «Ma noi cittadini possiamo dire no, basta. Ai comuni che mi danno la cittadinanza onoraria io dico: se volete che l’accetti dovete bandire il Made in Israel. A chi è stressato per quanto zucchero ci sia nelle marmellate per i propri figli dico: usate lo stesso zelo per vedere quali prodotti vanno a finanziare direttamente l’economia dell’occupazione che si è trasformata in economia di genocidio. Tanti studenti hanno monitorato le relazioni dei loro atenei con Israele: vanno tagliate senza se e senza ma perché uno Stato accusato di apartheid, genocidio, crimini di guerra non è uno Stato con cui si possono avere relazioni. Fareste oggi una relazione con il Sudafrica al tempo dell’apartheid? La fiction per cui c’è un Israele buono ed uno cattivo deve finire. È Israele che è accusato di crimini: da oggi non si commercia più, non si trasferiscono armi né know-how, non si fa ricerca neutra con uno Stato accusato di crimini internazionali». FRANCESCA ALBANESE: NELLA SOPRAVVIVENZA DEI PALESTINESI CI SARÀ LA NOSTRA RIABILITAZIONE Queste richieste sono arrivate alla politica italiana, che non ha risposto. Cosa si può fare per sensibilizzarla? «Loro sono quello che sono. Nel 2027 dovrete valutare se questa gente merita di rimanere al potere oppure no» risponde, tra gli applausi, Francesca Albanese. «Credo molto nel valore della politica, per me è una parola con la P maiuscola. Capisco i giovani che fanno cittadinanza attiva. Questa deve essere la nuova declinazione della politica. Il sacrificio della Palestina ci deve dare questo: non usciremo da questa fase nello stesso modo in cui siamo entrati. Possiamo uscirne distrutti o uscirne migliori. Prendiamo il dolore di questo momento come quello di un parto: si soffre, si spinge per portare alla luce qualcosa di nuovo. Una frase che ho mutuato e che uso spesso è: la solidarietà è la declinazione politica dell’amore. Questo è un momento di solidarietà in cui ci si ritrova: so che l’amore per me è un amore di riflesso per il popolo palestinese. Che è un popolo dolce e buono. Se lavoriamo tutti insieme non solo il genocidio si fermerà. Non solo i palestinesi si ricostruiranno come fanno del 1948. Ma nella loro sopravvivenza ci sarà la nostra riabilitazione, quella dal peccato originale di noi occidentali, cioè 500 anni di colonizzazione. La declinazione politica dell’amore è questa: dobbiamo tornare ad essere buoni. Lo dobbiamo a noi stessi, alla società che vogliamo lasciare ai nostri figli e nipoti». IL MONDO NON SI CAMBIA A CEFFONI In questi anni Israele, con gli Stati complici, sta mettendo in atto un esercizio lucido della cattiveria. Nel senso di “captivus”, cioè “chiuso”, qualcuno che non è nemmeno in grado di vedere il male che sta facendo. In che modo oggi noi occidentali possiamo sensibilizzare e avere il coraggio e l’intelligenza di fare quel passo indietro rispetto al mondo? «Ci sono tante cose che dobbiamo imparare a fare, ma prima dobbiamo disimparare» risponde Francesca Albanese. «Dobbiamo dismettere certi automatismi. Abbiamo l’ansia da prestazione. Invece di saltare alle conclusioni, alle soluzioni, alla destinazione, dovremmo pensare al processo. E nel frattempo dobbiamo ascoltare. È fondamentale ascoltare perché ascoltare significa capire». Nel libro si legge un episodio particolare, un momento in cui anche Francesca Albanese ha provato un senso di vergogna. «Quando ero in Palestina, già 15 anni fa, Israele arrestava una media di 500-700 bambini all’anno, tra i cinque e i dodici anni e, se un adulto interveniva, ci stava che non tornasse a casa. Nel 2012 mi chiedevo: perché dobbiamo scrivere lettere ad Israele chiedendogli che si rispettino i diritti della convenzione del fanciullo quando arrestano i bambini e li portano nelle corti militari? Ma perché stiamo qui a normalizzare l’abominio? Con il tempo sono riuscita a staccarmi da quel processo di convenienza. Per me era insopportabile il peso della coscienza, sapere quello che potevo o non potevo fare da funzionario delle Nazioni Unite. Il mondo si cambia se si fa la cosa giusta ad ogni passo. Bisogna creare consapevolezza sulla Palestina, di cui si sa ancora troppo poco. Ho avuto un tremore quando un farmacista stava vendendo un prodotto Teva. Se mi dite “voglio fare qualcosa” cominciate a non venderli più. Ma, nei confronti degli ebrei, ammettiamo il garbo, la dolcezza, l’eleganza. Perché il mondo non si cambia a ceffoni». PALESTINA: IL BANCO DI PROVA DEL RISPETTO DELLA LEGALITÀ Cosa dovrebbero fare gli Stati? Come ha scritto ieri Francesca Albanese su X, non dovrebbero solo riconoscere lo Stato di Palestina, fare gesti simbolici, prendere le distanze da Israele. Dovrebbero sanzionare Israele, imporre un embargo totale alle armi, spezzare l’assedio inviando navi, sospendere tutti gli accordi commerciali, indagare e perseguire chi ha commesso crimini nei territori palestinesi occupati. La risposta è sempre: “ma siamo amici di Israele”. «Non si può vituperare la parola amicizia in questo modo» commenta Francesca Albanese. «Se hai un amico che sbaglia, gli dai uno scappellotto. Prendi delle misure perché la persona che ami non sbagli più. Qui si sta parlando di violenza estrema. Un popolo va immaginato come un corpo. Quante ferite si possono infliggere ad un corpo per decenni? E quanta comprensione si può chiedere a questo un corpo e all’anima che lo abita? Con il politico con cui ho parlato c’era proprio una posizione ideologica: “come ti aspetti che noi interrompiamo le relazioni con uno Stato come Israele?” Uno stato così indecente con un esercito così immorale io non me lo ricordo in un Paese che si dice democratico. Negli ultimi anni ho visto cose incredibili. E non è che i palestinesi prima se la passassero bene: già nel 2013 le Nazioni Unite denunciavano maltrattamenti, torture e stupri su minori nelle carceri israeliane. Dove eravamo noi? Dove eravamo nel 2022 quando i pogrom nei confronti dei villaggi palestinesi si moltiplicavano? Per quel viceministro degli affari esteri che mi diceva “non possiamo interrompere le relazioni con lo Stato di Israele” ho pensato: “o vi convinceremo noi o il vostro popolo, alle prossime elezioni voi non ci sarete”. La Palestina sta diventando il banco di prova del rispetto della legalità di cui abbiamo bisogno tutti quanti. Oggi non si può passare e stare in silenzio sul corpo di 20mila bambini». FERMARE IL TRAFFICO D’ARMI Dobbiamo fermare il traffico di armi, raccontare chi le fa. «Altra Economia ha fatto inchieste sulla Leonardo spa, partecipata dal 30% dello Stato italiano, che partecipa alla produzione degli F35 in modalità Beast Mode, in modo da portare una quantità di bombe in grado di distruggere un intero territorio, con il danno di 8 nucleari. Tutti abbiamo un potere e dobbiamo esercitarlo adesso. I portuali di Genova e di Ravenna sono stati i primi a dare l’allarme perché in questi porti si trasferivano armi verso Israele». BISOGNA CURARE L’ANIMA DI UNA TERRA Ci si chiede quale possa essere il processo di transizione verso un futuro che possa portare a una pacifica convivenza tra i due popoli. «Ci sono tanti strumenti per immaginare il futuro» riflette Francesca Albanese. «Possiamo vederlo come la destinazione di qualcosa che vogliamo costruire. C’è una parola che non compare nel vocabolario di noi occidentali: è “healing”, “cura”. Bisogna curare l’anima: c’è un trauma incredibile in quella terra». «Prima di tutto vanno portati i diritti» conclude. «Passo dopo so facciamo la cosa giusta. Sicuramente non saremo peggio di come siamo adesso». Redazione Italia
Appello per il conferimento delle Chiavi della Città di Firenze a Francesca Albanese
I seguenti firmatari della petizione chiedono il conferimento delle Chiavi della città di Firenze a Francesca Albanese con un iter “accelerato” data la drammaticità della situazione generale ed anche le difficoltà ed i rischi a cui Francesca Albanese sta andando incontro a seguito dei ripetuti attacchi: difenderla significa difendere i nostri diritti, la nostra libertà e la nostra umanità. Perché difendere Francesca Albanese 1. Un mandato indipendente a difesa dei diritti umani Francesca Albanese è nominata dal Consiglio Diritti Umani delle Nazioni Unite, e opera in capacità individuale ed indipendente, senza rispondere a governi o partiti. Il suo compito è monitorare e denunciare violazioni dei diritti nei territori occupati. 2. Condanna netta dell’attacco Hamas del 7 ottobre Albanese ha espresso condanna inequivocabile sul massacro del 7 ottobre 2023, definendo gli attacchi di Hamas come “orribili crimini di guerra” e sottolineando che nessuna motivazione può giustificare tali atti. Ha dichiarato: “La violenza … è ingiustificabile, inaccettabile … hanno commesso crimini di guerra e devono rispondere”. 3. Contesto e legalità internazionale come chiave interpretativa Ha richiamato ripetutamente al contesto dell’occupazione israeliana lunga oltre 56 anni, definita da molti esperti e dallo stesso Segretario Generale ONU una “illegalità profonda”. Ha sottolineato che l’insieme di violazioni strutturali – detenzioni di massa, espulsioni, apartheid – possono costituire anche genocidio. 4. Imparzialità e umanità universale Albanese sostiene che sia palestinesi che israeliani meritano pace, dignità, libertà e uguaglianza. Ha richiamato entrambe le parti a rispondere alle atrocità secondo il diritto internazionale, senza cadere in “indignazione selettiva o relativismo etico”. 5. Documentazione e denuncia dell’“economia del genocidio” Nella sua relazione di luglio 2025, ha definito Gaza un “laboratorio militare” dove si testano armi avanzate. Ha nominato 48 aziende – tra le quali colossi tecnologici, banche e industrie militari – che traggono profitto dall’occupazione e dalla repressione dei palestinesi. Ha chiesto un embargo sulle armi, il blocco degli scambi commerciali e sanzioni legali nei confronti di chi alimenta questo sistema. 6. Resistenza alle sanzioni statunitensi e solidarietà internazionale Nel luglio 2025 gli Stati Uniti hanno annunciato sanzioni contro Albanese, accusandola di condurre “guerra politica ed economica” contro Israele e gli USA. Albanese ha definito queste misure “obscene” e legate a tentativi di intimidazione mafiosi. Ha dichiarato che tentativi di zittirla indicano colpevolezza, non legittimità. Organizzazioni come Amnesty International e il Segretariato ONU per i diritti umani hanno condannato le sanzioni come pericolosi precedenti contro l’indipendenza dei relatori ONU. Esistono diverse petizioni in corso con la richiesta di conferimento del premio Nobel per la pace a Francesca Albanese che hanno raggiunto e superato le decine di migliaia di adesioni 1.       Francesca Albanese al Premio Nobel per la Pace 22.173 firme al 30/7/25 2.       Francesca #Albanese for the Nobel Peace Prize 228.992 firme al 30/7/25 3.       Chiediamo la Nomina di Francesca Albanese al Premio Nobel per la Pace 128.506 firme al 30/7/25 4.       “Siamo farfalle!” “We are butterflies!” Premio Nobel 60.694 firme al 30/7/25 5.       Nominate Francesca Albanese for Nobel Peace Prize 38.582 firme al 30/7/25 6.       …. Da qui l’appello in suo favore con l’invito a: 1. Respingere le sanzioni U.S. in quanto attacco alla libertà d’inchiesta e alla giustizia internazionale. 2. Garantire l’indipendenza del mandato ONU, assicurando che rapporteurs possano operare senza minacce o ritorsioni politiche. 3. Ascoltare le sue denunce nell’ottica del diritto internazionale, senza ridurle a simpatie politiche. 4. Sostenere l’appello al cessate il fuoco immediato, al blocco internazionale degli scambi militari e commerciali con gli autori delle violazioni. 5. Promuovere dialogo e solidarietà globale, affermando che la tutela dei diritti umani è un dovere comune, e che le critiche sistemiche non equivalgono a faziosità. In sintesi Francesca Albanese ha svolto la sua missione in modo rigoroso e imparziale: condannando sia Hamas che Israele, denunciando crimini strutturali contro i palestinesi, proponendo misure concrete contro chi compie violazioni del diritto internazionale. Le sanzioni contro di lei rappresentano una minaccia alla legittimità della base giuridica dell’ONU sui diritti umani. Difendere il suo mandato significa difendere i principi fondamentali della giustizia globale: il diritto delle vittime a essere ascoltate, il ruolo di parte neutrale dell’ONU, e la libertà d’azione dei difensori dei diritti umani. Per firmare: https://www.change.org/p/appello-per-il-conferimento-delle-chiavi-della-citt%C3%A0-di-firenze-a-francesca-albanese?recruiter=511181504&recruited_by_id=dd9d4090-ec99-11e5-a5ad-e3da5536639e&utm_source=share_petition&utm_campaign=starter_onboarding_share_personal&utm_medium=copylink Redazione Toscana
Albanese: Gaza affronta la forma “più orribile” di genocidio mentre il mondo rimane in silenzio
Gaza. La Relatrice Speciale delle Nazioni Unite per i Diritti Umani nei Territori Palestinesi, Francesca Albanese, ha dichiarato che Israele sta commettendo un genocidio a Gaza “nella sua forma più orribile”. Parlando in un contesto di crescente preoccupazione internazionale, Albanese ha sottolineato che non può esserci pace in Medio Oriente senza giustizia e responsabilità, entrambe assenti mentre l’assalto contro Gaza prosegue. Anche il primo ministro australiano, Anthony Albanese, è intervenuto, definendo la situazione a Gaza un “disastro umanitario”. In una dichiarazione rilasciata venerdì, ha chiesto un’azione urgente per porre fine alle sofferenze della popolazione civile, affermando che “ogni sforzo deve essere compiuto per proteggere vite innocenti e porre fine alla fame”. Ha condannato il blocco in corso da parte di Israele, dichiarando: “Il fatto che Israele impedisca l’ingresso degli aiuti e uccida civili, compresi bambini in cerca di acqua e cibo, non può essere ignorato né giustificato”. Dal 7 ottobre 2023, Israele conduce una guerra di genocidio contro Gaza, con il sostegno degli Stati Uniti. Il conflitto ha provocato oltre 203.000 vittime palestinesi, tra morti e feriti, in gran parte donne e bambini. Più di 9.000 persone risultano ancora disperse, mentre una carestia mortale si sta diffondendo e centinaia di migliaia sono state costrette a fuggire dalle proprie case.
Le azioni di Israele possono essere interpretate solo come l’attuazione dell’intenzione dichiarata di rendere la Striscia di Gaza inabitabile per la popolazione palestinese. Credo che l’obiettivo fosse – ed è ancora – costringere la popolazione ad abbandonare completamente la Striscia o, considerando che non ha un posto dove andare, di debilitare l’enclave attraverso bombardamenti e gravi privazioni di viveri, acqua potabile, servizi igienici e assistenza medica, in modo da rendere impossibile ai palestinesi di Gaza mantenere o ricostituire la loro esistenza come gruppo. Omer Bartov, The New York Times, Stati Uniti 25.7.2025 La mia conclusione inevitabile è che Israele sta commettendo un genocidio contro il popolo palestinese. Sono cresciuto in una famiglia sionista, ho vissuto la prima metà della mia vita in Israele, ho prestato servizio nell’esercito israeliano come soldato e ufficiale e ho trascorso gran parte della mia carriera studiando e scrivendo sui crimini di guerra e sull’Olocausto, quindi è stata per me una conclusione dolorosa da raggiungere, a cui ho resistito il più a lungo possibile. Ma ho tenuto corsi sul genocidio per un quarto di secolo. So riconoscere un genocidio quando lo vedo. Questa non è solo la mia conclusione. Un numero crescente di esperti in studi sul genocidio e diritto internazionale ritiene che le azioni di Israele a Gaza si possano definire solo come genocidio. Lo sostengono Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite per la Cisgiordania e Gaza, e Amnesty international. Il Sudafrica ha presentato una denuncia per genocidio contro Israele alla Corte internazionale di giustizia. Il continuo rifiuto di questa definizione da parte di stati, organizzazioni internazionali, giuristi e accademici causerà un danno incalcolabile non solo alla popolazione di Gaza e di Israele, ma anche al sistema di diritto internazionale costruito sulla scia degli orrori dell’Olocausto, concepito per impedire che queste atrocità si ripetano. È una minaccia alle fondamenta stesse dell’ordine morale su cui tutti facciamo affidamento. Il crimine di genocidio è stato definito nel 1948 dalle Nazioni Unite come “l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale”. Nel determinare cosa costituisce un genocidio, quindi, dobbiamo sia individuare l’intenzione sia mostrare che viene messa in atto. Nel caso di Israele, questa intenzione è stata espressa pubblicamente da numerosi leader e funzionari pubblici. Ma l’intenzione può anche essere dedotta dal metodo delle operazioni sul campo, e questo metodo è diventato chiaro nel maggio 2024 – e poi sempre dei più – con la distruzione sistematica della Striscia di Gaza per mano delle forze armate israeliane.   Peacelink Telematica per la Pace
Il blocco navale come parte della “soluzione finale” su Gaza
1. Mentre l’imbarcazione Handala della Freedom Flotilla naviga in acque internazionali in direzione di Gaza, droni ne seguono il percorso e fanno temere un attacco simile a quello operato nel maggio scorso sulla nave umanitaria Conscience mentre si trovava al largo delle coste maltesi. A partire dal 2007 Israele ha imposto un blocco terrestre, aereo e navale sulla Striscia di Gaza, una punizione collettiva contro l’intera popolazione. Già nel 2010 Israele aveva colpito un’altra nave umanitaria che stava portando aiuti a Gaza, la Mavi Marmara, uccidendo dieci attivisti, lo stesso Stato che oggi colpisce impunemente ambulanze, operatori sanitari e giornalisti, e permette uccisioni mirate di donne e bambini, oltre a proseguire nella impunità, finora garantita dalla comunità internazionale, il genocidio della popolazione civile nella Striscia. Nel suo rapporto del 2025, “Lo stato dei diritti umani nel mondo”, Amnesty International ha descritto il 2024 come l’anno in cui il mondo è diventato spettatore passivo di un genocidio trasmesso in diretta streaming. Dal 2 marzo le forze israeliane hanno inoltre bloccato l’ingresso di aiuti umanitari a Gaza. E gli abitanti sono ora minacciati da una «carestia di massa». Lo scorso giugno, la marina militare israeliana ha bloccato in acque internazionali e dirottato la nave umanitaria Madleen, diretta alla Striscia di Gaza per portare cibo e beni di prima necessità arrestando il suo equipaggio. 2. Secondo il governo israeliano il blocco navale, dichiarato e notificato agli Stati confinanti, sarebbe una misura legittima prevista dal diritto internazionale, e questo permetterebbe l’intercettazione di qualsiasi imbarcazione anche in acque internazionali, e l’arresto del suo equipaggio. In realtà il diritto internazionale permette la libera navigazione in acque internazionali, salvo il caso nel quale si ravvisino potenziali attività terroristiche, ed il diritto di transito inoffensivo nelle acque territoriali (12 miglia dalla costa), a meno che questo non comporti attività illegali, o rischi per la sicurezza dello Stato (art.19 Convenzione UNCLOS di Montego Bay). La giurisdizione israeliana non si estende alle acque internazionali, al di là della cd. zona contigua (24 miglia dalla costa), nel senso che è solo in quest’ambito spaziale che possono essere effettuati controlli, che comunque non possono tradursi in attacchi armati contro persone indifese e non possono comportare sequestri di persona o atti lesivi della libertà e della dignità. Il tentativo di portare aiuto a chi sta morendo per fame, dopo essere stato sottoposto a crudeli bombardamenti che hanno colpito sistematicamente ospedali e centri di distribuzione del cibo, non può ritenersi un comportamento “illegale” perchè contrario a disposizioni di legge o ad altri atti d’imperio provenienti dalle autorità israeliane, perche sono queste ultime autorità che operano da tempo al di fuori dei limiti della propria sovranità e contro la legalità internazionale, come sottolineato in diverse occasioni dalla Relatrice speciale ONU per i Territori palestinesi occupati Francesca Albanese che ha pure denunciato la complicità dell’Italia. Le acque territoriali della Striscia di Gaza sono acque che non dovrebbero neppure ricadere nella giurisdizione israeliana, in quanto costituiscono parte di uno Stato riconosciuto da molti paesi e oggetto da anni di occupazione militare, condannata da una serie di Risoluzioni delle Nazioni Unite, l’ultima con l’astensione dell’Italia. 3. Nel 2024 la Corte internazionale di giustizia ha dichiarato illegale la presenza di Israele nei territori palestinesi occupati. A novembre dello stesso anno, una Commissione speciale delle Nazioni Unite ha pubblicato un rapporto che ha documentato bombardamenti indiscriminati sui civili e l’uso sistematico della fame come arma di guerra. La natura illegale dell’occupazione della Striscia di Gaza, esaltata dall’ultima operazione “I carri di Gideon”, priva di qualsiasi legittimità i divieti di ingresso nelle acque territoriali della Striscia che Israele controlla soltanto in virtù dell’uso arbitrario della forza militare in violazione del diritto internazionale. Appare ormai evidente come il blocco navale imposto per impedire l’arrivo di aiuti umanitari alla popolazione civile di Gaza risulti in contrasto con la legalità internazionale. Gli ordini impartiti dalle autorità israeliane, che non permettono alle navi della Freedom Flotilla di avvicinarsi alle coste della Striscia per sbarcare i loro aiuti, non possono dunque considerarsi ordini legittimi. 4. Le navi della Freedom Flotilla trasportano aiuti per una popolazione sottoposta ad un vero e proprio genocidio per fame, non certo armi o altro tipo di materiale militare, ed il loro blocco sembra corrispondere alla “soluzione finale” che il governo israeliano sta praticando con l’operazione “I Carri di Gideon”, con l’obiettivo ormai dichiarato di eliminare la popolazione palestinese ancora presente nella striscia, deportarne una parte, e creare grandi campi di concentramento nei quali rinchiudere tutti coloro che si opporranno alla deportazione. Un progetto di pulizia etnica, esteso anche alla Cisgiordania, reso possibile dalla copertura militare e politica garantita dagli Stati Uniti di Trump, dalle divisioni e dalle complicità dell’Unione europea, dalla sostanziale indifferenza di molti paesi arabi. Al di là di qualunque ipotesi di blocco navale della Strscia di Gaza per ragioni difensive e di sicurezza, nessuna norma di diritto internazionale autorizza attacchi a navi in libera navigazione in acque internazionali, cariche di aiuti umanitari per la popolazione civile. Le norme di diritto internazionale vanno rispettate anche in tempo di guerra, in base a quanto previsto dal diritto umanitario. 5. Sono tempi in cui le alleanze tra le grandi potenze sono state strette all’insegna della negazione del diritto internazionale, ma è ancora possibile, anzi doveroso, operare nel rispetto della normativa convenzionale che garantisce la sicurezza della navigazione ed il diritto di portare soccorsi, come stabilito dalle Convenzioni di Ginevra del 1949, base del diritto internazionale umanitario. La Prima e la Seconda Convenzione impegnano gli Stati a proteggere i feriti, i malati, i naufraghi indipendentemente dalla parte in cui combattono, e il personale medico, le ambulanze e gli ospedali. La Terza Convenzione regola il trattamento dei prigionieri di guerra. La Quarta Convenzione contiene norme a protezione dei civili in tempo di guerra. Nel 1977 sono stati approvati due Protocolli aggiuntivi, I e II che Israele non ha ratificato. Il Primo integra la Quarta Convenzione con regole più precise sulla condotte belliche, quali il divieto di attaccare persone e installazioni civili von la limitazione dei mezzi e dei metodi autorizzati. Il Secondo sviluppa l’art. 3, comune alle quattro Convenzioni, in merito alla protezione delle vittime dei conflitti armati non internazionali e si applica a tutti i conflitti armati. Ciascuna Parte contraente accorderà il libero passaggio per qualsiasi invio di medicamenti e di materiale sanitario, come pure per gli oggetti necessari alle funzioni religiose, destinati unicamente alla popolazione civile, anche se nemica. Essa autorizzerà pure il passaggio di qualunque invio di viveri indispensabili, di capi di vestiario e di ricostituenti riservati ai fanciulli d’età inferiore ai quindici anni, alle donne incinte o alle puerpere(art. 23). Le violazioni di queste norme sono da considerare come crimini di guerra. 6. Il 28 maggio 2024 Spagna, Irlanda e Norvegia hanno riconosciuto ufficialmente lo Stato di Palestina e anche il Presidente francese Macron ha recentemente dichiarato che la Francia riconoscerà lo Stato di Palestina. Occorre un riconoscimento immediato dello Stato di Palestina anche da parte dell’Italia, perchè questo atto formale dei governi europei potrebbe contribuire a rompere il blocco (non solo navale) imposto alla Striscia di Gaza che, malgrado l’occupazione militare, deve essere considerata ancora come una entità statale atonoma rispetto ad Israele. Su questo il governo italiano deve risposte immediate. 7. Già lo scorso anno la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia ha respinto nel mese di gennaio la richiesta di archiviazione di Israele, decidendo di procedere nella verifica delle accuse di genocidio mosse dal Sudafrica e da altri Stati contro Tel Aviv. A distanza di un anno la pratica sistematica del genocidio per fame, oltre che con i bombardamenti, è ormai conclamata. La Corte Penale internazionale sta proseguendo le sue attività di indagine nei confronti dei principali leader israeliani, dopo avere emesso mandati di arresto per il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il suo ex Ministro della difesa Yoav Gallant. Per la Corte dell’Aja, Netanyahu e Gallant avrebbero violato il diritto internazionale anche impedendo che aiuti umanitari giungessero alla popolazione della Striscia di Gaza. il 24 aprile 2025 la Camera d’appello della Corte penale internazionale ha stabilito che la questione della competenza giurisdizionale sui mandati di arresto contro il Primo ministro e l’ex Ministro della difesa israeliani doveva essere riesaminata. Il dossier è stato rinviato ai giudici della Prima camera preliminare per rivalutare la questione centrale: se la Corte penale internazionale abbia effettivamente giurisdizione sul caso, anche tenendo conto del fatto che Israele non ha firmato lo Statuto di Roma, base legale dell’attività della Corte. Con la decisione depositata il 16 luglio scorso, la Pre-Trial Chamber ha respinto il ricorso di Tel Aviv che chiedeva il ritiro del mandato di arresto nei confronti del Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e del Ministro della difesa Yoav Gallant e la sospensione delle indagini per i presunti crimini commessi in Palestina. Gli Stati aderenti al Trattato di Roma istitutivo della CPI rimangono così obbligati ad eseguire i mandati di arresto ordinati dalla Corte e rimane aperta la procedura per i gravi reati commessi dai vertici israeliani, anche attraverso le misure di blocco degli aiuti alla popolazione civile. La Corte Penale internazionale mantiene comunque la sua competenza ad indagare sui crimini contro l’umanità, anche quando questi crimini si rivolgano verso cittadini di Stati parte dello Statuto di Roma, dunque l’Italia, ovunque siano commessi. Le caratteristiche violente del possibile intervento delle forze armate israeliane a bordo delle navi della Freedom Flotilla, e la valenza di minaccia generalizzata verso chiunque si proponga di portare aiuti alla popolazione di Gaza, potrebbero persino integrare gli estremi del reato di terrorismo marittimo, o di terrorismo internazionale, se non della pirateria. Gli atti di “pirateria internazionale” possono essere realizzati da chi blocca con la violenza l’arrivo degli aiuti essenziali per la sopravvivenza, intercettando le navi umanitarie in acque internazionali, non da chi si espone direttamente con il proprio corpo per fare arrivare comunque medicine e alimenti per una popolazione continuamente esposta, oltre che ai bombardamenti, a continui ordini di evacuazione ed alla distruzione sistematica, dopo scuole ed ospedali, dei punti di distribuzione del cibo. Tutti gli atti del governo israeliano che si riverberano sulla morte per fame della popolazione di Gaza possono comunque rientrare nella definizione di crimini contro l’umanità. Sono quindi in contrasto con la legalità internazionale gli ordini di blocco delle navi civili che trasportano aiuti, non i tentativi di soccorrere una popolazione ormai stremata dai bombardamenti, dalla carenza di presidi sanitari e da una carestia dilagante. Per questa ragione qualunque attacco che sarà portato alle navi della Freedom Flotilla dovrà essere denunciato sia a livello nazionale, che agli organismi internazionali, ed in particolare alla Corte Penale internzionale, tanto da fare emergere come il blocco navale in acque internazionali non sia finalizzato a garantire la sicurezza di Israele, ma risulti invece diretto esclusivamente a realizzare quella che si profila come la “soluzione finale” su Gaza, con la eliminazione fisica del maggior numero possibile di palestinesi, l’occupazione militare della striscia, e la deportazione in grandi campi di concentramento dei sopravvissuti. Fulvio Vassallo Paleologo
Avvocati e giuristi contro Maurizio Molinari, “giornalista”, per le parole spese contro Francesca Albanese
Abbiamo assistito, con crescenti sconcerto ed indignazione, a un’intervista rilasciata dall’ex direttore di Repubblica Maurizio Molinari, che attacca la relatrice speciale sui diritti umani nei Territori palestinesi occupati, Francesca Albanese, con argomentazioni di stampo nettamente diffamatorio, quali il preteso finanziamento da parte di Hamas, il presunto “antisemitismo”, accusa oramai mossa […] L'articolo Avvocati e giuristi contro Maurizio Molinari, “giornalista”, per le parole spese contro Francesca Albanese su Contropiano.
BOGOTA’: Vertice dell’Gruppo dell’Aia contro il genocidio in Palestina
Più di trenta paesi si sono riuniti a Bogotà il 15 e il 16 luglio per la Conferenza d’Emergenza convocata dal Gruppo dell’Aia, nato a gennaio 2025, con l’obiettivo di fermare il genocidio in corso a Gaza. la conferenza co-presieduta da Colombia e Subafrica ha avuto inizio in una piazza germita di persone con il […]
Gruppo dell’Aja a Bogotà. 12 paesi contro Israele e Petro contro la NATO
Al vertice del Gruppo dell’Aja tenutosi dal 15 al 16 luglio a Bogotà, in Colombia, 12 paesi hanno deciso di implementare misure molto nette contro il genocidio del popolo palestinese, per tagliare ogni legame con Israele e per sostenere l’azione legale per rendere finalmente i sionisti responsabili dei propri crimini. […] L'articolo Gruppo dell’Aja a Bogotà. 12 paesi contro Israele e Petro contro la NATO su Contropiano.
Gruppo dell’Aja: “L’era dell’impunità per Israele è finita”
Embargo sulle armi, stop agli appalti pubblici collegati a progetti illegali nei Territori Palestinesi Occupati e pieno rispetto delle decisioni dei tribunali internazionali: queste le misure diplomatiche, legali ed economiche coordinate che dodici Paesi si impegnano ad applicare “con effetto immediato” per “frenare l’attacco israeliano ai Territori Palestinesi Occupati”. L’annuncio è giunto al termine di due giornate di lavori a Bogotà, dove una coalizione di 32 Paesi denominata The Hague Group (Gruppo dell’Aja), co-presieduta da Sudafrica e Colombia, ha stabilito all’unanimità che “l’era dell’impunità per Israele è finita”. Nella dichiarazione congiunta, l’adozione delle sei misure coordinate viene definita “l’azione multilaterale più ambiziosa dall’inizio del genocidio di Gaza, 21 mesi fa”, mirante ad “andare oltre le parole di condanna e intraprendere un’azione collettiva fondata sul diritto internazionale”. Leggi tutto:  Clicca! “Questi 12 Stati hanno compiuto un passo epocale”, ha dichiarato Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati. “Il tempo stringe affinché gli Stati – dall’Europa al mondo arabo e oltre – si uniscano a loro”. Clicca per guardare il video dell’inaugurazione della conferenza il 15 luglio.   ANBAMED
Il diritto e la giustizia, internazionali
Il diritto internazionale è sempre stato una terra ambigua, non a caso s’è sempre portato dietro una discussione secolare sulla sua stessa esistenza. Predica l’eguaglianza strutturale e formale degli stati e poi ne legittima in mille modi la gerarchia tra egemoni e canaglie. Mira alla repubblica mondiale contro la sovranità […] L'articolo Il diritto e la giustizia, internazionali su Contropiano.