Europa di guerra: prossimo summit NATO deciderà aumento spese militari al 5% del PIL?«Immaginare nuovi paradigmi d’azione. Il mondo in cui ci troviamo a operare è
segnato da un conflitto sempre più marcato tra democrazia e autarchia, dove i
regimi autoritari sembrano guadagnare efficienza, mentre le democrazie si
confrontano con la necessità di mantenere l’efficienza decisionale senza
compromettere i principi democratici. L’evoluzione della società richiede che la
Difesa non solo si adatti ai cambiamenti, ma che diventi un agente di
trasformazione, migliorando continuamente le proprie strutture, la formazione e
le capacità decisionali. Questo implica una valorizzazione delle diversità, una
promozione della meritocrazia e un adattamento a tempi in cui la rapidità di
azione e la capacità di visione globale sono essenziali. Una Difesa italiana
rinnovata, più agile ed efficace. In effetti la Difesa italiana ha avviato un
processo di trasformazione profonda per garantire uno Strumento moderno, sempre
più interforze, capace di rispondere alle sfide globali in modo credibile e
sinergico. Questo rinnovamento, che si fonda su un equilibrio tra la quantità e
la qualità delle risorse militari, richiede uno sviluppo continuo delle capacità
esistenti, il quale a sua volta necessita di investimenti sostenibili nel lungo
periodo, in un contesto di stabilità e certezza finanziaria». Programma di
Comunicazione MD 2025
Non importa come trovino i soldi, è di vitale importanza che li abbiano a
disposizione anche a costo di poderosi tagli al sociale.
Non sono queste le dichiarazioni virgolettate del Segretario generale NATO Mark
Rutte, ma il suo messaggio, in vista del Summit NATOdel 24 e 25 giugno in
Olanda, è fin troppo esplicito: entro 5 anni la UE potrebbe essere attaccata
dalla Russia e per questo la spesa militare dovrà essere velocemente accresciuta
fino al 5% del PIL suddiviso tra investimenti militari (3,5%) e sicurezza
(1,5%). Spingere l’asticella in alto non significa ottenere queste percentuali,
del resto già nel 2014 parlavano del 2 per cento del PIL per la spesa militare;
tuttavia, le continue pressioni accelerano la tendenza al riarmo e alla guerra e
spingono ogni paese ad aumentare la capacità di spesa e di investimento nel
settore militare.
Poi i paesi si accorderanno su come spendere queste risorse economiche intanto è
preferibile liberare il campo da un equivoco: gli USA non vogliono aspettare
troppo tempo prima che la UE e gli altri paesi aderenti alla NATO aumentino le
spese militari investendo risorse nel cyberwarfare, nelle infrastrutture, per
accrescere gli organici delle forze armate inclusi dei riservisti sul modello
israeliano.
Fin qui nulla di nuovo, siamo davanti a scenari già visti, gli USA vogliono
spendere meno per la NATO e investire, sempre in ambito militare, nell’area Indo
Pacifica in funzione anticinese, per farlo hanno bisogno che la spesa militare
sia comunque non inferiore al 3% del PIL e nell’arco di pochi anni arrivi al 5%.
Qualche segnale preoccupante per l’immediato futuro arriva dalla definizione
della NATO come “un’alleanza più forte, più equa e più letale”.
Il summit di fine giugno potrebbe essere l’occasione propizia per costruire una
nuova Alleanza Atlantica, nel frattempo prosegue la più grande mobilitazione
economica e militare dalla guerra fredda ad oggi. E il Riarmo viene banalizzato
non collegandolo ai cambiamenti dell’economia, ai nuovi processi speculativi in
campo finanziario, ai cambiamenti che interverranno nei bilanci di spesa
nazionali e comunitari. Una lettura parziale e fin troppo angusta che impedisce
di cogliere tutti i processi economici, sociali, finanziari, fiscali che
comporterà l’aumento della spesa militare.
Nel Regno Unito il governo laburista si impegna a portare il prossimo anno la
spesa al 2,5%, hanno da poco presentato il loro Libro Bianco della difesa
ribattezzato Strategic Defence Review, che stanzia 15 miliardi di sterline per
testate tattiche nucleari, 1,5 miliardi di sterline per sei nuove fabbriche di
munizioni, 6 miliardi di sterline destinate a missili a lungo raggio, 1 miliardo
per la guerra Cibernetica.
In Italia siamo lontani dal 5%, vetta irraggiungibile a detta del Governo,
ragione per cui arrivare in un triennio al 2,5% del Pil per spesa militare
sarebbe un risultato apprezzabile con l’aggiunta al budget attuale di 23
miliardi di euro e l’approvazione dell’Ue della norma che scorporerà le spese
militari dal Patto di Stabilità. L’Italia lavora per rivedere le norme fiscali
Ue, il timore del Governo Meloni è legato al giudizio di Bruxelles che vigila
sui nostri conti; quindi, le preoccupazioni riguardano gli accordi con la Unione
Europea e non la sostenibilità sociale della spesa militare in aumento. Per chi
invoca il 5% ricordiamo che passeremmo da 32 miliardi a oltre 100 e si tratta di
una spesa che un paese come il nostro potrebbe sostenere solo con decine di
migliaia di licenziamenti nella PA, distruzione del welfare, chiusure di
ospedali e scuole e una devastazione sociale politicamente insostenibile.
Chiudiamo con la Germania, l’obiettivo del 5% entro fine mandato significa 215
miliardi di euro l’anno e il Parlamento tedesco intanto ha esentato dal rispetto
delle regole di bilancio ogni spesa riconducibile al militare iniziando la
riconversione a fini di guerra di piccoli settori della sua economia (indotto
meccanico)
I venti di guerra soffiano anche sul territorio iberico e il Governo ha già
annunciato di arrivare al 2% del PIL entro il 2029, il massimo della spesa
sostenibile dalla Spagna. Ben altre invece sono le dichiarazioni francesi, il
presidente Macron da sempre è alfiere della spesa militare ma la crisi economica
è tale da indurre a maggiore prudenza per cui il piano di riarmo è diluito nel
prossimo decennio con una spesa annuale di 100 miliardi entro 2030.
Abbiamo aperto l’articolo citando un documento ufficiale della Difesa italiana
sulle strategie comunicative da seguire, sarà il caso di riservare grande
attenzione a questo aspetto da cui passeranno anche le banali e semplici
giustificazioni per accrescere la spesa militare con argomentazioni di vario
genere prima tra tutte l’idea che ogni euro alla difesa sia un investimento per
la nostra sicurezza. E proprio sulla nozione di sicurezza si gioca una opera di
costante martellamento mediatico per arrivare all’obiettivo finale:
militarizzare la società e ogni suo ambito e costruire le condizioni migliori
per rendere ineluttabile il ricorso alla guerra.
Federico Giusti, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle
università