“Per un comunismo della cura”. A Milano incontro con Gian Andrea Franchi
Per i lettori di Pressenza il nome di Gian Andrea Franchi, da dieci anni in
prima linea con Lorena Fornasir nell’accoglienza dei migranti che approdano dopo
inenarrabili sofferenze lun go la rotta balcanica nella Piazza del Mondo di
Trieste, suonerà sicuramente familiare. Parecchi gli articoli che salteranno
fuori dai nostri archivi digitando il suo nome, in particolare quelli (febbraio
2021) che denunciavano l’incredibile accusa di ‘favoreggiamento
dell’immigrazione clandestina’, per aver ospitato una famiglia curdo-iraniana un
paio d’anni prima. Indagine poi archiviata, ma che in quei mesi (si era nel
dentro&fuori dalla pandemia) riempì di indignazione i tanti che da anni
seguivano questa coppia di attivisti non più giovanissimi, nella loro
instancabile, quotidiana, mirabile professione di cura, a cominciare dalle parti
più martoriate di quei corpi in transito: i piedi. Piedi ridotti a zeppe di
bolle e piaghe, chiusi dentro scarpe senza neppure i lacci, per non dire tutto
il resto: l’esperienza dei respingimenti, il terrore accumulato in mesi o anni
di viaggio, la realtà del trauma dentro gli occhi.
In risposta a quell’accusa, Gian Andrea si limitò alle seguenti righe:
“Rivendico il carattere politico, e non umanitario, del mio impegno con i
migranti. Impegno umanitario è un impegno che si limita a lenire la sofferenza
senza tentare d’intervenire sulle cause che la producono. Impegno politico,
nell’attuale situazione storica, è prima di tutto resistenza nei confronti di
un’organizzazione della vita sociale basata sullo sfruttamento degli uomini e
della natura, portato al limite della devastazione (come la pandemia ci ha
dimostrato). È inoltre tentativo di costruire punti di socialità solidale che
possano costantemente allargarsi e approfondirsi.”
Parole che da sole basterebbero a sintetizzare i contenuti e le intenzioni di
questo bel libro, che per l’appunto si intitola Per un comunismo della cura
recentemente pubblicato da DeriveApprodi, che Gian Andrea Franchi sta
presentando ovunque si presenti l’occasione – e l’occasione per Milano è stata
qualche giorno fa alla Libreria delle Donne, con la conduzione di Silvia
Marastoni.
Incontro emozionante, anche grazie all’intervento di apertura di Lorena
Fornasir, che non potendo essere presente di persona ci ha regalato una decina
di minuti in diretta dalla “sua” Piazza del Mondo, con i ragazzi che arrivavano
alla spicciolata… e quel monumento che per anni era stato il naturale punto
d’incontro al centro della Piazza, ormai transennato da tutti i lati… e il
vecchio porto austriaco in lontananza che per anni era stato il miserrimo
rifugio per tanti, non più agibile, tombato pure quello d’ordinanza.
“In questa piazza approdano i figli dei figli del nostro colonialismo, delle
nostre guerre umanitarie, i disastri che produciamo esportando guerra anche
quando la chiamiamo pace” ci ha detto Lorena con l’urgenza imposta da quello che
per lei era un momento di lavoro. “Percorsi di dolore di cui siamo testimoni da
quando, nel 2015, abbiamo cominciato questa pratica di cura a Pordenone. Da
allora a oggi il cambiamento è stato solo in peggio per la ferocia che si è
compiuta su queste persone, che si presentano con i loro corpi torturati,
seviziati dalle polizie ai vari confini (…) Ciononostante noi qui siamo, perché
riteniamo che non sia possibile voltare la faccia dall’altra parte, perché come
diceva Max Frish pensiamo che il ‘silenzio delle pantofole sia molto più
pericoloso del rumore degli stivali’ e questo ci sostiene nella nostra
resistenza quotidiana, contro queste politiche di morte, in cui la vita umana
non vale più nulla. (…)
Una sera è arrivato alla nostra ‘panchina della cura’ un uomo che avrà avuto 30
anni ma ne dimostrava il doppio, tanto il suo corpo era devastato, ed è stato
difficile per me intervenire su quelle ferite che non riesco nemmeno a
descrivere; non osavo incrociare il suo sguardo e quando alla fine l’ho fatto ho
capito che ciò che non osavo guardare era il mio stesso trauma, sapendo che a
100 km da qui nella bellissima Croazia (vi invito a boicottare la Croazia), ci
sono ragazzi che muoiono annegati. I morti di cui non si saprà mai nulla e di
cui noi ricamiamo i nomi su questo ‘lenzuolo della memoria’: sono soprattutto i
ragazzi migranti che li ricamano…”. E sul primo piano dei nomi ricamati in rosso
sul bianco del lenzuolo, Lorena si scusa ma deve proprio andare: “Stanno
arrivando sempre più persone, la Piazza mi chiama…”
Il microfono può quindi passare a Gian Andrea, che a 89 anni ha ancora l’energia
dell’attivista che in effetti è sempre stato. Ex professore di liceo in città
diverse, ricorda con particolare entusiasmo quegli anni “a cavallo tra i 60 e
70, aperti alla speranza, in cui ci si sentiva parte di un movimento, di lotte,
di tentativi di costruzione di forme nuove di vivere insieme… Fu in quell’epoca
che decisi di entrare nel PCI e ne uscii dopo tre anni, deluso nell’assistere
alla ritirata del Partito di fronte a quella che a me sembrava una fioritura,
con le scuole occupate, gli studenti che si ponevano e ci ponevano delle
domande, richieste di presenza, partecipazione, senso della vita… le stesse che
si ponevano gli operai in sciopero nelle fabbriche, che senso aveva passare
tutta la vita a una catena di montaggio… erano domande anche filosofiche, che
finalmente circolavano a livello di massa. Poi nel 1969 c’è stata la strage di
Piazza Fontana, ed è stato il segnale che il potere avrebbe reagito con
inimmaginabile ferocia. E poi c’è stata l’involuzione, la lotta armata, ne ho
conosciuti parecchi che si sono persi in quei percorsi.
Io mi sono chiesto perché è finita così e una delle risposte che mi sono data è
che lottare, in un certo senso, è più facile che costruire. Noi abbiamo lottato,
ma non siamo stati capaci di costruire qualcosa che durasse veramente, come anni
dopo ci avrebbe insegnato il movimento zapatista: per lottare bisognava avere
qualcosa in grado di durare, altrimenti rimane solo la lotta, in cui è
l’avversario che decide anche per te, e tu ti definisci in rapporto
all’avversario, rispondi ai suoi attacchi o schemi. (…) E quindi appunto in
questo libro ho cercato non solo di spiegarmi la complessità di ciò che è
successo, ma anche di inquadrare il fenomeno della migrazione nella sua realtà:
sia in prospettiva, perché secondo i calcoli dell’IOM (International
Organization for Migration, che fa parte dell’ONU) i migranti potrebbero essere
un miliardo e mezzo entro vent’anni, e addirittura quattro miliardi entro la
fine del secolo, sia come opportunità, per un cambio di rotta quanto mai
necessario.
E quindi ecco il riferimento al comunismo, nel suo significato più fondamentale,
come ‘messa in comune della cura’, creazione di nuove forme di comunità,
antidoto alla malattia mortale delle nostre società che è l’individualismo, in
cui ognuno guarda solo alla propria cerchia, famiglia, territorio. Essendo
andato a sbattere contro questo fenomeno migratorio, ho capito che in questo
confronto con situazioni estreme poteva esserci una chiamata a cui rispondere:
non solo per cercare di aiutare loro nei loro bisogni e aspirazioni, ma come
indicazione di futuro per tutti noi. Perché come non capire che il motivo
fondamentale di questi flussi migratori è un problema che ci riguarda tutti come
esseri viventi, ovvero l’alterazione degli equilibri biologici che regolano il
pianeta terra, la vita stessa? Come non capire che questi giovani che arrivano
soprattutto dall’Asia del sud, ma anche dall’Africa, sono solo un’anticipazione
di un fenomeno ben più grande che molto presto riguarderà i nostri figli e
nipoti?
E allora cerchiamo di ripartire appunto dal cuore, ovvero dalla Piazza del
Mondo, dall’accoglienza di queste persone, dalla fecondità degli incontri e
riunioni, dal ritrovarsi nella soluzione delle esigenze più fondamentali e
vitali, nella sperimentazione di resistenze creative. Per costruire dal basso
qualcosa che abbia senso, a partire da quel concetto di Disperata speranza del
giovane filosofo ebreo Carlo Michelstaedter, su cui ho scritto la mia tesi di
laurea e continuato a lavorare per il resto della mia vita.
Gian Andrea Franchi, Per un comunismo della cura, Ed DeriveApprodi 2025, 172
pag. € 18
Daniela Bezzi