Repubblica Democratica del Congo, una questione dimenticata: un incontro coinvolgente a Cardano al Campo (Varese)
Al termine della Congo Week, promossa dall’organizzazione Friends of the Congo –
FOTC ogni anno in tutto il mondo, anche in provincia di Varese è stata tenuta
una serata divulgativa per informare e sensibilizzare in merito alla difficile
situazione della Repubblica Democratica del Congo.
Nella serata di domenica 26 ottobre, presso il Circolo Quarto Stato di Cardano
al Campo, la giornalista indipendente Chiara Pedrocchi ha intervistato Evelyne
Sukali, attivista e mediatrice culturale congolese, la dottoressa Rachele
Ossola, ricercatrice e chimico ambientale di Source International e Salvatore
Attanasio, padre dell’ambasciatore Luca Attanasio.
Il circolo era pieno di gente, tra cui molti attivisti del “Collettivo da Varese
a Gaza”; il racconto dei tre ospiti è stato molto forte e ha portato delle
testimonianze su una realtà complessa.
Chiara Pedrocchi ha fatto una breve introduzione e dato informazioni di contesto
per inquadrare la questione. Il Congo, in Africa centrale, è un Paese con una
superficie grande come un terzo dell’Europa e con una popolazione di circa 81
milioni di abitanti con un’età media molto bassa, intorno ai 16 anni. La
capitale Kinshasa ha circa 17 milioni di abitanti. Dal 1960 è una Repubblica
democratica sulla carta, ma in realtà viene gestita ancora come una colonia, a
causa dei tanti interessi economici che Europa, Stati Uniti e Cina hanno in
quella terra.
In tutto il Congo le miniere sotterranee e a cielo aperto sono ricchissime di
materie prime come il rame, l’oro, l’uranio e il cobalto, il minerale utilizzato
per la produzione di numerosi dispositivi elettronici e delle batterie al litio
per alimentare le automobili e le biciclette elettriche che servono per la
transizione energetica dei Paesi ricchi del mondo. Nella sola Kolwezi la
totalità degli abitanti lavora, sfruttata e in condizioni durissime, per
l’estrazione del cobalto.
Il primo intervento è stato quello di Evelyne Sukali, una giovane donna
congolese, divulgatrice e mediatrice culturale. Partita dal suo villaggio in
Congo, è arrivata in Italia nel 2011 insieme a un gruppo di persone in cerca di
un’opportunità di lavoro nel commercio. Il suo contatto Instagram, per chi
volesse seguirla, è https://www.instagram.com/evelynesukali87/
Il suo viaggio per arrivare a Lampedusa è durato 18 mesi ed è stato
difficilissimo. Il racconto molto crudo di ciò che ha visto e vissuto ha
lasciato il pubblico in un silenzio commosso. Ha parlato di strade inesistenti,
mezzi di trasporto di fortuna e pericolosi come chiatte usate per il traposto
del legname per attraversare un fiume, di serpenti e coccodrilli, di fame e di
sete nel deserto, di forze allo stremo, di uomini armati, di guerra, di uomini e
donne uccisi e brutalizzati. Tutto questo è stato affrontato con l’incertezza di
quello che sarebbe successo dopo, con la paura di non farcela, con la caparbietà
dello spirito di sopravvivenza. Infine, dopo il viaggio anche attraverso la
Libia di Gheddafi, si sono imbarcati verso l’Italia dopo lo scoppio delle
primavere arabe. Il viaggio in mare è durato due giorni e dopo aver perso i
sensi, al risveglio in un ospedale di Lampedusa, circondata da uomini bianchi,
la prima cosa che ha chiesto Evelyne è stata: “Sono viva?”
Importante il messaggio lasciato dalla donna a chi ascoltava: all’inizio, quando
le domandavano della sua storia, reagiva con rabbia perché la gente non
comprendeva realmente ciò che aveva vissuto. Poi, anche grazie a un percorso di
supporto psicologico, ha capito di dover incanalare la sua rabbia per fare
informazione e così è diventata divulgatrice e intermediatrice culturale.
Il secondo intervento è stato quello di Rachele Ossola, appena rientrata da un
viaggio in Congo con l’associazione Source International, una Ong che lavora in
tutto il mondo con le comunità che si trovano ad affrontare problemi di
inquinamento ambientale e di salute, causati principalmente dalle industrie
estrattive.
Insieme ad altre associazioni presenti sul territorio, Source International si
occupa di analizzare campioni di acqua, di terra e di aria, fornendo assistenza
scientifica a supporto delle comunità locali, che possono così cercare di
tutelare le proprie risorse e la propria salute.
Rachele Ossola ha raccontato del suo recente viaggio a Kolwezi, detta la
capitale del cobalto, perché fornisce la materia prima per circa il 70% del
fabbisogno mondiale. Ha descritto cumuli di terra rossa, materiale di scarto
delle miniere che vengono depositati nei pressi e creano un paesaggio
particolare, che ricorda il Gran Canyon al contrario. In queste zone operano le
grandi industrie estrattive e piccoli artigiani che cercano di recuperare dal
materiale di scarto altro materiale da vendere.
L’aria circostante è carica di particolato atmosferico che causa problemi
respiratori e infiammatori. Il team di ricerca ha fatto diversi rilievi e ha
portato in Italia i campioni per le analisi; saranno pronti tra un paio di mesi,
ma già dai primi rilievi è stato evidenziato come i filtri utilizzati per la
campionatura dell’aria fossero neri, pertanto molto carichi di particolato
atmosferico. La campionatura dell’acqua dei pozzi a uso domestico, poi, aveva un
ph intorno al 3.5, quindi molto acido; l’Organizzazione Mondiale della Sanità
stabilisce che il giusto ph dell’acqua potabile dovrebbe essere compreso tra il
6.8 e l’8.5. Donne e bambini sono coloro che stanno più a contatto con l’acqua e
ne pagano maggiormente le conseguenze.
L’ultimo intervento è stato quello di Salvatore Attanasio, padre
dell’ambasciatore italiano in Congo Luca Attanasio, ucciso in un agguato il 22
febbraio 2021, che ha portato la sua testimonianza in merito al lavoro svolto
dal figlio in Congo e alle circostanze della sua morte, al momento non ancora
del tutto chiarite.
Nominato ambasciatore italiano in Congo nel 2017, Luca Attanasio aveva in
precedenza lavorato in Marocco e Nigeria per sette anni; arrivato in Congo, si
rese subito conto della situazione disastrosa delle comunità locali. Insieme
alla moglie Zakia Seddiki Attanasio nel 2017 fondò l’associazione Mama Sofia a
supporto dell’educazione e della formazione dei bambini e giovani in difficoltà
e collaborò con il Premio Nobel per la Pace 2018, il Dott. Mukwege (ginecologo),
che aveva fondato nel 1998 a Bukavu il Panzi Hospital per la cura delle donne
vittime di atroci stupri.
Attanasio era sempre in prima linea per aiutare sia gli italiani che vivevano in
Congo che le comunità locali. Poi, il 22 febbraio 2021, a 25 Km da Goma, in un
viaggio per una missione umanitaria su invito delle Nazioni Unite, fu ucciso
insieme al carabiniere Vittorio Iacovacci e all’autista congolese Mustapha
Milambo. Le indagini portarono all’arresto di sei congolesi, di cui cinque
stanno scontando la pena dell’ergastolo, ma secondo il padre non vennero
condotte in modo chiaro e trasparente. Il processo in Congo si svolse in un
tribunale di fortuna, mentre in Italia non è ancora terminato. La famiglia non è
stata supportata dalle istituzioni, tanto che il governo italiano non si è
neanche costituito parte civile, il che avrebbe agevolato la ricerca della
verità.
A seguito della morte di Luca Attanasio, è nata l’associazione Amici di Luca
Attanasio per far conoscere la sua figura e sensibilizzare i giovani sui temi
della pace, dell’uguaglianza e della legalità.
Il racconto del padre di Luca è stato molto commovente e dimostra come il dolore
per la perdita di un figlio possa trasformarsi in una testimonianza di pace e di
ricerca di giustizia e verità.
Al termine della serata restano le domande: che fine ha fatto il Diritto
Internazionale e cosa possiamo fare noi per rendere più giusto questo mondo? Le
risposte sono sempre le medesime: informarsi, divulgare, sensibilizzare. Dove le
istituzioni sono assenti, chi non vuole essere complice del lassismo e delle
ingiustizie può unirsi, collaborare e prendere coscienza.
Foto di Michele Testoni
Monica Perri