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Stop all’escalation militare in Iran e alla “seduzione della guerra”
“Se non state attenti, i media vi faranno odiare le persone che vengono oppresse e amare quelle che opprimono” – diceva il grande Malcolm X. Mai come oggi dobbiamo stare attenti! Come ci insegnerebbe Otto Von Bismarck, con l’attuale escalation militare israeliana anche in Iran, è ripartita la macchina del “disgusto”. I media mainstream con un linguaggio ad hoc, ci stanno mostrando un Paese che merita di essere aiutato e l’altro che merita inevitabilmente di essere distrutto; un Paese che merita il nostro supporto e l’altro che merita la nostra avversione; un Paese “democratico” con un governo e un parlamento e un Paese con chierici islamici al potere; un Paese ebraico che si veste all’occidentale con la Kippa in testa ed un Paese islamico che si veste con la dishdasha e un turbante in testa; un Paese ebraico e l’altro “antisemita”; un Paese guidato da un Presidente e un altro guidato da un “dittatore”; un Paese che moralmente dobbiamo amare e un altro per cui dobbiamo moralmente provare disgusto. Questa è la polarizzazione che vorrebbe ancora, nuovamente, la nostra stampa occidentale. Israele come “unica democrazia nel Medioriente” e “baluardo occidentale delle libertà civili e democratiche in Medioriente”; e l’Iran come Paese teocratico, conservatore, fondamentalista, repressore delle donne, odiatore dell’Occidente democratico, nato dalla Rivoluzione Islamica dell’ayatollah Khomeini nel 1979 per porre fine alla modernizzazione e al benessere che stava portando avanti lo Scià di Persia. Questa è la polarizzazione che si vuol far passare: uno che rappresenterebbe il “bene” e l’altro il “male”. A tal proposito mi vengono alla mente le parole di Tiziano Terzani che – nel suo articolo pubblicato il 16 settembre 2001, dopo i fatti dell’11 settembre, dal titolo “Quel giorno tra i seguaci di Bin Laden” – affermava la necessità di “capire le ragioni degli Altri”, ed ora lo ribadiva con grande chiarezza: “Se vogliamo capire il mondo  in cui siamo, lo dobbiamo vedere nel suo insieme e non solo dal nostro punto di vista”[1]. E più oltre: “Il  problema è che fino a quando penseremo di avere il monopolio del “Bene”, fino a che parleremo della nostra come la civiltà, ignorando le altre, non saremo sulla buona strada”. Al contrario, “solo se riusciremo a vedere l’universo come un tutt’uno in cui ogni parte riflette la totalità e in cui la grande bellezza sta nella sua diversità, cominceremo a capire chi siamo e dove siamo”[2]. I ventiquattro anni  che ci separano da queste parole, con le continue  guerre che si sono susseguite fino ad oggi, dai venti anni in Afghanistan, all’Iraq, al Libano, alla Siria, al conflitto russo-ucraino fino alla recente escalation militare israeliana[3] sul fronte palestinese, libanese, siriano ed iraniano, non possono che dare peso a questa visione. E’ l’iranofobia attualmente imperante in Occidente: una mentalità che parte dall’islamofobia e assimila tutto quel mondo ad un unicum incontrovertibile fatto di Islam, Medioriente, autoritarismo, repressione di genere e Sh’aria. Non è infatti un caso che quando l’opinione pubblica (specchio della narrazione mediatica dominante veicolata nei talkshow e nei telegiornali) si esprime sull’Iran conclude dicendo “loro sono così” sottintendendo “barbari, qualcosa meno di noi”, come se le società occidentali fossero esenti da elementi presenti sul suolo iraniano. Penso per esempio al sessismo, ai femminicidi (uccidere le donne per la colpa di essere donne), alle tv di regime, alla disinformazione. L’Iran, nella nostra opinione pubblica, diventa uno specchio della nostra ipocrisia: ci appelliamo a lui come se gli eventi che accadono sul suo suolo non accadano mai sul nostro, parlando sempre da un podio più alto e “civilizzato”. Questa è la vittoria della propaganda imperialista guerrafondaia, la stessa narrazione che è sempre piaciuta ai neoconservatori statunitensi (Repubblicani o Democratici che siano), i quali – per giustificare gli ultimi 80 anni di guerre in giro per il mondo dal puro sapore economico, tecnico e geopolitico – hanno voluto scomodare la democrazia e i diritti umani. E’ la retorica delle “guerre umanitarie” (Afghanistan, Iraq, Jugoslavia): se c’è un Paese considerato “barbaro” perchè non “esportare civilizzazione”, ovvero “diritti, libertà, democrazia” – con la presunzione tutta coloniale di pensare che sia il miglior sistema – anche a costo di sganciare qualche bomba ed affamare un popolo. Ma è veramente così? Davvero ci accontentiamo, nel 2025, di una banalizzazione del genere? E se fossero tutte false – o meglio falsate – le notizie che riceviamo sull’Iran filtrate bruscamente dalla nostra cultura occidentale? Sebbene siamo consapevoli delle evidenti differenze sociali, religiose, culturali e politiche che ci possono essere tra “loro” e “noi”, non possiamo pensare che sia la vulgata dell’ὄχλος (della “massa”) ad esprimere una narrazione dominante su questo tema. Non possiamo negare che la società iraniana è molto ben diversa da come viene raccontata e narrata dal mainstream e a spiegarlo molto chiaramente sono stati in questi anni la giornalista e direttrice di InfoPal Angela Lano, l’ex-ambasciatore italiano in Iran Alberto Bradanini e il professor Raffaele Mauriello, ricercatore presso la Facoltà di Letteratura Persiana e Lingue Straniere dell’Università Allameh Tabataba’i di Teheran. Ad oggi non c’è solo una matrice politica e geopolitica, ma anche un filtro culturale di cui siamo portatori che ci impedisce di interpretare seriamente ed obiettivamente la società iraniana. Ciò ci dovrebbe far riflettere su come il 90% delle affermazioni dei media mainstream occidentali sull’Iran siano fortemente mediate dalla nostra interpretazione, rischiando di dare un’immagine che non rispecchia ciò che gli iraniani e le iraniane vivono veramente. E se le notizie che riceviamo fossero bruscamente filtrate dalla lente geopolitica con cui guardiamo quel mondo? E se fossero vergognosamente anche manipolate da coloro che in Occidente, in quella terra intesa come “tanto barbara”, vedono i loro interessi imperialistici guidati da profitto e potere? Chi è del mestiere sa che la polarizzazione insensata e stereotipata è il tipico linguaggio di guerra della presstitute per far digerire al meglio, all’opinione pubblica, un eventuale e futuro allargamento del conflitto, giustificandolo poi come “necessario”. Ciò che vogliono fare è riuscire a far passare il messaggio che la “guerra è terribile e ripugnante”, ma è l’estremo rimedio difronte ad un nemico tanto temibile. Oggi questo lo vediamo con Israele che attacca – per l’ennesima volta in questi anni – deliberatamente l’Iran, violando palesemente la legalità internazionale e nessuna voce si alza in piedi scandalizzandosi. Piuttosto, le voci che gridano indignate si iniziano a sentire quando l’Iran risponde dopo aver subito l’attacco. Eppure, dietro a questo vergognoso e inqualificabile latrato melenso senza fine, c’è la realtà: quella che non viene mai raccontata dai media mainstream occidentali. L’Iran, quando ancora si chiamava Persia, è stato per decenni influenzato dalle politiche imperialiste prima della Gran Bretagna e poi degli Stati Uniti dopo la Seconda Guerra Mondiale. Lo scià di Persia Reza Pahlavi e poi il figlio Mohammad Reza permisero alle forze imperialiste occidentali di gestire le risorse persiane, in particolare quelle petrolifere, in modo deliberato a tal punto da portare il Paese a dipendere politicamente ed economicamente dagli Stati Uniti, generando un profondo divario tra le classi sociali. Le forze imperialiste, tramite lo Scià, rubavano le risorse del Paese ed avevano l’obiettivo di occidentalizzare forzatamente la società, aprendo le porte al consumismo di stampo americano. Ciò portò ad una forte reazione da parte del popolo. L’Imam Khomeini, fin dagli anni Quaranta – che piaccia o no a noi occidentali – conciliò le iniziative religiose con quelle politiche, denunciando le politiche imperialiste e filo-occidentali dello Scià. Gli Stati Uniti, appoggiando la polizia e l’esercito dello Scià, sopprimevano nel sangue qualunque tentativo di opposizione alle loro politiche e pianificarono, grazie alla CIA, colpi di Stato come quello del 1953 nominato Operazione Ajax: una missione promossa dai governi del Regno Unito e degli Stati Uniti per sovvertire il governo di Mohammad Mossadeq, il quale aveva da poco nazionalizzato l’industria petrolifera. Lo Scià tornò in Iran, il generale Zahidi divenne Primo Ministro e le forze imperialiste ripresero a saccheggiare le vaste risorse persiane. Nel periodo che va dal 1953 al 1963 l’ammontare di petrolio saccheggiato dalle compagnie europee ed americane fu maggiore di quello estratto e saccheggiato complessivamente dai britannici nei precedenti 50 anni. In breve tempo l’Iran si trasformò in una base militare per preservare gli interessi statunitensi nel Medio Oriente. Gli accordi economici, militari e politici per la protezione degli interessi illegittimi degli Stati Uniti venivano ratificati uno dopo l’altro dal regime sorto dal colpo di Stato di Zahidi. Tutto ciò ebbe fine il 16 gennaio 1979 quando una rivolta di popolo guidata da capo spirituale Khomeini induce Reza Pahlavi, monarca despota e sanguinario Scià di Persia, a scappa in elicottero e lasciare il Paese. Khomeini, in quell’anno, guida la Rivoluzione Islamica e denomina il Paese col nome Iran. Questa è la storia dell’Iran, un Paese che – ci piaccia o no – ha subito troppo dall’Occidente. Oggi l’Iran è il secondo Paese al mondo per riserve di gas accertate, è il quarto Paese al mondo per pubblicazioni scientifiche sulle nanotecnologie, è un Paese ricchissimo di minerali e, attraverso il suo Stretto di Hormuz, passa il 30% di tutto il petrolio via marittima. L’Iran è inoltre uno Stato fortemente unito nella determinazione di opporsi alle pressioni imperialiste e all’aggressività che gli vengono inflitte da Usa, UE e Israele, in difesa della propria sovranità. L’Iran è tra i paesi dove si applica la Sh’aria solo per questioni private (per esempio matrimonio, divorzio, eredità e custodia dei figli), mentre nei Paesi arabi “amici dell’Occidente” come Egitto, EAU e Arabia Saudita, la Sh’aria è applicata in pieno sia per questioni private sia per le procedure penali (eppure non sembra essere all’ordine del giorno dello scalpore mediatico). L’Iran è forse – che ci piaccia o no – lo Stato islamico che più di tutti ha combattuto contro il terrorismo islamico e le sue organizzazioni più strutturate come Al Qaeda, ISIS e i talebani afghani. Nonostante ciò in tutto l’Occidente ci viene rappresentato dalla maggioranza dei media mainstream e delle posizioni politiche come “Stato Canaglia”, “cuore dell’Asse del Male”, “centro del terrorismo internazionale”. In questi decenni si è trovato a dover subire sul proprio territorio varie forme d’aggressione istituzionali (le sanzioni USA), militari (i continui attacchi di USA e Israele) e terroristiche, come gli attentati dell’organizzazione Mujahedin e-Khalk (MEK), organizzazione terroristica manovrata dagli Usa e da Israele, oltre all’ingresso della droga afghana mirata a minare la società iraniana. Nonostante si abbia l’impressione che l’Iran sia assai isolato nel quadro della comunità internazionale, va tenuto presente che tale comunità si riduce alla comunità NATO, mentre l’Iran gode dell’appoggio di 120 Paesi del Movimento dei Non Allineati, mantenendo intensi rapporti materiali e politici con Paesi progressisti e antimperialisti come il Venezuela Bolivariano, Cuba rivoluzionaria, il Brasile di Lula, il Sudafrica, oltre che a godere di rapporti con Russia e Cina. L’Iran è un Paese che non ha alcun interesse strategico ad entrare in guerra perchè sa benissimo che rischierebbe troppo ed è proprio in un’ottica di deterrenza (come esattamente la Corea del Nord) che difende il diritto allo sviluppo del programma nucleare. Non si capisce come mai la comunità internazionale faccia così tanto fracasso per il nucleare iraniano quando Francia, Regno Unito, Russia, Stati Uniti e Cina possiedono armi nucleari da decenni. Non si capisce con quale ipocrisia oggi Israele afferma di bombardare l’Iran con la scusante che non deve produrre armi nucleari, mentre lui stesso possiede circa 90 testate e non ha mai consentito ad alcuna verifica del Trattato di Non-Proliferazione (TNP). I media occidentali in questi anni hanno dipinto l’Iran come una “dittatura” aggressiva sia con i suoi cittadini sia con l’Occidente, ma si sono dimenticati di raccontare le continue provocazione di USA e Israele che l’Iran ha subito praticamente senza mai (poter) rispondere sia per questioni legate a rapporti di forza geopolitici e militari sia per la paura di una ritorsione sproporzionata della comunità internazionale che non sarebbe stato in grado di affrontare. Ricordiamo che Israele in questi anni ha portato avanti diverse operazioni di intelligence per contrastare l’armamento nucleare iraniano, con campagne di sabotaggio, cyberattacchi contro le installazioni iraniane per l’arricchimento dell’uranio, e anche una serie di uccisioni di funzionari e scienziati nucleari che avrebbero potuto aiutare il Paese a dotarsi di tali armi. Dal 2007 al 2021, sono stati uccisi cinque scienziati, la maggior parte dei quali agiva sotto la direzione dello scienziato Mohsen Fakhrizadeh. La campagna di sabotaggio e di omicidi politici mirati israeliani, palesemente in contrasto con il diritto internazionale, si fermò nel 2012 quando cominciarono le trattative che portarono all’accordo sul nucleare del 2015, che stabiliva una serie di parametri sulla gestione del nucleare civile da parte dell’Iran che avrebbero reso più complicati i suoi eventuali piani di sviluppare un’arma nucleare. La campagna di sabotaggio riprese però durante la presidenza di Donald Trump, che annullò l’accordo sul nucleare civile nel 2018, prima uccidendo il generale dei Pasdaran Qassem Soleimani con un attentato terroristico mirato, e poi il fisico Mohsen Fakhrizadeh con un’ulteriore attentato terroristico. A queste azioni omicide seguirono anche l’omicidio politico del generale iraniano Sayyed Razi Mousavi in Siria, la strage di Kerman di cui non si sa ancora il mandante, l’attacco israeliano del 20 gennaio 2024 a Damasco dove persero la vita quattro militari iraniani e l’attacco israeliano dell’1 aprile 2014 all’ambasciata iraniana a Damasco dove persero la vita 18 diplomatici iraniani. Il fatto che in questi anni l’Iran sia stato per l’ennesima volta preso di mira da attentati militari e terroristici da parte di Israele, non è un buon segno. Affermava in una intervista Fulvio Grimaldi: “La mia esperienza di inviato speciale di guerra per 45 anni mi dice che, se una guerra viene minacciata ripetutamente, alla fine viene lanciata”. Ora con la presidenza di Donald Trump negli USA e il governo di Netanyahu questo risulta tutto molto più fattibile. Intanto, mentre Israele viola la legalità internazionale deliberatamente bombardando il suolo iraniano, Netanyahu afferma apertamente di non escludere l’uccisione diretta dell’Ayatollah Khamenei, guida suprema dell’Iran, e bombarda la tv di Stato iraniana. Nel frattempo Reza Pahlavi, figlio dello Scià di Persia, ospitato e sponsorizzato dal settimanale israeliano in  spagnolo “Aurora Israel”, invita alla ribellione popolare in Iran e chiede l’appoggio internazionale, affermando di essere pronto a governare l’Iran in un regime-change. Israele spera, sostiene e spinge nel ritorno della dinastia pro-Washington dello Scià di Persia quale alternativa all’attuale governo iraniano. https://www.aurora-israel.co. il/reza-pahlevi-llama-a-la-rebelion-popular-contra-el- regimen-irani-y-pide-apoyo-internacional/ La “seduzione della guerra” sembra non avere fine e in Italia la giornalista Cecilia Sala spera per la fine del regime teocratico sciita facendo un endorsement all’intervento militare USA: “L’obiettivo è abbattere il regime. Contro i siti nucleari servono le bombe Usa”. Nulla è meno necessario della guerra per i popoli, nulla è più importante degli “scemi di guerra” per giustificare la guerra, nulla è più necessario della guerra per i potenti.   Ulteriori informazioni: https://www.quotidiano.net/esteri/renato-sala-cecilia-padre-onh27b9c https://www.rivistamissioniconsolata.it/2015/12/04/1-iran-layatollah-e-il-presidente/ https://www.rivistamissioniconsolata.it/2015/12/04/4-iran-sullapelle-dellagente/?print=print https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-quel_colonialismo_cos_duro_a_morire__intervista_ad_angela_lano/5496_53717/ https://www.limesonline.com/limesplus/iran-la-repubblica-islamica-e-una-teocrazia-14655172/ https://www.la7.it/laria-che-tira/video/ginevra-bompiani-liran-e-una-teocrazia-come-israele-non-mi-piace-ne-luno-ne-laltro-ma-liran-non-e-16-06-2025-600703 Speciale-Iran-Israele-USA   [1] T.Terzani, Lettere contro la guerra, p. 29. [2] T.Terzani, Lettere contro la guerra, p. 31 e p.33.. [3] Operazione “Spade di Ferro” da parte dell’esercito israeliano che dal 7 ottobre sta implementando un genocidio verso la popolazione palestinese di Gaza (gazawi) Lorenzo Poli
Filosofi lungo l’Oglio, Enzo Bianchi: “Questo Occidente preso dall’individualismo si dimentica dell’altro ed è sedotto dalla guerra”
A dare inizio alla XX edizione del Festival Filosofi lungo l’Oglio, festival di filosofia itinerante diretto dalla filosofa levinassiana Francesca Nodari, è stato Enzo Bianchi, teologo ed esperto di mistica e spiritualità, esegeta di vaglia della Bibbia e autore di numerosi saggi di teologia e spiritualità. Una delle figure più autorevoli del monachesimo cristiano, Bianchi è universalmente noto come il fondatore della Comunità Monastica di Bose, di cui è stato priore fino al gennaio 2017. Nel 1983 ha fondato la casa editrice Oigajon ed ha insegnato Teologia biblica alla Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele. Dopo l’allontanamento dalla Comunità di Bose nel 2017, ha iniziato la ricerca di una struttura e nel 2021 ha lasciato Bose per trasferirsi a Torino, dando vita alla Casa della Madia, inaugurata il 9 settembre 2023: una nuova fraternità monastica di cui oggi è membro. Il 5 giugno 2025, Bianchi ha offerto al pubblico la prima riflessione sul tema «Esistere» – scelto per l’edizione del festival di quest’anno – con una lectio magistralis dal titolo «Vivere con gli altri, vivere per gli altri», tenutasi alle 21 alla Pieve di Sant’Andrea a Iseo (BS). Bianchi ha iniziato parlando dell’urgenza di proseguire cammini di umanizzazioni in un mondo dove vige la mancanza di fiducia nell’altro, in cui ci si tiene lontani dall’altro, in cui a volte siamo persino incapaci di abbracciarci, di stare vicini con il corpo. Ecco che si inserisce perfettamente il tema dell’ “Esistere” che non significa soltanto “essere, vivere”, ma anche “vivere tra le cose”, “vivere nella realtà”, “vivere tra gli altri”. Come ricordava Bianchi: “Lucrezio diceva che gli Dei non esistono perché non appartengono a questo mondo, non sono presenti tra di noi. Anche i fantasmi non esistono, mentre noi esistiamo. Arriviamo sulla Terra e diventiamo umani grazie ai rapporti con gli altri e siamo chiamati a fare comunità di destino. Tutti destinati alla morte.” A tal proposito Bianchi cita il mistico del XII secolo Alano da Lilla, monaco cistercense: “Qual è il tragitto che sta davanti ad ogni uomo per compiere il proprio tragitto sulla Terra? Deve cercare di essere come gli altri, con gli altri, per gli altri”. “Come”, “con” e “per” sono le fondamenta dei cammini di umanizzazione. * Dobbiamo collocarci come gli altri. Non è solo il principio di eguaglianza della triade della Rivoluzione Francese e dell’illuminismo (“libertà, eguaglianza e fraternità”), ma è affermazione della dignità di tutti. Non esiste persona più degna di altra perchè la dignità è assiomatica: la si ha per definizione, non la si perde. ;L’eguaglianza non è appiattimento, ma è mantenimento delle differenze con la consapevolezza che la dignità non ha sconti. “L’altro è veramente uguale a me in dignità con stessi diritti e doveri” – afferma Bianchi, sottolineando che nonostante ciò l’eguaglianza è ormai contraddetta e in Italia si soffre di disuguaglianza economica e sanitaria. * Dobbiamo collocarci con gli altri. Dobbiamo avere invece il coraggio di fare un passo verso l’altro perchè “l’uomo deve essere con gli altri”. Oggi gli antropologi sono concordi nel sostenere che l’uomo è diventato uomo quando è uscito dall’isolamento e si è ritrovato, insieme ad altri uomini, intorno ad una pietra per condividere il cibo. La condivisione ha permesso all’uomo di relazionarsi, che iniziare a parlare, di esprimersi in linguaggio e di crescere con gli altri: in sostanza di diventare umano. * Dobbiamo collocarci per gli altri. Secondo Bianchi dobbiamo uscire da questo individualismo pervasivo fatto di mancanza di fiducia, di polarizzazioni, di diffidenza, di digitalizzazione senza limiti per riscoprire le relazioni di prossimità, concepirci una stessa comunità di destino, mettere al centro il corpo nelle relazioni umane reali e riscoprire il valore della fraternità. Riscoprire l’alterità significa – secondo Bianchi – farlo senza ipocrisie e a tal proposito cita suo padre che gli disse: “Se offrirai un piatto di minestra ad un povero sulla porta, farò di tutto per maledirti con tutto me stesso” – intendendo che l’aiuto ad un povero deve essere accompagnato dall’ospitalità. Secondo il grande biblista, sono proprio il collocarsi come, con e per gli altri a rappresentare il cuore della fede cristiana, incarnato nella figura di Gesù Cristo che ha voluto essere come noi, totalmente uomo, umanissimo fino a crescere con noi, in mezzo noi (nel Vangelo si legge: “stava coi suoi”). Gesù non ha voluto salvarci come un Dio Onnipotente, ma ha vissuto da “fedele in Dio” – sottolinea Bianchi – “come noi e con noi”. Poi ha vissuto per noi, portando vita dove non c’era, curando malati, dando da bere agli assetati, dando da mangiare a chi non ne aveva, donando la vista a chi era cieco. I teologi parlano di “pro-esistenza” di Gesù, ovvero “esistenza a favore degli altri” perchè si è “abbassato” per essere come noi, con noi e per noi fino a lavarci i piedi. Tutto questo per ribadire un grande messaggio, indicibile agli occhi dei grande sapienti dell’epoca: “Amore di Dio non va mai meritato, perchè si è sempre degni dell’amore di Dio”, ribadendo l’importanza dell’eguaglianza. Bianchi ha inoltre dichiarato: “L’idea del meritare è pura perversione. La mia generazione è cresciuta nella cultura del merito fin da piccoli, dicendoci che dovevamo meritare l’amore dei genitori e che dovevamo meritare l’amore di Dio. Assurdo. Se dobbiamo “meritare” l’amore, meglio non averne per nessuno”. “Prima umani, poi cristiani” – ha dichiarato recentemente Papa Leone XIV e Bianchi ha ribadito: “Inutile dirsi cristiani se non si è umani. Non saranno solo i cristiani ad accedere ad un mondo migliore, ma tutti gli uomini di buona volontà”. Ha concluso Bianchi dicendo che oggi più che mai sono necessari i cammini di umanizzazione in un momento di forte crisi per tutto l’Occidente (Europa e America) che si dimostra essere “un mondo in decadenza”. Sono passati solo 25 anni da quando iniziano a parlare di crisi finanziaria del 2000, di crisi economica del 2010, per poi annunciare l’arrivo della crisi culturale ed, in seguito, della crisi morale-etica dell’Occidente. Oggi abbiamo due guerre alle porte e non sappiamo come finirà. Secondo Bianchi è tornata la “seduzione della guerra” e ci sono Paesi come Francia, Gran Bretagna e Germania che vogliono la guerra. La “seduzione della guerra” alle porte dell’Europa è sintomo di una crisi di ideali, mentre le voci per la pace (sforzi di Papa Francesco) sono risultati e risultano impotenti. Solo i cammini di umanizzazione possono aiutarci ad uscire da questa condizione difficile, dove c’è più angoscia che speranza per l’umanità. Riferimenti: – Filosofo Byung Chul Hang, “Contro la società dell’angoscia”. – Armando Matteo, “la Chiesa che manca” Redazione Sebino Franciacorta