L’induzione all’astensione è reato per ogni carica pubblica, ricordiamolo!L’induzione all’astensione si verifica quando un soggetto, sfruttando la sua
posizione pubblica o di potere, tenta di dissuadere gli elettori dal partecipare
alle elezioni. L’articolo 98 del Testo Unico delle Leggi Elettorali per la
Camera specifica che il reato può essere commesso da pubblici ufficiali,
ministri di culto e chiunque altro sia investito di un potere o di una funzione
pubblica:
“Il pubblico ufficiale, l’incaricato di un pubblico servizio, l’esercente di un
servizio di pubblica necessità, il ministro di qualsiasi culto, chiunque
investito di un pubblico potere o funzione civile o militare, abusando delle
proprie attribuzioni e nell’esercizio di esse, si adopera a costringere gli
elettori a firmare una dichiarazione di presentazione di candidati od a
vincolare i suffragi degli elettori a favore od in pregiudizio di determinate
liste o di determinati candidati o ad indurli all’astensione, è punito con la
reclusione da sei mesi a tre anni (…)”
La legge prevede dunque una pena di reclusione da 6 mesi a 3 anni per chi induce
all’astensione.
La legge 352 del 25 maggio 1970, detta “Norme sui referendum previsti dalla
Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo“, disciplina le modalità
di attuazione dei referendum previsti dalla Costituzione e le procedure per
l’iniziativa legislativa popolare. All’articolo 51 afferma chiaramente:
“Le disposizioni penali, contenute nel Titolo VII del testo unico delle leggi
per la elezione della Camera dei deputati, si applicano anche con riferimento
alle disposizioni della presente legge. Le sanzioni previste dagli articoli 96,
97 e 98 del suddetto testo unico si applicano anche quando i fatti negli
articoli stessi contemplati riguardino le firme per richiesta di referendum o
per proposte di leggi, o voti o astensioni di voto relativamente ai referendum
disciplinati nei Titoli I, II e III della presente legge. Le sanzioni previste
dall’articolo 103 del suddetto testo unico si applicano anche quando i fatti
previsti nell’articolo medesimo riguardino espressioni di voto relative
all’oggetto del referendum (1).”
In Italia, in vista dei referendum abrogativi dell’8 e del 9 giugno proposti
dalla CGIL, il centrodestra (maggioranza di governo) ha invitato i propri
elettori all’astensione. Fratelli d’Italia ha dato indicazioni precise con una
comunicazione inviata ai parlamentari titolata “Referendum, scegliamo
l’astensione”, in cui si afferma che non votare è un modo per esprimere dissenso
verso un’iniziativa considerata “di parte”, promossa dalla sinistra.
Fin qua nulla di illecito, ma – come sottolineano chiaramente le leggi
sopracitate – il problema sorge quando a indurre all’astensione sono cariche
pubbliche come l’attuale Presidente del Senato Ignazio (che il 9 maggio
all’incontro “Spazio Cultura” a Firenze, è intervenuto a proposito dei cinque
referendum abrogativi dell’8 e 9 giugno su lavoro e cittadinanza, dichiarando:
“Io continuo a dire che ci penso, però di una cosa sono sicuro: farò propaganda
affinché la gente se ne stia a casa”); come il Vicepresidente del Consiglio
Antonio Tajani, che continua a predicare l’astensione; e la Presidente del
Consiglio Giorgia Meloni (che fino a pochi giorni fa ha parlato di astensione,
mentre in questi giorni ha corretto il tiro dichiarando: «Vado a votare ma non
ritiro la scheda» ). Questi stanno inducendo all’astensione quando invece
dovrebbero invitare la cittadinanza a recarsi alle urne indipendentemente dal
voto che andranno ad esprimere, proprio perchè hanno giurato sulla Costituzione.
Quando vediamo Meloni, i suoi Ministri, La Russa, che inducono all’astensione,
come cittadini avremmo il diritto di denunciarli alla Procura della Repubblica
ai sensi dell’art. 51 della legge 352 del 25 maggio 1970 e dell’articolo 98 del
Testo Unico delle Leggi Elettorali per la Camera che recitano chiaramente:
“…chiunque investito di un pubblico potere o funzione civile o militare,
abusando delle proprie funzioni all’interno di esse, si adopera (…) ad indurli
all’astensione, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni (…)”.
Un conto è la libertà di espressione in quanto cittadino (sia esso membro
privato o esponente di partito o associazione), un conto è essere cittadino che
riveste cariche pubbliche e induce a non andare a votare. Un conto è, come
carica istituzionale, esprimersi per il SÌ e il NO; un conto è, come carica
istituzionale, esprimersi per l’astensione.
Esprimersi o per il SI’, o per il NO o per l’astensione come semplici cittadini
è lecito; esprimersi per il SI’ o per il NO ricoprendo cariche pubbliche
(ministri e membri del governo, Presidente del Consiglio, Presidente della
Repubblica, presidente della Camera, Presidente del Senato, prefetti, militari,
leader religiosi, leader politici, figure civiche) è lecito; esprimersi per
l’astensione ricoprendo cariche pubbliche è illegale. La distinzione cambia ed è
necessaria proprio perchè le responsabilità sono diverse e questi atteggiamenti
non devono passare impuniti.
Forse si dimenticano che l’articolo 48 della Costituzione italiana dichiara che
il voto è un dovere civico. Forse si dimenticano che, come cariche pubbliche,
devono seguire prima i dettami della Costituzione e poi scegliere per se stessi.
“Referendum popolare” vuol dire volontà e partecipazione popolare. Proprio in
questi momenti si dovrebbe rilanciare l’importanza del voto perchè è l’unico
mezzo che abbiamo per poter decidere noi cittadini, senza delegare ad altri.
Oggi sta sempre più passando culturalmente l’idea che gli strumenti di
“democrazia diretta” come i referendum sono uno spreco di denaro pubblico, che
noi cittadini “eleggiamo il Parlamento” e “sono loro che devono decidere su
queste cose” perchè “sono pagati per farlo”. Queste narrazioni tossiche sono
intrise di una “cultura del delegare” e della “deresponsabilizzazione”, oltre
che di indifferenza verso la “cosa pubblica” e di grande individualismo. Se i
partigiani avessero ragionato in questo modo non ci sarebbe stata la Resistenza,
se i nostri Padri e le nostre Madri Costituenti avessero pensato in questo modo
molto probabilmente non avremmo avuto la Costituzione che – seppur trascurata –
abbiamo oggi.
Quando parliamo di “spreco di denaro pubblico” associato agli strumenti della
democrazia diretta, ci dimentichiamo il ReamEurope di 800 miliardi di euro e i
circa 70 milioni di euro che spendiamo ogni giorno per stare in
un’organizzazione come la NATO. Soldi che vanno a togliere risorse al welfare
state, alle pensioni, agli ammortizzatori sociali, al lavoro, alle tutele e a i
diritti.
In Italia i referendum sono stati strumenti fondamentali per prendere decisioni
dal basso laddove la classe politica – per interesse o ignavia – non era in
grado di prenderle: vedasi il divorzio, la legalizzazione dell’aborto, l’acqua
pubblica, il nucleare (quest’ultimi vinti e disattesi vergognosamente dalla
tessa classe politica), la vittoria del NO alle vergognose riforme
costituzionali del governo Renzi nel 2016.
L’astensione in questi anni è stata sdoganata come una legittima scelta politica
che si concretizza molto orwellianamente e paradossalmente nello “scegliere di
non scegliere”.
In realtà – se è vero che l’astensione è sintomo politico di una post-democrazia
che sta mantenendo il suo aspetto formale e perdendo il suo aspetto sostanziale
– è anche vero che il sintomo più grave di una progressiva depoliticizzazione
della cittadinanza italiana che ha paura a definirsi; che ha paura di dire ciò
che pensa; che prima di esprimere la propria opinione premette il fatto di
essere “apolitico” o addirittura “anti-politica” (cosa impossibile, in quanto
l’essere umano è un animale socio-politico).
L’astensione è lo specchio non solo di una rabbia collettiva che non si
canalizza, ma anche lo specchio di un problema culturale: una cittadinanza che
non si informa, che non si interessa alla cosa pubblica, che non capisce i
potenziali strumenti decisionali di cui si può avvalere e soprattutto che rimane
indifferente perchè “intanto manovra sempre il manovratore”.
Un cittadinanza che – per motivi storici e culturali – si ritrova priva di una
visione di mondo, di spazi in cui confrontarsi e formulare pensiero critico, e
di una cultura politica in grado di collocare le categorie della politica senza
andare in preda a paranoie.
Ciò che impressiona è che la stessa cittadinanza che è completamente
disorientata di fronte ad un mondo in continuo cambiamento che non sa più
definire è la stessa cittadinanza che beneficerebbe dell’esito positivo di
questi referendum su lavoro, diritti e tutele. E’ purtroppo anche la stessa
cittadinanza a cui la destra si rivolge per non andare a votare.
La destra sta usando oggi l’astensione per sabotare il referendum come strumento
di “democrazia diretta” al fine di delegittimare chiunque ne parli e di impedire
il superamento del quorum.
Già in precedenti appuntamenti referendari si era avuta una diversità di vedute
sul problema da parte della dottrina e di commentatori vari, soprattutto da
quando ha preso avvio quella che è stata definita «ondata astensionista», la
quale tra il 1997 e il 2003 ha vanificato ben quattro appuntamenti consecutivi
con le urne1) . Tuttavia stavolta la conflittualità sul punto appare
sensibilmente maggiore, in virtù del fatto che i contrari all’abrogazione delle
disposizioni coinvolte – decidendo di avvalersi ex-ante della previsione di cui
all’articolo 75 della nostra Costituzione, in base alla quale la deliberazione
referendaria non è valida se non ha partecipato al voto la maggioranza degli
aventi diritto – anziché schierarsi per il “no” hanno optato per una linea
astensionista generalizzata, con lo scopo dichiarato di impedire il
raggiungimento del quorum e di far fallire la consultazione. Questo è
imperdonabile perchè, per paura di perdere, si vuole influenzare anche quella
fetta di popolazione che avrebbe votato NO verso il non-voto. Come se andare
alle urne fosse tempo sprecato.
Bisogna far capire che l’astensione non è neutralità, ma è un compromesso al
ribasso perchè saranno sempre gli altri a decidere al nostro posto. Per questi
motivi l’8 e 9 giugno 2025 rechiamoci alle urne, facciamo sentire la nostra voce
e il nostro pensiero (se ancora lo abbiamo) e votiamo 5 SI’ per la democrazia,
per i diritti e per un Paese più giusto.
Consiglio la lettura del fascicolo Referendum abrogativo: se l’astensionismo è
legittimo, a seggi aperti i dati sull’affluenza non devono essere resi noti del
costituzionalista Gianluca Braga, pubblicato il 7 giugno 2005 in vista dei
referendum abrogativi del 12 e del 13 giugno 2005 (che vedevano il corpo
elettorale chiamato ad esprimersi in merito a quattro quesiti inerenti la legge
19 febbraio 2004, n. 40 in materia di procreazione medicalmente assistita). A
distanza di 20 anni le sue riflessioni sul tema dell’astensionismo nei
referendum abrogativi è più attuale che mai e può essere di grande spunto anche
oggi per pensare criticamente sulla liceità di sabotare uno strumento
democratico.
(1) La competenza in riferimento alle fattispecie punite a norma del presente
articolo è stata attribuita al giudice di pace, ai sensi di quanto disposto
dall’art. 4, D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, con la decorrenza indicata nell’art.
65 dello stesso decreto. Per la misura delle sanzioni vedi l’art. 52 del
suddetto D.Lgs. n. 274 del 2000.
Lorenzo Poli