Ecuador, Noboa eletto presidente in un paese travolto dalla violenza«Questo paese è in stato di choc collettivo. Non ha gli anticorpi per coabitare,
affrontare, proteggersi dalla tremenda ondata di violenza che lo ha travolto in
pochi anni»: con queste parole commentavamo la situazione in Ecuador con Carlos
Beristain, medico e dottore in psicologia sociale, già consulente della
Commissione per la Verità in Colombia, e sui fatti di Ayotzinapa in Messico,
stretto collaboratore e giudice del Tribunale Permanente dei Popoli, incontrato
a Quito poco più di un anno fa. Da pochi mesi si erano tenute le elezioni
anticipate che portarono a Palazzo Carondelet un giovane tycoon di Guayaquil,
Daniel Noboa, outsider asceso al potere sull’onda lunga dell’assassinio di un
altro candidato, Ferdinando Villavicencio, da parte della criminalità
organizzata al soldo dei narcos.
Allora la vittoria di Noboa era stata accompagnata da quella di segno
diametralmente opposto della consultazione popolare per non estrarre petrolio
dalle viscere del Parco Yasuni e per impedire l’estrazione mineraria nelle
foreste del Chocó Andino, nel distretto metropolitano di Quito. Era come se si
fossero materializzati due paesi, distinti, politicamente ed ontologicamente.
La candidata della Revolución Ciudadana Luisa Gonzales perse al ballottaggio,
e per l’ennesima volta il partito fondato dall’ex-Presidente Rafael Correa in
esilio in Belgio non riuscì a tornare a Palazzo. Da allora, la situazione nel
paese è andata peggiorando nonostante le boutade di Noboa, che dichiarò nel
gennaio dello scorso anno lo stato di conflitto armato interno, dispiegando i
militari nelle strade e piazze del paese e annunciando la costruzione di due
supercarceri, tentando di emulare Bukele, anche se grazie alla resistenza dal
basso dovette abbandonare almeno uno dei due progetti in Amazzonia.
Venne anche annunciato un non meglio definito piano Fenix per la sicurezza
interna che non ha sortito effetti di rilievo. A riprova di ciò il fatto che il
numero di morti uccisi per mano criminale o dello Stato da allora è aumentato
esponenzialmente. Nel solo febbraio del 2025 il numero di morti è salito a 736
con un incremento del 90% rispetto all’anno precedente (1.1 morti ammazzati ogni
ora). Per contro si è registrata una pausa – seppur temporanea – nelle rivolte
carcerarie, sanguinose e spietate, scoppiate per il controllo del territorio da
parte di gang contrapposte di narcotrafficanti.
LA VIOLENZA TRAVOLGE IL PAESE
Lo scontro tra bande ormai è alla luce del sole come dimostrano alcuni
drammatici fatti di sangue, stragi tra bande rivali, quelle dei Los Lobos e dei
Tiguerones, l’ultima delle quali la scorsa settimana, in un ring di
combattimento di galli presso Santo Domingo dos Tsachilas nella quale hanno
perso la vita 11 persone. La popolarità di Noboa era in caduta libera anche a
fronte della manifesta incapacità di gestire la cosa pubblica, in mano a un
governo di parvenus, provenienti dalla stretta cerchia di amicizie di questo
rampollo figlio del ricco bananiere Álvaro Noboa, da una vita aspirante
presidente del paese.
> Il paese ha vissuto mesi di apagones, interruzioni continue e quotidiane
> dell’erogazione di energia elettrica dovute alla assenza di piogge e scarsa
> manutenzione delle grandi dighe che producono la maggior parte dell’energia,
> con grande impatto sull’economia e che avevano portato gli ecuadoriani e le
> ecuadoriane sull’orlo della disperazione collettiva.
E poi la rottura delle relazioni diplomatiche con il Messico, importante partner
commerciale, a seguito dell’attacco da parte di esercito e polizia
all’ambasciata, dove si era rifugiato l’ex-vicepresidente correista Jorge Glas,
accusato e condannato per corruzione. Un gesto che avrebbe messo Noboa ai
margini delle relazioni diplomatiche continentali.
E come se ciò non fosse stato abbastanza, nei giorni scorsi il governo ha
dichiarato di elevare il livello di sicurezza a causa di supposte minacce alla
vita del presidente e di terrorismo, per mano di sicari provenienti dal
Messico. Denunce seccamente smentite da Città del Messico. Così la violenza
continua, sempre più efferata, sofferta silenziosamente da un popolo che ha
perso l’innocenza, stretto tra la ferocia delle gang di narcos, e la violenza di
stato, facile preda di istituzioni che non hanno alcuna considerazione della
cultura e della pratica dei diritti umani. Quel che si temeva all’indomani della
dichiarazione di conflitto armato interno, decisa da Noboa dopo un attacco da
parte di giovani pistoleros a una stazione TV nel gennaio dello scorso anno,
fatto mai chiarito in realtà, si è tragicamente verificato.
Ph David C. S.
Come nella Colombia di Uribe, si sono verificati casi di falsos positivos,
chiunque portasse un tatuaggio o avesse la pelle scura diventava un obiettivo
della polizia e delle forze armate. Uno dei tanti casi, quello senz’altro più
efferato, l’esecuzione sommaria di quattro ragazzini afrodiscendenti (i quattro
di Malvinas) presi per strada a caso da militari alla vigilia di Natale, uccisi
e bruciati. Dalle istituzioni di governo reazioni ciniche, dal presidente solo
l’annuncio ad effetto della loro nomina ad “eroi nazionali” mentre gli apparati
dello stato tentavano invano di nascondere le responsabilità di militari e
polizia. Nessun gesto invece da parte sua nel caso del massiccio sversamento
petrolifero con conseguente disastro ecologico o in occasione delle alluvioni
che hanno colpito duramente la provincia di Esmeraldas.
Ciononostante, Noboa è entrato nell’immaginario, giovane millennial, con moglie
di origine italiana, Lavinia Valbonesi, le sue sagome di cartone a grandezza
naturale ovunque nel paese, nelle case, nei negozi. Un popolo in preda allo
sbandamento, stordito, di un paese paralizzato fin dai tempi del COVID, diventa
così terreno fertile per forme nuove di populismo. La sagoma di cartone è il
presidente giovane, il nuovo che ti porti a casa, a tavola, il presidente che
hai davanti ogni giorno. Non c’è bisogno di base sociale organizzata, ognuno ha
un rapporto diretto, personale, quotidiano, con chi elegge.
> Ed è proprio questo il primo fattore da tenere a mente: la violenza, la
> criminalità, il disprezzo della vita umana, si sono trasformati in attore
> politico, presenza inquietante e costante che determina seppur per default il
> comune sentire, i bisogni indotti o effettivi del popolo, le sue aspirazioni o
> necessità.
Dove la parola svuotata di significato prende il posto della realtà dei fatti,
al punto che il movimento-piattaforma elettorale di Noboa, ADN (Movimiento
Acción Democrática Nacional) si professa “socialdemocratico” (sic!). Dove
Tik-Tok prende il posto delle piazze e la disinformazione e le fake news
dilagano, e le reazioni impulsive prendono il sopravvento su ogni pensiero
critico.
DAL PRIMO TURNO AL BALLOTTAGGIO
Si arriva così alle elezioni del febbraio scorso, con i sondaggi che davano un
testa a testa tra Noboa e Luisa González, dati poi confermati dalle urne. I due
così passano al ballottaggio in una situazione di empate técnico, di fatto un
pareggio con un distacco a vantaggio del primo di poche decine di migliaia di
voti. Finalmente il correismo pareva fosse riuscito a rompere il tetto del 30%
al quale era rimasto confinato negli ultimi anni, sperando nella rimonta al
ballottaggio. Gli altri partiti di destra e sinistra registravano percentuali
dall’1 allo zero virgola per cento a parte la candidata Andrea González (del
partito di Ferdinando Villavicencio e che avrebbe poi espresso sostegno a Noboa)
e Pachakutik , il partito di riferimento della CONAIE, la Confederazione delle
Nazionalità Indigene dell’Ecuador, forse uno dei movimenti sociali più solidi e
longevi del continente, da sempre importante “player” nella vita politica del
paese.
Il candidato e presidente della CONAIE Leonidas Iza, leader indigeno della
provincia del Cotopaxi, e di ispirazione marxista mariateguista, aveva
conseguito il 5% dei voti totali, un pacchetto di 500mila voti di tutto
rispetto, che ne avrebbe fatto ipoteticamente l’ago della bilancia tra i due
candidati al ballottaggio. Quel pacchetto di voti non poteva comunque
considerarsi di fatto in transito verso il sostegno a Luisa González, troppo
difficile dimenticare la repressione contro i movimenti indigeni, sociali e
ecologisti scatenata dall’allora presidente Rafael Correa, che li vedeva come
ostacoli per l’espansione della frontiera estrattivista.
> Ha avuto di fatto vita facile Noboa, nell’imporre la sua presenza e la sua
> figura nella campagna verso il ballottaggio, puntando soprattutto su un
> elettorato “over-65” in un contesto dove i principali media sono allineati, e
> dove il presidente, con cospicui fondi a disposizione e violando apertamente
> la Costituzione non ha lasciato il suo incarico alla vice per fare campagna
> elettorale.
Così ogni mossa a effetto fatta in campagna elettorale nella sua veste del Noboa
presidente si sovrapponeva alla presenza pervasiva del Noboa candidato. La mossa
di andare, a pagamento ma non invitato, alla cerimonia di insediamento di Trump
e di nuovo a pagamento a un incontro alla Casa Bianca. La mossa di invitare al
suo cospetto come consulente per la sicurezza il fondatore dell’impresa militare
privata Black Water, Erik Prince, era da presidente ma anche da candidato. Eppoi
il negoziato per concedere alle forze armate statunitensi due basi militari una
alle Galapagos, l’altra a Manta, chiusa a suo tempo da Rafael Correa.
Ogni dichiarazione da presidente aveva ampio spazio sulla stampa e l’elettore e
l’elettrice non potevano più distinguere il presidente dal candidato. Questa e
altre manovre hanno contribuito a porre Noboa su quello che gli analisti
chiamano “piano inclinato” che avrebbe poi fatto la differenza al ballottaggio,
più che una possibile ma non ancora verificabile frode, assieme ad altre mosse
quali l’elargizione di buoni per le famiglie più povere, o meglio impoverite, o
la distribuzione di magliette di colore viola (quello della sua campagna
elettorale) ai pubblici funzionari. O l’uso di fondi pubblici con l’avallo da
parte delle istituzioni competenti ad assicurare il rispetto delle regole
elettorali.
Da wikimedia
Dall’altra parte, la candidata della Revolución Ciudadana continuava a
rivendicare le grandi conquiste del passato, inanellando una serie di gaffes
quali quella di prospettare, per bocca di alcuni esponenti di spicco del
partito, la de-dollarizzazione del paese, proponendo la costituzione di brigate
popolari che nell’immaginario collettivo evocavano i guardianes barriales
chavisti, o dichiarando di voler espellere tutti i migranti venezuelani dal
paese.
> La mossa più significativa e controproducente di Luisa González è stata però
> quella di firmare, da fervente evangelica, un documento promosso da
> organizzazioni di estrema destra religiosa contro il “gender”, i diritti
> LGBQT, e l’aborto.
Del resto anche Rafael Correa da presidente aveva alzato le barricate contro una
legge sull’aborto per stupro. Documento firmato anche da Daniel Noboa che nei
mesi precedenti si era prodigato in una campagna senza esclusione di colpi
contro la sua vice eletta Veronica Abad, fin da subito “bullizzata”, inviata
senza scrupoli fuori dal paese in assoluto disprezzo per la legge e la
costituzione. Che differenza ci sarebbe stata quindi tra i due, sul tema del
patriarcato?
E questo vale anche per altre questioni quali il contrasto all’estrattivismo,
con il primo che firma un accordo di libero scambio con il Canada per agevolare
gli investimenti nel settore minerario, tenta di concludere in accordo con i
cinesi per la più grande concessione petrolifera della storia, nel campo Sacha
(poi fallita per l’opposizione dell’Assemblea Nazionale), e che mette ogni
ostacolo possibile all’attuazione del mandato popolare su Yasuni e il Chocó
Andino, e la candidata correista che incarna un passato del tutto simile? O
sulla sicurezza quando a prescindere da quanto dicesse riguardo alla necessità
di affrontare le cause sociali che sono alla base della violenza, la candidata
correista non esitava rincorrere Noboa sullo stesso piano arrivando a proporre a
un ex-candidato presidenziale di destra ed ex-mercenario, Ian Topic, la poltrona
di ministro degli interni mentre l’altro flirtava con l’altro mercenario Prince?
> A nulla è valso anche l’accordo tra “sinistre” cotto prima della prima tornata
> elettorale e mangiato a ridosso della seconda, dove si fissavano alcuni punti
> programmatici sui quali Luisa si sarebbe poi impegnata, almeno in teoria, in
> cambio dell’endorsement alle presidenziali.
Endorsement poi arrivato dal Partito Socialista, e da Pachakutik, financo dai
leader del movimento Yasunidos nonostante i pregressi con il correismo che li
perseguitò cercando di annullare in ogni modo le firme raccolte per il
referendum. Del movimento indigeno parleremo a breve, per ora basta sottolineare
come gli ecuadoriani e le ecuadoriane abbiano seguito con un certo distacco le
campagne elettorali dei due, ma sottotraccia l’elemento psicologico, quello
della paura faceva il suo lavoro. Paura della violenza da una parte, paura del
ritorno di Correa dall’altra, e il presidente che mostra il muso duro, dichiara
di nuovo lo stato di emergenza prima dell’apertura delle urne e invoca l’Ecuador
del domani. Il domani, via di fuga in avanti, il nuovo che avanza, messaggio
efficace di deresponsabilizzazione del qui e ora.
Noboa. Ph da Flickr
NOBOA E LA “UR-POLITIK”
Così milioni di ecuadoriani ed ecuadoriane incuranti della gestione disastrosa
di Noboa, del suo distacco emotivo dal comune sentire, della sua estrazione
profondamente oligarchica, del suo messaggio autoritario e conservatore – altro
che il nuovo che avanza, il paese del futuro – si portano a casa la sua sagoma
di cartone. Lo emulano, addirittura. Per le strade si vedono sempre più giovani
con la sua pettinatura, la sua polo a maniche corte, i suoi occhialoni neri, il
suo ghigno sprezzante. Salta ogni canale di analisi politica, l’ideologia della
guerra e dello stato di eccezione permanente conducono inesorabilmente verso
quella che potrebbe essere definita con un neologismo tedesco la “Ur-Politik”,
politica allo stato primordiale, dove chi governa può farlo in assoluto sprezzo
delle regole, dove la parola e la declamazione prendono il posto della realtà,
dove vite incarnate che soffrono sulla loro pelle gli effetti devastanti della
privatizzazione e del liberismo selvaggio alla fine scelgono di sostenere il
loro carnefice.
Fece grande effetto qualche settimana fa un appello disperato di migliaia di
malati di insufficienza renale che da un giorno all’alto stavano rischiando di
morire per la mancanza di accesso agli strumenti per la dialisi. Ignorati dai
loro governanti. E subito dopo l’annuncio della vittoria di Noboa, un video di
una donna di una periferia diseredata del paese che ballava in estasi con la
sagoma di cartone di Noboa, rotolandosi felice tra le acque di una strada
inondata dall’ennesima alluvione.
> Ecco quindi la “Ur-politik” che assieme alla paura, alla sua costruzione
> scientifica, all’irrazionale, all’immedesimazione con la figura del capo, e
> quel “piano inclinato” che più di una frode elettorale tutta ancora da
> dimostrare, avrebbe fatto la differenza, determinando un risultato
> assolutamente inatteso.
Chiuse le urne, i numeri fin da subito parlavano di una vittoria schiacciante di
Noboa che da poche decine di migliaia di voti di differenza passava a oltre 1
milione e 100mila. Mentre Luisa, pur tenendo la posizione nelle province a lei
vicine nella costa e riconquistando il Guayas, non riusciva ad andare oltre il
44% della prima tornata. Importante poi il voto dei migranti da sempre bacino di
consenso del correismo e ora nettamente a favore di Noboa.
La prima reazione di Luisa González e di Correa è stata quella di denunciare una
megafrode elettorale, smentiti però da alti dirigenti del partito, tra cui il
sindaco di Quito Pabel Muñoz e quello di Guayaquil, ambedue sotto attacco e che
vedono i loro incarichi a rischio, uno per una imminente raccolta di firme per
la sua rimozione, l’altro per una denuncia per supposta corruzione, situazione
ormai ricorrente nelle strategie di lawfare contro i rappresentanti correisti.
Ed eccoci ora a cercare di sondare quanto accaduto con il pacchetto di 500mila
voti di Leonidas Iza. Quando si stava prospettando la possibilità di un
endorsement di Iza e di Pachakutik a Luisa González si aprirono immediatamente
le prime crepe. Da una parte chi nelle comunità indigene prospettava il voto
nullo, («tanto per noi da sempre la lotta è sempre la stessa a prescindere dai
governi», era il mantra) e chi tra cui alcuni ex-dirigenti storici si
dichiararono esplicitamente a favore di Noboa in chiave decisamente
anti-correista. Così per salvare l’unità interna della CONAIE, Iza decise di non
apparire formalmente accanto a Luisa González, mentre il partito di riferimento
Pachakutik sì. Aperte le urne, si capì che la base indigena non ha seguito in
massa le scelte del partito di riferimento, e l’endorsement non avrebbe fatto
grande differenza per l‘esito finale. E per Luisa González a nulla è servito
firmare l’appello antiabortista per cercare di attrarre il voto delle donne
indigene.
Da wikimedia
QUALE SCENARIO PER LE OPPOSIZIONI?
Cosa accadrà ora, quali le sfide nell’immediato per le opposizioni? Per il
correismo senz’altro una necessaria e ormai improrogabile autocritica e la
necessità impellente di sganciarsi dalla presenza ingombrante e controproducente
del suo padre fondatore che da Bruxelles continua a dettare le condizioni, con
risultati evidentemente fallimentari. Il dilemma è quello tra emancipazione dal
“padre-padrone”, o implodere. Ci vorrà certamente un certosino di ricucitura con
movimenti sociali ed ecologisti, indigeni, transfemministi e sindacali,
possibile solo con una presa d’atto degli errori passati.
> Per Pachakutik l’urgenza di capire come la ridotta presenza parlamentare e il
> lavoro nei territori possano ridare rappresentanza a chi non ha dato fiducia
> alle scelte della dirigenza.
Per la CONAIE, uscita malconcia da questa contesa elettorale e per il suo
presidente Iza il cui mandato è comunque in scadenza (il congresso della CONAIE
si celebrerà a fine anno), l’urgenza di rinserrare le fila, per potersi proporre
come il pilastro imprescindibile per la riorganizzazione del conflitto e della
resistenza. Che passerà attraverso due assi, quello della difesa della
Costituzione, alla luce dell’annunciata intenzione di Noboa di lanciare una
nuova Costituente (proposta paradossalmente fatta propria anche da Luisa
González, visto che quella costituzione rappresenta la cornice legale e ideale
della Revolución Ciudadana), e quello di sostenere la resistenza all’avanzata
della frontiera estrattivista, mineraria e petrolifera nei territori. Questione
che si preannuncia di immediata urgenza anche in vista di nuovi accordi che il
neoeletto presidente dovrà stringere con il Fondo Monetario Internazionale a
fronte di un calo del prezzo del petrolio, del crollo della produzione di circa
200mila barili al giorno e dell’imminente pagamento di una mega-multa di due
miliardi di dollari per una causa persa contro la Chevron-Texaco.
> Intanto il paese si avvia ad almeno 4 anni di governo di una destra coloniale,
> liberista e oligarchica, uscendo forse definitivamente dalla logica
> correismo-anticorreismo che ha permeato anche quest’ultima elezione, ma che
> d’ora in poi cederà il passo a una nuova inedita fase nella storia del piccolo
> paese andino, il “noboismo”.
Che per affermarsi definitivamente dovrà scardinare la cornice di riferimento
dell’Ecuador di ieri, la Costituzione di Montecristi, ostacolo alla
privatizzazione e alla svendita del paese alle oligarchie e ai capitali
internazionali, e baluardo della difesa dei diritti della natura, dei popoli
indigeni, della giustizia sociale, del diritto sacrosanto alla resistenza.
Non è un caso che subito dopo la vittoria di Noboa il rischio-paese sia calato
di ben 500 punti e il mondo della finanza e dell’imprenditoria si sia affrettato
a congratularsi con un presidente che garantirà loro la mano dura contro il
conflitto sociale e condizioni agevolate per massimizzare il ritorno sui loro
investimenti, o per espandere le loro attività di sfruttamento delle risorse
naturali. Intanto compaiono nuove sagome di cartone nelle finestre, quelle di un
Noboa non più candidato, ma Presidente con tanto di fascia con i colori della
bandiera.
Immagine di copertina di Presidencia Ecuador da Flickr
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