Tag - Sessantotto

Le “paginette” di Renato che ci coinvolgono tutt3
Oggi pomeriggio, sarà presentato al Laboratorio A. Ballarò di Palermo, il libro di Renato Franzitta, appena uscito per i tipi di Multimage, “La scelta di parte.” Riportiamo qui alcuni stralci dall’introduzione dell’autore e dalla prefazione Dai non fare “u lagnuso” (pigro, ndR) scrivi i tuoi ricordi. Dai che poi la memoria si perde, è bene che di certi periodi resti qualcosa di nero su bianco, siediti alla tastiera, comincia a scrivere. Sollecitato più volte (da anni) da compagne e compagni che fanno parte della mia esistenza, ho deciso di scrivere alcune paginette per delineare un percorso di vita che mi colloca in quella schiera di individui che in modo tenace portano avanti l’idea che il Mondo in cui viviamo non sia l’unico possibile, ma che anzi si possa vivere per cercare di costruire un Mondo nuovo privo di violenza, sopraffazione e interesse privato, un Mondo nuovo senza sfruttati né sfruttatori, dove giustizia sociale, fratellanza, uguaglianza, felicità, rispetto delle persone e della natura siano i cardini del vivere civile. Tanti e tanti anni sono trascorsi da quel lontano e mitico 1968, anno emblematico che ha cambiato il corso della vita a molti di noi e che ha contribuito a dare un grosso scossone alla società perbenista e ingessata di quel tempo. Cambiamenti epocali che hanno modificato la società, il costume, i rapporti sociali. Un vortice impetuoso ha attraversato un’intera generazione che con grande entusiasmo ha profuso tantissima energia per modificare in modo libertario il mondo che ci circonda. Da allora tanto è cambiato, tanti flussi e riflussi, fino al momento storico attuale che fa apparire i ricordi di quei giorni lontani anni luce e a volte difficilmente leggibili con il metro con cui si misura la realtà attuale. Ho iniziato giovanissimo ad interessarmi al Mondo che ci circonda e con grande entusiasmo ho unito la mia ricerca del cambiamento con tante e tanti che ho incontrato strada facendo e che avevano l’idea precisa di lottare contro le tirannie, la sopraffazione, l’egoismo, il conformismo. Non sempre è stato facile andare avanti. Tanti ostacoli posti dal Sistema, tanti steccati alzati per isolarci, tanta violenza per farci desistere, tanti compagni di avventure persi o addirittura passati dall’altra parte della barricata. Ma io (con molti altri) sono ancora qui a raccontare per sommi capi tante vicissitudini che ho vissuto e che rappresentano lo specchio di un’intera generazione. […] Il titolo che ho dato a questo lavoro “La scelta di parte” per me è significativo nell’indicare “la parte precisa” dove mi sono schierato senza se e senza ma, “una scelta” che segna una profonda linea rossa che collega i miei ricordi. A questi ho allegato un paio di scritti e alcuni articoli pubblicati negli ultimi tempi per dare una sommaria idea del mio pensiero e della mia militanza nell’area antagonista e libertaria palermitana. Questo mio lavoro non vuole essere esaustivo, ma può contribuire a dare una chiave di lettura su ciò che è stata una componente del Movimento anticapitalista nella mia città dai primissimi anni ‘70. Istruttiva per chi non ha vissuto quel periodo e utile per dare degli spunti di riflessione, e, perché no, rinverdire i ricordi per chi c’era, sia come spettatore, sia come protagonista diretto.  […]  Renato Franzitta   Una sera come tante al Laboratorio Ballarò (che prende il nome non dal quartiere storico di Palermo ma da un compagno dei Cobas che ci ha lasciati troppo presto) chiacchieravamo attorno a una bottiglia di vino e strimpellavamo le chitarre. A dire il vero, non una sera come tante, ma una delle rare sere in cui non c’erano attività: né cineforum né concerti o presentazioni di libri o letture di poesie o assemblee no-guerra e no-muos né seminari del caffè filosofico intitolato ad un altro compagno che non c’è più, il filosofo contadino Beppe Bonetti. Insomma eravamo lì, quando, con non so quale pretesto, Renato iniziò a raccontare episodi delle lotte politiche cittadine degli anni Settanta. Nella sua narrazione emergevano memorie avvincenti: si ridestavano entusiasmi e passioni sopite, ma soprattutto si salvaguardavano pezzetti di microstoria altrimenti destinati a perdersi. “Dovresti scriverli” mi scappò di suggerirgli. Detto fatto: Renato si mise all’opera, io rileggevo convinta incoraggiandolo a continuare, Multimage fece il resto ed ecco qui il “libricino” che avete fra le mani. Rivestirà un qualche interesse anche per chi palermitano non è? Credo di sì, perché dà conto di un’epoca e di una generazione con le sue convinzioni forti e le altrettanto forti contraddizioni, con i suoi interrogativi che ancora ci sollecitano, e perché il suo scenario si allarga a Comiso, a Roma, a Genova, alla Francia, al Kurdistan, dal Sessantotto alla lotta contro i missili nucleari, dal movimento no-global coi “fatti di Genova 2001” alla costruzione del sindacalismo di base non concertativo, dai centri sociali ai circoli Arci. […] C’è una questione che attraversa la sua come le nostre vite, quella della nonviolenza. Nel resoconto degli scontri con le forze armate e con i gruppi neofascisti, così frequenti purtroppo soprattutto negli anni Settanta, trapela una certa soddisfazione quando l’autore ci confessa “gliele abbiamo date di santa ragione”. Eravamo ragazzi allora e sempre molto agguerriti; cantavamo “Contessa”, anche se poi non “impugnavamo mai (o quasi mai…) il martello né picchiavamo con quello”. Eppure il rovello dell’uso della violenza esisteva: perché il sangue versato nella “sporca guerra” del Vietnam era deplorevole, mentre quello sparso nelle rivoluzioni, come nei “Cento Fiori” cinesi, era giusto e necessario? È il fine che giustifica i mezzi? Ma come può un fine nonviolento consacrare la violenza? Doveva passare ancora qualche anno perché leggessimo Gandhi e Lanza Del Vasto, scoperti insieme alle filosofie orientali sulla scorta di Kerouac e Ginsberg, Dylan e Joan Baez. E fu una chiarificazione e una illuminazione indispensabile. Ma venne il Settantasette: il movimento studentesco, esacerbato dalla crisi economica e dal clima arroventato e repressivo scatenato dalle istituzioni con “la strategia degli opposti estremismi” si spaccò tra l’altro sulla questione della violenza, indiani metropolitani (che scelsero l’arma dell’ironia: “una risata vi seppellirà”) e autonomia operaia (che nei cortei a dita nude faceva il gesto della P38). Complesso investigare (andrebbe fatto, ma non si può certo pretendere di farlo qui) sulla deriva della lotta armata. In troppi amici e fratelli finirono in clandestinità, mentre altri, delusi, li inghiottì l’eroina. Il racconto di Renato – e il suo impegno – però proseguono: a Comiso con Pio La Torre, contro la mafia e contro i missili nucleari, nella creazione dei Cobas della scuola a livello nazionale, contro la globalizzazione e il neoliberismo a Genova nel 2001, nel centro culturale Malausséne e infine al Laboratorio. Sono tutte strade che denunciano e rifiutano la violenza, il militarismo, lo Stato di polizia. E poi c’è il Kurdistan, che raggiunge in frequenti viaggi, dai quali riporta la fertilissima esperienza del confederalismo democratico del Rojava e del villaggio delle donne del movimento “Donna Vita Libertà”. Di tutto questo, inoltre, egli dà conto nei suoi articoli, che sono raccolti nella seconda parte del libro, scritti per Umanità Nova, lo storico giornale degli anarchici fondato da Errico Malatesta, per la rivista dei Cobas e per Pressenza.com. […] Ciò che li contraddistingue – specie quelli che ricostruiscono pagine della storia del fascismo e dell’antifascismo e quelli sull’industria delle armi – è una rigorosa documentazione, frutto di paziente ricerca esitata in un rendiconto puntuale e scientificamente corroborato di dati e notizie, un vero serbatoio per la controinformazione, da cui emerge ancora un altro aspetto della personalità di Renato Franzitta, l’abito dello studioso e del docente di matematica e scienze, quale è stato per un quarantennio. Daniela Musumeci       Redazione Palermo
Gesù, un ponte tra cristianesimo, buddhismo, induismo e yoga
Il dialogo tra cristianesimo, buddhismo (in sanscrito Buddhadharma) e induismo (nome dato dai colonizzatori inglesi – “hinduism”, “religione autoctona” – alla spiritualità dell’India che in sanscrito si chiama Sanatana Dharma) è sempre stato qualcosa di affascinante sia per i buddhisti sia per gli indù sia per i cristiani. Un dialogo che si perde nella notte dei tempi tra l’esotismo culturale, l’orientalismo coloniale ma anche in una ricerca spirituale tra gli esoteristi occidentali – della Società Teosofica prima e della Società Antroposofica poi – che erano affascinati dalle vicinanze, per molti versi, tra queste religioni così apparentemente diverse. Per quanto il cristianesimo ufficiale (capeggiato ufficialmente e teologicamente dalle gerarchie ecclesiastiche) abbia sempre preso le distanze da questo dialogo lasciandolo solo ad alcuni “il permesso” di avvicinarsi con una certa cautela, ed abbia sempre preteso di rivendicare l’unicità della figura di Gesù Cristo, in realtà bisogna riconoscere che l’influenza della figura di Gesù ha toccato molte culture anche fuori dall’Occidente cristiano. Nikolai Notovitch alla fine del XIX secolo, in un monastero di Hemis nella zona del Ladakh ai piedi dell’Himalaya nel Tibet, trovò dei rotoli che parlavano di un Isa o Isha. I rotoli furono confezionati dopo il VII secolo d-C. in India e passarono poi nel Nepal e quindi nel Tibet. Parlavano di un Isa o Isha nato in Israele, che all’età di tredici anni con una carovana giunse a Sindh in India. Venne ricevuto dai sacerdoti di Brahma e conobbe i Veda. Il suo messaggio di uguaglianza e il suo monoteismo gli inimicò i sacerdoti di Brahma e dovette fuggire verso il Nepal e il Tibet, cioè in terra buddista. Si diresse poi verso la Persia, dalla quale venne espulso. Quindi, ritornò in Israele. Venne crocifisso, ma venne sottratto al supplizio che non era pensato come pena di morte, ma solo come tortura. Venne curato dai suoi e poi fuggì in Kashmir dove si sposò ed ebbe figli. Morì in Kasmhir. La sua tomba sarebbe a Sriagar nella capitale del Kashmir. I buddhisti considerarono Isa o Isha una reincarnazione di Buddha, il Buddha-Isa.(1)(2) Alcuni affermano che la narrazione su Buddha-Isa deriva dall’influsso della presenza di comunità cristiane nestoriane in India, documentabili dal VII sec. d.C. Già prima l’area era sotto l’interesse dei nestoriani; infatti nel 498 d.C il patriarca nestoriano di Seleucia divenne patriarca della Persia, della Siria, della Cina e dell’India, e perciò queste ampie regioni conobbero la presenza di missionari nestoriani, e quindi contatti con quelle culture (3). Ma il dato di Isha o Isa è molto antico, tanto che si è voluto parlare di una profezia induista su Gesù Cristo. Infatti nel Pratisarga Parvana del Bhavishya Mahapurana terzo kanda (capitolo) versi 16-33 si parla di un certo “Ishaa Putra (“il Signore Figlio”) nato da una vergine” che si definisce “Mahiso”, ovvero “Grande Signore” (Mah, da Maha: grande; iso, da ishvara: signore, colui che controlla).  Esistono in testi indù le parole mahesa, masiha, mishihu, connesse all’aramaico mesiha o all’ebraico masiah o, molto meglio, all’arabo masih. Tali parole sono usate in alcuni testi indù successivi alla presenza cristiana in India, ma dovettero fare ingresso nell’uso indù molto prima con le armate di Alessandro Magno, che, conquistatrici, si spinsero fino al fiume Indo, al quale giunsero nel 326 a.C., mettendo a contatto culture lontane; ma non sono da escludere antichissimi influssi della lingua aramaica o araba. Presso gli ebrei e i cristiani tali parole hanno il significato di re consacrato con un’unzione. Il significato invece che hanno nel mondo indù va collegato con la radice araba “msh”, che oltre “misurare” significa “strofinare”, cioè togliere l’impurità. Il Corano, che non pensa a Gesù come salvatore, ma solo come profeta, usa il termine “masih” nel senso di “purificato dagli errori e dalle debolezze umane”, proprio appoggiandosi alla radice araba “msh”. Il “Dizionario del Corano” (ed. Mondadori, Milano, 2007), alla voce “Gesù”, afferma: “La parola ebraica mesiah (traslitterazione in greco messias; Gv 1,41; 4,25) è tradotta usualmente nel Nuovo Testamento con Christos, da chrio: ungere. Il Corano designa Gesù con il nome Isa (sura 2, 45), mentre gli arabo-cristiani lo chiamano Yasu. Non ci sono studi su come Muhammad (570 – 632 d.C) giunse a dare a Gesù il nome Isa (signore), ma probabilmente avvenne attraverso carovanieri cristiani nestoriani di ritorno dall’India: il termine Isa deriva da isha, che è una forma contratta della parola (lingua sanscrito) ishvara (controllore supremo, signore). Anche l’Islam entrò a contatto con l’India in seguito a conquiste territoriali che arrivarono oltre il Gange. Questo incontro di civiltà portò a coniare, dal Kashmir al Tibet, nomi come Yusu, Yusuf, Yuz, Issa, Issana, Yusaasaf, Yuz-Asaph, Yus Zasaf. Anche il termine El, per designare Dio, si trova in tardi testi indù, e ciò prova ancora il contatto con la cultura semitica. El (“essere forte”) era un nome di Dio per gli ebrei, ma già lo era per i Cananei. Ad Ugarit si usava ‘l, in accadico ilu, in arabo ilah.  In testi indù che precedono il contatto con l’Islam si incontra anche allah (al-ilah), che vuol dire precisamente il dio, ed era usato in Arabia anche prima dell’avvento di Muhammad. Anche un nome arabo, “Amadh”, si incontra nei testi indù. Tutto ciò dice di antichi contatti di civiltà.” Come è noto, il nome “Gesù” è una italianizzazione del latino Iesus, il quale deriva dal greco Iesous, il quale a sua volta deriva dall’aramaico Yeshua, abbreviazione di Yehoshua, che vuol dire: “Dio salvezza”. Ye corrisponde alla forma contratta di Yeovè. In ebraico si ha Jahvéh, che rende, con la vocalizzazione, il tetragramma YHWH. Come si può vedere c’è una stretta parentela tra i nomi Yeoshua, Iesous, Iesus, e Isa o Isha o Issa. Sebbene questi siano solo delle supposizioni teoriche – nulla di certificato a livello accademico e storico – la figura di Gesù è stata vista come un punto di incontro tra induismo, buddhismo e cristianesimo nel XX secolo. Gesù per gli induisti è un avatar tra i tanti avatar, ovvero una “discesa” della divinità nel cosmo in particolari momenti di crisi spirituale dell’umanità. Tra i maggiori esponenti del dialogo spirituale tra cristianesimo, buddhismo e induismo troviamo sicuramente Raimon Panikkar (“Sono partito cristiano, mi sono scoperto hindú e ritorno buddhista, senza cessare per questo di essere cristiano”); Madre Teresa di Calcutta, religiosa e grande praticante di Karma Yoga (4); Padre Anthony Elenjimittam, frate domenicano e swami che fu sostenuto nella sua opera di dialogo interreligioso sia da Papa Giovanni XXIII sia da Papa Giovanni Paolo I (grande conoscitore della spiritualità orientale); e sicuramente i grandi leader del grande risveglio spirituale parallelo alla controcultura del Sessantotto del 1900 come Paramahansa Yogananda, Swami Kriyananda, Shri Mataji Nirmala Devi, Osho Rajneesh e Sri Satya Sai Baba che – portando una parte della saggezza spirituale orientale in Occidente – hanno professato la figura di Gesù come ponte tra culture, religioni e spiritualità, rivalutandolo come grande maestro portatore di un messaggio etico universale al pari di altri maestri. Paramahansa Yogananda – considerato un ponte tra il Cristianesimo lo Yoga, mostrando l’unità esoterica di tutte le religioni attraverso il cammino spirituale – nella sua opera “Lo Yoga di Gesù”, sostiene che Gesù era uno yogi e che i suoi insegnamenti contengono lo yoga, una “scienza spirituale per raggiungere Dio attraverso la meditazione”. Yogananda crede che Gesù abbia reso possibile a tutti di realizzare la propria divinità attraverso la meditazione e la pratica dello yoga. Secondo Yogananda, Gesù non si è presentato come un essere superiore, ma ha mostrato come tutti possano raggiungere la sua stessa realizzazione attraverso la meditazione e l’attivazione del loro potenziale divino. Yogananda afferma che Gesù ha insegnato ai suoi discepoli lo yoga, una pratica che porta all’illuminazione e alla realizzazione spirituale. Yogananda interpreta la Seconda Venuta di Cristo non come un ritorno fisico, ma come la riscoperta della “coscienza cristica”, che è possibile attraverso la pratica della meditazione e dello yoga. Come prova dell’insegnamento yogico di Gesù ci sarebbero numerose raffigurazioni e, se osserviamo l’immagine al centro, notiamo che Shiva, Buddha, San Nicola e Gesù sembrano fare tutti gesti simili. Ad un occhio non allenato, questa potrebbe essere solo una coincidenza, ma ad un ulteriore esame sembra che ogni “maestro asceso” sembri usare un mudra yogico. Nella pratica dello yoga, i mudra sono fondamentalmente di due tipi: toccare la punta di varie dita con il pollice o premere la prima articolazione falangea con il pollice. A seconda di quale dito viene toccato o premuto, gli effetti sul corpo variano. San Nicola di Myra e Gesù hanno entrambi le mani posizionate nel Surya Ravi Mudra o Prithvi Mudra. Questo particolare mudra della mano è anche conosciuto come il “sigillo della vita” o “sigillo del sole” (interessante perché Gesù è il “figlio di Dio”). L’anulare rappresenta la terra, l’energia, la forza e la resistenza. Il pollice rappresenta il fuoco e la natura divina. Quando le due dita sono posizionate insieme in Surya Ravi Mudra, simboleggiano e incoraggiano l’energia, l’equilibrio, la salute e la vitalità. Scrive Yogananda ne “Il Vangelo di Gesù secondo Paramhansa Yogananda”: «Gesù Cristo venne crocifisso una volta, ma il suo insegnamento è stato e viene crocifisso continuamente dalla gente ignorante. La comprensione e l’applicazione di questi insegnamenti, percepiti intuitivamente, mostrerà come la Coscienza Cristica di Gesù, liberata dalla crocifissione teologica, può essere riportata una seconda volta nelle anime degli uomini». Yogananda sosteneva che le interpretazioni spirituali delle parole di Gesù nascono dall’intuizione, e ognuno potrà realizzarne la verità universale se le mediterà con percezione intuitiva. Esse devono essere studiate coscientemente e meditate ogni giorno da tutti i sinceri devoti di Dio. Queste interpretazioni, ricevute e trasmesse attraverso la Coscienza Cristica, mostrano al mondo la comune base scientifica della percezione intuitiva, dove ritroviamo nella Bibbia cristiana, nella Bhagavad Gita e nelle sacre Scritture di tutte le grandi religioni. Yogananda concepisce Gesù come un Buddha, un illuminato, un’incarnazione della “coscienza critica universale” che può manifestarsi nella coscienza di ogni vero devoto di Dio. Ogni uomo è un Cristo potenziale – afferma Yogananda – e tutti coloro che possono rendere la loro concentrazione abbastanza lunga e profonda possono ricevere Gesù Cristo nella loro coscienza. I veri Cristiani sono quelli che attraverso la meditazione e l’estasi abbracciano nella loro coscienza la Beatitudine e la Saggezza Cosmica di Gesù Cristo. Altro contributo sulla figura di Gesù, dal punto di vista orientale (ma forse più controverso), lo ha dato Osho Rajneesh, mistico indiano iconoclasta ed aspro critico delle “religioni istituzionali”. Sebbene ritenga il cristianesimo “la peggiore manifestazione religiosa di questo mondo” che ha causato danni enormi all’umanità, approfittando peraltro della povertà per convertire la gente – oltre ad essere ossessionata dall’idea del peccato, della morte e della sofferenza – Osho ha sempre visto in Gesù un esempio di maestro. Gesù – spiega Osho – non fu mai un cristiano, infatti in (la lingua parlata da Gesù) non esiste la parola “cristo”, né esiste in ebraico: solo diversi anni dopo la sua morte, quando il Vangelo fu tradotto in greco, la parola “messia” venne resa con “cristo”. Osho era affascinato dal messaggio evangelico ed esoterico di Gesù a tal punto che ne diede molta importanza nei suoi insegnamenti. fondamentali furono: Il seme della ribellione. Commenti ai Vangeli Apocrifi di San Tommaso (3 volumi), Tradate (Va), Oshoba, 2002; Cristianesimo e Zen, Riza, Milano, 2002; e Il miracolo più grande. Commento ai vangeli, Milano, Mondadori, 2010. In alcuni discorsi Osho parlò di Gesù come di un maestro illuminato – al pari di Siddharta Gautama, Maometto, Ramakrishna, Mahavira ecc. – definendolo “un poeta dell’Assoluto”, frainteso dai cristiani e disprezzato dagli ebrei per la sua scelta di vivere da individuo libero, che riconosceva solo la propria autorità avulsa da ogni tradizione. Osho dichiarò inoltre che Gesù non morì sulla croce (aderendo alla tesi del teologo tedesco Karl Friedrich Bahrdt) ma fu salvato dopo tre ore da Ponzio Pilato che aveva sottoscritto un accordo segreto con i discepoli, e dopo essere stato accudito nella falsa tomba dai soldati romani, emigrò in Kashmir dove visse fino a 120 anni, abbandonando l’idea di essere il Messia: “si pensa che Gesù sia venuto in Kashmir perché era una terra ebraica in India – una tribù di ebrei viveva lì. Ci sono molte storie in Kashmir su Gesù, ma si deve andare lì per scoprirle. La crocifissione cambiò del tutto la mente di Gesù”. La condanna sarebbe stata una parziale messinscena per placare i capi ebrei di Gerusalemme. La sua tomba sarebbe il santuario di Roza Bal, come affermato da Mirza Ghulam Ahmad (5). Un importante interpretazione della figura di Gesù, nella tradizione induista, lo si trova nel grande insegnamento di Sua Santità Shri Mataji Nirmala Devi, leader spirituale indiana e satguru del Sahaja Yoga, nonchè grande attivista politica che insieme al Mahatma Gandhi si adoperò nel movimento delle donne per la lotta nonviolenta per l’indipendenza dell’India dal colonialismo inglese. Fu proprio Shri Mataji a parlare di Gesù come un personaggio riconosciuto nell’induismo per il suo messaggio di compassione, amore e non-attaccamento alle cose materiali. In particolare, la pratica del Sahaja Yoga (6) associa la vita e il messaggio di Gesù alle qualità dell’Agnya chakra (7), quali perdono, umiltà, compassione e resurrezione. In alcuni contesti del Sahaja Yoga, Vishnu (il cui principio è associato al Nabhi chakra) può essere visto come Mahavishnu nell’Agnya chakra (terzo occhio), e la sua manifestazione terrena sarebbe Gesù Cristo. Questo implica una connessione tra la divinità Vishnu e Gesù, con Gesù visto come una realizzazione terrena di Mahavishnu. In sintesi, Gesù Cristo viene visto come una manifestazione terrena di Mahavishnu, che a sua volta è associato al principio di Vishnu presente nell’Agnya chakra quindi legato a sua volta alla dimensione dell’intuizione. Non solo, la figura di Gesù viene vista in stretta connessione con Ganesha, la divinità metà uomo e metà elefante figlio di Shiva e Parvati il cui nome – composto da “gana” (tutti) e “isha” (signore) – significa “Signore di tutti gli esseri”. Lo stesso vale per la figura di Maria, madre di Gesù, che nei praticanti di Sahaja Yoga, è riconosciuta come figura degna di nota in quanto reincarnazione di Mahalakshmi (chiamata Shri Maria Mahalakshmi https://www.youtube.com/watch?v=7xPIoI3Kjr8 ) (8) Gesù è stato e continua ad essere una ponte tra il cristianesimo e le principali tradizioni religiose orientali, in particolare l’induismo il quale ha la grande capacità di rivolgersi a devoti di diverse religioni accogliendo elementi di altre tradizioni, trasformandoli e plasmandoli alla luce della sua dottrina. Come ha dichiarato Sri Sathya Sai Baba, controverso leader spirituale ed educatore indiano: “Gesù era Compassione venuta in forma umana. Diffuse lo spirito di Compassione e diede conforto agli afflitti e ai sofferenti, essa fu il Suo messaggio. Egli provava profonda pena alla vista dei poveri. In questo giorno Gesù viene adorato, ma i Suoi insegnamenti sono trascurati.” Quanto è vera questa dichiarazione alla luce del dilagante attaccamento al denaro in Occidente e della diffusione di una mentalità riduzionista, meccanicista e materialista in tutto il mondo che ci impedisce di avere una visione più complessa e profonda del mondo stesso?   (1) Andreas Faber – Kaiser, “Gesù visse e morì in Kashmir”, ed. De Vecchi, Milano 1975. (2) Aziz Kashimir, “Cristo in Kashmir”, ed. Atlantide, Roma 1996. (3) https://www.perfettaletizia.it/archivio/infomazione/miti/sincretismi.htm (4) “C’è un solo Dio, ed è Dio per tutti. Per questo è importante che ognuno appaia uguale dinanzi a Lui. Ho sempre detto che dobbiamo aiutare un indù a diventare un indù migliore, un musulmano a diventare un musulmano migliore e un cattolico a diventare un cattolico migliore. Crediamo che il nostro lavoro debba essere d’esempio alla gente” (5) Credenza è diffusa anche nel movimento musulmano Ahmadiyya (6) insieme di antiche pratiche di yoga meditativo basato sul risveglio spontaneo della Kundalini che venne studiato e diffuso da Shri Mataji Nirmala Devi dal 1976 (7) Agnya Chakra è il sesto chakra nella tradizione buddhista e induista, conosciuto come “terzo occhio” ovvero chakra dell’intuizione. https://yogafacile.it/sloka-per-agnya-e-sahasrara/ https://sahajayogamilano.it/wp-content/uploads/2023/05/6-Agnya.pdf (8) https://www.youtube.com/watch?v=We5DbKGlCYo https://www.youtube.com/watch?v=M1OqJNuBQb8 https://www.youtube.com/watch?v=Bkru1YzI4fM https://lettermagazine.it/riflessioni/gesu-le-religioni-asiatiche/#:~:text=Secondo%20la%20religione%20induista%20ci,Salvatore%20unico%2C%20assoluto%2C%20universale. Lorenzo Poli