5 SÌ ai diritti per dire NO al governo più reazionario della storia della Repubblica Italiana
Domenica 8 e lunedì 9 giugno si voterà per i più scomodi referendum della storia
della Repubblica e al tempo stesso per le votazioni più apertamente boicottate
dal potere politico ed economico.
Scriveva don Lorenzo Milani che le uniche “armi” efficaci in mano agli
emarginati e agli sfruttati, le sole realmente utili a rendere reale il
programma politico della Repubblica Italiana, enunciato dalla Costituzione, ma
in tutto o in parte disatteso sono lo sciopero e il voto.
Milioni di giovani precari o lavoratori in nero non possono in alcun modo
scioperare e, in tempo di crisi, per molte famiglie proletarie che faticano ad
arrivare a fine mese una giornata di sciopero, spesso ridotto a rituale stantio,
simbolico, e autocelebrativo, è diventata un lusso che non si può più fare a
cuor leggero.
Spuntata l’arma dello sciopero generale, è stata la stessa CGIL a sfidare
governo e Confindustria al voto, raccogliendo milioni di firme per quattro
referendum tesi ad abrogare alcune leggi che hanno colpito pesantemente i
diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, smantellando diritti conquistati con
anni e anni di lotte.
A questi quattro quesiti si è aggiunto sorprendentemente il quesito numero 5
che in pochi giorni, grazie alla nuova piattaforma istituzionale che permette di
sottoscrivere con firma certificata le proposte di referendum abrogativo e
soprattutto grazie a un’incredibile mobilitazione dal basso, ha raggiunto e
superato abbondantemente le cinquecentomila firme indispensabili per presentare
i quesiti alla Cassazione, per i controlli formali, e quindi alla Corte
Costituzionale. Questa deve pronunciarsi, a maggioranza e spesso in modo
discutibile se non addirittura arbitrario, sulla loro costituzionalità, in
base agli effetti che deriverebbero dall’eventuale l’abrogazione, in tutto o in
parte, delle leggi contestate.
Scrivo questo perché la decisione di non ammettere il quesito per l’abrogazione
della legge sull’autonomia differenziata, ovvero la secessione dei ricchi, ha
segnato pesantemente questa stagione referendaria.
Difficilmente di fronte al referendum per abrogare la legge sulla cosiddetta
autonomia differenziata la Lega avrebbe potuto evitare di raccogliere il guanto
della sfida e decidere di astenersi; avrebbe anzi tentato di far vincere il NO,
consentendo così il sicuro raggiungimento del quorum e quindi una vera sfida
democratica sui contenuti.
Esaminiamo dunque i singoli quesiti su cui dovremo esprimerci tra pochi giorni.
Come ho scritto, la CGIL ne ha presentati quattro e tutti ovviamente sui diritti
delle lavoratrici e dei lavoratori.
Il primo ripristina il diritto di ogni lavoratore di aziende sopra i 15
dipendenti ad essere reintegrato al suo posto di lavoro se licenziato senza
giusta causa o giustificato motivo. Ricordiamo che l’articolo 18 dello Statuto
dei Lavoratori venne abrogato dal Job Act durante il governo di Matteo Renzi.
Ora abrogando la legge Renzi l’articolo 18 risorgerebbe come per miracolo.
Il secondo referendum riguarda invece le piccole aziende, sotto i quindici
dipendenti, dove i lavoratori licenziati senza giusta causa potranno avere un
indennizzo deciso dal giudice e non imposto al ribasso da una legge che di nuovo
accontenta i padroncini.
Il terzo referendum regolarizza i cosiddetti contratti a termine, che
potranno essere stipulati solo su reale necessità, e non in modo arbitrario,
come forma di ricatto nei confronti dei giovani lavoratori e delle giovani
lavoratrici precari. Oggi le aziende non hanno più bisogno di licenziarli,
perché è dato loro il potere di non riassumerli alla scadenza del contratto
escludendoli senza giustificato motivo dal rinnovo.
Il quarto quesito riguarda la catena dei subappalti. Il referendum stabilisce
che la ditta che vince un appalto pubblico resti responsabile dei lavoratori
delle ditte a cui subappalta i lavori. Chi conosce la materia sa bene che questo
riporta diritti e legalità in questo delicatissimo settore, dove le morti sul
lavoro si susseguono a un ritmo impressionante.
Abbiamo infine il referendum che ripristina la possibilità di ottenere la
cittadinanza italiana dopo cinque anni di soggiorno stabile in Italia e non più
dopo i 10 anni che la xenofobia della Lega ha voluto imporre.
È evidente il significato politico di questi referendum di fronte ai quali il
governo, le destre e Confindustria scappano, contando di farli fallire con
un’incredibile politica di boicottaggio che mai si era vista nei confronti di
una consultazione democratica.
Sanno infatti che i NO convinti ai diritti sarebbero stati un’infima minoranza e
si nascondono comodamente dietro la diffusa disaffezione al voto.
Nelle attuali condizioni solo un miracolo, un imprevedibile scatto democratico,
un passaparola dal basso potrebbe consentire ai referendum di superare il quorum
del 50% più un voto.
In ogni caso i milioni di SÌ che si pronunceranno domenica 8 e lunedì 9 giugno
resteranno come un sonoro NO al governo e alle sue politiche reazionarie e
antidemocratiche.
Vogliono che non voti e tu vota.
Mauro Carlo Zanella