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Visita a sorpresa dell’europarlamentare Ilaria Salis al CPR di Macomer: gravi criticità nella struttura e nei diritti delle persone detenute.
Nella mattinata di giovedì 29 maggio si è svolta una visita a sorpresa al CPR di Macomer da parte di Ilaria Salis, accompagnata da un suo collaboratore e da Teresa Concu, infermiera e attivista dell’Assemblea di Potere al Popolo Cagliari. Le testimonianze raccolte durante l’ispezione hanno messo in luce un clima di insicurezza e paura tra le persone detenute — impropriamente definite “ospiti” dagli operatori del centro. Le condizioni strutturali risultano gravemente compromesse: le docce sono insufficienti , l’alimentazione è inadeguata e più volte descritta come dannosa, tanto da aver spinto alcune persone a intraprendere uno sciopero della fame, senza però ottenere alcun miglioramento. La struttura versa in uno stato di degrado evidente: presenza di muffa, materassi sporchi, sporcizia diffusa, condizioni igienico-sanitarie precarie e un numero di operatori sanitari insufficiente per garantire l’assistenza prevista dalla normativa. Conferenza stampa: Teresa Concu, Andrea Scano (AVS), IIaria Salis e Francesca Mazzuzi (Campagna LasciateCIEntrare) – 29 maggio 2025 (Foto Facebook) Dalle parole raccolte — ma anche dai silenzi e dagli sguardi impauriti di chi non riesce a esprimersi — emerge non solo la denuncia delle condizioni materiali e delle carenze, dal cibo all’assistenza sanitaria, ma anche un senso diffuso di angoscia per il rischio costante di una deportazione improvvisa. In molti si chiedono: «Perché sono qui? Non ho commesso alcun reato». Ricordiamo, infatti, che la detenzione nei CPR ha natura esclusivamente amministrativa. Trattenere persone in simili condizioni, senza accuse penali, contribuisce in modo significativo al loro disagio psicologico, aggravato dall’assenza di qualsiasi attività ricreativa e dall’impossibilità di ricevere visite. Cagliari, 31 Maggio 2025 Assemblea di Potere al Popolo – Cagliari Redazione Sardigna
CPR, l’anomalia dello stato di diritto: la detenzione senza reato!
I Centri di Permanenza per i Rimpatri (CPR) rappresentano oggi una delle più gravi contraddizioni dello Stato di diritto italiano: una detenzione senza reato!_   Nati come strutture temporanee per l’identificazione e l’espulsione di migranti irregolari, si sono trasformati in luoghi di detenzione amministrativa dove persone – colpevoli solo di non avere un permesso di soggiorno – vengono private della libertà personale per periodi sempre più lunghi, fino a 180 giorni. Una misura sproporzionata, che viola i principi fondamentali della nostra Costituzione. L’articolo 13 della Costituzione afferma: «La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria». Eppure, nei CPR, uomini e donne vengono rinchiusi senza aver commesso alcun crimine, ma solo per una violazione amministrativa. Non si tratta di carcerazione per reati, ma di privazione della libertà per il semplice fatto di essere “indesiderati”. A Messina, durante un incontro con Ilaria Salis, attivista e parlamentare che ha denunciato più volte le condizioni disumane dei CPR , è emerso con chiarezza l’abisso tra le garanzie costituzionali e la realtà di questi centri. Salis ha parlato del CPR di Trapani, descrivendo celle sovraffollate, condizioni igieniche inaccettabili, mancanza di assistenza legale e medica. «Queste strutture», ha detto, «sono luoghi di sofferenza e disumanizzazione, dove il diritto viene sospeso». I CPR sono l’ultima incarnazione di un sistema che, dal 1998, ha progressivamente inasprito il trattamento riservato ai migranti. Nati come Centri di Permanenza Temporanea (CPT), poi diventati Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE), oggi si chiamano CPR, ma la sostanza non cambia. Sono luoghi di reclusione per chi non ha commesso alcun reato. La durata della detenzione è aumentata da 30 a 180 giorni, soprattutto a causa dei decreti sicurezza (2018-2019), che hanno esteso i tempi di trattenimento senza migliorare le condizioni di vita all’interno dei centri. Questi provvedimenti, presentati come necessari per contrastare l’immigrazione irregolare, hanno di fatto normalizzato la detenzione amministrativa, rendendola più lunga e più dura, senza però risolvere i problemi strutturali del sistema. Una riflessione necessaria. Se la Costituzione italiana riconosce i diritti inviolabili dell’uomo (art. 2), se proclama l’uguaglianza davanti alla legge (art. 3), se vieta trattamenti contrari al senso di umanità (art. 27), come possiamo accettare che migliaia di persone siano rinchiuse in condizioni degradanti solo perché prive di un documento? I CPR, aggravati dai decreti sicurezza, non sono la soluzione al fenomeno migratorio, sono, piuttosto, la negazione della democrazia. Se vogliamo essere un Paese che rispetta i diritti umani, dobbiamo ripensare radicalmente queste strutture, sostituendole con politiche più giuste e umane. Perché, come scriveva Primo Levi, «se comprendere è impossibile, conoscere è necessario». E oggi, conoscere ciò che accade nei CPR è un dovere civico.   Redazione Sicilia
Il 25 Aprile a Palermo per la convergenza delle lotte su pace e disamo
Iniziamo col dire che questa celebrazione dell’ottantesimo “25 Aprile” panormita, non è stata soltanto la solita rituale commemorazione della Liberazione dal nazifascismo. Certo, come sempre l’apertura della giornata è stata fissata già nella prima mattinata, all’interno dello storico Giardino Inglese, alla presenza delle autorità pubbliche e dell’ANPI, con la tradizionale deposizione di corone di alloro e fiori alla lapide dei caduti di Cefalonia e al cippo in memoria di Pompeo Colajanni, il mitico comandante Barbato fra i protagonisti della lotta partigiana nel Monferrato, distintosi nel corso della liberazione della città di Torino dai nazifascisti. Subito dopo il cerimoniale istituzionale, a pochi centinaia di metri, cominciano sempre più copiosi ad affluire, nel piazzale di via delle Croci, gruppi di cittadini – più o meno organizzati con striscioni e bandiere o semplici cartelli autopennellati, moltissimi con avvolta attorno al collo o adagiata sulle spalle la kefiah, diventata simbolo distintivo unificante delle lotte popolari per l’autodeterminazione – per prendere parte al corteo, il quale da lì a poco si sarebbe snodato lungo la carreggiata centrale del Viale della Libertà per giungere fino a piazza Verdi ed essere accolto – a cancellate aperte – nello spazio esterno del tempio basilesco, dove la scalinata imperiosa del Teatro Massimo si trasformerà in una meravigliosa scenografia, con tantissimi striscioni orizzontalmente esposti a bellavista e, soprattutto, con al centro della scena la grande bandiera palestinese distesa in verticale sugli scalini, per sancirne il legame ideal-simbolico tra le passate e le insorgenti lotte di liberazione contro gli spettri dei nuovi fascismi che si aggirano  nel nostro presente. Insomma, s’era capito da giorni che questa manifestazione non sarebbe stata come le tante celebrate negli ultimi anni, inchiodata com’era – de facto – ad un momento rievocativo istituzionale della storia patria, la giornata in cui si apriva il lungo ponte festaiolo che si chiudeva al primo maggio. La novità stavolta è stata la massiccia presenza delle ultime generazioni politiche dei movimenti – di cui la maggior parte non è strutturata nella militanza dei grandi partiti tradizionali – e che, in questi anni di atrocità belliciste, li ha visti a sostegno (così come i tantissimi altri giovani nelle piazze delle maggiori capitali e nelle acampadas universitarie del mondo) della campagna di mobilitazione solidale in favore della popolazione palestinese, contro il genocidio sistematico praticato dall’esercito sionista sotto il comando del governo della destra ultraconservatrice. In sostanza, più di cinquemila (con qualche stima anche raddoppiata) le presenze del corteo del 25 Aprile panormita, caratterizzatosi sul tema della Pace e del Disamo, dentro cui abbiamo visto convergere – così come scrive nella cronaca di ieri Daniela Musumeci su Pressenza.com – “per la prima volta insieme tre generazioni” di attiviste e attivisti:  figli dei partigiani e dei deportati,  sessantottini che non si sono mai fermati e moltitudini soggettive cresciute tra l’associazionismo solidale e i centri sociali autogestiti. Questa convergenza – pur non alludendo ad alcuna vera e propria pianificazione organizzativa – non è stata del tutto casuale. Infatti, nei giorni precedenti si sono tenuti diversi incontri incrociati, ci si è confrontati – sia pure a distanza –  sulla necessità di partecipare in massa all’iniziativa, con l’obiettivo di farla diventare una straordinaria occasione di mobilitazione sociale al di fuori dai canoni istituzionali, riappropriandosi di una lotta contro quel potere che allora era l’espressione più feroce delle sue concrezioni conosciute e di cui molti tratti oggi riaffiorano impunemente: una destra che non fa mistero nel voler far prevalere la sua recrudescenza, legittimata da un populismo democraturale che specula sul disagio dei subalterni del pianeta, per mantenere i privilegi delle oligarchie capitalistiche. Stiamo parlando dell’avanzata di un blocco reazionario che coniuga “ordine e disciplina” del passato con la dittatura algoritmica delle piattaforme della sorveglianza. Una destra mondiale che mentre espande il dominio sui flussi comunicativi della rete, intanto innalza muri e lascia annegare in mare i dannati della terra – che fuggono dalla miseria e dalle guerre neocoloniali – , continuando a finanziare i lager di tortura e creandone altri ancora ai margini dei confini dell’occidente scristianizzato, senza più bisogno d’indossare la maschera dell’ipocrisia dei cd. “governi progressisti”. Ma anche all’interno stesso della fortezza-Europa i diritti umani sono diventati un optional. Nel suo avamposto italico-mediterraneo già da tempo hanno subito il totale affievolimento e con il varo dell’ultimo “decreto sicurezza” si mette in dubbio l’esistenza stessa dello Stato di diritto nel nostro paese, tanto che gli esperti dell’ONU hanno chiesto al governo italiano di ritirare il Decreto-Legge 11 aprile 2025, n. 48 prima ancora della conversione parlamentare: in nome della sicurezza nazionale – in particolare – l’emergenza emigrazione viene gestita tramite la rete dei CPR, veri e propri strumenti di annichilimento (oggi legittimati e rafforzati dall’impunità garantita dal DL citato), adoperati da un sistema di detenzione brutalizzante, come nel caso del CPR di Milo, portato alla luce da Ilaria Salis e Leoluca Orlando che abbiamo incontrato qualche settimana fa, in conferenza stampa presso la sede dell’Arci palermitana. Una visita ispettiva effettuata dai due parlamentari europei, a conclusione della quale – date le condizioni disumane riscontrate – essi si sono impegnati affinché l’assise di Strasburgo possa intervenire per richiederne la chiusura immediata. Tutto ciò di cui abbiamo trattato sopra era dentro i contenuti emersi dal lungo serpentone che ha attraversato l’asse viario fuori le mura del centro storico cittadino. Per la verità nell’intervento del rappresentate della comunità palestinese – tra l’altro il più seguito e il più applaudito dalla piazza, tanto da fermare i canti di lotta partigiana che venivano intonati nel mezzo della marea di partecipanti – i temi trattati in questo nostro articolo sono stati ben esplicitati ed esposti con estrema chiarezza e profondità di analisi, molto più di quanto abbiamo tentato noi di scriverne. Toni Casano