Il 25 Aprile a Palermo per la convergenza delle lotte su pace e disamoIniziamo col dire che questa celebrazione dell’ottantesimo “25 Aprile”
panormita, non è stata soltanto la solita rituale commemorazione della
Liberazione dal nazifascismo. Certo, come sempre l’apertura della giornata è
stata fissata già nella prima mattinata, all’interno dello storico Giardino
Inglese, alla presenza delle autorità pubbliche e dell’ANPI, con la tradizionale
deposizione di corone di alloro e fiori alla lapide dei caduti di Cefalonia e al
cippo in memoria di Pompeo Colajanni, il mitico comandante Barbato fra i
protagonisti della lotta partigiana nel Monferrato, distintosi nel corso della
liberazione della città di Torino dai nazifascisti.
Subito dopo il cerimoniale istituzionale, a pochi centinaia di metri, cominciano
sempre più copiosi ad affluire, nel piazzale di via delle Croci, gruppi di
cittadini – più o meno organizzati con striscioni e bandiere o semplici cartelli
autopennellati, moltissimi con avvolta attorno al collo o adagiata sulle spalle
la kefiah, diventata simbolo distintivo unificante delle lotte popolari per
l’autodeterminazione – per prendere parte al corteo, il quale da lì a poco si
sarebbe snodato lungo la carreggiata centrale del Viale della Libertà per
giungere fino a piazza Verdi ed essere accolto – a cancellate aperte – nello
spazio esterno del tempio basilesco, dove la scalinata imperiosa del Teatro
Massimo si trasformerà in una meravigliosa scenografia, con tantissimi
striscioni orizzontalmente esposti a bellavista e, soprattutto, con al centro
della scena la grande bandiera palestinese distesa in verticale sugli scalini,
per sancirne il legame ideal-simbolico tra le passate e le insorgenti lotte di
liberazione contro gli spettri dei nuovi fascismi che si aggirano nel nostro
presente.
Insomma, s’era capito da giorni che questa manifestazione non sarebbe stata come
le tante celebrate negli ultimi anni, inchiodata com’era – de facto – ad un
momento rievocativo istituzionale della storia patria, la giornata in cui si
apriva il lungo ponte festaiolo che si chiudeva al primo maggio. La novità
stavolta è stata la massiccia presenza delle ultime generazioni politiche dei
movimenti – di cui la maggior parte non è strutturata nella militanza dei grandi
partiti tradizionali – e che, in questi anni di atrocità belliciste, li ha visti
a sostegno (così come i tantissimi altri giovani nelle piazze delle maggiori
capitali e nelle acampadas universitarie del mondo) della campagna di
mobilitazione solidale in favore della popolazione palestinese, contro il
genocidio sistematico praticato dall’esercito sionista sotto il comando del
governo della destra ultraconservatrice.
In sostanza, più di cinquemila (con qualche stima anche raddoppiata) le presenze
del corteo del 25 Aprile panormita, caratterizzatosi sul tema della Pace e del
Disamo, dentro cui abbiamo visto convergere – così come scrive nella cronaca di
ieri Daniela Musumeci su Pressenza.com – “per la prima volta insieme tre
generazioni” di attiviste e attivisti: figli dei partigiani e dei deportati,
sessantottini che non si sono mai fermati e moltitudini soggettive cresciute tra
l’associazionismo solidale e i centri sociali autogestiti. Questa convergenza –
pur non alludendo ad alcuna vera e propria pianificazione organizzativa – non è
stata del tutto casuale. Infatti, nei giorni precedenti si sono tenuti diversi
incontri incrociati, ci si è confrontati – sia pure a distanza – sulla
necessità di partecipare in massa all’iniziativa, con l’obiettivo di farla
diventare una straordinaria occasione di mobilitazione sociale al di fuori dai
canoni istituzionali, riappropriandosi di una lotta contro quel potere che
allora era l’espressione più feroce delle sue concrezioni conosciute e di cui
molti tratti oggi riaffiorano impunemente: una destra che non fa mistero nel
voler far prevalere la sua recrudescenza, legittimata da un populismo
democraturale che specula sul disagio dei subalterni del pianeta, per mantenere
i privilegi delle oligarchie capitalistiche.
Stiamo parlando dell’avanzata di un blocco reazionario che coniuga “ordine e
disciplina” del passato con la dittatura algoritmica delle piattaforme della
sorveglianza. Una destra mondiale che mentre espande il dominio sui flussi
comunicativi della rete, intanto innalza muri e lascia annegare in mare i
dannati della terra – che fuggono dalla miseria e dalle guerre neocoloniali – ,
continuando a finanziare i lager di tortura e creandone altri ancora ai margini
dei confini dell’occidente scristianizzato, senza più bisogno d’indossare la
maschera dell’ipocrisia dei cd. “governi progressisti”.
Ma anche all’interno stesso della fortezza-Europa i diritti umani sono diventati
un optional. Nel suo avamposto italico-mediterraneo già da tempo hanno subito
il totale affievolimento e con il varo dell’ultimo “decreto sicurezza” si mette
in dubbio l’esistenza stessa dello Stato di diritto nel nostro paese, tanto che
gli esperti dell’ONU hanno chiesto al governo italiano di ritirare il
Decreto-Legge 11 aprile 2025, n. 48 prima ancora della conversione
parlamentare: in nome della sicurezza nazionale – in particolare – l’emergenza
emigrazione viene gestita tramite la rete dei CPR, veri e propri strumenti di
annichilimento (oggi legittimati e rafforzati dall’impunità garantita dal DL
citato), adoperati da un sistema di detenzione brutalizzante, come nel caso del
CPR di Milo, portato alla luce da Ilaria Salis e Leoluca Orlando che abbiamo
incontrato qualche settimana fa, in conferenza stampa presso la sede dell’Arci
palermitana. Una visita ispettiva effettuata dai due parlamentari europei, a
conclusione della quale – date le condizioni disumane riscontrate – essi si sono
impegnati affinché l’assise di Strasburgo possa intervenire per richiederne la
chiusura immediata.
Tutto ciò di cui abbiamo trattato sopra era dentro i contenuti emersi dal lungo
serpentone che ha attraversato l’asse viario fuori le mura del centro storico
cittadino. Per la verità nell’intervento del rappresentate della comunità
palestinese – tra l’altro il più seguito e il più applaudito dalla piazza, tanto
da fermare i canti di lotta partigiana che venivano intonati nel mezzo della
marea di partecipanti – i temi trattati in questo nostro articolo sono stati ben
esplicitati ed esposti con estrema chiarezza e profondità di analisi, molto più
di quanto abbiamo tentato noi di scriverne.
Toni Casano