David Wojnarowicz / Un roadtrip nella polvere dell’American Dream
Sul filo della lama, pubblicato per la prima volta nel 1991, è un libro bello e
terribile. L’autore David Wojnarowicz – artista e attivista omosessuale per i
diritti delle persone con Hiv/Aids –, è morto nel 1992 a New York per
complicazioni correlate all’Aids a soli 37 anni: in quel periodo quasi nulla si
sapeva di questo virus, compreso il modo di curarsi.
Nato nel 1954 a Red Bank (New Jersey), figlio di un marinaio violento e
alcolizzato, David trascorse un’infanzia fatta di abusi ed espedienti,
prostituendosi per pochi dollari fin dalla giovane età. È verso la fine degli
anni Settanta che riesce ad affrancarsi dalla strada avvicinandosi prima alla
scrittura e poi al mondo delle attività visive. La sua opera spazia dalla
scrittura, alla scultura, alle installazioni e tutte le sue creazioni hanno come
filo conduttore la solitudine, la diversità, una forte denuncia sociale e la
difficoltà di vivere in una società antagonista.
Anche Sul filo della lama – una raccolta di saggi, un memoir disintegrato in
mille frammenti, capitoli, ricordi – è un testo che denuncia la violenza, dà
voce agli emarginati e alle minoranze, e mette in evidenza le colpe della
politica, dei media e delle organizzazioni religiose americane. Nonostante il
doloroso disfacimento del suo corpo e la sofferenza della sua cerchia di amici
che, lentamente, uno per uno, muoiono decimati dal virus, il j’accuse
dell’autore è energico e potente: lancia strali contro l’amministrazione Reagan
che ha cercato in tutti i modi di relegare ai margini dello spazio pubblico ed
estetico le persone con sindrome da Hiv/Aids e le soggettività queer.
Wojnarowicz condanna apertamente chi detiene il potere perché totalmente
disinteressato alle persone di cui, invece, dovrebbe occuparsi e perché tratta
le minoranze come “piattelli a una gara di tiro”, potere rappresentato da gente
che, per esempio, mentre si preoccupa di eliminare in Costarica alcuni
giornalisti impegnati a portare alla luce la verità sull’importazione di cocaina
da parte del governo e sull’utilizzo dei profitti derivanti dal narcotraffico
per finanziare i contras, si presenta in uno studio televisivo o nel giardino
della Casa Bianca o dal palco di una convention, parlando ipocritamente di
gloriosi progetti umani che avrebbe in serbo per la società americana, se solo
fosse eletto Presidente degli Stati Uniti.
Istituzioni indifferenti che invece di investire nella Sanità per garantire cure
a tutti mettendo a disposizione strutture adeguate a chi contrae questa
terribile malattia o in generale a tutela delle fasce più vulnerabili,
alimentano lo stigma nei confronti di chi è colpito dall’Aids e la
disinformazione in materia di salute sessuale. Le risorse destinate a
contrastare la diffusione del virus sono il minimo indispensabile per far bella
figura sui giornali e “pararsi il culo” mentre le persone, pur di salvarsi la
vita, sono disposte ad assumere sostanze chimiche per il giardinaggio o a farsi
inoculare un vaccino a base di escrementi umani.
Anche il Vaticano e la Chiesa cattolica non escono indenni dall’accusa di
Wojnarowicz poiché hanno ignorato le evidenze scientifiche che dimostrano come i
preservativi in lattice, se correttamente usati, possano prevenire la
trasmissione dell’Hiv e di altre malattie; non solo da parte loro non c’è stata
una corretta informazione per prevenire la diffusione del virus, ma sono state
fatte affermazioni “preistoriche” secondo le quali gli unici modi per prevenire
l’Aids sarebbero stati morigeratezza e astinenza, per cui a coloro che
ignoravano gli insegnamenti della Chiesa cattolica e contraevano la malattia non
restava altro da fare che incolpare sé stessi.
L’autore si rivolge anche contro la stampa per non avere dato conto alla società
dell’ampiezza dell’epidemia, poiché da un lato chi controlla l’informazione
porta avanti il suo programma conservatore con un’accurata selezione di quali
notizie diffondere, e dall’altro considera le persone aggredite da questo virus
come sacrificabili. L’America è descritta come una nazione di zombie dove ci
sono tante tribù: “alcune si occupano di decerebrare le persone sostenendo il
governo nel suo lavoro quotidiano, vendono alle masse mucchi di carne marcia,
come una storia corrotta e falsa e un futuro corrotto e falso, e nonostante
quella carne puzzi di decomposizione e pus e sangue questa particolare tribù
celebra queste esalazioni nauseabonde come se fossero virtù costruite su
gloriosi slanci”. Leggiamo anche una sorta di resoconto dei lunghi vagabondaggi
in automobile di Wojnarowicz, con accurate descrizioni di paesaggi americani,
riflessioni su architettura e arte, storie strazianti di amici e amanti che
muoiono di una morte lenta e feroce, leggiamo di furtivi incontri clandestini
con estranei in servizi igienici, cabine per camion, squallide stanze d’albergo,
magazzini fatiscenti, automobili. Non mancano di conseguenza passaggi a
contenuto sessuale, con descrizioni alquanto esplicite e crude; non sono, però,
racconti gratuiti, scritti per scandalizzare o eccitare il lettore, ma hanno la
funzione di liberare la sessualità in tutte le sue forme, normalizzare aspetti
naturali come il sesso e il corpo, sottolineando il fatto che ancora oggi questi
aspetti sono considerati un tabù, qualcosa da regolamentare e da nascondere se,
in qualche modo, non conformi o sgraditi alla morale borghese.
Troviamo tutto questo e molto altro nel libro, e quello che più colpisce è
l’attualità del pensiero dell’autore: dopo oltre trent’anni le critiche al
Sistema sono assolutamente replicabili alla situazione attuale. Sul filo della
lama è un manifesto contro il consumismo di cui ancora siamo imbevuti; contro il
silenzio e l’indifferenza della politica, della stampa e della società borghese,
completamente disinteressati alle minoranze o alle problematiche dei soggetti
fragili; contro l’ormai consolidata abitudine a colpevolizzare le vittime, il
fenomeno oggi definito victim blaming cui spesso si fa cenno in casi di violenza
ai danni delle donne.
Questo manifesto torna alla luce in un momento in cui è necessario far sentire
voci, se non di ribellione, almeno di critica. Non solo, ha anche il merito di
riportare a galla la questione della tossicodipendenza, piaga sociale di cui si
parla sempre troppo poco rispetto alla vastità del problema, esteso sia in
termini di spettro di sostanze che circolano sia per numero di generazioni
coinvolte. In ultimo, va riconosciuta a Wojnarowicz la grande capacità di
riuscire ad alternare descrizioni molto crude e violente a immagini di grande
poesia come, per esempio, la magia evocatagli da una nuca intravista in
metropolitana o come quando, nella parte finale del libro, chiude numerosi
paragrafi con la frase: “Cercate il profumo dei fiori finché siete in tempo”.
L'articolo David Wojnarowicz / Un roadtrip nella polvere dell’American Dream
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