Tag - accordo Italia-Albania

“Ferite di confine: la nuova fase del modello Albania” in diretta dalla Camera dei Deputati
Martedì 29 luglio alle ore 16:00, presso la Sala Stampa della Camera dei Deputati (via della Missione 4, Roma), si è tenuta la conferenza stampa di presentazione del nuovo rapporto “Ferite di confine. La nuova fase del modello Albania”, frutto delle visite di monitoraggio svolte da membri di organizzazioni della società civile, principalmente italiane, con il supporto del Gruppo di contatto del Parlamento Italiano e del Parlamento Europeo nel centro di detenzione per migranti di Gjadër, nel nord dell’Albania. Il report, curato dal “Tavolo Asilo e Immigrazione”, ha lo scopo di approfondire e fornire aggiornamenti in continuità con quanto già documentato nel precedente dossier “Oltre la frontiera. L’accordo Italia-Albania e la sospensione dei diritti”, presentato lo scorso 25 febbraio 2025 e basato questa volta sulle evidenze raccolte nel corso delle sei missioni realizzate nel periodo aprile – luglio 2025 in collaborazione con parlamentari europei e italiani. Se nella prima fase l’attenzione era concentrata sul trasferimento forzato in Albania dei richiedenti asilo intercettati in mare provenienti da Paesi considerati “sicuri” dal governo italiano, oggi lo scenario è mutato radicalmente e comprende scenari più ampi, non da ultimo le recenti decisioni sui “Return Hubs” e sulla replica seriale di accordi sul modello dell’accordo Rama-Meloni che istituisce i centri per procedere all’esame delle richieste d’asilo al di fuori dell’UE, come confermato lo scorso 22 luglio dalla riunione dei Ministri degli Interni dei 27 Stati Membri dell’Unione Europea. Quest’ultima è stata organizzata dalla Presidenza danese del Consiglio dell’UE, che ha anticipato già da mesi l’intenzione di procedere verso restrizioni sempre piu dure sotto la guida di Mette Frederiksen e soprattutto sulla presa in carico del processo di revisione dell’approccio alla provenienza dai “Paesi sicuri”. rispetto alla quale l’implementazione dell’accordo Rama-Meloni ha già fornito un rilevante, ed estremamente preoccupante, campo di sperimentazione. Un nuovo assetto operativo Da aprile 2025 il governo italiano ha introdotto un nuovo dispositivo, ovvero la deportazione verso il centro di Gjadër di persone già trattenute nei CPR (Centri di permanenza per il rimpatrio) sul territorio italiano. Si tratta di una forma di detenzione amministrativa transnazionale, opaca e potenzialmente lesiva dei diritti fondamentali, che istituzionalizza l’esternalizzazione contestata per molti anni, ma ora pienamente in fase di completamento del rodaggio e ulteriore emulazione da parte degli Stati Membri e della stessa Unione Europea. Il deterioramento del sistema di protezione dei diritti umani e la tutela dello stesso diritto di asilo sono questioni di crescente preoccupazione, come confermato dai molteplici casi di violazione e dalle gravi criticità emerse durante le visite sul campo condotte dal Tavolo Asilo e Immigrazione. Con il decreto-legge n. 37/2025, l’esecutivo ha cercato di rilanciare un protocollo già in difficoltà, spostando in Albania migranti trattenuti nei CPR italiani – spesso per il solo motivo di contare unicamente su un documento scaduto – senza fornire motivazioni credibili. L’operazione è stata messa in atto con una massiccia presenza di forze dell’ordine: due agenti per ogni persona migrante, ammanettata e scortata per esigenze più mediatiche e di amplificazione della propaganda legata alla stessa apertura dei centri in Albania che di reale sicurezza. Una deriva pericolosa ed estremamente costosa per l’Europa intera Questo nuovo rapporto si propone di documentare con rigore l’evoluzione organizzativa e giuridica del “modello Albania”, le condizioni materiali e sanitarie all’interno del centro di Gjadër e gli effetti sistemici su diritti, garanzie individuali e ordinamento democratico. Al centro dell’analisi vi sono la mancanza di trasparenza procedurale, la compressione delle garanzie giuridiche e la pressoché totale elusione del controllo giurisdizionale. Il risultato è la creazione di uno spazio di eccezione al di fuori del territorio nazionale, ma pienamente sotto responsabilità italiana. Oltre alle violazioni dei diritti, l’esperimento in Albania si sta rivelando un fallimento anche sotto il profilo economico. L’inchiesta condotta dai giornalisti James Imam, Vladimir Karaj e Ada Homolová per la piattaforma internazionale Follow the Money e pubblicata un mese fa, il 26 giugno 2025, aveva rivelato che ogni posto letto nel nuovo centro albanese è costato al contribuente non meno di 72.461 euro, dunque ben oltre dieci volte il costo di una struttura analoga in Italia. I dati diffusi dalla sezione italiana della ONG ActionAid e il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Bari nel rapporto “Trattenuti. Una radiografia del sistema detentivo per stranieri” ancor più recentemente, il 24 luglio scorso, sono ancora più inquietanti e dimostrano come siano stati spesi con disinvoltura 114.000 euro al giorno per soli cinque giorni di effettiva operatività del centro di Gjadër tra ottobre e dicembre 2024. La cifra pagata dalla Prefettura di Roma all’ente gestore Medihospes risulta corrispondente a 570.000 euro totali pagati, suddivisi in 153.000 euro per allestire un singolo posto letto, contro i 21.000 euro del centro CTRA di Porto Empedocle, in Sicilia. A fine marzo 2025 risultavano costruiti 400 posti tra Gjadër e Shëngjin, realizzati con affidamenti diretti per mantenere in moto una macchina distruttiva volta principalmente a brucia denaro pubblico, alimentata da una logica repressiva brutale oltre che totalmente inefficace e volta a indebolire ulteriormente lo stato di diritto e la gestione responsabile delle risorse. Sempre secondo i dati raccolti nel rapporto curato da ActionAid e dal Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Bari, l’operazione Albania è il più costoso, inutile e inumano strumento della storia delle politiche migratorie italiane. I rimpatri, del resto, sono ai minimi storici, mentre cresce il numero delle persone trattenute per mesi senza prospettiva né tutela. Sulla piattaforma “Trattenuti”, legata al lavoro del rapporto, sono ora disponibili i dati inediti su tutti i 14 centri attivi in Italia e su quello operativo in Albania, inclusi gli episodi di rivolte, atti autolesionistici e altri eventi critici che rappresentano segni tangibili del costo umano di tali politiche, oltre all’evidente spreco di ingenti risorse pubbliche. Nel quadro più ampio del Patto europeo su migrazione e asilo, che entrerà in vigore a giugno 2026, il cosiddetto “modello Albania” rischia dunque di trasformarsi da esperimento isolato a procedura esportabile per tutta l’Unione Europea, anche in linea con le estensioni di matrice statunitense esibite negli ultimi giorni dall’Amministrazione Trump. Si tratta di una prospettiva allarmante denunciata da più parti, nel solco della quale il diritto d’asilo come garantito dal diritto internazionale viene di fatto svuotato, mentre i valori fondativi dell’UE come sanciti dall’articolo 2 (sia del Trattato dell’Unione Europea sia della Costituzione italiana) vengono sistematicamente erosi. Durante la conferenza stampa, trasmessa anche in modalità streaming dalla piattaforma ufficiale della Camera dei Deputati, a tutte le persone partecipanti è stato distribuito il testo del rapporto, che è disponibile anche al seguente link: “Ferite di confine. La nuova fase del modello Albania” (Luglio 2025)   Anna Lodeserto
Il Kosovo e l’esternalizzazione delle frontiere e delle detenzioni
È entrato in vigore il controverso accordo tra Danimarca e Kosovo per il trasferimento (ricollocazione, secondo il linguaggio felpato della diplomazia; deportazione, in pratica, come vedremo in breve) di migranti stranieri detenuti in Danimarca e destinati a essere spostati e detenuti in Kosovo, in cambio di una compensazione di carattere monetario, in quella che si prospetta come una nuova tappa, o una nuova escalation, del processo bilaterale di esternalizzazione delle frontiere, per quello che riguarda la “fortezza Europa”, l’Unione Europea, ed esternalizzazione della detenzione, per quello che riguarda invece il programma di espulsioni forzate che caratterizza la politica migratoria, ad esempio, dell’amministrazione Trump. Cosa prevede tale accordo? Di fatto, uno scambio, preoccupante sotto il profilo dell’umanità e della giustizia,  ossia detenuti in cambio di soldi. Danimarca e Kosovo nel 2022 hanno firmato un trattato “sull’utilizzo del carcere di Gjilan ai fini dell’esecuzione delle sentenze danesi” che consente al governo danese di trasferire fino a 300 cittadini di Paesi terzi per scontare la pena detentiva in Kosovo. Al termine, i detenuti saranno rimpatriati in Danimarca per essere poi espulsi nei loro Paesi di origine. Si prevede che l’accordo rimarrà in vigore inizialmente per cinque anni, con la possibilità di prorogarlo automaticamente per altri cinque anni. L’accordo prevede altresì una compensazione monetaria, in base alla quale il Kosovo riceverà 15 milioni di euro all’anno  mentre, all’entrata in vigore dell’accordo, riceverà ulteriori 5 milioni, come copertura per la fase transitoria, che include la ristrutturazione della struttura penitenziaria e la formazione del personale per corrispondere agli standard danesi. In base all’accordo, infatti, il carcere (in Kosovo) e i detenuti saranno amministrati secondo la giurisdizione danese, mentre il personale di sicurezza sarà vincolato alla giurisdizione kosovara. L’accordo prevede anche l’istituzione della figura di un governatore responsabile della gestione del carcere, anche questa figura conforme al quadro giuridico danese, compresi i suoi obblighi derivanti dalle norme internazionali. Preoccupanti le dichiarazioni delle autorità kosovare, espressione dell’autogoverno di Prishtina. La Ministra della Giustizia Albulena Haxhiu, figura di primo piano dell’autogoverno kosovaro di Albin Kurti e appartenente al suo stesso partito politico, il partito nazionalista Vetëvendosje (Autodeterminazione) ha dichiarato che l’accordo è  economicamente vantaggioso per il Kosovo. Le somme acquisite tramite l’accordo saranno infatti, secondo le indicazioni dell’autogoverno kosovaro, destinate a vari investimenti, mentre l’attuazione dell’accordo consentirà allo stesso sistema penitenziario del Kosovo di migliorare le proprie capacità. Chiaramente, di fronte a queste innumerevoli problematicità, soprattutto dal punto di vista della tutela dei diritti umani, e contraddizioni, specie sotto il profilo della “doppia” giurisdizione, non sono mancate le reazioni e le critiche delle organizzazioni della società civile. Il Consiglio per la Protezione dei Diritti Umani e delle Libertà ha espresso dure critiche all’accordo: «Il governo del Kosovo […] ha firmato un accordo col governo della Danimarca per l’affitto del carcere di Pasjak, Gjilan, dove 300 detenuti, nessuno dei quali è cittadino danese, saranno trasferiti forzatamente e contro la loro volontà in Danimarca. I detenuti, che saranno trasferiti in Kosovo in cambio di un risarcimento simbolico, provengono da Paesi terzi e sono stati condannati per reati gravi e per radicalismo islamico. Il Ministero della Giustizia ha ingannato l’opinione pubblica kosovara nascondendo il profilo dei detenuti che la Danimarca non è riuscita a risocializzare e che pertanto ha spedito in Kosovo. […] «Il carcere di Pasjak, durante il periodo di concessione, è considerato zona extraterritoriale […]. Saranno legalizzati due sistemi penitenziari paralleli, quello del Kosovo e quello della Danimarca […]. Il Consiglio si è fortemente opposto a questo accordo, perché crea pericolosi precedenti che trasformeranno il Kosovo in un grave violatore dei diritti umani e in un deposito per prigionieri e rifugiati illegali provenienti da altri Paesi che li considerano e li trattano come “rifiuti umani”. […] Il Kosovo non può essere trasformato in una colonia di prigionieri e rifugiati illegali che, contro la loro volontà e in violazione dei diritti umani, vi saranno insediati con la forza». D’altro canto, Rados Djurović, direttore del Centro di assistenza per i richiedenti asilo, ha affermato che l’accordo pone le condizioni per molti Paesi «che hanno pensato di potervi collocare anche migranti e rifugiati, oltre che detenuti. Questo ha aperto un vaso di Pandora. […] Queste misure, che riguardano i campi e il trasferimento delle persone fuori dai territori in cui potrebbero chiedere asilo, nei Paesi vicini, sono in realtà un messaggio che le persone non devono nutrire la speranza di rimanere in Europa». Non si tratta di un caso così lontano dalle nostre coste. Il noto accordo Italia-Albania del novembre 2023 prevede che l’Albania ospiti piattaforme di sbarco per persone intercettate durante attraversamenti non autorizzati e soccorsi in mare dalle forze di sicurezza italiane; in base all’accordo, l’Albania concede due aree (Shëngjin e Gjadër) al governo italiano per edificare due strutture detentive, nelle quali sarà applicata la giurisdizione italiana. Non è un caso, dunque, che la magistratura italiana abbia già evidenziato possibili incompatibilità dell’accordo con la Costituzione e con il diritto internazionale, in particolare con quello europeo, in quanto metterebbe seriamente a rischio il diritto d’asilo, il diritto alla salute e il diritto di difesa dei cittadini stranieri. La Corte di Cassazione ha già evidenziato che «la dottrina ha espresso numerosi dubbi di compatibilità con la Costituzione e con il diritto internazionale, soffermandosi poi specificamente sul rapporto tra il Protocollo e il diritto dell’Unione». Inoltre, metterebbe a repentaglio il diritto d’asilo a causa del «dislivello giuridico derivante dall’extraterritorialità», nonché il diritto alla difesa, il cui esercizio sarebbe affidato «alla discrezionalità del “responsabile italiano del centro”», e anche il diritto alla salute, considerando che il livello di assistenza sanitaria albanese non è comparabile con quello italiano e che l’Albania non fa parte dell’Unione Europea. Per di più, lo stesso trattenimento dei migranti, nell’impianto dell’accordo tra Italia e Albania, «non è più previsto come extrema ratio, come previsto dalla disciplina europea», ma rappresenta al contrario «l’unica alternativa indicata dal legislatore, in violazione delle garanzie a tutela della libertà personale». La stessa Unhcr si è impegnata «a garantire che le modalità di attuazione non comportino l’esternalizzazione degli obblighi in materia di asilo e il trasferimento delle responsabilità, che sono contrari al diritto internazionale». Riferimenti: Kosovo – Denmark Agreement Enters into Force: What do you need to know, Re-ACT Lab, 18.03.2025: https://www.re-actlab.org/our-work/re-act-explains/re-act-explains-kosovo-denmark-agreement Djurovic: Agreement with Denmark opened Pandora’s box, Kosovo Online, 06.06.2025: https://www.kosovo-online.com/en/news/politics/djurovic-agreement-denmark-opened-pandoras-box-many-see-kosovo-center-housing-asylum Agreement with Denmark, KMDLNJ reacts, Gazeta Express, 11.06.2025: https://www.gazetaexpress.com/en/Agreement-with-Denmark-reacts-kmdlnj-kosovo-place-for-illegal-prisoners-and-refugees L’accordo Italia-Albania e la nuova frontiera dell’esternalizzazione, Melting Pot Europa, 16.05.2024: https://www.meltingpot.org/2024/05/laccordo-italia-albania-e-la-nuova-frontiera-dellesternalizzazione Migranti, accordo Italia-Albania: per la Cassazione restano “dubbi di costituzionalità”, Sky Tg 24, 29.06.2025: https://tg24.sky.it/cronaca/2025/06/29/migranti-accordo-italia-albania-cassazione Protocollo Italia-Albania: UNHCR svolgerà ruolo di monitoraggio per promuovere e tutelare i diritti umani fondamentali, UNHCR, 14.08.2024: https://www.unhcr.org/it/notizie/comunicati-stampa/protocollo-italia-albania-unhcr-svolger%C3%A0-ruolo-di-monitoraggio-promuovere Gianmarco Pisa
Gli Stati Generali sulla Detenzione Amministrativa: due giornate di confronto critico a Milano
Lo scorso 24 maggio presso il Centro Internazionale di Quartiere (CIQ), fulcro interculturale della zona Corvetto nell’area sudorientale di Milano, si è svolta la quarta edizione degli “Stati Generali sulla Detenzione Amministrativa” promossi da ASGI – Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione, ActionAid, Altreconomia, Antigone, CILD, CLEDU, Le Carbet, Melting Pot, Naga, Rete No Cpr, SIMM – Società Italiana di Medicina delle Migrazioni, Spazi Circolari, K^B°B° Orchestra. Decine di relatori si sono alternati nel corso di due giornate intense che hanno riunito giudici, avvocati, attivisti, rappresentanti di organizzazioni per i diritti umani e anche artisti, collettivamente e singolarmente impegnati/e in azioni concrete presentate nel corso di tavole rotonde, gruppi di lavoro e di un dibattito serrato sulle derive normative in tema di trattenimento amministrativo delle persone migranti e sulle criticità crescenti delle politiche migratorie europee, con un focus particolare sull’esternalizzazione della detenzione attraverso i nuovi centri costruiti e gestiti in Albania dal governo italiano. In un clima politico e sociale estremamente teso, segnato da decreti d’urgenza, accordi bilaterali controversi, spostamento e rafforzamento delle frontiere verso Paesi extra-UE, come nel caso albanese e gravi, crescenti restrizioni ai diritti fondamentali, i lavori hanno rappresentato una preziosa occasione di analisi e di allarme civile. Trattenimento e stato di diritto sotto attacco La giudice Silvia Albano, giudice del Tribunale di Roma e presidentessa di Magistratura Democratica, ha aperto i lavori sottolineando un fenomeno allarmante: «È lo stesso potere giudiziario a essere messo in discussione», ha dichiarato, riferendosi alla cornice giuridica dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) e alla natura, cosi come alle modalità di implementazione, dell’accordo Italia-Albania. La giudice ha ricordato l’importanza dell’udienza prevista a Roma il 9 giugno, incentrata sulla compatibilità dei CPR albanesi con il diritto dell’Unione Europea. Il cuore del problema risiede nella designazione arbitraria di Paesi terzi come ‘sicuri’, nonostante situazioni territoriali o categorie di persone che sfuggono a tale definizione. Le prime mancate convalide da parte dei giudici italiani hanno generato una crisi istituzionale, culminata nell’approvazione del decreto-legge 158/2024 contenente le disposizioni urgenti in materia di procedure per il riconoscimento della protezione internazionale e nelle modifiche degli elenchi dei Paesi sicuri, senza trasparenza o basi verificabili con il conseguente smantellamento progressivo del diritto di asilo. «Assistiamo a un premierato di fatto, in cui l’esecutivo legifera in modo continuo, spesso senza basi tecniche o giuridiche solide», è stato sottolineato a più riprese dagli esperti che hanno aperto la sessione inaugurale. Finzioni giuridiche e frontiere esternalizzate Uno dei nodi più critici è la cosiddetta ‘finzione di non ingresso’, secondo la quale persone trattenute in strutture esterne al territorio dello Stato membro non sarebbero formalmente entrate nell’Unione Europea. Il protocollo con l’Albania crea una “zona di frontiera esternalizzata” priva di un solido fondamento giuridico per il trattenimento e il rimpatrio, che è stata poi visualizzata anche geograficamente il giorno successivo nel corso della presentazione dell’accurato progetto di mappatura “CHIUSI DENTRO. DALL’ALTO. I campi di confinamento dei migranti nell’Europa del XXI secolo” a cura di Duccio Facchini, direttore della rivista mensile Altreconomia. La Corte Costituzionale albanese aveva già convalidato l’accordo il 29 gennaio 2024, affermando che non comporta cessione di sovranità. Tuttavia, i giudici italiani continuano a sollevare dubbi sulla sua legittimità. Per esempio, un primo provvedimento di mancata convalida ha evidenziato il fatto che, in assenza di una previsione esplicita di trattenimento nella legge di ratifica, tale misura non può essere considerata automatica. La legge di conversione, approvata in Senato con voto di fiducia, ha aggravato la situazione ampliando le ipotesi di trattenimento per i richiedenti asilo trasferiti in Albania, con termini ristrettissimi per i ricorsi (come i 7 giorni per il ricorso in Cassazione) e senza adeguate garanzie di assistenza giuridica sul territorio albanese. Nel frattempo, è notizia delle ultime ore quella della nuova posizione espressa dalla Corte di Cassazione attraverso due ordinanze pregiudiziali con le quali si rinvia alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la decisione su altrettanti ricorsi del Viminale contro le mancate convalide del trattenimento di migranti da parte della Corte d’Appello di Roma, sollevando dubbi sulla compatibilità dei trasferimenti e delle detenzioni nel CPR di Gjadër con il diritto comunitario. Al centro delle questioni risulta in maniera particolare la possibile incompatibilità della legge 14/2024 – che consente il trasferimento in Albania di migranti irregolari o richiedenti asilo anche in assenza di una concreta prospettiva di rimpatrio – rispetto alla direttiva rimpatri 2008/115/CE e alla direttiva 2013/32/UE sulle procedure per il riconoscimento della protezione internazionale. In attesa del riscontro ufficiale, richiesto in via d’urgenza alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in Lussemburgo, i giudizi restano per il momento sospesi. La sorveglianza digitale e diritti fondamentali Un altro contributo rilevante nel corso della prima giornata degli Stati Generali sulla Detenzione Amministrativa è stato quello offerto dall’avvocatessa Martina Stefanile, che ha illustrato gli aspetti maggiormente controversi legati all’uso coercitivo dei dispositivi digitali e di come i nuovi decreti prevedano l’obbligo di accesso forzato ai dispositivi elettronici, anche per richiedenti asilo non detenuti. Secondo Stefanile, si tratta di una grave violazione del diritto alla comunicazione e alla riservatezza della corrispondenza. La normativa vigente non garantisce la presenza del difensore durante tali operazioni, né strumenti efficaci di impugnazione. Inoltre, la nuova normativa europea sull’intelligenza artificiale ovvero il Regolamento sull’Intelligenza Artificiale, o “AI Act” che stabilisce regole armonizzate sull’intelligenza artificiale approvato dal Parlamento Europeo ed entrato in vigore lo scorso 1 agosto 2024 include le linee guida per lo sviluppo, la commercializzazione e l’utilizzo dei sistemi di IA, consentendo l’uso dell’intelligenza artificiale nella gestione delle frontiere, includendo l’analisi automatica e persino emozionale dei dati estratti dai dispositivi. Il caso Moussa Balde, simbolo di un sistema opaco e mortale L’avvocato Gianluca Vitale ha chiuso la prima mattinata ricordando la morte di Moussa Balde, giovane guineano suicidatosi in stato di detenzione esattamente quattro anni prima, il 23 maggio 2021 nella cella n. 9 del CPR di Torino. Dopo essere stato picchiato ferocemente a Ventimiglia, Moussa Balde era stato rinchiuso in isolamento in una delle famigerate “gabbie pollaio” del centro di Corso Brunelleschi. La sua morte, oggi al centro di un processo presso il Tribunale di Torino, rappresenta il simbolo di un sistema disumanizzante. «Quel processo rischia di diventare un’occasione mancata per fare luce su un sistema intero», ha dichiarato Vitale. Il forum di Milano si è tenuto in queste due giornate proprio nel suo ricordo e per mantenere vivo l’impegno affinché tali crimini non siano normalizzati come parte di un sistema strutturato di detenzione e controllo amministrativo. I “morti per detenzione” e negli stessi centri di detenzione si sono susseguiti ininterrottamente dal 23 maggio 2021 a oggi, fino all’ultima vittima già legata ai centri in Albania. Si tratta di Hamid Badoui, uomo di 42 anni originario del Marocco, che sulla spinta della paura di tornare al centro di detenzione a Gjäder ha deciso di porre tragicamente fine alla sua vita nell’isolamento e nella disperazione. La tragica morte di Hamid sotto detenzione non è un caso isolato, ma il risultato di un regime migratorio violento, che tratta le persone come numeri da gestire, invece che vite da proteggere. Questa tragedia è il risultato di politiche che criminalizzano il movimento. Oggi pomeriggio, 31 maggio, si terrà un presidio in memoria di Hamid fuori dal centro di detenzione in Albania. Il contesto neocoloniale e la società civile in Albania Per far luce sulla situazione dei centri in Albania e sulla disinformazione che caratterizza le relazioni ufficiali tra i due Paesi, in particolare per quanto riguarda la retorica secondo la quale il popolo albanese dovrebbe mostrare una presunta ‘riconoscenza’ verso il governo italiano, alimentando così una narrativa di sudditanza funzionale a strategie neocoloniali, Nicoletta Alessio, giornalista esperta di etnografia dei confini, ha moderato un momento di approfondimento sulla cosiddetta “operazione Albania” condotto per conto di “Melting Pot Europa”. Gli episodi drammatici delle relazioni italo-albanesi degli ultimi trent’anni sono stati ripercorsi con accuratezza storica e sociale: dall’approdo della nave Vlora sulle coste pugliesi nell’agosto del 1991, con migliaia di persone rinchiuse nello stadio di Bari trasformato in un lager, alla tragedia della Kateri i Radës, la fragilissima imbarcazione speronata dalla Marina militare italiana il 28 marzo 1997 in acque internazionali durante un’operazione di blocco decisa dal governo Prodi con quello albanese di Sali Berisha, senza passare per il Parlamento né definire le regole d’ingaggio, causando la morte di circa cento persone, tra cui molte donne e bambini in fuga. Oggi, ha sottolineato Alessio, il patto Rama-Meloni si inserisce in una logica neocoloniale, trasformando l’Albania nel “giardino sul retro” d’Italia, dove nascondere agli occhi del pubblico la violenza dei CPR pur mantenendone il controllo. La rete “Melting Pot Europa”, insieme ai collettivi “Zanë Kolektiv” e “Europe Other”, ha realizzato tra marzo e maggio 2024 un lavoro di mappatura con attivisti, giornalisti e organizzazioni albanesi, culminato in un podcast in due episodi sulle prime mobilitazioni contro l’accordo. Prima di quella odierna in reazione alla morte di Hamid Badoui, già nel mese di dicembre 2024 la rete transnazionale “Network Against Migrant Detention” ha organizzato proteste a Tirana e davanti ai centri di Shëngjin e Gjadër come raccontato anche da Igor Zecchini della rete “Mai più lager – NO ai CPR” e da Fioralba Duma del collettivo “Meshde”, in collegamento da Tirana. Le ispezioni parlamentari e l’opposizione politica La deputata Rachele Scarpa, che ha partecipato alle missioni di monitoraggio in Albania, è intervenuta sottolineato come l’iniziativa del governo Meloni stia finalmente spingendo parlamentari italiani ed europei verso una maggiore vigilanza democratica, visitando per la prima volta i centri di detenzione esterni al territorio nazionale. «Almeno venti parlamentari» ha dichiarato Scarpa «sono riusciti a entrare nei centri in Albania, visionando i registri degli eventi critici. Questo primo passo di ispezione strutturata rappresenta un’opportunità formativa e politica per capire cosa sta realmente accadendo oltre Adriatico nel nostro nome e per mettere finalmente in discussione l’intero impianto giuridico e logistico dell’accordo.» A conclusione degli “Stati Generali sulla Detenzione Amministrativa”, Francesco Ferri, che ha partecipato ai lavori in qualità di esperto di migrazione di ActionAid e del Tavolo Asilo e Immigrazione – TAI, nonché al panel di approfondimento sulla situazione dei centri di detenzione in Albania, ha dichiarato che «la partecipazione ampia e costante a questa iniziativa giunta già alla quarta edizione è il segnale di quanto il tema della detenzione amministrativa sia percepito come urgente da molte persone. Al di là della puntuale ricognizione sui dispositivi coercitivi, è stata un’occasione per discutere, per riflettere sulle strategie di resistenza in questa fase politica così complessa in Italia e nel resto del continente, a partire proprio dall’Albania.» Gli “Stati Generali sulla Detenzione Amministrativa” si sono rivelati ancora una volta uno spazio insostituibile di denuncia, approfondimento giuridico e mobilitazione politica. In un’epoca in cui la gestione dei flussi migratori è sempre più delegata alla repressione e all’esternalizzazione, il forum milanese ha lanciato un messaggio chiaro: non si può evocare un’Europa dei diritti mentre si costruiscono nuovi luoghi d’eccezione fuori dal campo visivo della protezione, del monitoraggio civico e dell’asilo. Anna Lodeserto