Tag - Marzio Olivero

A testa alta per la sanità territoriale
Ho deciso di pubblicare l’intervento preparato e non letto in occasione dell’Assemblea dei sindaci del biellese, a cui abbiamo partecipato anche come consiglieri e cittadini, grazie a una lettera che il luglio scorso è stata consegnata al Presidente della Provincia di Biella. A quella poi si è aggiunta un’interrogazione in Consiglio Comunale di Biella da parte delle minoranze, che ha spinto il Sindaco Marzio Olivero a convocare una Confernza dei Sindaci. Le due iniziative sono state unificate e ne è risultata una partecipatissima assemblea aperta svoltasi giovedì scorso presso l’ospedale di Biella. Durante la lunga introduzione che il  Direttore Generale dell’ASL ha fatto giovedì scorso ho deciso di non leggerlo per dimostrare propensione alla collaborazione. Dopo la dichiarazione del Sindaco, che definisce i nostri rilievi “nefandezze”, mi sono deciso a pubblicarlo. Cari Sindaci, Gentile Presidente della Provincia di Biella e colleghi consiglieri presenti sono Ettore Macchieraldo, uno dei primi firmatari della petizione che in qualche modo, forse un po’ troppo rocambolesco, ha promosso l’assemblea di oggi. So, essendo un semplice consigliere del Comune di Roppolo, di non avere i titoli per intervenire. Nella mia qualità di Consigliere, diciamo che il diritto di parola me lo sono guadagnato “sul campo”, da mesi mi sto documentando e confrontando con i cittadini per arrivare preparato a questo appuntamento. Mi rivolgo a voi Sindaci, anche al mio di Roppolo, per invitarvi a prendere le vostre responsabilità! Il Servizio Sanitario Nazionale è una grande conquista da difendere, e voi avete, tra le vostre prerogative, la salute pubblica nel vostro territorio. Potreste, ad esempio, convocare più spesso questi appuntamenti, anche ogni tre mesi. La situazione credo lo esiga. Può farlo in via diretta, come questa volta, il Sindaco di Biella, ma potete anche farlo come sindaci. Basta il 10% di voi che lo richieda, cioè bastano 7 firme. Ho un altro titolo, credo, per parlarvi, ed è quello di utente; avendo ricevuto quattro anni fa una diagnosi di Parkinson. E, credetemi, quando si vive con un compagno come il Parkinson, la visione  della sanità pubblica cambia radicalmente. Ascolto con attenzione, speranza e preoccupazione i discorsi sulle Case di Comunità, sul rafforzamento della sanità territoriale, e vedo gli sforzi che vengono fatti grazie ai fondi del PNRR. Si parla di luoghi fisici di prossimità, di team multidisciplinari – medici, infermieri, specialisti, persino assistenti sociali. L’idea è quella di coordinare i servizi, di prendere in carico la persona a 360 gradi, specialmente noi malati cronici.  Come può migliorare la vita avendo a portata di mano la fisioterapia, il supporto psicologico, e magari un aiuto per le pratiche burocratiche! L’idea di avere un Ospedale di Comunità a Biella e Case della Comunità a Cossato e Valdilana, con le Centrali Operative Territoriali che dovrebbero coordinare tutto, è un passo avanti verso una sanità  più vicina a noi. E, vi chiedo, ma “la bassa” e la Valle Elvo, ovvero due luoghi in cui vivo e che frequento per lavoro, come mai non paiono rientrare tra gli investimenti in programma? Ho letto di “strutture non patogene di per sé” , e questo è un concetto chiave. La sanità non deve creare nuove barriere o alienare. Ha bisogno di consapevolezza e informazione, anche da parte del personale. Non basta un medico o un infermiere, se non capiscono la complessità della nostra condizione, che va ben oltre la terapia farmacologica. Ed è qui che entra in gioco la vera forza della comunità, il principio di sussidiarietà. Su questo, con due associazioni di cui faccio parte, abbiamo realizzato un progetto, “Senza tremori”, che verrà raccontato in un documentario che proietteremo a novembre a Città Studi a Biella. Consideratevi tutti caldamente invitati. Le Case di Comunità dovrebbero essere i ponti tra la sanità formale e questa vitalità del terzo settore. Non solo erogare prestazioni, ma diventare veri e propri punti di riferimento dove le nostre associazioni possano trovare spazio, dove si promuova l’attività fisica, il supporto psicologico, l’integrazione sociale. Dobbiamo essere lungimiranti e pianificare perché queste strutture devono essere dotate di personale competente e, anche, sensibile alle nostre specifiche esigenze, capace di  dialogare con chi, come me, si confronta con la malattia, ogni giorno. Ma la vera sfida, oggi, è garantire che l’impulso dato dal PNRR alla sanità territoriale non sia un fuoco di paglia. Questi investimenti sono vitali per rinnovare infrastrutture e modelli organizzativi, ma è cruciale che si creino le condizioni affinché la sanità territoriale possa proseguire e prosperare anche dopo l’esaurimento dei fondi europei, ovvero dal 2027 in poi.  Dicevo che ho letto i documenti, non sono un esperto, ma, per chiudere il mio discorso, ci sono delle domande che vorrei porvi sul Bilancio. Non metterò “la testa sotto i vostri piedi” come Troisi e Benigni in “Non ci resta che piangere, anzi esigerei che ci fossero delle risposte. Intanto, da profano, non capisco come mai non ci sia un bilancio consuntivo del 2025, ma solo quello preventivo, almeno io non sono stato in grado di trovarlo. E poi, sempre da ignorante, mi risulterebbe un aumento registrato del 10,31 % rispetto al 2024 delle “Compartecipazioni al personale sanitario per attività libera professione”. E’ una percentuale alta, la confermate? Vorrei sapere anche a quanto ammontano le risorse impegnate per gettonisti e per eventuali esternalizzazioni dei servizi medici. Ce le potete fornire? Siete in grado di calcolare la perdita causata da chi va a farsi curare in altre Regioni? sarebbe un dato importante sia per il Bilancio che per capire se la sanità locale ed eventualmente regionale funziona,  Infine, a me risulterebbe che il Bilancio preventivo 2025 è in perdita di circa 35 milioni di euro. E così? E se sì cosa intendete fare? Le domande sono poste con l’intento di salvaguardare il Servizio Sanitario Nazionale. Istituito nel 1978 per garantire parità di trattamento a tutti, è un patrimonio da attualizzare ai tempi correnti. Quello che non dobbiamo fare è dilapidarlo. Aggiungo, prima di lasciare la parola ad altri, che spero di non essere più necessario per la prossima assemblea. Auguro a tutti buon lavoro. Ettore Macchieraldo
A Biella un giorno prima
Biella, così come Genova, altra città medaglia d’oro al valor militare per la Resistenza, si è liberata un giorno prima del 25 aprile. Non ha dovuto attendere gli alleati. Già all’alba del 24 aprile i tedeschi lasciavano la città. Il CLN concordava con il maggiore Zanotti del battaglione “Pontida” la resa e l’abbandono di Biella da parte dei suoi 400 uomini. Attraverso la mediazione di don Antonio Ferraris, luminosa figura di prete antifascista, si otteneva anche la resa a Cossato del “Montebello”. Alle 18 i partigiani della II Brigata Garibaldi entravano in città e venivano sommersi di fiori dalla popolazione che applaudiva, urlava la propria gioia, esponeva i tricolori. Nel suo discorso del 24 aprile il sindaco di Biella, città medaglia d’oro per la Resistenza, ha espresso due auspici che potrebbero essere anche condivisibili, solo che mancano ad oggi le condizioni, a cominciare dal suo stesso intervento. Il primo auspicio formulato dal sindaco è di superare le divisioni guardando al futuro “uniti come Paese e come italiani”. Insomma un 25 aprile che non sia più divisivo ma trovi tutti concordi nel festeggiare la Liberazione. Questo è possibile solo a patto che si condanni da parte dell’estrema destra in modo fermo e chiaro il fascismo mettendone in luce non solo gli aspetti più eclatanti come le leggi razziste ma anche la profonda natura criminale manifestatasi soprattutto tra il 1943 e il 1945: l’eliminazione della democrazia, le torture e le uccisioni degli oppositori, la sciagurata entrata in guerra a fianco dei nazisti. Il fascismo è nato con il preciso intento di eliminare in modo violento gli avversari. Ha fatto bene l’oratrice dell’ANPI nazionale Michela Cella il 24 aprile e Biella a ricordare che Mussolini sosteneva che se c’è il consenso bene, altrimenti c’è la forza. Non c’è stato bisogno del resto di attendere la RSI per rendersi conto della natura violenta del regime. Già nel 1919 avevano dimostrato di che pasta erano fatti, mettendo a ferro e fuoco le sedi di sindacati, partiti e giornali di opposizione, ucciso e picchiato e torturato. E poi la soppressione della libertà e della democrazia. Non sarebbe stato superfluo il 24 aprile ricordare tutto ciò ed esprimersi in modo chiaro in proposito. Poi c’è quella fiamma presente nel simbolo di Fratelli d’Italia che potrebbe essere spenta è invece ancora lì, nel simbolo del partito, a ricordare la continuità con l’MSI, il partito con evidenti legami con l’esperienza fascista nato per volontà di personaggi che venivano diritti dal regime e che certo non lo avevano rinnegato. Giorgio Almirante segretario per decenni dell’MSI che come capogabinetto RSI aveva diramato la direttiva ai prefetti del 17 maggio 1944 “Alle ore 24 del 25 maggio scade il termine stabilito per la presentazione ai posti militari e di Polizia Italiani e Tedeschi agli sbandati ed appartenenti a bande. Tutti coloro che non si saranno presentato saranno considerati fuori legge e passati per le armi mediante fucilazione nella schiena.” Pino Romualdi, vicesegretario e poi presidente MSI, nel 1944 in risposta alla uccisione in battaglia di due squadristi aveva prelevato sette prigionieri politici facendoli fucilare in piazza in sua presenza. Scriveva il 6 giugno 1944 “Procedere subito alla incarcerazione di qualche migliaio di persone ed al loro invio in campo di concentramento. Formare anzi un vasto campo di concentramento nella nostra provincia o in qualche provincia viciniore. Sopprimere il massimo numero di persone sospette”. E poi Rodolfo Graziani, anch’egli per un periodo presidente MSI, massacratore di decine di migliaia di libici e etiopi nelle guerre coloniali da lui dirette con uso anche di armi chimiche. Junio Valerio Borghese, sepolto come papa Francesco a Santa Maria Maggiore, la guida della famigerata X Mas, presidente nel 1951 del MSI, partito da cui poi si stacca per avvicinarsi alle frange eversive extraparlamentari e tentare il golpe del dicembre 1970 insieme a pezzi di apparati statali e delle forze armate. Anche con la presa di distanza dalla stagione missina si farebbe un passo decisivo verso quanto auspicato dal sindaco per una destra capace di fare i conti con il passato e tener fede ai propri intenti. Il secondo auspicio espresso dal sindaco è relegare fascismo e antifascismo al contesto storico evitando di usare questi termini in modo improprio nella dialettica politica contemporanea. Anche in questo caso mancano i presupposti. Se il regime fascista, come afferma il sindaco, è finito con la morte di Mussolini così non è stato per i tanti fascisti che anche se compromessi con il regime sono stati prontamente amnistiati per i crimini commessi, reintegrati nel sistema giudiziario, nelle forze dell’ordine, nella politica, fin dall’immediato dopoguerra, usati in chiave anticomunista dai servizi USA e dai servizi segreti deviati del nostro Paese. Per non parlare di trame nere e stragi e tentativi golpisti che hanno caratterizzato decenni di storia italiana. Insomma, come ha affermato di recente il prof. Charlie Barnao alla manifestazione di Lace di Donato, il grosso problema del dopoguerra è stata la palingenesi del fascismo che ha reso tutto molto complicato. Il sindaco ha ricordato che “la guerra civile si protrasse ancora per mesi dopo la fine del conflitto”. In realtà possiamo parlare anche di un paio d’anni nel corso dei quali si consumarono vendette e rappresaglie a carico di fascisti o presunti tali. Una fase iniziata già con lo scempio dei corpi di Mussolini e dei suoi a piazzale Loreto. Ma quando scoppia una guerra civile il cui motore è alimentato dall’ odio e dal desiderio di vendetta tutto può succedere e nulla si può più controllare. E’ chiaro che naturalmente con la lucidità di analisi che consente il distacco temporale di 80 anni da allora non si può che esprimere orrore anche per questa fase della guerra civile. Si può concordare con il sindaco quando afferma che non ha senso appioppare l’epiteto di fascista a chiunque manifesti un indirizzo politico o sostenga un’idea conservatrice. In questo modo si rischia anche di abusare del termine, banalizzarlo e alla fine svuotarlo di significato. Se considerassimo ad esempio fascista la sbagliata politica ostile ai migranti dovremmo iscrivere a questa categoria anche l’ex ministro PD Minniti col suo memorandum Italia-Libia. Ma è un fatto che chiaro rigurgiti neofascisti oggi sono sotto agli occhi di tutti, fenomeni nostalgici, le violenza squadrista che in varie occasioni si è manifestata nella società, usando a volte come arena anche gli stadi, le selve di braccia tese nel saluto romano in situazione disparate, il fascino di miti e riti del fascismo che coinvolge giovani e giovanissimi, i tricolori ben in vista ai balconi di Biella con il simbolo della Repubblica di Salò, iniziative preoccupanti delle istituzioni come quella del Comune di Affile . In questo Comune vicino a Roma nel 2012 è stato realizzato, con soldi pubblici, addirittura un mausoleo dedicato a Graziani, “il più sanguinario assassino del colonialismo italiano” come lo definì Angelo Del Boca. Ma neppure questo è sufficiente per configurare il reato di apologia di fascismo. Evidenti sono le colpe e lacune della scuola, e un grosso peso lo riveste l’ignoranza della storia, ma è comunque un dato di fatto di cui tenere conto. E quindi se il fascismo, almeno come elemento culturale non pare accantonato, anche l’antifascismo è bene che non sia messo in soffitta o confinato in biblioteca. Come ha affermato Sergio Mattarella “E’ sempre tempo di resistenza, sempre attuali i suoi valori”. E speriamo il prossimo 25 aprile che il Presidente voglia celebrarlo magari proprio a Biella un giorno prima. Giuseppe Paschetto