“Si impone il diritto della donna all’autodifesa”: Erri De Luca riflette sul caso Martina Carbonaro
Il 28 maggio 2025, Afragola si è svegliata più sola. Il corpo senza vita di
Martina Carbonaro, 14 anni, è stato trovato in un edificio abbandonato. A
toglierle la vita, dopo una serie di messaggi e un incontro che non doveva
finire così, è stato il suo ex fidanzato, Alessio Tucci, 18 anni, che ha
confessato: “Mi aveva lasciato”.
Martina sognava di diventare chef. Aveva interrotto la relazione dopo aver
subito uno schiaffo. Quella scelta le è costata la vita. Quello di Martina è il
sesto femminicidio del mese in Italia, un dato che racconta una ferita profonda
e ancora troppo spesso ignorata.
Secondo l’ISTAT, oltre 2 milioni di donne italiane hanno subito violenza fisica
o sessuale negli ultimi cinque anni. La violenza nelle relazioni di coppia
colpisce il 4,9% delle donne, con un’incidenza maggiore tra le più giovani.
Nonostante leggi come il “Codice Rosso” e campagne di sensibilizzazione, la
violenza contro le donne continua a mietere vittime. Le proposte di introdurre
educazione sessuale, sentimentale e civica nelle scuole sono state avanzate più
volte, ma i fondi stanziati per questi progetti sono spesso dirottati altrove.
Come se educare al rispetto non fosse una priorità.
Abbiamo chiesto a Erri De Luca, scrittore e intellettuale, di condividere una
riflessione su questo caso e sulla violenza di genere in Italia.
Cosa pensa della tragedia di Martina Carbonaro? Come si può raccontare una
storia così, senza cedere al rischio di spettacolarizzare la violenza?
La violenza è spettacolarizzata al cinema e alla televisione. La narrazione non
spettacolarizza. Giusto per esagerare con un esempio: “Delitto e Castigo” non
esalta il crimine.
Da dove nasce tanta efferata violenza contro le donne? Dove stiamo sbagliando,
come società, nell’educare al rispetto e alla nonviolenza? Come possiamo
costruire una cultura che protegga davvero le giovani vite?
La violenza maschile nei confronti delle donne nasce oggi dallo sgomento
dell’impotenza. Non esiste più l’autorità maschile, non ha potere di
coercizione. Al suo posto c’è la frustrazione di fronte alla scelta della
ragazza, della donna di troncare la relazione. La frustrazione scatena l’estremo
gesto di sopraffazione.
In Italia, le proposte di legge per introdurre percorsi di educazione sessuale,
sentimentale e civica nelle scuole sono state spesso ignorate o private dei
fondi. Di fronte a questa carenza di educazione e prevenzione, lei ritiene che
le donne debbano essere messe nelle condizioni di difendersi fisicamente?
Si impone il diritto della donna all’autodifesa, alla capacità fisica di
respingimento. Dallo spray al peperoncino, alla scarica elettrica e oltre. Il
prepotente deve sapere che potrà essere sopraffatto, messo in condizione di non
nuocere. Perché questo genere di uomini sono intimamente vigliacchi e
spadroneggiano su chi credono più debole.
Oggi si parla spesso di “genitori eterni adolescenti”, che inseguono una
giovinezza senza responsabilità e faticano a mettere limiti e regole. Che
lettura dà di questo fenomeno? Cosa ci dice sulla società in cui viviamo e sul
rapporto tra adulti e giovani?
Non sono padre. Al mio tempo il proverbio napoletano diceva: mazze e panelle
fanno i figli belli, cioè percosse e dolcetti. Non era meglio di oggi, ma che un
ragazzo, un uomo potesse alzare la mano su una donna era un tabù violato solo
dagli ubriachi.
Molti invocano l’inasprimento delle pene come deterrente per fermare la violenza
contro le donne. Lei pensa che sia davvero una soluzione efficace o che rischi
di spostare l’attenzione dalle radici culturali e sociali del problema?
L’inasprimento delle pene porta solo a maggiore affollamento in carcere, con le
solite eccezioni di chi si può permettere una difesa capace di ritardare e
aggirare. Insisto che la difesa deve partire dal basso, da chi deve potersi
difendere. Si tratta in definitiva dei rapporti di forza tra aggressore e
persona aggredita.
Cosa possiamo fare, oggi stesso, per non essere complici del silenzio e del
disinteresse verso la violenza sulle donne?
Possiamo intervenire, ognuno di noi, a protezione ogni volta che una donna
minacciata espone il pericolo in cui si trova e chiede aiuto. Martina Carbonaro
non doveva andare da sola a quell’appuntamento.
Queste parole, asciutte e taglienti, ci ricordano che la violenza contro le
donne non è una tragedia inevitabile, ma il prodotto di una cultura che non sa,
o non vuole, cambiare.
Sta a noi, oggi stesso, intervenire: ascoltare, proteggere, non restare in
silenzio.
Un ringraziamento sincero a Erri De Luca per aver condiviso il suo pensiero, con
la lucidità e il coraggio che da sempre contraddistinguono la sua voce.
Lucia Montanaro