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Il Global Movement to Gaza Italia querela Il Tempo per diffamazione. Alla FNSI: la libertà di stampa non è in discussione
Il Global Movement to Gaza Italia, nell’ambito della missione Global Sumud Flotilla, ha dato mandato ai propri legali di querelare il quotidiano ‘Il Tempo’ per diffamazione nei confronti del nostro movimento e diffusione di notizie false e tendenziose sulla nostra missione. Alla Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI) rispondiamo che la libertà di stampa da noi non è e non sarà mai, in discussione. Chiediamo però di comprendere tre cose: La flotilla è innanzitutto una comunità di attivisti, siano essi giornalisti o personalità pubbliche. Le vulnerabilità e i pericoli a cui il nostro equipaggio è esposto, anche alla luce degli attacchi in Tunisia, obbligano a misure di sicurezza rigide, tese a garantire non solo l’incolumità dell’equipaggio, ma anche la fiducia reciproca, fondamentale su piccole barche e in situazioni di forte stress emotivo. Gli allontanamenti, infatti, sono stati decisi dai capitani e dagli equipaggi, proprio per la violazione di regole condivise (immaginiamo che se fossero state lesive della libertà di stampa i giornalisti non le avrebbero accettate all’origine); L’obiettivo della missione è consegnare aiuti umanitari ai gazawi attraverso un’iniziativa nonviolenta della società civile. Le altre cose sono tutte importanti, ma non possono rischiare di inficiare l’obiettivo; Sia i gruppi editoriali che i giornalisti indipendenti sono liberi di seguire la flotilla armando barche o utilizzando i mezzi che ritengono più opportuni per raccontarne la cronaca da una prospettiva esterna. Alla luce del nostro obiettivo, non possiamo porre le esigenze dei giornalisti al di sopra di quelle dei gazawi. Perché la meta è Gaza, non il racconto della missione. Garantire l’incolumità dell’equipaggio, siano essi giornalisti, politici o attivisti, è la nostra priorità. Proprio in questo ambito rientrano i controlli sui documenti, misura richiesta dalla Capitaneria di Porto di Augusta, per il riconoscimento delle credenziali di ciascuno, in aree molto frequentate da cittadini di svariate nazionalità, al fine di evitare possibili infiltrazioni esterne. Allo stesso modo è stato chiesto ai partecipanti di procedere al riconoscimento attraverso un documento di identità, che è stato volontariamente consegnato al nostro team legale, per poi essere riconsegnato una volta ultimato il riconoscimento e la registrazione delle credenziali. A proposito della nostra partenza: Come già annunciato, la nostra missione deve sincronizzarsi con le partenze dalla Tunisia. Attendiamo informazioni dal coordinamento globale per poter poi comunicare l’orario esatto, nelle prossime ore. Chiediamo a tutti gli italiani di supportare la nostra missione tenendo gli occhi puntati sul genocidio in corso e non su protagonismi e problematiche di singoli. Stando all’ultimo rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS/WHO), entro la fine del mese il numero di persone ufficialmente in condizione di carestia a Gaza è destinato a salire a quasi 641.000  – quasi una su tre nell’intera Striscia. Redazione Italia
Combattenti per la verità. Anas al-Sharif e i suoi colleghi, una strage avvolta nella menzogna
Dalle pagine di EuroNomade pubblichiamo l’introduzione dell’inchiesta condotta da Girolamo Di Michele sull’uccisione del giornalista Anas Jamal Mahmoud al-Sharif  e di altri suoi colleghi_   Il 10 agosto scorso il giornalista Anas Jamal Mahmoud al-Sharif, uno dei volti più noti delle corrispondenze giornalistiche da Gaza, è stato assassinato insieme ad altri cinque operatori dell’informazione Il giornalista Anas Jamal Mahmoud al-Sharif, uno dei volti più noti delle corrispondenze giornalistiche da Gaza, è stato assassinato insieme ad altri cinque operatori dell’informazione. Al-Sharif sapeva di essere da tempo nel mirino dell’esercito di occupazione israeliano. Nondimeno, come molti suoi colleghi e colleghe – Anna Politkovskaya, Giancarlo Siani, Pippo Fava, Mauro De Mauro, Simone Camilli, Maria Grazia Cutuli, Daphne Caruana Galizia, Veronica Guerin, Peppino Impastato, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, Mauro Rostagno – ha continuato fino all’ultimo la sua battaglia per la verità, con le armi di cui disponeva: una telecamera, un microfono, i suoi occhi e la sua voce. L’IDF dispone di droni in grado di colpire un singolo bersaglio: la ditta costruttrice Rafael Advanced Systems ha usato la ripresa di un assassinio mirato come spot pubblicitario (e Youtube non chiede la verifica della maggiore età per vederlo). Nondimeno, l’IDF ha scelto di colpire l’intero ufficio stampa di al Jazeera, situato in una tenda presso un ospedale. La strage di giornalisti è avvenuta al culmine di una sequenza che è difficile pensare dettata dal caso. Dapprima, 28 luglio, l’assassinio a sangue freddo dell’attivista Awdah Athaleen, che aveva partecipato al documentario vincitore del premio Oscar No Other Land. Il giorno dopo, il tentativo da parte di un colono armato di impedire il reportage alla squadra del TG3. Quel giorno Lucia Goracci ha dato una lezione di giornalismo svolgendo imperterrita il suo lavoro avendo davanti il colono armato su un pickup a motore accceso (qui, dal minuto 8:25). Ma l’amaro commento che ha consegnato al suo post – «a me vengono in mente le parole con cui Michele Santoro commentò la morte di Libero Grassi, che era stato ospite suo a Samarcanda: “mi ero illuso che illuminare la battaglia di Libero, gli avrebbe fatto uno scudo intorno”» – lasciava presagire il peggio. Infine, registrata l’indifferenza dei governi “democratici” e “occidentali” davanti alle violazioni della libertà di stampa, l’IDF ha svolto il compito assegnato con la strage di sei operatori dell’informazione. La mafia, facendo tesoro di un metodo praticato da Italo Balbo, ha più volte accompagnato esecuzioni “eccellenti” con la diffusione di dicerie, il più delle volte a sfondo sessuale, sulle vittime. Con pari, se non maggiore, indegnità morale lo Stato d’Israele ha giustificato la strage del 10 agosto con la pretesa militanza di al-Sharif nelle file di Hamas.   Questa diceria è stata rigettata dalla BBC – «La BBC non può verificare in modo indipendente questi documenti e non ha visto prove del coinvolgimento di Sharif nella guerra attuale o del fatto che rimanga un membro attivo di Hamas» – e da Newsweek – «Newsweek non è stata in grado di verificare in modo indipendente i documenti e le fotografie forniti dalle IDF né il loro contenuto» –, oltreché dall’United Nations Office of the High Commission on Human Rights (OHCHR), dal Committee to Protect Journalists (CPJ), dalla Foreign Press Association e da Reporters Sans Frontières. Le accuse israeliane sono state definite baseless, infondate, e flimsy, inconsistenti. Peraltro, va tenuto presente che il diritto internazionale in operazioni di guerra divide la popolazione civile in due categorie: i combattenti impegnati in operazioni militari, e i non combattenti; solo i primi sono bersagli legittimi, non i secondi, men che meno i giornalisti impegnati nel lavoro di informazione. Quale che fosse il suo status, al-Sharif, in base alle norme di diritto internazionale non era un bersaglio lecito. La dichiarazione dell’IDF «Una tessera stampa non è uno scudo per terroristi» è una cinica dichiarazione di guerra al diritto internazionale e alla libertà di informazione. Ce la meniamo tanto con «l’unica democrazia in Medio Oriente»: ebbene, per essere una democrazia non basta mettersi il grembiulino del bravo cittadino e andare a depositare una scheda nell’urna ogni tot anni. Una democrazia rispetta il diritto internazionale, e se non lo rispetta non lo è. Le due cose non sono compatibili. Potrebbe bastare. Nondimeno, un fact-checking sull’assassinio di al-Sharif è istruttivo. Non tanto per “riabilitare” un combattente per la libertà della sua terra con le armi dell’informazione, quanto per mostrare le strategie della menzogna istituzionalizzata del governo e dell’esercito israeliani. E anche per sfatare qualcuna delle bufale che si generano da sé per disattenzione o distrazione. Non servirà a convincere i negazionisti – che probabilmente non sono arrivati fino a questo punto nel leggere, e sono già a commentare sui loro social –, ma aiuterà a forgiare nuove armi per una battaglia che sarà di lunga durata.   Redazione Italia
Costa d’Avorio – Giornata mondiale della libertà di stampa: i giornalisti mettono in guardia dai pericoli dell’intelligenza artificiale
> Quest’anno, la 32a Giornata mondiale della libertà di stampa ha preso una > piega decisamente impegnata in Costa d’Avorio. Su iniziativa dell’Unione > Nazionale dei Giornalisti della Costa d’Avorio (UNJCI), sabato 3 maggio 2025 > si è tenuta una marcia pacifica dalle 8 del mattino davanti alla Maison de la > Télévision di Cocody (sobborgo della capitale Abidjan, n.d.t.), che ha riunito > giornalisti, studenti e professionisti della comunicazione per promuovere un > messaggio forte: difendere il giornalismo etico nell’era dell’intelligenza > artificiale. Con il tema “Informare in un mondo complesso: l’impatto dell’intelligenza artificiale sulla libertà di stampa”, la manifestazione ha seguito un percorso simbolico – RTI, Boulevard de l’Université, Rue du Lycée Mermoz, Boulevard de France – prima di tornare al punto di partenza. Alla testa del corteo, magliette bianche blasonate con slogan, canti e slogan militanti hanno dato il tono: se da un lato l’intelligenza artificiale offre opportunità, dall’altro solleva crescenti preoccupazioni. “L’intelligenza artificiale non deve mai diventare uno strumento di censura o di manipolazione. Deve rimanere al servizio della verità”, ha insistito Ettien Koffi, vicepresidente dell’UNJCI. Patrick Boué, giornalista di Lemeridien.ci, ha fatto eco a questo appello: “Il pubblico deve sapere che dietro ogni articolo c’è ancora un essere umano che lotta per l’etica di fronte alla tecnologia”. Dal nord del Paese, il messaggio è altrettanto chiaro. “Questa marcia è un avvertimento ai giganti digitali: la stampa ivoriana non sarà imbavagliata”, ha dichiarato il corrispondente regionale Akoto Kouassi Georges. Si sono sentite anche voci giovani. Fatoumata Diabaté, studentessa di giornalismo, ha sottolineato l’importanza di preservare il giudizio umano: “L’intelligenza artificiale non deve sostituire il nostro spirito critico”. Un punto condiviso da Evelyne Deba, giornalista di NCI: “Stiamo diventando invisibili di fronte ai contenuti automatizzati. Ma la verità non può essere generata: deve essere indagata e scritta”. Al termine della marcia, Ettien Koffi ha esortato le giovani generazioni a rimanere vigili ma determinate: “L’intelligenza artificiale non deve spaventarci, ma costringerci ad adattarci. La libertà di stampa si conquista ogni giorno, di fronte a sfide vecchie e nuove. Questa mobilitazione si inserisce in un contesto preoccupante: secondo l’ultimo indice della libertà di stampa di Reporter Senza Frontiere, la Costa d’Avorio è scesa di 11 posizioni, al 64° posto su 180 Paesi. Un monito che rafforza l’urgenza di difendere una stampa libera e responsabile, anche e soprattutto in un mondo tecnologicamente stravolto. Moussa Cama Traduzione dal francese di Thomas Schmid. Pressenza Côte d'Ivoire
La difficile situazione della libertà di stampa nel mondo
La libertà di stampa sta vivendo un preoccupante declino in molte parti del mondo. Gli attacchi fisici contro i giornalisti sono senz’altro le violazioni più visibili della libertà di stampa, ma anche la pressione economica rappresenta un problema grave e insidioso, un fattore importante quanto sottovalutato, che sta seriamente indebolendo i media. Gran parte di ciò è dovuto alla concentrazione della proprietà, alla pressione degli inserzionisti e dei finanziatori, e a un sostegno pubblico limitato, assente o distribuito in modo poco chiaro. Una grave situazione, resa evidente dai dati misurati dall’indicatore economico dell’RSF Index che mostrano chiaramente che i media di oggi sono divisi tra il preservare la propria indipendenza editoriale e garantire la propria sopravvivenza economica. Dei cinque indicatori principali che determinano il World Press Freedom Index, l’indicatore che misura le condizioni finanziarie del giornalismo e la pressione economica sul settore ha fatto scendere il punteggio complessivo mondiale nel 2025. L’indicatore economico dell’RSF World Press Freedom Index 2025 ha toccato il punto più basso della storia e la situazione globale è ora considerata “difficile”. Secondo i dati raccolti da Reporters sans frontières-RSF per il World Press Freedom Index 2025, in 160 dei 180 paesi valutati, i media raggiungono la stabilità finanziaria “con difficoltà” o “per niente”. Peggio ancora, le testate giornalistiche stanno chiudendo i battenti a causa delle difficoltà economiche in quasi un terzo dei Paesi del mondo. È il caso degli Stati Uniti (57°, in calo di 2 posizioni), della Tunisia (129°, in calo di 11 posizioni) e dell’Argentina (87°, in calo di 21 posizioni). La situazione in Palestina (163°) è disastrosa. A Gaza, l’esercito israeliano ha distrutto redazioni, ucciso quasi 200 giornalisti e imposto un blocco totale sulla Striscia per oltre 18 mesi. Ad Haiti (112°, in calo di 18 posizioni), la mancanza di stabilità politica ha gettato nel caos anche l’economia dei media. Anche Paesi relativamente ben posizionati, come il Sudafrica (27°) e la Nuova Zelanda (16°), non sono immuni da tali sfide. Trentaquattro Paesi si distinguono per le chiusure di massa delle loro testate giornalistiche, che hanno portato all’esilio di giornalisti negli ultimi anni. Ciò è particolarmente vero in Nicaragua (172°, in calo di 9 posizioni), Bielorussia (166°), Iran (176°), Myanmar (169°), Sudan (156°), Azerbaigian (167°) e Afghanistan (175°), dove le difficoltà economiche aggravano gli effetti della pressione politica. In particolare, negli Stati Uniti (57°, in calo di due posizioni) l’indicatore economico è sceso di oltre 14 punti in due anni e il giornalismo locale sta pagando il peso della crisi economica: oltre il 60% dei giornalisti ed esperti di media intervistati da RSF in Arizona, Florida, Nevada e Pennsylvania concorda sul fatto che sia “difficile guadagnarsi da vivere come giornalista” e il 75% ritiene che “l’emittente media lotti per la sostenibilità economica”. Il calo di 28 posizioni del Paese nell’indicatore sociale rivela che la stampa opera in un ambiente sempre più ostile. “Il secondo mandato del presidente Donald Trump, si legge nel Report, ha già intensificato questa tendenza, con falsi pretesti economici utilizzati per riportare la stampa in carreggiata. Ciò ha portato all’improvvisa cessazione dei finanziamenti all’Agenzia statunitense per i media globali (USAGM), con ripercussioni su diverse redazioni, tra cui Voice of America e Radio Free Europe/Radio Liberty , e, di conseguenza, oltre 400 milioni di cittadini in tutto il mondo sono stati improvvisamente privati dell’accesso a informazioni affidabili. Analogamente, il blocco dei finanziamenti all’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID) ha bloccato gli aiuti internazionali degli Stati Uniti, gettando centinaia di testate giornalistiche in uno stato critico di instabilità economica e costringendone alcune a chiudere, in particolare in Ucraina (62° posto). Tagli ai finanziamenti che rappresentano un ulteriore colpo per un’economia dei media già indebolita dal predominio che giganti della tecnologia come Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft hanno sulla diffusione delle informazioni: queste piattaforme, in gran parte non regolamentate, stanno assorbendo una quota sempre crescente di entrate pubblicitarie che normalmente sosterrebbero il giornalismo. Perdita di introiti pubblicitari che si accompagna alla concentrazione della proprietà dei media: i dati dell’Indice mostrano che la proprietà dei media è altamente concentrata in 46 paesi e, in alcuni casi, interamente controllata dallo Stato. L’Italia arretra nel World Press Freedom Index 2025 pubblicato da Reporters sans frontières (RSF), scendendo al 49° posto su 180 Paesi, tre posizioni più in basso rispetto al 2024 e a pesare su tale peggioramento è soprattutto l’ingerenza della politica nei media pubblici, a partire dalla cosiddetta “legge bavaglio”, che limita la pubblicazione di atti giudiziari. Non mancano poi l’aumento delle pressioni economiche sui giornalisti, i tagli, le concentrazione della proprietà editoriale e una precarietà diffusa. Il rapporto evidenzia anche il peso delle organizzazioni mafiose, in particolare nel Sud d’Italia, che continuano a minacciare e non di rado ad aggredire fisicamente i giornalisti che si occupano di criminalità organizzata e di corruzione: oltre 20 giornalisti sono sotto scorta per aver ricevuto minacce o subito aggressioni legate a inchieste su mafia e corruzione. In definitiva, l’Indice evidenzia come per oltre dieci anni i risultati abbiano segnalato un declino della libertà di stampa a livello mondiale, toccando nel 2025 un nuovo punto basso: il punteggio medio di tutti i paesi valutati è sceso sotto i 55 punti, rientrando nella categoria di “situazione difficile”. Più di sei paesi su dieci (112 in totale) hanno visto il loro punteggio complessivo nell’Indice scendere. E per la prima volta nella storia dell’Index, le condizioni per esercitare il giornalismo sono “difficili” o “molto serie” in oltre la metà dei paesi del mondo e soddisfacenti in meno di uno su quattro. Qui per approfondire: https://rsf.org/en/rsf-world-press-freedom-index-2025-economic-fragility-leading-threat-press-freedom. Giovanni Caprio
Julian Assange rende omaggio a Papa Francesco. “Era giusto essere qui oggi”
Il fondatore di WikiLeaks Julian Assange ha reso un sentito omaggio a Papa Francesco in occasione delle sue esequie, manifestando rispetto e gratitudine per il Pontefice che, nel corso degli anni, si è interessato alla sua vicenda. La sua presenza in Piazza San Pietro è stata una conferma emozionante e potente: Assange, finalmente libero, ha voluto essere presente in questo momento solenne. Dalla notizia della sua presenza all’apparizione dal Braccio di Carlo Magno (situato a sinistra della Basilica entrando da via della Conciliazione) dove seguivo le esequie, arrivare nella piazza è trascorso un solo attimo. Non si trattava di una ricerca della notizia sensazionalistica, ma di una constatazione della realtà: Julian Assange era davvero lì, riservato, rispettoso, delicato, timido, ma presente. Con i figli e sua moglie, senza cercare facile visibilità. È apparso all’improvviso con massima discrezione quasi per caso in uno dei punti stampa attorno alla Basilica di San Pietro, e il suo primo pensiero è stato quello di esprimere la sua riconoscenza: «Un grazie a Papa Francesco, era giusto essere qui oggi». Non va dimenticato che Bergoglio è stato uno dei leader mondiali che si è più impegnato nella sua causa. Nel 2023, il pontefice aveva ricevuto Stella Assange in Vaticano, dopo che gli aveva scritto mentre Julian era ancora in prigione, e gli aveva persino offerto asilo. Davanti a San Pietro Assange ha voluto ringraziare tutti coloro,  come la Rete #NoBavaglio, che non hanno mai smesso di sostenere la sua battaglia, insieme a giornalisti indipendenti, attivisti per i diritti, Amnesty e cittadini comuni, al fianco della Fnsi, dell’Ordine dei giornalisti, di Articolo 21 di Free Assange Italia, perché la libertà di informazione resta un pilastro fondamentale della democrazia. Assange, visibilmente consapevole dell’impegno di tanti, ha confermato: «Vi conosco, lo so». Parole che colpiscono, lasciano quasi storditi dalla felicità e dalla stanchezza di una lunga giornata. Nel salutare, ha voluto lanciare una promessa a tutti coloro che hanno lottato per la sua libertà: «Continueremo insieme a difendere la libertà di stampa, la libertà di tutti». Poi, una stretta di mano che vale quanto tutte le penne, le tastiere, le macchine fotografiche e le videocamere che non smettono di raccontare la verità e di dare voce agli ultimi, agli indifesi. L’incontro con Julian Assange è stato un momento carico di significato, seppure in un’occasione triste. La vita è imprevedibile, proprio come questa giornata in cui ci si è ritrovati a salutarlo da uomo libero, grazie anche all’impegno di Papa Francesco, il pontefice che i cardinali presero “quasi dalla fine del mondo”. Ci sarà tempo per parlare di tante altre cose, ma per oggi, basta sapere che Assange c’era. E che la battaglia per la libertà di stampa continua. L’incontro con Assange, seppur in un’occasione triste, ha assunto un valore profondo. La sua libertà è il frutto di anni di battaglie, un segnale per tutti coloro che continuano a difendere la libertà di espressione. E la sua promessa suggella un impegno destinato a proseguire.   Rete #NOBAVAGLIO