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In Italia le “minacce alla democrazia” non esistebbero. Il Parlamento europeo si defila
Le istituzioni europee, come prevedibile, vanno sempre più a destra. A confermarlo è la notizia che fine anno la prevista missione del Parlamento europeo sul monitoraggio dello stato di diritto in Italia non si farà. La proposta era stata avanzata dalla commissione Libertà Civili (Libe) del parlamento di Strasburgo, ma […] L'articolo In Italia le “minacce alla democrazia” non esistebbero. Il Parlamento europeo si defila su Contropiano.
A rischio chiusura la radio dell’esercito israeliano
Il Ministro della Difesa Israel Katz ha annunciato l’intenzione di proporre al Parlamento Israeliano la chiusura di Galei Tsahal, la seconda radio più ascoltata nel paese; secondo il ministro la radio “mina lo sforzo bellico e il morale dell’esercito”. Galei Tsahal, la radio dell’esercito nata nel 1950 per raggiungere anche le aree più remote dello Stato Ebraico è diventata, fin dagli anni ‘70, una radio indipendente ed è oggi uno dei pochi spazi di riflessione ancora liberi con la possibilità di criticare le scelte del governo. Recentemente la radio aveva dato voce anche al malcontento dei soldati ed anche di alti graduati sull’operazione di genocidio a Gaza. Il direttore Tal Lev Ram ha denunciato che la chiusura sia «un drammatico colpo alla libertà di stampa e alla società israeliana» e dichiarato una forte azione contro il provvedimento, in questo supportato dal Consiglio della Stampa israeliana. Pressenza IPA
Una non insolita disavventura nella ‘piazza’ di ‘Remigrazione e Riconquista’
Il reporter di un quotidiano locale a Novara è stato aggressivamente invitato a non fare il suo lavoro: non scattare fotografie, non fare riprese filmate, non scrivere… non testimoniare e documentare la manifestazione nazi-fascista. È accaduto sabato 1° novembre nella piazza cittadina letteralmente dominata da un centinaio di militanti piemontesi sostenitori del comitato formato da CasaPound Italia e * Rete dei Patrioti, che si autodefinisce “un insieme di movimenti, associazioni, comitati, circoli, comunità umane e politiche che si collegano e si saldano tra di loro per coordinarsi, aiutarsi, agire e perseguire una strategia comune nell’interesse superiore del nostro popolo”, * il “comitato apartitico senza scopo di lucro” Brescia ai Bresciani, * Veneto Fronte Skinheads, dal 1990 un’associazione culturale, che il 15 novembre prossimo a Brescia presenterà la proposta di legge per il controllo dei flussi migratori e delle ONG che assistono i migranti, l’espulsione dei immigrati irregolari e incriminati, l’abolizione del ‘Decreto Flussi’ e l’introduzione del ‘patto di remigrazione volontaria’, corredato di un fondo con cui incentivare la natalità italiana e il ritorno in madre-patria degli italo-discendenti e degli extra-comunitari al paese d’orogine e l’assegnazione di case e posti all’asilo nido con criteri di priorità che favoriscono gli italiani DOC. Come documentano un video e la sua testimonianza, il reporter Luca Galluppini è stato “avvicinato e intimidito verbalmente da uno dei partecipanti, con indosso una collanina raffigurante la svastica, che lo ha seguito per impedirgli di scattare foto e riprendere la manifestazione”. A Novara la piazza che non tollera chi racconta Il direttore responsabile de LA VOCE DI NOVARA E LAGHI ha commentato la vicenda in un editoriale intitolato Chi ha paura di essere raccontato? Novara e quel confine sottile tra opinione e propaganda. La referente del quotidiano pubblicato online da Editrice Broletto s.r.l., una testata registrata presso il Tribunale di Novara (n. 638/17), Cecilia Colli esordisce affermando “C’è una frase che ogni giornalista conosce bene: la piazza è di tutti. È lo spazio pubblico per eccellenza, quello in cui si esercita il diritto di manifestare, ma anche il dovere di raccontare. Ieri mattina, invece,…” e conclude: > … la piazza di ieri non è solo un episodio locale: è uno specchio che ci dice > che certe parole e certi simboli hanno trovato spazio, e che troppo spesso chi > governa – per calcolo o convenienza – sceglie di non vedere. > > Chi ha gridato «non puoi riprendere» forse non se ne rende conto, ma ha detto > una cosa molto più ampia: non puoi guardare, non puoi sapere. È la negazione > del principio su cui si regge una società libera. > > Il giornalismo serve proprio a questo: a garantire che anche ciò che dà > fastidio venga visto, registrato e raccontato. E la libertà di informazione > non si difende solo quando ci riguarda direttamente: si difende sempre, anche > quando ci mette a disagio. Nel proprio discorso di apertura del convegno Il Diritto di Cronaca nel conflitto tra etica, riservatezza e libertà di pensiero sul diritto di cronaca che si è svolto lunedì 3 novembre a Novara, il presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Piemonte, Stefano Tallia, ha dichiarato: «L’aggressione della quale è stato vittima un collega rappresenta l’ennesimo grave tentativo di intimidazione nei confronti dei giornalisti». Nel comunicato che lo riferisce l’Ordine dei Giornalisti del Piemonte riporta i dati che Ossigeno per l’informazione aveva raccolto e divulgato il 29 ottobre scorso. Rispetto al 2024 è stato rilevato un forte aumento delle minacce a giornalisti: nel primo semestre del 2025 sono stati registrati 361 casi di intimidazione (+78%) e 107 episodi di deliberate violazioni della libertà di informazione (+46%). Oltre alle aggressioni fisiche, crescono le azioni legali pretestuose (Slapp), la seconda forma di intimidazione più diffusa dopo gli avvertimenti diretti. In particolare preoccupano le minacce provenienti da esponenti pubblici, il 39% del totale e aumentate di dieci punti percentuali: oltre la metà da istituzioni locali (comuni e regioni), che in un terzo dei casi ricorrono a querele pretestuose, e, con un incremento del 17%, a insulti, denigrazioni e ‘moniti’ sui social-media. Le intimidazioni di origine sociale rappresentano il 33% dei casi, seguite da quelle di provenienza ignota (12%), imprenditoriale (8%), criminale (4%) e mediatica (3%). Molto allarmante è che gran parte dei giornalisti vittime di intimidazioni scelgano di non denunciare le aggressioni: nel 2025 l’81% dei casi, contro il 50% dello scorso anno. «Oltre alla solidarietà ai colleghi minacciati – ha concluso Stefano Tallia intervenendo al convegno – occorre un impegno concreto delle istituzioni per garantire che chi esercita il diritto di cronaca possa farlo in sicurezza, senza pressioni né intimidazioni. Difendere la libertà di stampa significa difendere la democrazia stessa». Il comunicato dell’Ordine dei Giornalisti piemontese inoltre riferisce che Tallia ha rivolto un appello alle istituzioni affinché vigilino sulla legittimità costituzionale dei promotori delle manifestazioni pubbliche, con particolare riferimento alle norme che vietano la ricostituzione del partito fascista. Maddalena Brunasti
India, preoccupazione per gli attacchi contro giornalisti
Press Emblem Campaign (PEC), l’organismo globale per la sicurezza e i diritti dei media, esprime grave preoccupazione per l’aggressione di massa ai danni di alcuni giornalisti, impegnati nel loro lavoro, nell’Assam, nell’estremo oriente dell’India, mentre stavano coprendo una manifestazione di protesta nella località di Baksa il 15 ottobre. Un gruppo di agitatori, che chiedeva giustizia per Zubeen Garg, icona culturale dell’Assam, subito dopo la sua misteriosa morte a Singapore il 19 settembre, ha preso di mira i giornalisti e i videogiornalisti mentre i cinque imputati nel clamoroso caso venivano trasferiti dal carcere di Guwahati a quello di Baksa. Gli agitatori chiedevano giustizia immediata e si opponevano con violenza al trasferimento, lanciando pietre contro il convoglio di veicoli della polizia, che ha reagito con azioni di ritorsione. Numerosi agitatori e agenti di polizia, ma anche esponenti dei media hanno riportato ferite. I giornalisti colpiti sono: Dhruba Bora, Pradip Das e Paragmoni Das (ND24), Rana Deka, Banajit Kalita e Apura Sarma (NK TV), Brajen Taluder e Krishna Deka (News Live),  Abhijit Talukder (DY365), Biricnhi Kr Deka (News 18 Assam/NE), Nokul Talukder (Pratidin Time),  Jintumoni Das (Pratham Khabar), Sourav Dey (Prag News), Akhyendra Deka (Pratibimba Live) e Dilip Kr Boro (ETV Bharat). Inoltre, un veicolo di proprietà di un canale satellitare di notizie con sede a Guwahati (DY365) è stato incendiato da un gruppo di malviventi. > “Condanniamo le aggressioni fisiche ai danni dei giornalisti in servizio, che > stavano semplicemente svolgendo il proprio lavoro. Le autorità dell’Assam > devono prendersi cura di tutte le persone ferite e arrestare i colpevoli per > punirli secondo la legge”, ha affermato Blaise Lempen, presidente del PEC > (pressemblem.ch). Ha sottolineato inoltre la necessità di corsi di orientamento per i reporter sul campo e i videogiornalisti, al fine di proteggerli in situazioni di rischio che potrebbero verificarsi in qualsiasi momento nella regione dell’Asia meridionale. -------------------------------------------------------------------------------- Traduzione dall’inglese di Stella Maris Dante. Revisione di Thomas Schmid. Nava J. Thakuria
L’ANPI Collinare “Aedo Violante” condanna l’attentato contro Sigfrido Ranucci: la libertà di stampa non si tocca
L’ANPI Collinare “Aedo Violante” condanna con fermezza l’attentato dinamitardo avvenuto nella notte del 17 ottobre 2025, che ha distrutto le automobili del giornalista Sigfrido Ranucci e della figlia, mettendo seriamente a rischio l’incolumità delle persone. Si tratta di un gesto che colpisce non solo simbolicamente la persona e il suo lavoro, ma che tenta di intimidire chi, attraverso il giornalismo d’inchiesta, difende la trasparenza e il diritto all’informazione. Questo episodio richiama, con preoccupante gravità, gli attacchi che la democrazia e la libertà hanno subito nel corso della storia del nostro Paese: basti pensare al periodo dello stragismo e della strategia della tensione , segnato dall’intreccio tra neofascisti , piduisti , servizi segreti deviati e mafie . Il gesto che oggi ha preso di mira un giornalista impegnato nella ricerca della verità è un’eco perversa della violenza che un tempo voleva cancellare la democrazia e il diritto alla libertà di parola, garantiti dalla nostra Costituzione nata dalla Resistenza . Come promotrici e promotori di una sezione ANPI, ma prima ancora come cittadine e cittadini, ribadiamo con forza la nostra solidarietà a Sigfrido Ranucci. Atti come questi vogliono intimidire chi denuncia, chi indaga, chi smaschera poteri occulti. Non consentiamo che il silenzio o la paura prevalgano. Sentiamo, anzi, il dovere di impegnarci ancora di più, perché siamo tra i custodi della memoria. Non possiamo dimenticare che, durante la Resistenza, molti furono vittime di attentati, persecuzioni e violenze, perché osarono resistere all’oppressione. Proprio a Napoli , le Quattro Giornate (28 settembre – 1° ottobre 1943) rappresentano un esempio straordinario di ribellione popolare contro l’occupazione nazista e lo stragismo fascista: cittadini e cittadine napoletane, con coraggio e spirito collettivo, si organizzarono per riconquistare la libertà perduta. Sappiamo che dobbiamo farci carico della memoria antifascista come impegno attivo nel presente. Le Quattro Giornate ci insegnano che la libertà va conquistata, difesa e praticata ogni giorno . Oggi come ieri, ribadiamo che l’antifascismo non è un rituale, ma un dovere civico . La Resistenza, con le sue lotte ei suoi sacrifici, è un vento che deve continuare a soffiare nelle nostre coscienze: chi tenta di spegnere una voce non potrà mai vincere su chi tiene viva la memoria e la responsabilità collettiva. Nel nostro piccolo, abbiamo organizzato un ciclo di appuntamenti denominato “Memoria Attiva” , in collaborazione con la libreria IoCiSto , durante il quale presentiamo libri che rispondono a questi obiettivi. Il prossimo incontro si terrà martedì 21 ottobre alle ore 18.00 : parleremo di Resistenza e di Antonio Amoretti , eroe delle Quattro Giornate di Napoli, insieme al figlio Francesco , ad Annamaria Carloni già senatrice della Repubblica e alla giornalista Federica Flocco . Luna Pisa Presidente della Sezione ANPI Collinare “Aedo Violante” Redazione Napoli
Rete No Bavaglio: “L’attentato contro il giornalista Ranucci è un attacco alla libertà di stampa e alla democrazia”
Riportiamo il comunicato della Rete No Bavaglio sul gravissimo attentato al giornalista Sigfrido Ranucci, a cui esprimiamo la nostra solidarietà. La RETE #NOBAVAGLIO esprime piena solidarietà al giornalista Sigfrido Ranucci, vittima di un gravissimo attentato intimidatorio davanti alla sua abitazione a Campo Ascolano. L’esplosione di un ordigno piazzato sotto la sua auto non è solo un attacco alla sua persona, ma un colpo diretto alla libertà di stampa e al diritto di ogni cittadino di essere informato. L’ordigno ha distrutto due veicoli e danneggiato l’abitazione, con una potenza tale da poter uccidere chiunque fosse passato in quel momento. È un gesto vile, che mira a spegnere la voce di chi indaga, denuncia, racconta. La RETE #NOBAVAGLIO denuncia con forza questo atto criminale e rilancia l’urgenza di proteggere chi fa informazione libera. Non ci faremo intimidire. Continueremo a sostenere ogni giornalista che, come Ranucci, esercita il proprio mestiere con coraggio e rigore. Chiediamo alle istituzioni una risposta immediata, trasparente e decisa. Chiediamo alla società civile di mobilitarsi. Chiediamo a tutte e tutti di alzare la voce: perché il silenzio è complice. La RETE #NOBAVAGLIO insieme ai cittadini sarà la scorta di Sigfrido Ranucci oggi, domani, sempre. La libertà di stampa non si tocca. La RETE #NOBAVAGLIO sarà presente, ovunque serva, per difenderla.   Rete #NOBAVAGLIO
Napoli, redattore di VAS escluso dai “Dialoghi Mediterranei”: «Un evento blindato, poco spazio al vero dialogo»
COMUNICATO STAMPA REDATTORE DELLA RIVISTA DI VAS ESCLUSO DALLA PARTECIPAZIONE AI ‘DIALOGHI MEDITERRANEI’ DI NAPOLI In occasione dell’evento “MED Dialoghi Mediterranei” – organizzato al Palazzo Reale di Napoli, dal 15 al 17 ottobre dal Ministero degli Affari Esteri e dall’ISPI – Ermete Ferraro, membro dell’Esecutivo di VAS e referente per l’Ecopacifismo, si era regolarmente ed in anticipo accreditato, per partecipare in presenza ai lavori del vertice, in qualità di redattore e collaboratore della rivista “Nuova Verde Ambiente”. Dopo varie conferme online e con le relative credenziali, si è presentato ai varchi di accesso per ricevere il badge, ma l’accesso non è gli è stato consentito, per non meglio precisate ‘verifiche’ da parte delle autorità della Polizia di Stato che lo presidiavano. Dopo lunga attesa sotto la pioggia e varie interlocuzioni, però, non gli è stato comunque consentito di accedere ai lavori di persona, adducendo motivazioni risibili quali “la mancanza di posti a sedere”. “Come attivista ecopacifista e nonviolento e come incaricato dalla redazione del periodico di VAS – ha dichiarato Ferraro – ritengo del tutto arbitraria ed ingiustificata questa decisione, che ha impedito a una persona già accreditata di partecipare agli incontri, ma soprattutto dimostra scarsa volontà di ‘dialogo’ con voci meno allineate da parte degli organizzatori, in barba al titolo dell’evento ed al diritto d’informazione. Una città blindata ed interdetta ai non autorizzati nella sua parte più centrale, inoltre, non è affatto un segno di efficienza organizzativa e gestionale, bensì un’ulteriore prova di quella militarizzazione della società e del territorio che, da ecopacifisti, continueremo a denunciare” CONTATTI ; Cella Ermete Ferraro. 349 3414190| ermeteferraro@gmail.com |vasnapoli@libero.it Redazione Napoli
“Uccidere giornalisti è assassinare la libertà”. Quarant’anni dopo Siani, Napoli e il mondo chiedono verità
Cerimonia al Vomero per ricordare Giancarlo Siani. Le parole di Mattarella e i dati internazionali sui giornalisti uccisi mostrano quanto la sua eredità resti urgente oggi. Sono trascorsi quarant’anni dall’omicidio di Giancarlo Siani, giovane cronista de Il Mattino ucciso dalla camorra la sera del 23 settembre 1985 sotto casa, al Vomero, a soli ventisei anni. A Napoli questa mattina si è svolta una cerimonia davanti al murale che lo raffigura sorridente, in via Romaniello. Studenti, colleghi, associazioni e semplici cittadini hanno voluto ricordare quel volto giovane e quel sorriso che restano oggi simbolo di un giornalismo che non si è piegato al silenzio. La memoria di Siani continua a essere una bussola civile per chi crede nella libertà di informazione come bene comune. Dal Quirinale è arrivato il messaggio più forte. Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ricordato che “l’assassinio dei giornalisti è un assassinio delle nostre libertà, di una parte di noi a cui la comunità non intende rinunciare”. Un’affermazione che supera il confine della memoria italiana e parla al mondo intero, là dove il diritto di raccontare viene messo a tacere con la violenza. Anche le istituzioni parlamentari hanno reso omaggio a Siani. Il Presidente del Senato Ignazio La Russa ha sottolineato che il suo sacrificio resta testimonianza di libertà, verità e impegno civile, mentre l’ex Presidente della Camera Roberto Fico ha parlato di memoria attiva nelle scuole e tra i ragazzi, una memoria che non si limita al rito annuale ma diventa educazione quotidiana e partecipazione civica. Chi era Giancarlo Siani lo sappiamo bene. Era un giornalista precario, pagato a pezzo, ma con il coraggio e la passione di un cronista di razza. Seguiva le vicende di Torre Annunziata e dei clan locali, raccontando le collusioni con la politica ei meccanismi di potere che opprimevano il territorio. I suoi articoli avevano acceso i riflettori su dinamiche che la camorra avrebbe voluto tenere nell’ombra. Per questo fu condannato a morte. La sua penna era diventata più pericolosa delle armi. Ricordare oggi Siani non significa solo rievocare una tragedia italiana, ma riflettere su una condizione che riguarda molti giornalisti anche nel presente. Secondo i dati raccolti da Ossigeno per l’Informazione, ogni anno in Italia centinaia di cronisti subiscono minacce e intimidazioni. La Campania, insieme alla Calabria e alla Sicilia, resta tra i territori più colpiti, a conferma di quanto il giornalismo che tocca gli interessi criminali continua ad essere bersaglio di ritorsioni. Il quadro internazionale è ancora più drammatico. La Federazione internazionale dei giornalisti ha denunciato che nel 2024 sono stati uccisi oltre cento operatori dei media in tutto il mondo, un numero che non si registrava da anni. Più della metà hanno perso la vita a Gaza, nel tentativo di documentare un conflitto che non risparmia nessuno, nemmeno chi ha scelto di raccontare. L’UNESCO parla di almeno 68 giornalisti uccisi in un solo anno e segnala che molti di questi omicidi restano impuniti. L’Ucraina, il Messico, le Filippine e il Sudan completano la mappa delle aree ad altissimo rischio, dove essere reporter significa convivere quotidianamente con la possibilità di non tornare a casa. Il legame tra la memoria di Siani e questi numeri è evidente. Così come la camorra vuole mettere a tacere un giovane cronista che raccontava la verità, oggi tanti governi, eserciti e gruppi armati cercano di eliminare chi porta testimonianza di violazioni e crimini. Ogni giornalista ucciso non è solo una vita spezzata, ma un pezzo di libertà sottratto alla collettività. Napoli, con la sua cerimonia di oggi, ha ricordato un figlio che ha pagato con la vita la fedeltà al mestiere. Ma quel sorriso sul murale del Vomero parla anche a Gaza, a Kiev, a Città del Messico, a Manila. È il volto universale di chi crede che la verità, anche quando è scomoda, vada raccontata. E ricordarlo significa scegliere di stare dalla parte di chi usa le parole come strumento di libertà e non come arma di potere. Lucia Montanaro
Il Global Movement to Gaza Italia querela Il Tempo per diffamazione. Alla FNSI: la libertà di stampa non è in discussione
Il Global Movement to Gaza Italia, nell’ambito della missione Global Sumud Flotilla, ha dato mandato ai propri legali di querelare il quotidiano ‘Il Tempo’ per diffamazione nei confronti del nostro movimento e diffusione di notizie false e tendenziose sulla nostra missione. Alla Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI) rispondiamo che la libertà di stampa da noi non è e non sarà mai, in discussione. Chiediamo però di comprendere tre cose: La flotilla è innanzitutto una comunità di attivisti, siano essi giornalisti o personalità pubbliche. Le vulnerabilità e i pericoli a cui il nostro equipaggio è esposto, anche alla luce degli attacchi in Tunisia, obbligano a misure di sicurezza rigide, tese a garantire non solo l’incolumità dell’equipaggio, ma anche la fiducia reciproca, fondamentale su piccole barche e in situazioni di forte stress emotivo. Gli allontanamenti, infatti, sono stati decisi dai capitani e dagli equipaggi, proprio per la violazione di regole condivise (immaginiamo che se fossero state lesive della libertà di stampa i giornalisti non le avrebbero accettate all’origine); L’obiettivo della missione è consegnare aiuti umanitari ai gazawi attraverso un’iniziativa nonviolenta della società civile. Le altre cose sono tutte importanti, ma non possono rischiare di inficiare l’obiettivo; Sia i gruppi editoriali che i giornalisti indipendenti sono liberi di seguire la flotilla armando barche o utilizzando i mezzi che ritengono più opportuni per raccontarne la cronaca da una prospettiva esterna. Alla luce del nostro obiettivo, non possiamo porre le esigenze dei giornalisti al di sopra di quelle dei gazawi. Perché la meta è Gaza, non il racconto della missione. Garantire l’incolumità dell’equipaggio, siano essi giornalisti, politici o attivisti, è la nostra priorità. Proprio in questo ambito rientrano i controlli sui documenti, misura richiesta dalla Capitaneria di Porto di Augusta, per il riconoscimento delle credenziali di ciascuno, in aree molto frequentate da cittadini di svariate nazionalità, al fine di evitare possibili infiltrazioni esterne. Allo stesso modo è stato chiesto ai partecipanti di procedere al riconoscimento attraverso un documento di identità, che è stato volontariamente consegnato al nostro team legale, per poi essere riconsegnato una volta ultimato il riconoscimento e la registrazione delle credenziali. A proposito della nostra partenza: Come già annunciato, la nostra missione deve sincronizzarsi con le partenze dalla Tunisia. Attendiamo informazioni dal coordinamento globale per poter poi comunicare l’orario esatto, nelle prossime ore. Chiediamo a tutti gli italiani di supportare la nostra missione tenendo gli occhi puntati sul genocidio in corso e non su protagonismi e problematiche di singoli. Stando all’ultimo rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS/WHO), entro la fine del mese il numero di persone ufficialmente in condizione di carestia a Gaza è destinato a salire a quasi 641.000  – quasi una su tre nell’intera Striscia. Redazione Italia
Combattenti per la verità. Anas al-Sharif e i suoi colleghi, una strage avvolta nella menzogna
Dalle pagine di EuroNomade pubblichiamo l’introduzione dell’inchiesta condotta da Girolamo Di Michele sull’uccisione del giornalista Anas Jamal Mahmoud al-Sharif  e di altri suoi colleghi_   Il 10 agosto scorso il giornalista Anas Jamal Mahmoud al-Sharif, uno dei volti più noti delle corrispondenze giornalistiche da Gaza, è stato assassinato insieme ad altri cinque operatori dell’informazione Il giornalista Anas Jamal Mahmoud al-Sharif, uno dei volti più noti delle corrispondenze giornalistiche da Gaza, è stato assassinato insieme ad altri cinque operatori dell’informazione. Al-Sharif sapeva di essere da tempo nel mirino dell’esercito di occupazione israeliano. Nondimeno, come molti suoi colleghi e colleghe – Anna Politkovskaya, Giancarlo Siani, Pippo Fava, Mauro De Mauro, Simone Camilli, Maria Grazia Cutuli, Daphne Caruana Galizia, Veronica Guerin, Peppino Impastato, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, Mauro Rostagno – ha continuato fino all’ultimo la sua battaglia per la verità, con le armi di cui disponeva: una telecamera, un microfono, i suoi occhi e la sua voce. L’IDF dispone di droni in grado di colpire un singolo bersaglio: la ditta costruttrice Rafael Advanced Systems ha usato la ripresa di un assassinio mirato come spot pubblicitario (e Youtube non chiede la verifica della maggiore età per vederlo). Nondimeno, l’IDF ha scelto di colpire l’intero ufficio stampa di al Jazeera, situato in una tenda presso un ospedale. La strage di giornalisti è avvenuta al culmine di una sequenza che è difficile pensare dettata dal caso. Dapprima, 28 luglio, l’assassinio a sangue freddo dell’attivista Awdah Athaleen, che aveva partecipato al documentario vincitore del premio Oscar No Other Land. Il giorno dopo, il tentativo da parte di un colono armato di impedire il reportage alla squadra del TG3. Quel giorno Lucia Goracci ha dato una lezione di giornalismo svolgendo imperterrita il suo lavoro avendo davanti il colono armato su un pickup a motore accceso (qui, dal minuto 8:25). Ma l’amaro commento che ha consegnato al suo post – «a me vengono in mente le parole con cui Michele Santoro commentò la morte di Libero Grassi, che era stato ospite suo a Samarcanda: “mi ero illuso che illuminare la battaglia di Libero, gli avrebbe fatto uno scudo intorno”» – lasciava presagire il peggio. Infine, registrata l’indifferenza dei governi “democratici” e “occidentali” davanti alle violazioni della libertà di stampa, l’IDF ha svolto il compito assegnato con la strage di sei operatori dell’informazione. La mafia, facendo tesoro di un metodo praticato da Italo Balbo, ha più volte accompagnato esecuzioni “eccellenti” con la diffusione di dicerie, il più delle volte a sfondo sessuale, sulle vittime. Con pari, se non maggiore, indegnità morale lo Stato d’Israele ha giustificato la strage del 10 agosto con la pretesa militanza di al-Sharif nelle file di Hamas.   Questa diceria è stata rigettata dalla BBC – «La BBC non può verificare in modo indipendente questi documenti e non ha visto prove del coinvolgimento di Sharif nella guerra attuale o del fatto che rimanga un membro attivo di Hamas» – e da Newsweek – «Newsweek non è stata in grado di verificare in modo indipendente i documenti e le fotografie forniti dalle IDF né il loro contenuto» –, oltreché dall’United Nations Office of the High Commission on Human Rights (OHCHR), dal Committee to Protect Journalists (CPJ), dalla Foreign Press Association e da Reporters Sans Frontières. Le accuse israeliane sono state definite baseless, infondate, e flimsy, inconsistenti. Peraltro, va tenuto presente che il diritto internazionale in operazioni di guerra divide la popolazione civile in due categorie: i combattenti impegnati in operazioni militari, e i non combattenti; solo i primi sono bersagli legittimi, non i secondi, men che meno i giornalisti impegnati nel lavoro di informazione. Quale che fosse il suo status, al-Sharif, in base alle norme di diritto internazionale non era un bersaglio lecito. La dichiarazione dell’IDF «Una tessera stampa non è uno scudo per terroristi» è una cinica dichiarazione di guerra al diritto internazionale e alla libertà di informazione. Ce la meniamo tanto con «l’unica democrazia in Medio Oriente»: ebbene, per essere una democrazia non basta mettersi il grembiulino del bravo cittadino e andare a depositare una scheda nell’urna ogni tot anni. Una democrazia rispetta il diritto internazionale, e se non lo rispetta non lo è. Le due cose non sono compatibili. Potrebbe bastare. Nondimeno, un fact-checking sull’assassinio di al-Sharif è istruttivo. Non tanto per “riabilitare” un combattente per la libertà della sua terra con le armi dell’informazione, quanto per mostrare le strategie della menzogna istituzionalizzata del governo e dell’esercito israeliani. E anche per sfatare qualcuna delle bufale che si generano da sé per disattenzione o distrazione. Non servirà a convincere i negazionisti – che probabilmente non sono arrivati fino a questo punto nel leggere, e sono già a commentare sui loro social –, ma aiuterà a forgiare nuove armi per una battaglia che sarà di lunga durata.   Redazione Italia