In ricordo di Victoria Roshchyna, giornalista ucraina uccisa dai russi
Chi non crede nella “non casualità delle coincidenze” salti pure questi primi
“romantici” capoversi e passi direttamente ai fatti. Ciò che mi è successo oggi
mette a dura prova la mia intelligenza, fondata su postulati
logico-razionalisti, e apre invece le porte a sentimenti, storie, persone che
soffiano nel vento.
Fino a questa mattina non sapevo nulla di Victoria Roshchyna. Finalmente ieri ho
trovato il cavetto adatto a caricare il mio tablet nuovo di zecca e così questa
mattina ho potuto finalmente aprirlo.
Ho cercato “notizie, Ucraina” e mi appare il volto di Victoria Roshchyna, un
nome che resterà per me impronunciabile, un viso giovane che mi suscita
simpatia: uno sguardo determinato, fiero e dolce, una reporter free lance
ucraina di madrelingua russa o russa di cittadinanza ucraina… Difficile dirlo
per un Paese che fino al 2014 era perfettamente binazionale: binazionale lo
Stato, le istituzioni, la cultura…
Binazionali (ma a questo livello potremmo dire anche plurinazionali considerando
anche i rom, i polacchi e le altre minoranze linguistiche e culturali, le
famiglie e persino le singole persone. Terra di confine: identità multiple,
plurime, che si mischiano e si confondono…
Ho deciso di cambiare alloggio e mi incammino seguendo le indicazioni di Google
Maps… al contrario. Arrivo a Piazza dell’lndipendenza (Majdan), mi accorgo
dell’errore e torno indietro smadonnando.
Raggiungo la piazza antistante il Monastero dorato di San Michele, che si trova
su una collina posta alla destra dell’immenso fiume Dnepr.
La piazza è uno dei simboli della resistenza all’invasione russa fermata dopo
aspri combattimenti, avvenuti anche nelle zone contaminate di Chernobyl, a un
centinaio di chilometri a nord della capitale. Infatti vi sono stati collocati
carri armati, mezzi cingolati militari ed alcuni mezzi civili semi carbonizzati
che provengono dai teatri di guerra di difesa della capitale.
Vedo una troupe che sta facendo delle riprese e mi accorgo che è la Rai.
“Salve, sono un collega di Pressenza, come mai la Rai è qui oggi?”
“Stiamo andando al funerale della giornalista”.
Intuisco che stanno parlando di Victoria Roshchyna, insomma della giornalista di
cui ho appena letto la storia questa mattina.
I funerali stanno per iniziare perché è appena arrivato il carro funebre; vedo
scaricare la bara tra due ali di folla commossa, in assoluto silenzio, molti con
mazzi di fiori da deporre al termine della cerimonia. Tante persone e
soprattutto tantissimi giornalisti, cameramen e fotoreporter giunti, come i
nostri della Rai, anche dall’estero e non solo per documentare, ma anche per
mostrare solidarietà a una giovane collega uccisa dopo essere stata incarcerata
e torturata.
Free lance, nata nel 1996 a Zaporizhzhia, la città della seconda centrale
nucleare dell’Ucraina, pericolosamente contesa e attualmente occupata dai russi,
Victoria, che fin da ragazzina aveva coltivato la sua passione di reporter
investigativa di cronaca locale, inizia a documentare la vita nei territori
occupati dai russi.
Viene arrestata una prima volta dalle forze armate russe nel marzo del 2022,
riesce ad evadere, ma dopo pochi giorni lei ed il cameraman che l’accompagna si
imbattono in alcuni carri armati russi. L’auto viene colpita, i due si salvano,
ma abbandonano computer e macchina fotografica, che finiscono nelle mani delle
forze di sicurezza russe; resisi conto del suo importante lavoro, queste
iniziano a darle la caccia. Viene quindi arrestata e per dieci giorni detenuta
nel carcere di Berdjans’k dal servizio di sicurezza russo. Accetta di rilasciare
una dichiarazione filmata in cui è costretta a raccontare che i russi le avevano
salvato la vita.
Appena in salvo scrive un articolo in cui smentisce le dichiarazioni che le sono
state estorte. Non glielo perdoneranno.
Nel luglio del 2023 rientra attraverso la Polonia e la Russia nei territori
occupati delle truppe russe per raccontare della situazione di crisi e di
pericolo in cui si trova la centrale nucleare di Zaporizhzhia, ora in mano ai
russi, ma sulla linea del fronte e quindi contesa tra i due eserciti.
Il 3 agosto fa l’ultima chiamata alla sua famiglia e poi scompare.
Il 22 aprile del 2024 suo padre André riceve una missiva dal governo russo che
conferma la detenzione della figlia.
Papa Francesco chiede, in colloqui privati con la diplomazia russa, resi noti
solo successivamente, la liberazione della giornalista.
Nell’agosto 2024 il padre riceve una telefonata da Victoria; è l’ultima
chiamata.
Il 10 ottobre 2024 i funzionari russi annunciano alla famiglia che Victoria è
morta il 19 settembre per cause naturali. In realtà tali cause sono rimaste
sconosciute; un’ipotesi è quella delle conseguenze di uno sciopero della fame di
protesta.
Nel centro dov’era detenuta sono state documentate da ex reclusi torture con
scosse elettriche, pestaggi e violenze di vario tipo. Un testimone afferma di
aver visto Victoria ancora viva, ma con ferite da armi da taglio su ferita su
tutto il corpo e magrissima.
I resti della giornalista sono stati restituiti nel febbraio del 2025 in forma
anonima, nel quadro di uno scambio concordato tra russi e ucraini di prigionieri
e salme e sono stati identificati soltanto nell’aprile successivo grazie
all’analisi del DNA.
Secondo il medico legale sul corpo erano evidenti segni di torture e
maltrattamenti; una costola rotta, lividi sul collo e la rottura dell’osso ioide
confermerebbero la morte per strangolamento.
In questa drammatica storia purtroppo non c’è nulla di nuovo. La prima vittima
della guerra è la verità e di conseguenza target privilegiati, come vediamo
quotidianamente a Gaza, sono i giornalisti veri, i freelance indipendenti o i
giornalisti di testate serie, non quelli “embedded”, che si muovono al seguito
delle truppe per fare propaganda. Portare la scritta press è ormai come avere i
cerchi concentrici di un bersaglio.
Sono più di duecento i giornalisti palestinesi uccisi dal 7 ottobre dalle truppe
israeliane e tutti loro avrebbero meritato un funerale come quello di Viktorija,
giovane e coraggiosa giornalista d’inchiesta che per amore della verità, pur
essendo ucraina di lingua russa, non ha esitato a documentare i crimini commesso
dalle truppe di occupazione russe.
Prevengo le critiche: so benissimo che le forze armate ucraine hanno ucciso il
giornalista italiano Andrea Rocchelli il 24 maggio del 2014 nel Donbass e
infatti non faccio il tifo per nessuno dei signori della guerra. Sto dalla parte
delle vittime, sono contro la guerra e per la pace e la riconciliazione tra i
popoli.
Mauro Carlo Zanella