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Si è conclusa la prima Local march for Gaza sul Cammino di Oropa
Biella, 16 Luglio 2025 – Si è conclusa il 14 luglio la “Local March for Gaza”, una mobilitazione che ha visto centinaia di persone marciare da Oropa a Milano, portando un messaggio di pace e solidarietà per il popolo palestinese e chiedendo azioni concrete al Governo italiano. La marcia, nata da un appello sul web, ha raccolto 509 firme autografe durante le soste nei 14 paesi attraversati, per una petizione che chiede il cessate il fuoco immediato e permanente a Gaza, la sospensione delle esportazioni di armi verso Israele e un accesso umanitario illimitato nella Striscia di Gaza. La “Local March for Gaza” ha attraversato valli e pianure, coinvolgendo diverse comunità locali e ottenendo il supporto di sindaci, come il Sindaco di Viverone – Massimo Pastoris -,la sindaca di Magnano – Anna Grisoglio – , il  sindaco di Sordevolo – Riccardo Lunardon – fino alla Sindaca di Santhià – Angela Ariotti. Il Comune di Ivrea ha dato il proprio patrocinio all’iniziativa e, tra i primi firmatari dell’appello spicca Patrizia Dal Santo, vicesindaca di Ivrea. In cinque giorni di cammino, dal 10 al 14 luglio, circa 160 pellegrini hanno partecipato attivamente, attraversando luoghi significativi e organizzando soste con letture, dibattiti e momenti di condivisione. Tra le tappe toccate figurano Oropa, Pollone, Sordevolo, Graglia, Netro, Donato, Sala Biellese, Torrazzo, Magnano, Zimone, Viverone, Roppolo, Santhià e Mortara, prima di arrivare a Milano. Momenti salienti della marcia hanno incluso la calorosa accoglienza delle amministrazioni locali e delle associazioni Proloco, l’emozionante partecipazione di cittadini di ogni età, e la testimonianza di figure di spicco. A Donato la processione laica è stata accolta dalla banda del paese, per poi precederla suonando fino alla piazza principale dove scuole, associazioni locali, commercianti e Sindaco attendevano per un caloroso e accorato saluto e il ristoro. Momenti emozionanti anche a Magnano e a Viverone, dove l’accoglienza ha previsto musica al pianoforte, lettura di poesie sul tema della guerra e persone che vedendo la processione e scoperte le finalità hanno raggiunto il corteo in piazza per firmare. A Sala la Casa della Resistenza ha accolto i pellegrini con un sentito discorso di Luciano Zani, storico operatore del museo, aperto per l’occasione. Luciano Zani tra le altre cose ha detto che “i palestinesi oggi lottano per la liberta’ e l’ indipendenza e il diritto a uno stato sovrano per affermare la loro identita’nazionale e il diritto alla autodeterminazione cosi’ come fecero i partigiani durante la resistenza”. Paolo Naldini, scrittore e attivista, ha condiviso la sua esperienza durante la Global March To Gaza, mentre Luca Giacone del coordinamento “Biellesi per la Palestina Libera” ha presentato il rapporto di Francesca Albanese, relatrice ONU per i Territori Palestinesi. A Magnano Guido Dotti del monastero di Bose ha consegnato un messaggio accorato sull’urgenza di fermare il genocidio in corso: “Proseguite il cammino di questa marcia, continuate, continuiamo in ciò che è giusto, nonostante la lacerante sofferenza del misurare la nostra incapacità di prevenire e poi fermare il male assoluto che sta avvenendo sotto gli occhi del mondo e sotto i nostri occhi a Gaza”. La marcia ha visto la partecipazione e il supporto di organizzazioni come l’ANPI a Santhià e Mortara. Il quinto e ultimo giorno, il 14 luglio, una delegazione della marcia si è recata alla Prefettura di Milano per consegnare le firme raccolte. Ettore Macchieraldo e Nazarena Lanza, ricevuti dal Viceprefetto, riportano: “Siamo stati ricevuti dalla Prefettura dal dottor Paternoster, a cui abbiamo consegnato l’elenco di 509 firme per la petizione raccolte nei 4 giorni di marcia.  C’è stato anche un breve confronto, in cui ha detto che condivide quello che chiediamo, così come sostiene che lo Stato italiano sia rispettoso dell’articolo 11 della Costituzione. Abbiamo risposto argomentando che in questo momento non è così, a quel punto ha aggiunto che come cittadino firmerebbe la petizione. Glielo abbiamo chiesto ma, nella sua funzione di Vice  Prefetto, non lo ha potuto fare.” Gli organizzatori hanno sottolineato che, al di là dell’impatto diretto sulla politica, l’iniziativa ha creato una piattaforma per esprimere dissenso contro il genocidio a Gaza e ha promosso condivisione e speranza. La “Local March for Gaza”, nata nel Biellese sul Cammino di Oropa ma con vocazione a essere riproposta da altri cammini in Italia, è stata un chiaro segnale di come la società civile italiana sia pronta a mobilitarsi per i diritti umani in Palestina e nel mondo, ribadendo l’importanza che il nostro Paese promuova la pace e interrompa la vendita di armi a Israele e ad altri paesi in guerra, come sancito dalla nostra Costituzione. L’iniziativa ha trovato il supporto pratico e ideale di Movimento Lento, associazione che promuove il viaggio a piedi e in bicicletta. La newsletter dell’associazione prevede un’uscita monografica sul successo di questa prima, speriamo di una lunga serie, Local March for Gaza. Per ulteriori dettagli sulla marcia, è possibile consultare gli articoli e i resoconti giornalieri sui siti: localmarchforgaza.it (sezione contenuti) Contatti adesioni@localmarchforgaza.it Redazione Piemonte Orientale
L’idiozia è la guerra
Un appuntamento fisso da 80 anni per eporediesi e biellesi è quello di Lace, frazione di Donato, piccolo paese sulla Serra d’Ivrea che divide le due città. In quel luogo, a fine gennaio del 1945, furono attaccate la sede del Comando Partigiano della VII Divisione Garibaldi “Piemonte” e la cascina del Comando Partigiano della 76^ Brigata “Togni”. Il 25 aprile viene celebrato da biellesi e eporediesi, insieme, in quel luogo, nei pressi di un cippo che ricorda i garibaldini caduti e catturati. Oggi ho tenuto un discorso per il coordinamento Biellesi per la Palestina libera sull’idiozia della guerra, di cui riporto qui sotto il testo. Il termine “guerra” ha un origine etimologica non latina, bensì barbara. Infatti “guerra” è simile all’inglese “war” e, se guardiamo la storia, più che la “bellum” latina ricorda la mischia delle invasioni che decretarono la fine dell’Impero Romano. La guerra, come realtà storica, da allora ha preso diverse strade ma, prevalentemente, ha avuto quella degli scontri armati tra eserciti. Sono cambiati nei secoli strategie, tecniche ma la guerra rimase scontro armato tra eserciti più o meno fino alla Prima Guerra Mondiale. C’erano certo scorrerie, razzie, stupri a latere delle battaglie. Era considerato bottino di guerra che pesava sulla popolazione civile, ma la vittoria o la sconfitta era determinata da come si svolgeva la battaglia sul campo. La Prima Guerra Mondiale segna il passaggio dalla forma guerra pre industriale a quello industriale. Ci hanno raccontato che a scatenarla fu l’uccisione dell’arciduca Ferdinando d’Austria e della sua consorte. La realtà è che la capacità produttiva acquisita allora dall’essere umano, insieme all’aumento demografico, portò a quella guerra. Fu la prima guerra che espresse completamente le capacità autodistruttiva del capitalismo industriale. Entrarono in scena nuove tecnologie di guerra: carri armati, aerei, mitragliatrici e anche telefono e telegrafo. Il luogo dove stabilire la vittoria rimase il campo di battaglia degli eserciti, numerosissimi come le vittime. Furono almeno 17 milioni di morti, escludendo le vittime dell’influenza spagnola del 18/19. Ma qual è l’altra novità che si profila con l’innovazione industriale della Grande Guerra? E’ l’aumento delle vittime civili. Anche qui togliendo la Spagnola, la Rivoluzione Russa e il genocidio armeno le stime danno cifre introno ai 6 milioni e mezzo di morti. Siamo tra il 25 e il 30% di vittime civili. La guerra da allora si è sempre più concentrata contro la popolazione. Le vittime civili sono aumentate nella Seconda Guerra Mondiale. Ovviamente parliamo sempre di stime ma, se i morti totali del secondo conflitto si aggirano intorno ai 55 milioni, di questi il 60% li possiamo conteggiare tra la popolazione disarmata. Come poteva essere diversamente? La tecnica “progredisce” – se possiamo dire così – Coventry nel 1940 venne sottoposta a 11 ore di bombardamenti da parte della Luftwaffe e gli obiettivi erano le fabbriche e i civili. Da allora venne addirittura coniato il termine “coventrizzare” per dire annientare. Vi furono molte altre città sottoposte a questa “innovazione” fino al bombardamento di Berlino. Gli “alleati” appresero e usarono le medesime tecniche e, come sappiamo, andarono oltre e sganciarono le atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Dicono per chiudere definitivamente il conflitto. Ci spaventammo di questa potenza distruttrice che dava un nuovo significato alla parola guerra. Un significato molto più prossimo alla autodistruzione. Cercammo, come genere umano, di contenere la guerra. Non ci riuscimmo. Ci fu il Vietnam, e lì l’accezione del termine guerra fu onorato di accompagnarsi a quello di Liberazione. Come la nostra che celebriamo oggi. Sono andato a riprendermi il saggio di Claudio Pavone sulle Tre Guerre e a rileggermi i capitoli centrali sulla violenza. Claudio Pavone sostiene, a ragione, che la scelta di prendere le armi da parte dei resistenti fu legittima difesa contro chi aveva e ha, invece, la fascinazione della violenza come elemento che lo caratterizza. E il fascismo prima e poi il nazismo, furono – e sono – intessuti strettamente con l’idea di violenza. Ma sono gli unici? La potenza tecnica scatenata dagli USA in nome dell’anticomunismo fu terribile e grande la legittima difesa dei resistenti vietnamiti. Prima di quella – e qualcosa anche dopo – ci furono altre guerre di liberazione ma, da tempo, si sono estinte, e la guerra ha preso, sempre più, un nuovo significato. Lo vogliamo chiamare Postindustriale? O forse digitale? La tecnologia avanza e così il suo uso militare. L’ultimo “progresso” lo troviamo nella guerra scatenata da Israele contro la popolazione palestinese ed è l’uso dell’AI, dell’intelligenza artificiale. Abbiamo notizia di un programma che si chiama Lavender -Lavanda- usato per selezionare e gestire gli attacchi militari nella striscia di Gaza. “Una fonte ha affermato” leggo da Infoaut “che il personale umano spesso serviva come “timbro di gomma” per le decisioni della macchina, aggiungendo che, normalmente, dedicavano circa 20 secondi ad ogni obiettivo prima di autorizzare un bombardamento.” E prosegue “Questo, nonostante sapessero che il sistema commette ciò che viene considerato errore in circa il 10 percento dei casi, ed è noto per contrassegnare occasionalmente individui che hanno solo un legame debole o nessun legame, con gruppi militanti.” Quando si usa la parola genocidio non lo si fa a caso. Gli obiettivi di Israele sono civili. Quando non si copre neanche con la retorica e la falsità l’accettazione di vittime civili, allora vuol dire che si uccide indiscriminatamente. E mi chiedo e vi chiedo: è proprio necessario usare così questo “progresso tecnologico”? Se guardiamo dall’esterno l’evoluzione della guerra negli ultimi cento anni non pare folle questo sviluppo dell’autodistruzione? E se è così chi è l’idiota? Chi vuole porre la guerra fuori dalla storia o chi ne fa il mezzo per il nostro suicidio? E allora diciamo sempre più forte e sempre in di più che dobbiamo “Restare umani”. Diciamolo insieme ad altri due imperativi morali: Resistere! e Disarmare! Ettore Macchieraldo