La CEDU legittima i respingimenti collettivi delegati ai libici1. Obiettivo raggiunto. E’ bastato rifornire i libici di motovedette e garantire
loro formazione congiunta e assistenza operativa. Si completa il circuito di
aggiramento della sentenza di condanna dell’Italia sul caso Hirsi per i
respingimenti collettivi illegali verso la Libia operati nel 2009 dalla
motovedetta Bovienzo della Guardia di finanza.
Dopo il Trattato di amicizia firmato da Berlusconi e Gheddafi nel 2008, che dava
effetto al Protocollo tecnico-operativo, sottoscritto dal capo della polizia
Manganelli con il ministro Amato al Viminale, nel dicembre 2007, durante il
governo Prodi, sono risultati decisivi gli accordi stipulati con il governo di
Tripoli da Gentiloni e Minniti nel 2017 e poi mantenuti da tutti i successivi
governi.
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha respinto il ricorso sul caso del
gommone intercettato da una motovedetta libica nel novembre 2017. Secondo i
giudici di Strasburgo, “le autorità italiane non avevano il controllo effettivo
dell’area”. Il capitano e l’equipaggio della nave libica avrebbero agito in modo
autonomo e non vi sarebbero prove che suggeriscano che il Centro di Soccorso di
Roma avesse “il controllo sull’equipaggio di questa nave e fosse in grado di
influenzarne in alcun modo il comportamento”, dunque, “La Corte conclude che i
ricorrenti non rientravano nella giurisdizione italiana (…) Il ricorso deve
essere dichiarato inammissibile“.
Nel corso della intercettazione violenta, operata in acque internazionali da una
motovedetta libica prima che le autorità di Tripoli dichiarassero all’IMO una
zona SAR (di ricerca e salvataggio) di propria competenza, come denunciato da
Amnesty International, alcune persone finivano in mare e perdevano la vita, tra
queste due bambini, figli dei ricorrenti, mentre il Ras Jadir dopo il richiamo
giunto da un elicottero italiano si allontanava a grande velocità, trascinandosi
un uomo appeso fuori bordo ad una fune.
Come si legge nella sentenza, ricorrenti R.J. e E.R.O., rimasti a bordo della
Ras Jadir con circa altri quarantacinque sopravvissuti, sarebbero stati legati
con delle corde dall’equipaggio libico, che li avrebbe anche picchiati e
minacciati; sono stati portati in un campo di detenzione a Tajura, in Libia,
dove avrebbero subito maltrattamenti e violenze. In una data imprecisata, sono
stati rimpatriati in Nigeria nell’ambito del programma di rimpatrio umanitario
volontario assistito dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM).
I giudici di Strasburgo richiamano la loro precedente giurisprudenza secondo
cui “Anche nei casi in cui sia accertato che le presunte violazioni si sono
verificate in un’area sotto il controllo effettivo dello Stato convenuto (e che
quindi rientravano nella sua giurisdizione ratione loci), lo Stato convenuto
sarà ritenuto responsabile delle violazioni della Convenzione solo se aveva
anche la giurisdizione ratione personae. Ciò significa che gli atti o le
omissioni in questione devono essere stati commessi da autorità statali o essere
altrimenti attribuibili allo Stato convenuto (par.81).
La Corte osserva poi “che le prove contenute nel fascicolo dimostrano che il
comandante e l’equipaggio della nave libica hanno agito in modo autonomo,
rifiutandosi di rispondere alle chiamate fatte loro dalle altre imbarcazioni
presenti sul posto e dall’elicottero della Marina italiana per coordinare le
manovre di salvataggio (cfr. paragrafi 9 e 12). Inoltre, nulla fa pensare che
gli agenti dell’MRCC di Roma avessero un qualche controllo sull’equipaggio della
Ras Jadir e fossero in grado di influenzarne in qualche modo il comportamento.
In questo modo la Corte ignora quanto emerso nel corso del procedimento, che il
coordinamento effettivo delle operazioni di soccorso era effettuato in quel
tempo da bordo di una nave italiana che stazionava nel porto militare di Abu
Sittah a Tripoli, nel quadro dell’operazione Nauras, e che dalla stessa centrale
provvisoria di coordinamento provenivano le intimazioni dirette alla Sea Watch 3
della omonima ONG tedesca, di allontanarsi dal luogo del soccorso.
Lo stesso governo italiano aveva affermato nel corso della causa che “la Ras
Jadir era stata la prima ad arrivare sul luogo del naufragio ed era stata
prontamente designata dal JRCC di Tripoli come OSC” (coordinatrice dei
soccorsi). Il centro di coordinamento dei soccorsi (JRCC) di Tripoli a quel
tempo operava in stretto collegamento con la centrale di coordinamento (MRCC)
della Guardia costiera italiana con sede a Roma. Come emerge anche dalle
comunicazioni intercorse tra la motovedetta libica e l’elicottero italiano
presente sulla scena dei soccorsi, che intimava inutilmente alla Ras Jadir di
spegnere i motori per la presenza di persone in acqua. Sarebbe stato questo il
profilo dirimente che i giudici di Strasburgo avrebbero dovuto affrontare, non
certo quello del “sostegno economico e logistico fornito dall’Italia alla Libia
nella gestione dell’immigrazione”.
La Corte si arrocca sul principio della giurisdizione esclusiva (par.96), un
principio già utilizzato nel caso Hirsi per affermare la responsabilità
extraterritoriale dell’Italia, che non trova corrispondenza nella successiva
evoluzione dei rapporti tra autorità italiane e governo di Tripoli, proprio a
partire dal 2017, e nella dinamica dei fatti occorsi durante il respingimento
collettivo su delega italiana del 6 novembre 2017. Si può avere “controllo
effettivo” di un area marittima anche senza esercitare una giurisdizione
esclusiva, e le zone SAR sono aree di responsabilità e non certo spazi di
giurisdizione che in acque internazionali non si possono riconoscere ad una
entità statale, come il governo di Tripoli, che non rispetta gli obblighi di
soccorso ed i diritti fondamentali dei naufraghi.
Non si vede come si possa escludere nell’occasione giunta all’esame della Corte,
che le autorità italiane avessero fornito un concorso, assumendone la
responsabilità, per aver contribuito a porre in essere atti contrari alle
disposizioni della Convenzione, come quelli sanciti con il divieto di tortura
(art.3 CEDU) e con il divieto di respingimenti collettivi (art.4, Quarto
Protocollo allegato alla CEDU). La decisione operativa assunta dall’autorità
marittima italiana di trasferire la competenza esclusiva dei soccorsi ai libici,
quando ancora non era stata neppure dichiarata una zona SAR “libica”, ha
comportato la successiva lesione dei diritti fondamentali garantiti dalla
Convenzione EDU. Non solo per quanto concerne il diritto ala vita e il diritto
al soccorso in mare.
Di fronte alla nota situazione di violazione dei diritti umani dei migranti
intercettati in acque internazionali e ricondotti in Libia, esisteva un preciso
obbligo giuridico per l’Italia di rispondere alla richiesta di soccorso che
aveva tempestivamente ricevuto, e di cooperare nelle attività di salvataggio in
mare ai sensi dell’UNCLOS, della Convenzione SAR, e del Regolamento adottato ai
sensi della Convenzione SOLAS. In modo da garantire lo sbarco in un porto sicuro
(place of safety). Obbligo che radicava una giurisdizione italiana, rientrando
tra i doveri delle autorità italiane, le prime ad essere investite da una
chiamata di soccorso, assumere decisioni tali da incidere sulla vita e sulla
libertà di persone che si trovavano in acque internazionali, al di fuori di una
giurisdizione nazionale.
Non si vede poi come la Corte di Strasburgo possa affermare che l’elicottero
della Marina italiana presente sulla scena dei soccorsi non abbia preso parte
alle operazioni di salvataggio (par.100). La sentenza appare contraddittoria,
quando poi al paragrafo 102 “la Corte osserva che le prove contenute nel
fascicolo dimostrano che il comandante e l’equipaggio della nave libica hanno
agito in modo autonomo, rifiutandosi di rispondere alle chiamate fatte loro
dalle altre imbarcazioni presenti sul posto e dall’elicottero della Marina
italiana per coordinare le manovre di salvataggio (cfr. paragrafi 9 e 12). Non
si vede come si possa parlare di una giurisdizione esclusiva libica, escludendo
la concorrente giurisdizione italiana, quando si ammette che un mezzo della
nostra Marina militare partecipava direttamente “per coordinare le operazioni di
salvataggio”, tanto da inviare richiami di fermare i motori al comandante della
Ras Jadir che questo non rispettava.
2. Nel luglio del 2017, una Deliberazione del Consiglio dei Ministri italiano
prevedeva la partecipazione alla missione in supporto alla Guardia costiera
libica richiesta dal Consiglio presidenziale del Governo di accordo
nazionale. Tra gli obiettivi da raggiungere con l’operazione Nauras , “fornire
supporto alle forze di sicurezza libiche per le attività di controllo e
contrasto dell’immigrazione illegale e del traffico di esseri umani mediante un
dispositivo aeronavale e integrato da capacità I SR (Intelligence, Surveillance,
Reconaissance). In particolare, la missione ha i seguenti compiti, che si
aggiungono a quelli già svolti dal dispositivo aeronavale nazionale apprestato
per la sorveglianza e la sicurezza nell’area del Mediterraneo centrale: –
protezione e difesa dei mezzi del Consiglio presidenziale / Governo di accordo
nazionale libico (GNA) che operano per il controllo/contrasto dell‘immigrazione
illegale, distaccando, una o più unità assegnate al dispositivo per operare
nelle acque territoriali e interne della Libia controllate dal Consiglio
presidenziale / Governo di Accordo Nazionale (GNA) in supporto a unità navali
libiche; – ricognizione in territorio libico per la determinazione delle
attività di supporto da svolgere; – attività di collegamento e consulenza a
favore della Marina e Guardia costiera libica; – collaborazione per la
costituzione di un centro operativo marittimo in territorio libico per la
sorveglianza, la cooperazione marittima e il coordinamento delle attività
congiunte.
Secondo il Gip di Catania a marzo del 2018 (caso Open Arms), pochi mesi dopo il
respingimento collettivo delegato ai libici nel novembre del 2017, “la
circostanza che la Libia non abbia definitivamente dichiarato la sua zona SAR
non implica automaticamente che le loro navi non possano partecipare ai
soccorsi, soprattutto nel momento attuale, in cui iI coordinamento è
sostanzialmente affidato alle forze della Marina Militare Italiana, con i propri
mezzi navali e con quelli forniti al libici (sulla costituzione della zana SAR
da parte della Libia si veda quanto comunicato dal Comando Generale del Carpo
delle Capitanerie di Porto Italiane con II rapporto di data 23.03.201 8,
allegata in atti; dal quale si rileva che la Libia non sembra avere abbandonato
ii percorso per dichiarare la detta zona SAR, ma solamente essersi attardata in
pastoie burocratiche, al pari di altri Paesi, che comunque operano i soccorsi”.
In precedenza la Corte di Strasburgo era stata molto attenta rispetto alle
Convenzioni internazionali che oggi finge di ignorare. La Corte europea dei
diritti dell’Uomo (caso Hirs), richiamata dalla Corte di cassazione sul caso
ASSO 28, aveva affermato che “il divieto di respingimento costituisce un
principio di diritto internazionale consuetudinario che vincola tutti gli Stati,
compresi quelli che non sono parti alla Convenzione delle Nazioni Unite relativa
allo status dei rifugiati o a qualsiasi altro trattato di protezione dei
rifugiati. È inoltre una norma di jus cogens: non subisce alcuna deroga ed è
imperativa, in quanto non può essere oggetto di alcuna riserva” (articolo 53
della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, articolo 42 § 1 della
Convenzione sullo status dei rifugiati e articolo VII§1 del Protocollo del
1967).
Il principio di non respingimento, dettato dall’art. 33 della Convenzione di
Ginevra del 1951 sui rifugiati, non può essere dunque oggetto di alcuna riserva,
ma non dovrebbe neppure essere aggirato con il ricorso ad accordi bilaterali, e
con la delega alle autorità libiche di operare respingimenti collettivi sotto
coordinamento europeo, senza fare esporre direttamente unità navali italiane o
maltesi.
3. La Corte europea dei diritti dell’uomo delimita adesso la propria
giurisdizione in modo da non intralciare le intese operative tra Italia e Libia
per sequestrare i naufraghi in acque internazionali e deportarli nei lager dai
quali sono fuggiti. Anche per la Corte di Strasburgo, evidentemente, le
Convenzioni internazionali di diritto del mare ormai non valgono nulla. E non
rileva neppure il ruolo criminale di comandanti libici come Bija o come Abdel
Ghani al-Kikli, uccisi in faide tra milizie, dopo essere stati, per conto del
governo di Tripoli, interlocutori privilegiati delle autorità italiane e
protagonisti di respingimenti collettivi su delega e di sequestri di persone
migranti intercettate in acque internazionali.
Il riconoscimento della giurisdizione esclusiva libica in acque internazionali,
prima ancora che nel 2018 fosse istituita la zona Sar “libica” con l’esclusione
totale della giurisdizione italiana, in un caso nel quale, nel novembre del
2017, era presente un nostro elicottero sopra il barcone intercettato, con un
preciso ruolo di assistenza affidato dall’IMRCC di Roma (Centrale di
coordinamento della Guardia costiera), è un precedente gravissimo che conferma
come la Corte europea dei diritti dell’Uomo, sulle questioni di maggiore
“spessore politico”, sia ormai condizionata da governi xenofobi che cancellano i
diritti umani ed il rispetto della vita e degli obblighi di soccorso in mare.
Risulta assai inquietante, per i possibili sviluppi futuri, la considerazione
finale dei giudici di Strasburgo, secondo cui “La Corte sottolinea, tuttavia, di
essere competente solo a controllare il rispetto della Convenzione. Il compito
della Corte è quello di interpretare e applicare la Convenzione. La Corte non è
quindi competente a verificare il rispetto di altri trattati internazionali o
obblighi internazionali che non derivano dalla Convenzione. Pertanto, ha
sottolineato che, anche se altri strumenti possono offrire una protezione più
ampia della Convenzione, non è vincolata dalle interpretazioni di strumenti
simili adottate da altri organismi, poiché le disposizioni di tali altri
strumenti internazionali e/o il ruolo degli organismi incaricati di controllarne
l’applicazione possono differire dalle disposizioni della Convenzione e dal
ruolo della Corte (par.113).
La vergognosa decisione di irricevibilità per carenza di giurisdizione adottata
dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo non permetterà al governo italiano di
proseguire impunemente la collaborazione con le autorità libiche nelle
intercettazioni e nel sequestro in acque internazionali dei naufraghi fuggiti
dai campi di detenzione ancora gestiti dalle milizie che, come dimostrano il
caso Almasri, sul quale dovrà pronunciarsi la Corte Penale internazionale, e
gli scontri più recenti a Tripoli, continuano ad essere responsabili di gravi
crimini contro l’umanità e non costituiscono un soggetto legittimo per le
operazioni di ricerca e soccorso. Come ha recentemente affermato la Corte
d’Appello di Catanzaro che lo scorso 11 giugno ha respinto il ricorso del
governo italiano contro una sentenza che aveva dichiarato illegittimo il fermo
della nave di soccorso Humanity 1, motivato proprio con il riconoscimento della
“giurisdizione esclusiva” della sedicente guardia costiera libica in acque
internazionali.
Fulvio Vassallo Paleologo