Franco Marcoaldi / Un semplice senso delle cose
Il canzoniere di Franco Marcoaldi torna a noi con altri cuori di libertà, a
difesa del poco che resta dell’umanità e del suo millenario pensiero che sta
disgregandosi in intervalli strettissimi – come se qualcosa fosse repentinamente
cambiato nello spaziotempo – settimana dopo settimana invece che nei consueti
periodi “geologici”. Ma cosa rimane, oggi, di consueto, nelle stanze stracariche
di stravolti personaggi che nemmeno nei fraseggi da spogliatoio si ascoltano?
Nessuno illeso, con tutto il rispetto per lo storico avanspettacolo, vediamo
atterrare miliardari “figli di tenebrosa” (copyright Arbasino) in odore di
guerra civile.
E la poesia? Se al mondo ci fosse soltanto questa ragione di scrittura –
parafrasando la prima poesia di questo nuovo libro – saremmo tutti senza fiato,
e l’essere umano “per un poco / almeno non farebbe / danni, sdraiato sopra un
prato”. Ma questo non è, e dunque suvvia, proviamo a cercare nello sguardo di un
poeta, e un poco nella sua vita, quelle onde che possono fare stupefacenti i
giorni, quelle parole ancora che sono proposte in un andirivieni di gioia dove
c’è soltanto scontento.
Marcoaldi è uomo di terra, di terra vive sentendosi provvisorio ma ben presente
ancora in un orizzonte d’esistenza che si fa anche nostro quando, non cedendo
lui, non permette a noi d’aderire al disastro saturi di pensieri e cellule
disfatte nel cedimento generale. E se intorno la luce incede, il poeta ne coglie
la “fiamma benigna”, accogliendo quella grande parabola delle Aurore d’autunno
dell’amato Wallace Stevens – ultima raccolta di poesie scritte dal poeta
nordamericano dopo la Seconda guerra mondiale. E qualcosa vorrà dire se il
rimando alla lucida pietra d’ardesia ligure, di stampo caproniano, giunge forte
e chiaro dalla laguna di Orbetello. L’ambito di lunghe fedeltà è ferreo, e
l’idea è attività forte di una mente che pensa. Caproni non è deriva, nemmeno
“occasione”, è un accettare la realtà secondo l’esperienza personale. E dunque i
paradossi prodotti dalla specie umana, le discontinuità, sono ancora lì.
La necessità del tono satirico è un atto di giustizia verso gli eventi mentali
di chi legge, e che ancora può farlo nonostante gli ingredienti velenosi messi
in circolo. L’istinto messo al bando ha fatto danni come l’irrorare di pesticidi
i campi coltivati. Diamogli aria con la “conoscenza” leopardiana che Una parola
ancora spinge a disporre nelle nostre giornate: qualunque situazione al di fuori
della poesia sarà benvenuta, l’istinto saprà dove rivolgersi. In questa raccolta
non vivono soltanto versi, la parola giusta è dedica: un libro destinato alla
poesia contiene un pensiero dominante, rivelatore, infine avventurosamente
percettivo. Il mondo come varietà è, come si dice, una immensa varietà.
L’assidua esplorazione di Marcoaldi è necessaria al poeta così come a chi si
trova sui sentieri percorsi dalla comunità degli animi. Non dimenticare può
essere una fortuna, finché il chiarore del giorno continua a tornare.
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