La leva in Italia non è stata cancellata, ma solo sospesa
Sul finire del secolo scorso, l’esigenza dei paesi NATO era quella di costruire
un nuovo modello di difesa con militari di professione, giudicando la leva un
antico, e ormai inutile, retaggio del passato. Serviva, insomma, un esercito
addestrato, con numeri decisamente inferiori al passato, ma capace di
intervenire con efficacia e tempestività.
La scarsa motivazione dell’esercito di leva, venuto meno quel clima da opposti
schieramenti, anche ideologici, sancito dal lungo secondo dopo guerra,
l’evoluzione della tecnologia militare e duale, a partire dalle guerre spaziali
degli anni Ottanta, andavano mutando scenari e priorità.
Già 30 anni fa giravano vari studi atti a dimostrare che la leva obbligatoria
era fonte di inutile spesa pubblica, non servivano soldati poco motivati e
obbligati a mesi nelle caserme, ma forze di pronto intervento rapido da
utilizzare negli scenari di guerra e dopo alcuni anni da ricollocare, con corsie
preferenziali, negli uffici pubblici.
E a quel punto qualche anno da militare di professione spianava la strada anche
ad un successivo impiego sicuro, questi erano i presupposti con i quali partiva
la campagna per l’esercito professionale 25 anni or sono.
Con la fine della Guerra Fredda, nell’arco di pochi anni, quasi tutti i paesi
eliminano la leva obbligatoria scegliendo la strada (suggerita dagli USA) delle
forze di difesa professionali, iniziano Belgio (1995) e Paesi Bassi (1997)
seguiti da innumerevoli paesi per arrivare poi, nel nuovo secolo, ad altre
nazioni ossia Germania (2012), Ucraina (2014), Lituania (2015), Lettonia (2023).
La leva in realtà nel nostro paese non è stata cancellata, ma solo sospesa e di
questo l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
ha ampiamente parlato e scritto negli ultimi mesi, nel frattempo registriamo
spinte importanti che vanno nella direzione di ripristinare la obbligatorietà
della leva, prevedendo in alcuni casi una scelta tra addestramento militare e un
servizio civile.
E nazioni come Germania e Polonia da due anni parlano di pianificare
l’addestramento militare per i civili per far fronte alla minaccia russa.
E questi due paesi sono quelli che maggiormente nel vecchio continente hanno
accresciuto le spese belliche in rapporto al loro stesso PIL e nel caso renano
sta partendo la riconversione di interi settori dell’economia civile a fini
militari, un progetto di economia di guerra sul quale stanno lavorando da un
anno.
Meno di un anno fa la Polonia annunciava un piano straordinario di addestramento
militare a “tutti gli uomini adulti” nell’ottica di costruire un esercito di 500
mila uomini inclusi i riservisti che, sul modello israeliano, diventano sempre
più importanti nei futuri scenari militaristi.
Se la guerra in Palestina è condotta con ampio utilizzo di tecnologie di ultima
generazione e con sistemi all’avanguardia, il conflitto ucraino, per quanto
presenti ampio utilizzo di droni e missili, di aerei a guida senza pilota, ha
richiesto quantitativi di soldati decisamente maggiori a quelli disponibili, la
Russia ha inviato al fronte ex detenuti in cambio della promessa, una volta
tornati dalla guerra, di non espiare la pena, in Ucraina i reclutatori
dell’esercito costringono giovani ad andare al fronte battendo villaggio per
villaggio.
In Germania, nel frattempo, si parla di reintroduzione del servizio militare
obbligatorio entro la fine dell’anno, in Spagna invece, dove le posizioni sono
diametralmente opposte, è iniziata una aspra discussione sulla cultura della
sicurezza e della difesa che in soldoni potrebbe portare a rivalutare la leva
obbligatoria (con qualche modifica rispetto al passato) da qui a pochissimi
anni.
Federico Giusti, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle
università
Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università